La pendenza contemporanea, dinanzi allo stesso giudice, di procedimenti relativi alla stessa causa può dare luogo a provvedimenti di riunione, i quali non sono suscettibili di impugnazione dinanzi ad altri uffici giudiziari.
La ratio ispiratrice di questa norma viene generalmente individuata in esigenze di economia processuale, ossia evitare il plurimo esercizio della attività giurisdizionale sulla medesima causa e, di conseguenza, evitare che si determinino contrasti di giudicati.
La riunione di due o più procedimenti, d’ufficio o su ricorso delle parti, è possibile quando:
a) sono relativi alla stessa causa;
b) sono pendenti di fronte allo stesso ufficio giudiziario.
Unica ipotesi in cui la riunione di cause ex art. 273 deve escludersi è stato individuato nella eventualità che uno dei processi si trovi in stato di quiescenza.
Il primo comma si occupa dell'ipotesi in cui sia lo stesso giudice (inteso come persona fisica) a venire a conoscenza dell'esistenza di più procedimenti relativi alla stessa causa; in tal caso il provvedimento di riunione sarà pronunciato tanto dal
giudice istruttore quanto dall'organo decidente, a seconda dello stato di pendenza del procedimento, nel momento in cui perviene la notizia di pendenza di altro procedimento relativo alla stessa causa.
Il secondo comma, invece, disciplina l'ipotesi in cui più procedimenti si trovino davanti a giudici diversi o a sezioni diverse del medesimo tribunale; in questo caso il potere di dare luogo alla riunione spetta al presidente del tribunale che, dopo aver sentito le parti, adotta il provvedimento che dispone la riunione e determina davanti a quale giudice, o a quale sezione, i procedimenti riuniti dovranno proseguire.
Nel caso in cui, poi, un procedimento si trovi innanzi al giudice istruttore e l'altro dinanzi al collegio, il provvedimento di riunione determinerà la rimessione della causa all'istruttore.
Se a disporre la riunione è il giudice-persona fisica davanti al quale pendono i due procedimenti (primo comma), questi adotterà il relativo provvedimento nella forma dell'
ordinanza istruttoria, la quale è reclamabile innanzi al collegio.
Il provvedimento con cui, invece, il presidente del tribunale dispone la riunione, determinando il giudice o la sezione innanzi al quale il procedimento riunito dovrà proseguire, viene pronunciato nelle forme del
decreto.
In entrambe le ipotesi il provvedimento di riunione è, comunque, un provvedimento ordinatorio che, diversamente dall'ipotesi di connessione prevista dal successivo
art. 274 del c.p.c., riguardando un'unica causa, è vincolato e non discrezionale.
Esso può essere adottato d'ufficio dal giudice, ma rimane ferma la possibilità per le parti di sollecitarne l'adozione, anche se la mancata audizione di queste ultime non determina la nullità del provvedimento stesso.
In quanto provvedimento ordinatorio, il decreto di riunione non è suscettibile di impugnazione, né a mezzo di ricorso in cassazione, né di
regolamento di competenza, così come non è soggetto a
reclamo.
Il decreto di riunione emesso ai sensi della norma in esame ha come effetto quello di determinare una vera e propria fusione dei procedimenti.
In seguito a tale fusione il processo risulterà formalmente unico, il che comporta che sia avrà una trattazione congiunta delle due cause e che il giudice potrà avvalersi di tutte le allegazioni, prove ed argomenti di prova raccolti nei due processi sino al momento in cui è stato emanato il provvedimento di riunione.
Secondo quanto sostenuto dalla prevalente dottrina, la fusione dei procedimenti comporta l'acquisizione all'unico procedimento che risulta a seguito della riunione degli atti e del materiale istruttorio eventualmente raccolto nei due procedimenti.