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Articolo 134 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Forma, contenuto e comunicazione dell'ordinanza

Dispositivo dell'art. 134 Codice di procedura civile

L'ordinanza è succintamente motivata (1). Se è pronunciata in udienza, è inserita nel processo verbale; se è pronunciata fuori dell'udienza, è scritta in calce al processo verbale oppure in foglio separato, munito della data e della sottoscrizione del giudice o, quando questo è collegiale, del presidente.

Il cancelliere comunica alle parti l'ordinanza pronunciata fuori dell'udienza, salvo che la legge ne prescriva la notificazione (2).

[L'avviso di cui al secondo comma può essere effettuato a mezzo telefax o a mezzo di posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere l'avviso](3).

Note

(1) L'ordinanza si caratterizza per la succinta motivazione a distinguendosi in tal modo dalla sentenza che deve essere costituzionalmente motivata (art.111 Cost.) e dal decreto, che, normalmente non necessita di motivazione pur avendo anch'esso funzione ordinatoria-interna al processo. In ogni caso, la succinta motivazione garantisce un controllo sull'iter logico seguito dal giudice per arrivare alla sua pronuncia e la sua totale mancanza comporta la nullità dell'ordinanza, eccetto il caso delle ordinanze di mero rinvio, in cui non è necessario l'obbligo della motivazione.
(2) La norma specifica che l'ordinanza può essere pronunciata in udienza o fuori udienza e, in questo caso, deve essere redatta in calce al verbale dell'udienza o su un foglio separato, in ogni caso sottoscritto dal giudice. Inoltre, l'ordinanza fuori udienza deve essere comunicata alle parti a cura del cancelliere in modo tale che queste siano rese edotte del contenuto del provvedimento nonchè della nuova udienza in cui il giudizio deve proseguire. La mancanza di tale comunicazione determina la nullità del provvedimento e degli atti successivi, quindi anche della sentenza eventualmente emessa.
Diversamente, l'ordinanza che viene pronunciata in udienza dal giudice ed inserita nel verbale si presume conosciuta sia dalle parti presenti, sia da quelle che avrebbero dovuto partecipare e quindi non va comunicata a queste ultime. Inoltre, ci sono dei casi, tassativamente previsti dalla legge, in cui l'ordinanza deve essere portata a conoscenza, non tramite comunicazione, ma per mezzo di vera e propria notificazione. Ad esempio le ordinanze di condanna a pene pecuniarie (art.179, II comma) oppure all'ordinanza del collegio che ammette il giuramento (art.237, II comma).
(3) Comma inserito dall'art. 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, come modificato dall'allegato alla L. 14 maggio 2005, n. 80, con decorrenza dal 15 maggio 2005, successivamente abrogato dall'art. 25, comma 1, L. 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilità), con decorrenza dal 01 gennaio 2012 ed applicazione dal 31 gennaio 2012.

Ratio Legis

L'articolo in commento disciplina l'ordinanza quale provvedimento del giudice rivolto a regolare lo svolgimento del processo e a risolvere le questioni procedurali che possono insorgere tra le parti. Ad esempio rivestono la forma dell'ordinanza i provvedimenti che anticipano, in corso di causa, gli effetti della pronuncia definitiva di condanna. In particolare, il giudice istruttore, su istanza di parte, dispone con ordinanza: il pagamento di somme non contestate dalle parti costituite [v. 186bis] oppure un ingiunzione di pagamento o di consegna ad una delle parti [v. 186ter] ovvero la condanna, esaurita l'istruzione e nei limiti in cui ritiene raggiunta la prova, al pagamento di somme o alla consegna o rilascio di beni [v. 186quater]. Inoltre, la legge prevede dei casi in cui l'ordinanza può svolgere una funzione decisoria. In particolare, nel procedimento speciale per convalida di sfratto, il giudice può emanare un'ordinanza di convalida [v. 663] oppure un'ordinanza di rilascio dell'immobile [v. 665] che sono provvedimenti di tutela giurisdizionale irrevocabili e con valore di cosa giudicata per la risoluzione del rapporto di locazione e per la condanna a rilascio.

Spiegazione dell'art. 134 Codice di procedura civile

L’ordinanza è quel tipo di provvedimento giurisdizionale che ha una funzione c.d. ordinatoria del processo, essendo volta a regolare l’iter procedimentale, risolvendo le questioni che possono insorgere tra le parti.
In quanto tale, essa presuppone un contraddittorio tra le parti e la legge richiede che sia succintamente motivata; secondo parte della dottrina, infatti, il difetto assoluto di motivazione ne determina la nullità (altra parte della dottrina, invece, ritiene che non sussista alcun problema di nullità vera e propria, essendo l’ordinanza per sua natura revocabile e modificabile).

Requisiti tipici dell’ordinanza sono la sua revocabilità e modificabilità ad opera dello stesso giudice che l’ha emessa, nonché la sua inidoneità a pregiudicare la decisione della causa.
Oltre che come provvedimento tipicamente interlocutorio che può essere emesso nel corso del rito di cognizione ordinario, l’ordinanza viene utilizzata anche in numerosi altri ambiti e riti, e ciò ancor più a seguito della riforma operata dalla Legge n. 69/2009.

E’ intanto previsto l’utilizzo dell’ordinanza per i provvedimenti in tema di competenza, litispendenza, continenza e connessione, giustificato dal fatto che si tratta di un atto semplificato sotto il profilo formale e degli adempimenti di cancelleria.

Anche il provvedimento conclusivo del nuovo rito sommario deve avere forma di ordinanza ex art. 702 ter del c.p.c.; essa presenta dei caratteri che la rendono simile alla sentenza, quali l’essere provvisoriamente esecutiva e costituire titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione.

Un ruolo particolarmente importante assume l’ordinanza istruttoria nel rito del lavoro e nel procedimento dinanzi al giudice di pace, quando quest’ultimo decide la controversia secondo equità.

Nell’ambito delle procedure esecutive, i provvedimenti emessi dal giudice dell’esecuzione sono normalmente assunti ex art. 487 del c.p.c. comma 1 mediante ordinanza, e sono modificabili e revocabili finchè non abbiano avuto un principio di esecuzione.

La comunicazione dell’ordinanza, a cui fa riferimento il secondo comma, è l’atto mediante il quale il cancelliere, mediante il c.d. biglietto di cancelleria, dà notizia alle parti del contenuto dell’ordinanza pronunciata fuori udienza dal giudice.
La sua mancata comunicazione comporta la nullità di tale provvedimento e di tutti gli atti successivi (compresa la sentenza eventualmente emessa), salvo che tale vizio non risulti successivamente sanato dalla comparizione spontanea della parte destinataria della comunicazione.

Le ordinanze pronunciate dal giudice in udienza, invece, se inserite nel processo verbale si reputano conosciute sia dalle parti presenti che da quelle che avrebbero dovuto intervenire e che non sono intervenute.

La legge prescrive la notificazione dell’ordinanza nei casi previsti dagli artt. 179, 237, 288, 292 c.p.c. e art. 121 delle disp. att. c.p.c..
Il terzo comma, introdotto dalla Legge n. 80/2005, è stato successivamente abrogato dall’art. 25 comma 1, lett. b) della Legge n. 183/2011

Massime relative all'art. 134 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 16731/2009

I provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione sono normalmente assunti, ai sensi dell'art. 487, primo comma, cod. proc. civ., con ordinanza, sono modificabili o revocabili finché non abbiano avuto esecuzione, costituendo anch'essi espressione del potere di direzione del processo e, in quanto diversamente regolanti quanto già disciplinato dal provvedimento precedentemente adottato, sono soggetti a riesame mediante opposizione agli atti esecutivi. (Principio enunciato in relazione alla revoca di un'ordinanza di assegnazione di beni mobili). (Rigetta, Trib. Aosta, 29/07/2005).

Cass. civ. n. 24479/2008

L'art. 47, comma quarto, c.p.c. dispone che il regolamento di competenza d'ufficio sia richiesto con ordinanza, senza dettare alcuna precisazione sui requisiti di contenuto del provvedimento, i quali vanno, pertanto, mutuati dall'art. 134 c.p.c., che prevede, però, la motivazione dell'ordinanza, ma non l'esposizione del fatto sostanziale e processuale. Quest'ultimo requisito, però, è necessario in quanto appaia indispensabile per il raggiungimento dell'atto, potendo, quindi, essere più o meno ampia l'esposizione a seconda di quanto occorra per evidenziare le ragioni su cui si fonda il conflitto. (Nella specie la S.C. ha ritenuto idonea a spiegare ed a rendere intelligibili le ragioni del conflitto, l'affermazione nell'ordinanza del Tribunale che aveva richiesto il regolamento, secondo cui «il giudice di pace rimettente del presente procedimento avrebbe dovuto separare le domande proposte avanti al suo ufficio trattenendo necessariamente la causa di opposizione al decreto ingiuntivo che aveva emesso»)

Cass. civ. n. 27143/2006

Al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza o di ordinanza e sia, pertanto, soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, è necessario avere riguardo agli effetti giuridici che esso è destinato a produrre; ne consegue che deve essere definito come sentenza il provvedimento con il quale il giudice definisce la controversia soggetta al suo giudizio, sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo processuale; mentre non è definibile come sentenza il provvedimento adottato in ordine all'ulteriore corso del giudizio, anche se con esso siano state decise questioni di merito o di procedura, essendo tali questioni soggette al successivo riesame in sede decisoria. (Cassa senza rinvio, App. Milano, 12 Novembre 2002).

Cass. civ. n. 24159/2006

Nel rito del lavoro, l'irregolare utilizzazione dell'istituto della riserva ex art. 186 cod.proc.civ. non consente di considerare pronunciata in udienza, e quindi conosciuta dalle parti, un'ordinanza emessa fuori udienza, non letta alle stesse e, proprio perché non pubblicizzata attraverso la lettura, depositata in cancelleria. Conseguentemente, il mancato avviso al difensore, nella specie della parte appellata, dell'ordinanza, emessa fuori udienza e depositata in cancelleria, determina, ai sensi dell'art. 176, comma secondo, cod.proc.civ., in relazione agli artt. 134 e 156 cod.proc.civ., la nullità del provvedimento nonché la conseguente nullità, ex art. 159, cod. proc. civ., degli atti successivi e della sentenza. (Cassa con rinvio, App. Caltanissetta, 22 Novembre 2003).

Cass. civ. n. 11353/2004

Nel rito del lavoro il ricorrente deve - analogamente a quanto stabilito per il giudizio ordinario dal disposto dell'art. 163, n. 4, c.p.c. - indicare ex art. 414, n. 4 c.p.c. nel ricorso introduttivo della lite gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda. In caso di mancata specificazione ne consegue la nullità del ricorso, da ritenersi però sanabile ex art. 164, comma quinto, c.p.c. (norma estensibile anche al processo del lavoro). Corollario di tali principi è che la mancata fissazione di un termine perentorio da parte del giudice, per la rinnovazione del ricorso o per l'integrazione della domanda, e la non tempestiva eccezione di nullità da parte del convenuto ex art. 157 c.p.c., del vizio dell'atto, comprovano l'avvenuta sanatoria della nullità del ricorso dovendosi ritenere raggiunto lo scopo ex art. 156, comma secondo, c.p.c. La sanatoria del ricorso non vale, tuttavia, a rimettere in termini il ricorrente rispetto ai mezzi di prova non indicati né specificati in ricorso, sicché il convenuto può eccepire, in ogni tempo e in ogni grado del giudizio, il mancato rispetto da parte dell'attore della norma codicistica sull'onere della prova, in quanto la decadenza dalle prove riguarda non solo il convenuto (art. 416, terzo comma, c.p.c.), ma anche l'attore (art. 414, n. 5, c.p.c.), dovendo ambedue le parti, in una situazione di istituzionale parità, esternare sin dall'inizio tutto ciò che attiene alla loro difesa e specificare il materiale posto a base delle reciproche istanze, alla stregua dell'interpretazione accolta da Corte Cost. 14 gennaio 1977, n. 13.

Cass. civ. n. 10946/2004

Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, e sia quindi soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, occorre aver riguardo, non già alla sua forma esteriore ed alla qualificazione attribuitagli dal giudice che lo ha emesso, ma agli effetti giuridici che esso è destinato a produrre. Pertanto, siccome il provvedimento — impropriamente qualificato ordinanza — con cui il giudice monocratico affermi la propria giurisdizione ha natura di sentenza non definitiva, deve ritenersi preclusa, in mancanza di riserva di impugnazione, la riproposizione della questione di giurisdizione attraverso l'impugnazione della sentenza definitiva.

Cass. civ. n. 5238/2004

I provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione sono normalmente assunti, ai sensi dell'art. 487, primo comma, c.p.c., con ordinanza, e sono modificabili o revocabili finchè non abbiano avuto esecuzione, costituendo anch'essi espressione del potere di direzione del processo e, in quanto diversamente regolanti quanto già disciplinato dal provvedimento precedentemente adottato, sono soggetti a riesame mediante opposizione agli atti esecutivi.

Cass. civ. n. 4929/2004

Le ordinanze pronunciate dal giudice in udienza ed inserite nel processo verbale a norma dell'art. 134 c.p.c. si reputano conosciute sia dalle parti presenti sia da quelle che avrebbero dovuto intervenire, e pertanto non devono essere comunicate a queste ultime dal cancelliere; in particolre, non deve essere comunicata al procuratore costituito ma assente la nomina del consulente tecnico d'ufficio avvenuta in udienza.

Cass. civ. n. 12794/1997

Se un'ordinanza fuori udienza – nella specie emessa dal presidente del collegio in accoglimento dell'istanza di anticipo dell'udienza di decisione della causa – è comunicata (art. 134, secondo comma, c.p.c.) presso la cancelleria anziché nel domicilio eletto (art. 82, primo comma, R.D. 22 gennaio 1934, n. 37), la sentenza è insanabilmente nulla (artt. 156, secondo comma, e 159, c.p.c.), se la parte non ha partecipato alla discussione né ha svolto attività difensiva (comparsa conclusionale o eventuale memoria di replica), per violazione del relativo diritto e del principio del contraddittorio, vizi rilevabili ex actis in sede di legittimità, trattandosi di error in procedendo.

Cass. civ. n. 7958/1997

L'ordinanza emessa dal tribunale a norma dell'art. 11 della legge n. 319 del 1980 (resa, in tema di liquidazione a periti e consulenti, in camera di consiglio ed in presenza di più parti), pur incidendo, con carattere di definitività, su diritti soggettivi (ed essendo, conseguentemente, assoggettabile al rimedio processuale del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., per mancata previsione di altri e diversi mezzi di impugnazione), conserva la propria veste formale di provvedimento collegiale ordinatorio che, come tale, ed a prescindere dalla natura sostanziale di sentenza, va sottoscritto, a norma dell'art. 134 c.p.c., dal solo presidente, e non anche dal giudice relatore.

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relative all'articolo 134 Codice di procedura civile

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Ilaria S. chiede
venerdì 21/07/2017 - Umbria
“Salve,
Richiedo una consulenza riguardo ad una provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo:
l'atto è stato emesso il giorno 28.06.17 ma ci è stato notificato, tramite il nostro avvocato, solo ieri, 20.07.17.
Ci è pervenuta una notifica molto scarna, priva di qualsiasi riferimento (numero di protocollo o registro, nome del depositario, nome dell'ingiunto, cifra da corrispondere, motivazione estesa della concessione). Chiedo a tal proposito:
- se tale documento debba ritenersi comunque valido ai fini dell'esigibilità del credito
faccio presente inoltre che il ricorrente NON ha prodotto alcuna prova scritta del proprio credito tale da giustificare la concessione della provvisoria esecuzione (cambiale, assegno o altro titolo) nè atto pubblico ricevuto da notaio, nè tantomeno può provare il pericolo di grave pregiudizio in caso di ritardato pagamento.
Qual è il vostro consiglio?
Grazie

Consulenza legale i 01/08/2017
Gli artt. 633 c.p.c. e seguenti disciplinano un procedimento speciale, e particolarmente rapido, tramite il quale, chi è creditore di una somma di denaro ovvero di cose fungibili oppure chi è creditore di una cosa determinata, può ottenere un provvedimento del giudice, in breve tempo e senza il contraddittorio con la controparte, purché del diritto vantato ne offra prova scritta (ex art. 634 c.p.c.).

L’art. 642 c.p.c. prevede poi che “se il credito è fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, o su atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato”, ovvero “se vi è fondato pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero il ricorrente produce documentazione sottoscritta” il Giudice può concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo.

Se il debitore propone opposizione avverso il suddetto decreto ingiuntivo, si apre un ordinario giudizio a cognizione piena volto a indagare la fondatezza della domanda del creditore.
Tuttavia questo giudizio ha ancora delle particolarità: l’onere della prova si inverte e ricade in capo al debitore che, alla prima udienza, deve dare una prova altrettanto forte dell’inesistenza del diritto di credito.

Qualora la provvisoria esecutività non sia stata concessa al momento dell’emissione del decreto ingiuntivo, gli artt. 647 e 648 c.p.c. prevedono infatti che, all’udienza, se il Giudice ritiene l’opposizione non fondata su prova scritta oppure di pronta soluzione, deve concedere la provvisoria esecuzione del decreto.

Sembrerebbe che, nel caso de quo, il decreto ingiuntivo, originariamente non esecutivo, sia stato. dopo la prima udienza, ordinato provvisoriamente esecutivo, poiché le prove addotte dal debitore a sostegno dell’infondatezza della pretesa creditoria non erano di pronta soluzione, né è stata offerta prova scritta contraria.
Stando così le cose, l’operato del Giudice è corretto.

Se invece il Giudice avesse concesso la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, già al momento dell’emissione del provvedimento nonostante, stando a quanto esposto, il credito non era fondato su cambiale, assegno né sulle altre scritture di cui all’art. 642 c.p.c., allora il provvedimento è effettivamente viziato, così come tutti gli atti conseguenti e presupposti.
Tuttavia l’art. 648 c.p.c. prevede espressamente che tale ordinanza è “non impugnabile”, e dunque l’opponente è paralizzato rispetto ad eventuali azioni esecutive che si fondano sulla medesima.

L’unica strada per far valere l’erroneità e l’ingiustizia dell’ordinanza è chiederne la revoca alla prossima udienza, anche se chiaramente sarà difficile far cambiare idea al Giudice in ordine alla correttezza del proprio operato.

Ai sensi dell’art. 134 c.p.c. “l'ordinanza è succintamente motivata. Se è pronunciata in udienza, è inserita nel processo verbale; se è pronunciata fuori dell'udienza, è scritta in calce al processo verbale oppure in foglio separato, munito della data e della sottoscrizione del giudice o, quando questo è collegiale, del presidente”.

In base al dettato dell’art. 134 c.p.c., dunque, le ordinanze devono essere motivate sinteticamente, ed attesa la stringente disciplina in materia di provvisoria esecutività di cui all’art. 648, l’ordinanza de qua potrebbe essere ritenuta sufficientemente motivata stante il riferimento all’assenza di prova scritta da parte di parte opponente.

Con riguardo alla correttezza formale dell’ordinanza, va specificato che, sempre in base al dettato dell’art.134 c.p.c., l’ordinanza emessa a seguito dell’udienza ed a scioglimento della riserva assunta, può essere redatta in calce al verbale d’udienza ed, in questo caso, i riferimenti alle parti ed al procedimento sono contenuti nel verbale stesso, di solito subito dopo l’intestazione.

Se, invece, l’ordinanza viene redatta su di un foglio separato, allora sì questo dovrebbe necessariamente riportare tutti gli estremi idonei ad individuare i soggetti ed il procedimento nel quale si producono gli effetti, pena la nullità/inesistenza del provvedimento.
In questo caso non è dato sapere se il foglio sia separato oppure faccia parte del verbale dell’udienza, magari in quanto spillato materialmente allo stesso.

Il cancelliere è tenuto ad informare le parti che si sono verificati determinati fatti rilevanti per il processo, onere che però non implica la trasmissione completa e puntuale del provvedimento, che potrebbe essere stato scansionato in maniera parziale.
Dunque prima di valutare se l’opposizione all’esecuzione possa essere ragionevolmente accolta, sarebbe opportuno verificare se l’ordinanza è tutt’uno con il verbale di causa oppure è stata emessa così come inviata ai difensori.

In quest’ultimo caso, come suggerito dal suo difensore, la strada da seguire sarebbe quella di proporre opposizione all’esecuzione, in cui si farà valere l’inesistenza ovvero la nullità del titolo in base al quale si procede.

Non ha alcuna rilevanza, invece, la circostanza che l’ordinanza è stata trasmessa da un ausiliario, che magari agisce in forza di delega interna del Cancelliere, né tantomeno che manca il riferimento alla cifra ingiunta dal momento che, se l’ordinanza fa parte del verbale, il quantum debeatur è direttamente evincibile dal decreto ingiuntivo.