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Capo XXV - Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Della transazione

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
772 Dal codice civile del 1865 non sono stati riportati l'art. 1767, che permetteva la stipulazione di una clausola penale, gli artt. 1769-1770 che contenevano criteri interpretativi per nulla difformi da quelli generali che valgono per tutti i contratti, l'art. 1771 che ripeteva il principio dell'efficacia inter partes del contratto transattivo, l'art. 1773 che ne ammetteva l'impugnazione per vizi del volere. Queste norme si spiegavano nel codice del 1865, nel quale, pur essendosi affermata la natura contrattuale della transazione, vi erano traccie della vecchia concezione che considerava la transazione come una causa generale di acquisto e vi era soprattutto la tendenza ad assimilare la transazione alla cosa giudicata (art. 1722, primo comma); non avevano più alcuna ragione di essere nella nuova disciplina, che è esclusivamente ispirata al principio contrattualistico, e nella quale è scomparsa l'assimilazione suddetta. La nozione del contratto (art. 1965 del c.c.), fondata sull'elemento funzionale della composizione della lite e sull'elemento strumentale delle reciproche concessioni, è sostanzialmente rimasta immutata: ma in correlazione alle altre norme permette di risolvere alcuni problemi pratici di notevole rilievo. Così si può dire risolto il grave problema se per la validità della transazione sia sufficiente l'esistenza di una controversia o sia invece necessaria un'incertezza, obiettiva o subiettiva, sull'esito della lite. La dottrina di gran lunga dominante riteneva necessario il presupposto dell'incertezza; me è sembrato praticamente più opportuno, allo scopo di impedire discussioni postume sull'efficacia delle transazioni e di mantenere fermo l'effetto di grande rilievo dal punto di vista sociale, della composizione convenzionale della lite, considerare presupposto necessario e sufficiente della transazione solo l'esistenza della lite, qualunque sia il grado di incertezza in cui possono versare le parti transigenti. Si è posto però un limite per quanto riguarda la transazione per lite temeraria (art. 1971 del c.c.), alla quale de iure condito dottrina e giurisprudenza erano concorsi nel negare validità, e alla quale non si può usare un trattamento diverso senza distruggere quel minimo etico che è condizione di vita di ogni sano ordinamento giuridico. Per tale ipotesi si è chiaramente affermato cha la transazione è annullabile nell'interesse della parte contro la quale si fa valere la pretesa temeraria. Non si sono specificati presupposti della temerarietà della lite, dato cha il concetto di lite temeraria è stato sufficientemente elaborato dalla dottrina e dalla giurisprudenza; si è però circoscritto ancor di più l'ambito di tale concetto, richiedendo la consapevolezza della temerarietà della pretesa.
773 L'altro problema relativo alla natura dichiarativa o costitutiva della transazione, vivamente discusso in dottrina, non poteva, come è ovvio, trovare soluzione in sede legislativa. Ma, pur prescindendo dalla soluzione di esso, si sono risolte le questioni più importanti che si solevano riportare a quel problema fondamentale, e si sono risolte secondo esigenze pratiche, indipendentemente dall'ossequio formale all'uno o all'altro principio. Così si è espressamente chiarito (art. 1965 del c.c., secondo comma), che le reciproche concessioni possono riguardare rapporti diversi da quello controverso, si è riaffermata la necessità che le parti abbiano la capacità di disporre dei diritti oggetto della lite (art. 1966 del c.c., primo comma), si è espressamente vietata la transazione relativamente a diritti indisponibili (art. 1966, secondo comma), si sono assoggettate alla formalità della trascrizione le transazioni immobiliari (art. 2643 del c.c., n. 13), e si è infine ammessa la risolubilità della transazione per inadempimento (art. 1976 del c.c.). Quest'ultima disposizione consacra legislativamente la prevalente tendenza dottrinale che da parecchio tempo ei è già affermata nella giurisprudenza, e introduce un limite solo per il caso in cui il rapporto creato mediante il negozio transattivo importa estinzione per novazione del rapporto controverso. In tal caso è chiaro che l'inadempimento di una delle parti non può far rivivere rapporti definitivamente estinti, se non quando la volontà di entrambe abbia subordinato all'effettivo adempimento l'estinzione medesima.