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Articolo 1892 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Dichiarazioni inesatte e reticenze con dolo o colpa grave

Dispositivo dell'art. 1892 Codice Civile

Le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanze tali che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave [1893, 1894, 1898](1).

L'assicuratore decade dal diritto d'impugnare il contratto se, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza, non dichiara al contraente di volere esercitare l'impugnazione(2).

L'assicuratore ha diritto ai premi relativi al periodo di assicurazione in corso al momento in cui ha domandato l'annullamento e, in ogni caso, al premio convenuto per il primo anno. Se il sinistro si verifica prima che sia decorso il termine indicato dal comma precedente, egli non è tenuto a pagare la somma assicurata(3).

Se l'assicurazione riguarda più persone o più cose, il contratto è valido per quelle persone o per quelle cose alle quali non si riferisce la dichiarazione inesatta o la reticenza(4).

Note

(1) Si pensi all'ipotesi di assicurazione sulla vita (1919 ss. c.c.) nella quale l'assicurato non comunichi all'assicuratore di essere un malato terminale ovvero a quella in cui viene assicurata una casa (1904 ss. c.c.) ma lo stipulante non comunica un grave problema alla struttura di cui è a conoscenza.
(2) L'impugnazione deve poi avvenire entro l'ordinario termine di cinque anni (v. 1442 c.c.) e non in quello più breve di un anno che l'art. 2952 c.c. stabilisce in tema di contratto di assicurazione, in quanto quest'ultimo opera per i diritti derivanti da una stipula valida e non viziata.
(3) I rimedi che l'ordinamento appresta per le ipotesi di inesattezze o reticenza previste dalla norma sono quindi due: l'annullamento, ma anche l'inefficacia della stipula nei confronti dell'assicuratore, se il sinistro si verifica nel periodo di tre mesi previsto per chiedere tale annullamento.
(4) In tale ipotesi non avrebbe senso estendere l'azione di annullamento anche a quella parte di contratto per la quale le dichiarazioni sono state veritiere.

Ratio Legis

La norma è posta a tutela dell'assicuratore il quale deve conoscere esattamente la situazione dell'assicurato al fine di valutare correttamente il rischio che assume con il contratto e stabilire il premio che gli deve essere corrisposto. Poiché egli, di regola, non è in grado di compiere indagini accurate sulle circostanze relative alla stipula deve affidarsi alle dichiarazioni della controparte.
Tuttavia, l'assicuratore deve dichiarare di valersi del rimedio entro un breve termine dalla scoperta del vizio, e ciò per evitare che, conosciuto quest'ultimo, possa continuare a riscuotere i premi e addurre l'invalidità del contratto solo una volta che si verifica il sinistro.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

751 Nel sistema del codice di commercio le dichiarazioni false, inesatte o reticenti producevano sempre la nullità del contratto; l'eventuale stato di buona fede da parte dell'assicurato provocava la sola conseguenza di esonerarlo dall'obbligo di corrispondere i premi che, nel caso di mala fede, erano invece dovuti non ostante la nullità del contratto (articolo 429). Un rigore del genere aveva suscitato molte critiche, specialmente perché faceva venir meno il contratto anche per la più lieve inesattezza incorsa nelle dichiarazioni dall'assicurato, causata da errore scusabile. La critica era stata accolta dagli assicuratori, che vi avevano rimediato in alcuni casi mediante la c. d. clausole di incontestabilità, le quali implicavano un apprezzamento benevolo della situazione dell'assicurato quando non fosse stato in dolo o in colpa grave. E infatti il nuovo codice solo all'ipotesi in cui il contraente sia stato in dolo o colpa grave riconnette l'annullamento del contratto; ma peraltro sottopone l'azione relativa a decadenza qualora l'assicuratore non dichiari, entro un breve termine, di volerla esercitare. Se il contraente ha agito senza dolo o colpa grave, si prevede il solo diritto dell'assicuratore di recedere dal contratto entro un termine stabilito dalla stessa legge (art. 1893 del c.c., primo comma); in modo che la continuazione dell'assicurazione è talvolta resa possibile, qualora l'assicuratore ritenga che la falsità, l'inesattezza e la reticenza non abbiano prodotto intollerabili turbamenti nell'economia del contratto. Nel caso di dolo o colpa grave l'assicurato rimane scoperto di assicurazione durante il termine assegnato all'assicuratore per dichiarare di volere esercitare l'azione (art. 1892 del c.c., terzo comma); se non vi è stato dolo o colpa grave, e fino al termine consentito per il recesso, l'importo della somma assicurata è ridotto nella stessa proporzione in cui il premio convenuto si trova rispetto a quello che sarebbe stato applicato se l'assicuratore avesse conosciuto la verità (art. 1893 del c.c. secondo comma): dati i progressi tecnici dell'industria assicurativa non è difficile determinare il premio in astratto con riferimento alla realtà del rischio, apparsa successivamente alla conclusione del contratto. Quanto ai premi convenuti, essi sono dovuti così se il contraente abbia agito senza dolo o colpa grave (il che è ovvio dato che il rischio, in tal caso, resta ugualmente coperto, per quanto in proporzione minore), come se il contraente sia stato in dolo o colpa grave (a titolo di risarcimento del danno).

Massime relative all'art. 1892 Codice Civile

Cass. civ. n. 23961/2022

L'art. 1892 c.c. onera l'assicurato di comunicare all'assicuratore l'esistenza di fatti anche solo potenzialmente idonei a far sorgere la propria responsabilità, con la conseguenza che deve escludersi la nullità della clausola che riferisca il suddetto onere anche alla "percezione" dei presupposti della responsabilità, evocando pur sempre tale sostantivo il concetto di conoscenza, e non già di mera impressione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di garanzia proposta da un medico nei confronti del proprio assicuratore della responsabilità civile, per avere il primo formulato, al momento della stipula del contratto, una dichiarazione negativa circa l'esistenza di elementi suscettibili di fondare la propria responsabilità risarcitoria, pur avendo già ricevuto le rimostranze di una paziente per l'esito negativo di un intervento precedentemente effettuato).

Cass. civ. n. 11115/2020

In tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell'assicurato è causa di annullamento allorché si verifichino simultaneamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell'assicuratore. L'onere probatorio in ordine alla sussistenza di tali condizioni, che costituiscono il presupposto di fatto e di diritto dell'inoperatività della garanzia assicurativa, è a carico dell'assicuratore.

Cass. civ. n. 1166/2020

In tema di assicurazione contro gli infortuni, l'onere, imposto dall'art. 1892 c.c. all'assicuratore, di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l'azione di annullamento del contratto, per le dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa di tale annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifichi anteriormente al decorso del termine suddetto e, ancora più, ove avvenga prima che l'assicuratore sia venuto a sapere dell'inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente, in questi casi, per sottrarsi al pagamento dell'indennizzo, che l'assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell'obbligo, esistente a carico dell'assicurato, di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 12/05/2017).

Cass. civ. n. 12086/2015

In tema di annullamento del contratto di assicurazione per reticenza o dichiarazioni inesatte ex art. 1892 c.c., non è necessario, al fine di integrare l'elemento soggettivo del dolo, che l'assicurato ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti, essendo sufficiente la sua coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente; quanto alla colpa grave, occorre invece che la dichiarazione inesatta o reticente sia frutto di una grave negligenza che presupponga la coscienza dell'inesattezza della dichiarazione o della reticenza in uno con la consapevolezza dell'importanza dell'informazione, inesatta o mancata, rispetto alla conclusione del contratto ed alle sue condizioni.

Cass. civ. n. 27578/2011

L'assicuratore il quale, prima della stipula di un'assicurazione sulla vita, sottoponga al contraente un questionario anamnestico per la valutazione del rischio, non ha alcun onere di indicare analiticamente tutti gli stati morbosi che ritiene influenti sul rischio, ma è sufficiente che ponga all'assicurato la generica richiesta di dichiarare ogni stato morboso in atto al momento della stipula o ne raggruppi le specie per tipologie (nella specie: patologie metaboliche) né tale formulazione del questionario può essere interpretata come disinteresse dell'assicuratore alla conoscenza di malattie non espressamente indicate. Ne consegue che, per escludere la reticenza di cui agli artt. 1892 e 1893 c.c., non può essere dall'assicurato sottaciuta l'esistenza di una patologia preesistente come il diabete anche se non singolarmente indicata nel questionario anamnestico.

Cass. civ. n. 13604/2011

In tema di assicurazione sulla vita, non può ritenersi reticente, per i fini di cui all'art. 1892 c.c., la condotta dell'assicurato che al momento della stipula del contratto sottaccia all'assicuratore l'esistenza di sintomi ritenuti dai medici, in quel momento, ambigui, aspecifici e comunque non allarmanti, a nulla rilevando che in prosieguo di tempo emerga che quei sintomi erano provocati da una grave malattia, non accertabile al momento della stipula del contratto se non attraverso specifici e particolari esami.

Cass. civ. n. 16406/2010

In tema di assicurazione contro gli infortuni, l'onere imposto dall'art. 1892, cod. civ., all'assicuratore, di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l'azione di annullamento del contratto, per le dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa dell'annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifichi prima che sia decorso il termine suddetto ed ancora più quando il sinistro si verifichi prima che l'assicuratore sia venuto a conoscenza dell'inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente, in tali casi, per sottrarsi al pagamento dell'indennizzo, che l'assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell'obbligo posto a carico dell'assicurato di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio.

Cass. civ. n. 14069/2010

In tema di contratto di assicurazione che copra le spese per ricoveri da malattia, l'inesattezza delle dichiarazioni o le reticenze cui fanno riferimento gli artt. 1892 e 1893 c.c. non necessariamente presuppongono la consapevolezza da parte del contraente di essere affetto dalla specifica malattia che abbia poi dato luogo al sinistro, ma possono essere integrate da qualsiasi circostanza sintomatica del suo stato di salute che l'assicuratore abbia considerato potenzialmente rilevante ai fini della valutazione del rischio, domandandone di esserne informato dal contraente tramite la compilazione di un questionario. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in base a motivazione carente ed incongrua, aveva ritenuto irrilevanti le reticenze dell'assicurata in ordine alla specificazione, in apposito questionario, degli accertamenti diagnostici effettuati in epoca appena precedente alla stipula della polizza, indicati soltanto come "esami di routine", pretermettendo di valutare il contesto patologico che aveva dato luogo a detti accertamenti e conferendo, invece, improprio rilievo alla circostanza che gli stessi esami avevano poi avuto esito negativo).

Cass. civ. n. 11/2010

In tema di assicurazione, a norma dell'art. 1892, secondo e terzo comma, c.c., se l'assicuratore viene a conoscenza di dichiarazioni inesatte dell'assicurato - ascrivibili a sua dolosa preordinazione o a grave errore di valutazione e tali da influire sulla valutazione del rischio - solo a seguito del verificarsi dell'evento oggetto di assicurazione, egli può limitarsi a rifiutare il pagamento dell'indennità, eccependo la violazione di un onere che la legge pone a carico dell'assicurato; nel caso in cui, invece, l'assicurazione abbia ad oggetto un rischio continuato, l'assicuratore, venuto a conoscenza della colpevole reticenza dell'assicurato, ha l'onere di rendere noto, nel termine di tre mesi indicato dall'art. 1892, secondo comma, c.c., se intenda impugnare o meno il contratto, e ciò allo scopo di evitare il pagamento dell'indennità per i rischi futuri.

Cass. civ. n. 5849/2007

In tema di contratto di assicurazione, a fronte di dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato su circostanze relative alla valutazione del rischio, che siano ascrivibili a dolo o colpa grave di quest'ultimo, la norma dell'articolo 1892 c.c: da ritenersi applicabile al caso di polizza infortuni ed anche, come nella specie, di «prima salute» — conferisce all'assicuratore, nel concorso dell'ulteriore requisito della rilevanza delle dichiarazioni sulla formazione del consenso dell'assicuratore medesimo, sia il rimedio della impugnazione del contratto, previa manifestazione di una volontà in tal senso nel termine di decadenza di tre mesi dalla conoscenza di quel comportamento doloso o gravemente colposo, sia la facoltà — qualora l'evento si verifichi prima della scadenza di detto trimestrale ed a maggior ragione prima dell'inizio del suo decorso — di rifiutare il pagamento dell'indennizzo eccependo la causa di annullamento del contratto. 

Cass. civ. n. 17840/2003

In tema di assicurazione contro i danni, qualora l'impresa assicuratrice abbia chiesto ed ottenuto dall'assicurato, con apposito questionario, specifiche informazioni sulle circostanze afferenti il rischio dedotto in contratto, la mancata inclusione, fra i quesiti così formulati, di determinati profili di fatto evidenzia un atteggiamento di indifferenza dell'assicuratore medesimo, nel senso di estraneità dei profili stessi all'ambito del proprio interesse di conoscenza, valutabile al fine dell'esclusione a carico dell'assicurato che li abbia taciuti di un comportamento reticente, secondo la previsione degli artt. 1892 e 1893 c.c. (In applicazione del suindicato principio, la S.C. ha ritenuto né illogica né incongrua la motivazione del giudice del merito che, argomentando dalla prassi comune delle compagnie di assicurazione di richiedere all'assicurato di fornire specifiche e dettagliate informazioni in apposito questionario, ha ritenuto in assenza nella parte stampata della proposta e di ogni altra richiesta anche informale, che l'assicuratore avesse nel caso dimostrato indifferenza rispetto a particolari circostanze, delle quali lo stesso assicuratore non aveva saputo dimostrare la potenziale influenza contraria alla determinazione del suo consenso). 

Cass. civ. n. 3165/2003

L'elemento soggettivo per l'annullamento del contratto di assicurazione nel caso di dichiarazioni inesatte o di reticenze da parte dell'assicurato (art. 1892, c.c.) non richiede che questi ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti. Pertanto, quanto al dolo, è sufficiente la sua coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente, e, quanto alla colpa grave, che la dichiarazione inesatta o reticente sia frutto di una grave negligenza inerente al momento della coscienza dell'inesattezza o della dichiarazione della notizia, occorrendo che l'assicurato abbia consapevolezza della importanza dell'informazione; a quest'ultimo fine, ed allo scopo di delimitare l'obbligo dell'assicurato, l'assicuratore è, perciò, tenuto ad indicare le circostanze che egli intende conoscere.

Cass. civ. n. 10292/2001

Le dichiarazioni inesatte o reticenti di cui agli artt. 1892 e 1893 c.c. sono le dichiarazioni rese al momento del contratto di assicurazione che impediscono all'assicuratore di valutare le circostanze influenti sul verificarsi dell'evento dannoso assicurato, aumentandone o riducendone l'alea, con conseguente riflesso sul consenso dell'assicuratore o sulle condizioni contrattuali: in quanto tali, esse non incidono sull'oggetto del rischio assicurato, che rimane tale anche in presenza di dichiarazioni inesatte o reticenti, ma toccano il quadro circostanziale nel quale l'assicuratore ha assunto a suo carico il rischio stesso. Ne consegue che, allorché si controverta se l'infortunio professionale (nella specie verificatosi nel corso di lavori manuali) sia o meno indennizzabile in relazione al tipo di attività (dirigente di azienda agricola) che l'assicurato, al momento della stipulazione del contratto, aveva dichiarato di svolgere, si è fuori dall'ambito di applicabilità degli artt. 1892 e 1893 c.c., discutendosi non di un vizio nella formazione del consenso dell'assicuratore determinato da dichiarazioni inesatte o reticenti, ma dell'individuazione del rischio assicurato (ossia, nella specie, se attività, assicurata contro gli infortuni, comprenda o meno anche i lavori manuali), problema quartultimo, da risolversi attraverso l'interpretazione delle clausole di polizza, secondo i criteri ermeneutici posti dagli artt. 1362 ss. c.c. 

Cass. civ. n. 8139/2001

L'art. 1892 c.c., in tema di dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato, prevede un ipotesi di annullamento del contratto sempreché al riguardo venga proposta apposita domanda, in difetto della quale alla violazione della norma non può ricollegarsi l'effetto — non previsto dalla norma in esame — della inoperatività del contratto assicurativo.

Cass. civ. n. 784/2001

Il contratto di assicurazione è annullabile, ai sensi dell'art. 1892 c.c., quando l'assicurato abbia con coscienza e volontà omesso di riferire all'assicuratore, nonostante gli sia stata rivolta apposita domanda, circostanze suscettibili di esercitare una effettiva influenza sul rischio assicurato. (Nella specie, l'assicurato con polizza sanitaria aveva richiesto all'assicuratore il pagamento del costo di una operazione di protesizzazione al ginocchio, pagamento rifiutato dall'assicuratore per avere l'assicurato sottaciuto, al momento della stipula, di soffrire di gonalgia; la Suprema Corte ha ritenuto correttamente motivata la decisione di merito, con cui era stata rigettata la pretesa dell'assicurato).

Cass. civ. n. 4682/1999

La predisposizione di un questionario da parte dell'assicuratore, benché non abbia la funzione di "tipizzare" le possibili cause di annullamento del contratto di assicurazione per dichiarazioni inesatte o reticenti, evidenzia tuttavia l'intenzione dell'assicurato di annettere particolare importanza a determinati requisiti e richiama l'attenzione del contraente a fornire risposte complete e veritiere sui quesiti medesimi e, quindi, dev'essere valutata dal giudice in sede di indagine sul carattere determinante, per la formazione del consenso, dell'inesattezza o della reticenza.

Cass. civ. n. 3962/1999

La conoscenza delle concrete circostanze del rischio, da parte di agenti, incaricati o dipendenti della società assicuratrice, comporta la conoscenza legale delle suddette circostanze anche da parte della società, a condizione che i soggetti suddetti siano forniti del potere di rappresentanza dell'ente. Anche in assenza del potere di rappresentanza, tuttavia, non può escludersi che l'incaricato della compagnia di assicurazioni abbia trasferito alla propria mandante le conoscenze acquisite in relazione al rischio assicurato, ma è necessario che tale effettiva trasmissione di conoscenza sia concretamente provata dall'assicurato, anche per mezzo di presunzioni.

Cass. civ. n. 2815/1999

In tema di dichiarazioni inesatte o di reticenze dell'assicurato, quest'ultimo può evitare l'annullamento del contratto d'assicurazione provando che l'assicuratore conosceva, prima della conclusione del contratto, le circostanze relative alla dichiarazione inesatta od alla reticenza; tuttavia, la conoscenza da parte dell'impresa assicurativa non può essere confusa con quella dei soggetti che non hanno il potere di rappresentarla, il cui stato soggettivo è irrilevante, come può desumersi dall'art. 1391 c.c., che attribuisce rilevanza nei confronti del dominus del negozio allo stato soggettivo del rappresentante, ma non anche di chi abbia svolto una qualunque attività nel suo interesse, quali il procacciatore d'affari o l'agente privo di rappresentanza. Peraltro, può essere provato che i soggetti indicati abbiano trasferito la loro conoscenza all'assicuratore.

Cass. civ. n. 2576/1997

Se l'assicuratore è venuto a conoscenza dell'inesattezza delle dichiarazioni e delle reticenze dell'assicurato (art. 1892 c.c.) soltanto dopo il verificarsi del sinistro, può sia rifiutare il pagamento della somma assicurata in via di eccezione inadimplenti non est adimplendum sia agire per l'accertamento di tale inadempimento dell'assicurato, senza bisogno di impugnare il contratto di assicurazione.

Cass. civ. n. 5115/1994

La causa di annullamento del contratto di assicurazione, prevista dall'art. 1892 c.c., esige il simultaneo concorso di tre elementi essenziali: a) una dichiarazione inesatta o una reticenza dell'assicurato; b) l'influenza di tale dichiarazione o reticenza ai fini della reale rappresentazione del rischio; c) che la reticenza o la dichiarazione inesatta siano frutto del dolo o della colpa grave dell'assicurato. Pertanto, non qualunque reticenza di circostanze conosciute dall'assicurato è causa di annullamento del contratto di assicurazione, ma l'annullamento è invocabile solo quando la dichiarazione falsa o reticente sia di tale natura che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non l'avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto l'esatta o completa verità. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito secondo cui la dichiarazione dell'assicurato che aveva affermato, contrariamente al vero, di non aver subito furti di autoveicoli negli ultimi due anni, non costituiva causa di annullamento del contratto di assicurazione, contro il furto, dell'autovettura, avendo, in base di accertamenti di fatto, escluso l'esistenza di un nesso di causalità tra la menzogna dell'assicurato ed il consenso dell'assicuratore al contratto, che sarebbe stato concluso alle stesse condizioni anche senza la predetta menzogna).

Cass. civ. n. 7697/1991

Le inesattezze e le reticenze dell'assicurato su circostanze che l'assicuratore conosce o avrebbe dovuto conoscere, perché notorie, non comportano una violazione dell'obbligo di collaborazione previsto dagli arte. 1892 e 1893 c.c. a carico dell'assicurato bensì vanno imputate all'assicuratore con la conseguenza che non possono giustificare la riduzione dell'indennizzo in proporzione della differenza tra il premio convenuto e quello che sarebbe stato applicato se si  fosse conosciuto il vero stato delle cose. (Nella specie, si trattava della portata dell'autocarro assicurato, elevata, durante il rapporto di assicurazione, di sei quintali, senza alcuna modifica del veicolo, in forza del D.M. 28 aprile 1977 e non comunicata all'assicuratore in occasione della rinnovazione del contratto).

Cass. civ. n. 11206/1990

Con riguardo all'ipotesi di annullamento del contratto di assicurazione, prevista dall'art. 1892 c.c., la configurabilità del dolo o della colpa grave del contraente implica che il dichiarante non solo fosse (o dovesse essere) a conoscenza delle circostanze taciute o inesattamente espresse, ma che fosse (o dovesse essere), inoltre, consapevole del loro valore determinante sul consenso dell'altra parte. A tal fine, per delimitare l'estensione del suddetto obbligo dell'assicurando, l'assicuratore, in ossequio alle regole di correttezza, è tenuto ad apprestare un quadro di riferimento delle circostanze che intende conoscere, tale da ridurre congruamente gli spazi di indeterminatezza circa i fatti, riguardanti persone o cose, alla conoscenza dei quali abbia interesse, con la conseguenza, in mancanza, che gli eventuali dubbi sulla rilevanza delle circostanze non (o inesattamente) dichiarate, ovvero sulla relativa colpevolezza, restano a carico dell'assicuratore, che vi ha dato causa. (Nella specie, con riferimento ad un contratto di assicurazione contro i danni da incendio stipulato con una società di persone, la S.C. ha confermato sul punto la decisione impugnata, che aveva ritenuto che la mancata inclusione da parte dell'assicuratore di quesiti riguardanti precedenti incendi subiti dai soci singolarmente, nell'esercizio di proprie attività imprenditoriali, doveva interpretarsi come sintomo di indifferenza della compagnia assicuratrice nei confronti delle vicende personali dei singoli soci, e, a maggior ragione, dei loro congiunti, per cui andava esclusa la ricorrenza del dolo o della colpa grave dell'assicurato, per avere quest'ultimo taciuto un precedente incendio occorso all'impresa di cui era titolare la moglie di un socio).

Cass. civ. n. 8352/1987

Le dichiarazioni inesatte e le reticenze dell'assicurato non costituiscono causa di annullamento del contratto, ai sensi dell'art. 1892 c.c., se risulti che l'assicuratore era ugualmente a conoscenza della reale situazione di fatto. Tale conoscenza, acquisita direttamente o a mezzo di rappresentante, al fine di valutare il rischio nella sua effettività da parte dell'assicuratore, ha per oggetto una circostanza di fatto e non un patto del contratto di assicurazione e, pertanto, non è soggetta ai limiti di prova di cui agli artt. 2721 ss. c.c. e può essere dimostrata con ogni mezzo di prova, compresa quella per testi.

Cass. civ. n. 3751/1978

L'ipotesi di annullamento prevista dall'art. 1892 c.c., in tema di dichiarazioni inesatte o reticenti fatte dall'assicurato all'assicuratore, non costituisce una applicazione generale sull'errore, ma dà luogo ad un autonomo rimedio sia per il fondamento normativo (che va individuato nella violazione dell'obbligo precontrattuale dell'assicurato, di descrizione del rischio oggetto del negozio) e sia per la disciplina degli elementi e delle conseguenze della fattispecie che diverge radicalmente da quella del comune errore-vizio (per la più ampia portata dell'errore essenziale e per la rilevanza dell'errore incidentale). Pertanto per l'annullamento del contratto di assicurazione ex art. 1892 c.c., non sono utilizzabili i criteri sull'essenzialità dell'errore ai fini dell'ordinaria annullabilità del contratto per vizio del consenso.

La decadenza comminata dall'art. 1892 c.c. a carico dell'assicuratore, che non dichiari all'altra parte la volontà di impugnare il contratto entro tre mesi dal giorno in cui ha avuto conoscenza dell'inesattezza o della reticenza delle dichiarazioni dell'assicurato, non è rilevabile di ufficio dal giudice, ma deve essere eccepita dalla parte. Tale eccezione deve essere proposta, al più tardi, nel giudizio di appello, non potendo essere prospettata in cassazione, stante il divieto di sollevare in tale sede questioni nuove che implichino indagini di fatto.

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F. F. chiede
giovedì 03/11/2022 - Lombardia
“In caso di polizza di assicurazione sulla vita, dove il contraente stipula tale polizza ai sensi dell'art. 1919 2° comma del c.c. "Assicurazione sulla vita propria o di un terzo", provvedendo a farsi rilasciare il consenso scritto dal Terzo/Assicurato (mero portatore di rischio) in quanto lo stesso contraente è anche il Beneficiario, a fronte di dichiarazioni inesatte rilasciate dall'Assicurato sul suo stato di salute, è legittimo che gli Assicuratori applichino gli artt. 1892 e 1893 e rifiutino il pagamento del capitale assicurato?
Le dichiarazioni inesatte rilasciate dall'assicurato (mero portatore di rischio) sono opponibili al Contraente?”
Consulenza legale i 10/11/2022
Nel caso che occupa, è stata stipulata una polizza sulla vita di un terzo, ai sensi dell'art. 1919 del c.c., il quale prevede che “L'assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un terzo. L'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto”.
Se normalmente chi stipula un contratto di assicurazione è anche il beneficiario della prestazione, e allora in questo caso parlare genericamente di "assicurato" potrebbe essere tecnicamente corretto, può tuttavia capitare che vi sia una dissociazione soggettiva tra contraente ed assicurato.
Come correttamente affermato nel quesito, nel caso che occupa il contraente della polizza è anche il beneficiario, ovvero colui che otterrà la liquidazione dell’indennizzo in caso di morte del terzo. L’assicurato, invece, è il terzo, che è possibile definire “portatore di rischio”.
Ci si chiede se, a fronte di dichiarazioni inesatte rilasciate dall'assicurato sul suo stato di salute, sia legittimo, per la compagnia di assicurazione, applicare gli artt. 1892 c.c. e 1893 c.c., e se le dichiarazioni inesatte rilasciate dall'assicurato - mero portatore di rischio - possano essere “opposte” al contraente.
Una dettagliata disamina delle condizioni della polizza sulla vita in oggetto, oltreché della copia dei questionari compilati al momento della sottoscrizione della polizza, potrebbe offrire ulteriori dettagli. Tuttavia, si possono già fornire delle utili risposte sulla base di una analisi sistematica delle norme dettate dal Codice Civile in materia di assicurazione.
Ebbene, per rispondere agli interrogativi posti, è bene operare una considerazione di questo tipo: è vero che gli artt. 1892 e 1893 del Codice Civile parlano espressamente di “contraente”, ma lo fanno considerando l’ipotesi generale - e maggiormente ricorrente - in cui vi sia coincidenza tra contraente e assicurato.
Nel contratto di assicurazione sulla vita, invece, parti del contratto sono e non necessariamente coincidono:
  • l’assicuratore;
  • il contraente (il soggetto che stipula il contratto e sul quale gravano gli obblighi contrattuali, tra cui il pagamento del premio);
  • l’assicurato (il soggetto la cui morte o sopravvivenza rendono attuale l’obbligo dell’assicuratore di corrispondere l’indennità);
  • il beneficiario (il soggetto a cui favore è devoluta l’indennità assicurativa).
La dottrina e la giurisprudenza in materia assicurativa, nel commentare l’obbligo di fornire alla compagnia dichiarazioni veritiere ex art. 1892 del c.c., si riferiscono indistintamente al contraente o all’assicurato, proprio perché generalmente tali figure coincidono.
Tuttavia, è logico ritenere che, anche allorquando le dichiarazioni inesatte o reticenti derivino dall’”assicurato”, che non coincide col contraente, le conseguenze non possano che essere le medesime previste per le dichiarazioni inesatte o reticenti del “contraente”. Tali dichiarazioni inesatte, infatti, incidono inevitabilmente sulla corretta valutazione del rischio da parte della compagnia di assicurazione.
Per giungere a tale conclusione in via interpretativa, basta ritenere che è proprio l’assicurato, in quanto portatore del rischio, a dover fornire all’assicurazione tutte le informazioni di cui necessita al fine di valutare in maniera adeguata il rischio, calcolando così il premio sulla base di considerazioni corrette e veritiere.
A scanso di equivoci, e a tutela degli assicuratori, nelle condizioni generali delle polizze assicurative si parla spesso di "condizioni conosciute al contraente e/o assicurato", o si inserisce una clausola ad hoc in cui si prevede che le dichiarazioni reticenti o inesatte rese dall'assicurato possono comportare la perdita del diritto all'indennizzo, o ancora si conviene che il contraente e l’assicurato (entrambi, quindi) debbano comunicare alla compagnia di assicurazione le circostanze rilevanti per la determinazione del rischio, pena la possibilità per la compagnia assicurativa di impugnare il contratto o, comunque, di esercitare il recesso dallo stesso.
Pertanto, è corretto ritenere che la compagnia di assicurazione potrà applicare gli artt. 1892 c.c. e 1893 c.c. in caso di dichiarazioni inesatte o reticenti rilasciate dall’assicurato, che in questo caso non coincide con il contraente, ma è tenuto comunque a fornire le indicazioni richieste dalla compagnia di assicurazione.
Peraltro, se il questionario fosse stato compilato solamente dal contraente, sulla base di informazioni inesatte e della cui inesattezza l’assicurato era a conoscenza, si applicherebbe la disciplina di cui all'art. 1894 del c.c., che estende a tale ipotesi la disciplina degli artt. 1892 c.c. e 1893 c.c. Il terzo assicurato che sia a conoscenza delle dichiarazioni inesatte rese dal dichiarante, non può giovarsi della buona fede del contraente, che invece nulla sapeva al momento della compilazione del questionario per la compagnia.
In ogni caso, si rileva che l’onere probatorio in ordine alla dimostrazione delle condizioni in presenza delle quali trova applicazione il 1892 c.c. (a. che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b. che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c. che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell'assicuratore) è esclusivamente a carico dell’assicuratore.
Come anticipato, riveste un ruolo determinante il questionario/i questionari predisposto/i dalla compagnia di assicurazione al momento della stipulazione della polizza, che assurge/assurgono anche a criterio valutativo della condotta dell’assicurato, di talché non potrebbe essergli imputata una falsa rappresentazione della realtà in assenza di specifici e dettagliati quesiti da parte dell’assicuratore.
Nel caso in cui si volesse resistere alle pretese di annullamento/recesso avanzate dalla compagnia di assicurazione, il consiglio è quello di rivolgersi ad un avvocato specializzato che analizzi nel dettaglio la polizza assicurativa sottoscritta e sappia indirizzare verso un’efficace strategia difensiva.

Matteo R. chiede
martedì 10/12/2019 - Lombardia
“Buongiorno,
sono (omissis) e mi sono trasferito negli Stati Uniti per lavoro poche settimane fa.
Formalmente sono assunto da una società americana, che però è interamente controllata dalla società italiana per cui ho lavorato negli ultimi 5 anni.
La società italiana sta stipulando una polizza assicurativa nei miei confronti con una compagnia assicurativa italiana, per coprire tutte le spese mediche che sosterrò negli Stati Uniti.
Tra le domande del questionario per la stipula del contratto vi è la seguente: "Assume o ha mai assunto negli ultimi due anni medicine in via continuativa? In caso di risposta affermativa indicare il nome e da quando."
In seguito ad un rapporto sessuale non protetto avvenuto nei giorni scorsi, ho volontariamente richiesto ad una struttura medica locale la prescrizione di un medicinale antiretrovirale che, se assunto immediatamente dopo una POSSIBILE esposizione all'HIV, riduce di molto le possibilità di contagio.
Per ottenere il medicinale occorre fare dei test tra cui il test dell'HIV che è risultato negativo. Quindi io in questo momento non sono sieropositivo. La profilassi prevede di assumere il medicinale per 28 giorni e poi ripetere il test per verificare lo stato di salute. Secondo voi devo dichiarare che sto assumendo questo medicinale? Qual è il limite temporale per cui si può definire "l'assunzione in via continuativa"? Può esserci dolo o colpa grave nella non dichiarazione di questo medicinale? Il mio non è uno stato di malattia cronica, ma una profilassi da seguire in caso di possibile esposizione. Peraltro non ho informazioni sullo stato di salute dell'altra persona, che potrebbe anche non avere l'HIV. Ho parlato con un consulente della struttura medica locale e la loro interpretazione della domanda è relativa a medicinali per malattie croniche (tipo diabete). Preferisco però avere una consulenza con dei legali italiani, evitando problemi di traduzioni o interpretazioni.
Rimango in attesa di un vostro riscontro.

Grazie
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 20/12/2019
La risposta al quesito è positiva, ovvero l’assunzione del farmaco va dichiarata ai sensi del 1892 c.c..
Per comprenderne il motivo occorre ragionare non tanto sull’interpretazione da dare all’espressione “assunzione in via continuativa”, quanto piuttosto sul tipo di polizza assicurativa che viene offerta e, dunque, sulle conseguenze che una dichiarazione inesatta o reticente potrebbe avere in termini di copertura dei rischi assicurati.

E’ abbastanza evidente che, quando si parla di assunzione di farmaci in via continuativa, si fa in genere riferimento – come ha detto il medico nel caso in esame – all’assunzione di farmaci costante nel tempo perché necessitata da stati di salute cronici: patologie come il diabete o di tipo cardiaco richiedono, com’è noto, la somministrazione durevole di farmaci nel tempo, “durevole” nel senso che si mantiene per un tempo indefinito, essendo legata alla patologia.

Qui però siamo di fronte ad una dichiarazione che va resa ad un soggetto il cui obbligo, a fronte del pagamento del premio, è quello di tenere indenne l’assicurato da spese sanitarie che dovesse affrontare nel futuro.
In questo caso particolare, dunque, l’Assicurazione deve essere subito informata, ed in modo chiaro e competo, sullo stato di salute della persona da assicurare e sul suo – chiamiamolo così – percorso di cure, anche solo temporanee.
l’Assicurazione – proprio in base alle dichiarazioni iniziali del contraente - se si dovesse presentare in futuro uno stato di malattia o di infortunio di quest’ultimo che richiede delle cure (e quindi delle spese):

  1. deve sapere che si tratta di cure impreviste (quindi la malattia o l’infortunio non erano diagnosticabili);
  2. al contrario, deve essere stata messa subito in condizione di sapere che quell’eventualità era prevedibile; in questi casi, o rifiuta subito la copertura assicurativa oppure decide di garantirla comunque pur sapendo bene quali rischi corre.

I rischi, insomma, non devono per forza essere certi ma quantomeno, se certi, calcolati subito dalla Compagnia Assicurativa che, come si diceva, potrà accettare in quest’ultimo caso di correrli comunque, ma in piena consapevolezza.
Viceversa, ciò che non si può fare è nascondere tali rischi: in tale eventualità, infatti, l’Assicurazione potrebbe legittimamente, non essendo stata adeguatamente informata prima, rifiutare di coprire le spese mediche che siano necessitate da stati di malattia o infortunio che erano del tutto conosciuti e/o prevedibili al momento della stipula.

In considerazione di quanto sopra, consigliamo vivamente di dichiarare l’assunzione del farmaco di cui al quesito, anche se temporanea e una tantum, dal momento che si tratta comunque di una situazione che ha un impatto sullo stato di salute dell’assicurato e che, dunque, una Assicurazione che si occupa di coprire spese mediche e sanitarie deve conoscere.
Per rispondere alla domanda specifica, in particolare, sugli elementi che integrano la fattispecie di cui al 1892 c.c., la mancata dichiarazione, pur nella piena consapevolezza che si sta assumendo il farmaco, equivale certamente a dolo, perché la circostanza verrebbe taciuta intenzionalmente (la colpa, invece, presupporrebbe la mancata intenzione).

Anche sotto il profilo penale, peraltro, in tema di dichiarazioni, è sempre opportuno essere il più trasparenti possibile e attribuire alle parole un senso il più ampio ed “inclusivo” possibile.
Per tale ragione, ad avviso di chi scrive, il termine "continuativo" andrebbe interpretato non come "cronico" ma come semplicemente un'assunzione prolungata di un medicinale, anche se si tratta di soli 28 giorni.

La dichiarazione, in definitiva, va resa.


C. C. chiede
domenica 02/07/2023
“Buongiorno,
Vorrei sottoporvi il seguente quesito.
Sei anni fa ho assunto per un periodo di 6 mesi un farmaco in gocce, classificato come antidepressivo ssri, a causa di un periodo di stress dovuto a problemi lavorativi, più che altro per agevolare il sonno notturno. Premetto che questo farmaco mi è stato prescritto dal medico di famiglia, e che non ho mai avuto nessuna diagnosi da parte di psicologi o psichiatri riguardo disturbi psicologici o affini.
Poche settimane fa ho rinnovato la patente, ma mi sono dimenticata di dichiarare l’assunzione pregressa di questo farmaco.
La mia domanda è la seguente: in caso di incidente stradale con mia colpa e conseguente obbligo di risarcimento danni, la compagnia assicurativa con cui ho sottoscritto l’assicurazione RCA potrebbe esercitare il diritto di rivalsa o regresso su di me, e ottenere successivamente il rimborso dei danni, se venisse a conoscenza in qualche modo di questa omissione? Sottolineo di nuovo che non assumo questo farmaco da ben sei anni e non mi è mai stata diagnosticata nessuna patologia psichiatrica, ma ho omesso soltanto la pregressa assunzione del farmaco in sede di rinnovo.

Grazie.”
Consulenza legale i 11/07/2023
Dopo un’attenta analisi del quesito, si può pervenire ad una risposta nei termini che seguono.
Il fatto che siano passati ben sei anni dall’assunzione del farmaco in questione depone già di per sé, in un’ottica di leale collaborazione tra le parti del contratto di assicurazione, nel senso di una sua irrilevanza in termini di responsabilità dell’assicurato.
Tuttavia, ciò che è dirimente per la soluzione della questione, è senz’altro ciò che è stato chiesto dalla Compagnia di assicurazione in sede di stipulazione della polizza assicurativa, con particolare riferimento alla compilazione del questionario informativo.

Dal punto di vista del diritto positivo esiste una norma, l’art. 1892 del c.c., il quale prevede che “Le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanze tali che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave”.
Quindi, più che una possibilità di “rivalsa” della Compagnia di assicurazione nei confronti dell'assicurato, sarebbe piuttosto configurabile - in astratto - la possibilità per quest’ultima di domandare l'annullamento del contratto di assicurazione, nel caso di dichiarazioni inesatte o reticenze rese dall'assicurato con la consapevolezza di omettere circostanze rilevanti. Purtuttavia, affinché ciò si verifichi, è necessaria la contemporanea presenza di due requisiti:
  • esistenza effettiva di dichiarazioni inesatte o reticenze dell’assicurato;
  • atteggiamento di “dolo” o comunque di “colpa grave” dell’assicurato, che abbia tenuto nascoste tali circostanze all’assicuratore.

Altrimenti, nel caso in cui l’assicurato abbia reso dichiarazioni inesatte per errore scusabile, interviene il successivo art. 1893 c.c. il quale così recita: “Se il contraente ha agito senza dolo o colpa grave, le dichiarazioni inesatte e le reticenze non sono causa di annullamento del contratto, ma l'assicuratore può recedere dal contratto stesso, mediante dichiarazione da farsi all'assicurato nei tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza".
Molto dipende, in ogni caso, dall’interpretazione che si dia del concetto di “dichiarazioni inesatte o reticenti”.
Nell’ottica di un’interpretazione secondo buona fede del contratto, si deve ritenere che non ogni stato morboso o assunzione di medicinale incida necessariamente sul rischio assicurato tramite la polizza. Sta all’assicurato valutare se le patologie di cui eventualmente soffra/i medicinali che assuma possano rendere più probabile - in concreto - il verificarsi di un incidente coperto da polizza, circostanza da cui scaturirebbe allora l’onere per l’assicurato stesso di comunicare tale circostanza alla Compagnia di assicurazione.

Come accennato, rilievo non indifferente in tale contesto assume il questionario sottoposto all’assicurato al momento della sottoscrizione della polizza. In particolare, se tale questionario avesse - per ipotesi - compreso al suo interno delle domande inerenti all’assunzione di farmaci di tipo "ssri", assunti anche più di tot. anni prima rispetto alla conclusione della polizza, sarebbe stato senz’altro onere dell’assicurato comunicare l’assunzione di tale farmaco. Viceversa, se il questionario avesse invece richiesto di indicare solamente gli stati morbosi in essere o pregressi, nessun onere sarebbe ricaduto in capo all’assicurato, poiché alcuna malattia di carattere psicologico o psichiatrico era stata diagnosticata dal medico specialista.

Una sentenza della Cassazione, in un caso analogo a questo, ha affermato che “L'assicuratore il quale, prima della stipula di un'assicurazione sulla vita, sottoponga al contraente un questionario anamnestico per la valutazione del rischio, non ha alcun onere di indicare analiticamente tutti gli stati morbosi che ritiene influenti sul rischio, ma è sufficiente che ponga all'assicurato la generica richiesta di dichiarare ogni stato morboso in atto al momento della stipula o ne raggruppi le specie per tipologie (nella specie: patologie metaboliche) né tale formulazione del questionario può essere interpretata come disinteresse dell'assicuratore alla conoscenza di malattie non espressamente indicate. Ne consegue che, per escludere la reticenza di cui agli artt. 1892 e 1893 c.c., non può essere dall'assicurato sottaciuta l'esistenza di una patologia preesistente come il diabete anche se non singolarmente indicata nel questionario anamnestico.” (Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 27578 del 20 dicembre 2011).
Ancora sul punto, Corte di Cassazione civile n. 17840 del 2003 ha affermato che “In tema di assicurazione contro i danni, qualora l'impresa assicuratrice abbia chiesto ed ottenuto dall'assicurato, con apposito questionario, specifiche informazioni sulle circostanze afferenti il rischio dedotto in contratto, la mancata inclusione, fra i quesiti così formulati, di determinati profili di fatto evidenzia un atteggiamento di indifferenza dell'assicuratore medesimo, nel senso di estraneità dei profili stessi all'ambito del proprio interesse di conoscenza, valutabile al fine dell'esclusione a carico dell'assicurato che li abbia taciuti di un comportamento reticente, secondo la previsione degli artt. 1892 e 1893 c.c. (In applicazione del suindicato principio, la S.C. ha ritenuto né illogica né incongrua la motivazione del giudice del merito che, argomentando dalla prassi comune delle compagnie di assicurazione di richiedere all'assicurato di fornire specifiche e dettagliate informazioni in apposito questionario, ha ritenuto in assenza nella parte stampata della proposta e di ogni altra richiesta anche informale, che l'assicuratore avesse nel caso dimostrato indifferenza rispetto a particolari circostanze, delle quali lo stesso assicuratore non aveva saputo dimostrare la potenziale influenza contraria alla determinazione del suo consenso)”.

Nel caso di specie, pertanto, si ritiene che alcuna pretesa potrebbe essere avanzata dall’assicuratore nel caso in cui dovesse realizzarsi un incidente stradale con colpa dell’assicurato, se l’omissione si limita alla mancata dichiarazione di assunzione del farmaco indicato sei anni prima della stipula, a meno che ciò non fosse espressamente richiesto di indicare nel questionario sottoscritto con l’assicurazione o a meno che - nel frattempo - non siano emersi stati morbosi collegabili all'assunzione di detto farmaco. In genere, infatti, l'assicurato deve comunicare i cambiamenti che comportino un aggravamento o una diminuzione del rischio. In merito a tale ultimo aspetto, il Codice Civile stabilisce in via generale, all’art. 1898 c.c., che “Il contraente ha l'obbligo di dare immediato avviso all'assicuratore dei mutamenti che aggravano il rischio in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito e fosse stato conosciuto dall'assicuratore al momento della conclusione del contratto, l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione o l'avrebbe consentita per un premio più elevato”.