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Articolo 1349 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 03/08/2024]

Determinazione dell'oggetto

Dispositivo dell'art. 1349 Codice Civile

Se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita a un terzo(1) e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio(2), il terzo deve procedere con equo apprezzamento [631, 632, 664]. Se manca la determinazione del terzo o se questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice [778, 1286, 1287, 1473, 2264, 2603].

La determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la sua mala fede(3). Se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto è nullo [1421, 1423].

Nel determinare la prestazione il terzo deve tener conto anche delle condizioni generali della produzione a cui il contratto eventualmente abbia riferimento.

Note

(1) Il terzo in tal caso è detto arbitratore e si distingue dall'arbitro che è un soggetto cui le parti si rivolgono per la risoluzione di una lite che è sorta tra di esse (806 ss. c.p.c.).
(2) Anche se decide in base al suo arbitrio, il terzo deve sempre considerare l'interesse delle parti.
(3) Il terzo è in mala fede se agisce al solo scopo di danneggiare o favorire una parte.

Ratio Legis

La norma stabilisce i criteri con cui il terzo può procedere alla determinazione dell'oggetto che sono il suo arbitrio o l'equo apprezzamento. L'arbitrio necessita di scelta apposita, proprio perchè si concede al terzo un'ampia libertà. Inoltre, se le parti si rimettono ad esso, non è consentito loro di dolersi della scelta dell'arbitratore, a meno che non versi in mala fede, situazione che non riceve mai tutela dall'ordinamento.
Se, inoltre, il terzo è inerte, spetta solo alle parti sostituirlo, così come lo hanno individuato.

Brocardi

Arbitrator
Arbitrium boni viri
Arbitrium merum
Merum arbitrium

Spiegazione dell'art. 1349 Codice Civile

Determinazione della prestazione

Si è gia detto (sub art. 1346, n. 2) che la determinazione della prestazione dedotta in contratto può essere oggetto di relatio, anche per rimessione delle parti al giudizio di un terzo. A questi si può assegnare l'incarico di procedere con mero arbitrio o con equo apprezzamento: si presume la rimessione all'equo apprezzamento se le parti non hanno espressamente conferito un mero arbitrio (art. 13491), dato che questo importa una incontrollabilità oggettiva e quindi una situazione più gravosa per entrambe le parti. Fino a quando si sono richiamate a concetti di equità, le parti hanno dato criteri vincolanti per la determinazione della prestazione, che permettono di sostituire il giudice al terzo quando manchi la determinazione che le parti gli avevano rimesso (art. 1349): è l’arbitrium boni viri che in tal caso dominerà l'attività del terzo, e la rimessione all'arbitrium boni viri equivale, nella sostanza, alla rimessione al giudice, sia pure per un giudizio che non miri all'attuazione della volontà della legge relativamente ad un diritto controverso. Ma è certo insostituibile la dichiarazione del terzo quando le parti si sono riferite al suo mero arbitrio, perché l’arbitrium è allora soggettivo, e il suo risultato potrebbe non corrispondere alla volontà delle parti quando venisse da persona diversa da quella nella quale esse ebbero fiducia; donde in questo solo caso il contratto è nullo se il terzo non fa la determinazione commessagli, o le parti, non si accordano per la sua sostituzione (art. 1349).

La giustificazione della determinazione del terzo è in un patto di arbitraggio che si inserisce come, accessorio nel contratto al quale deve riferirsi il risultato dell'attività del terzo; patto che ha per contenuto l'obbligo di rimettere al terzo l'integrazione del contratto, e quindi di procedere alla nomina del terzo e di conferirgli i necessari poteri. Si ha un arbitraggio, perché il terzo non risolve controversie ma integra rapporti; e si ha arbitraggio così quando il terzo è investito di arbtrium merum, come quando egli deve procedere con arbitrium boni viri. Il terzo è legittimato all'esercizio dei suoi poteri dall'autorizzazione contenuta nella norma, alla quale è sottostante un rapporto di mandato. Egli opera in nome proprio, ma la pronunzia che emette vale fra le parti così come se il suo contenuto fosse stato stabilito fra le stesse; in modo che costoro non hanno un obbligo di subire gli effetti della determinazione fatta, ma li subiscono senz'altro. Il terzo esercita quei medesimi poteri che spettano alle parti, e che le parti potrebbero direttamente esercitare. Quando anche abbia il potere più largo dato dall'arbitrium merum deve procedere di buona fede (articolo 1349); se deve operare con arbitrium boni viri, la sua pronunzia deve avere base nell'equità (art. 1349). Equità non individuale, ma obiettiva; equità, non del singolo individuo, ma del singolo caso; equità che attinge i suoi dati alla comune esperienza, e che deve determinare non la volontà (incontrollabile) del terzo, ma il suo giudizio.

L'effetto della nullità della determinazione fatta dal terzo è che la determinazione è venuta a mancare; il giudice però potrà sostituire il suo giudizio a quello del terzo soltanto quando questi aveva avuto poteri di bonus vir. Infatti a questa sostituzione, consentita espressamente nel primo comma dell'art. 1349, non si fa richiamo nel secondo comma dell'articolo stesso, che contempla l'ipotesi in cui il terzo deve procedere di mero arbitrio, e nel quale si dà soltanto un potere di impugnativa non necessariamente risolventesi in una pronunzia costitutiva del giudice. E, del resto, se la prestazione non può essere determinata dal giudice quando la pronunzia deferita al terzo intuitu personae è mancata perché il terzo non l'ha compiuta, non si comprenderebbe come il giudice possa sostituirsi allo stesso terzo, quando la pronunzia che questi ha emesso risulta affetta da nullità.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

191 Ho integrato l'art. 23 proposto dalla Commissione reale, regolando il caso in cui la determinazione dell'oggetto sia rimessa ad un terzo (art. 213).
Se il terzo deve procedere con mero arbitrio in mancanza della dichiarazione di lui il contratto è nullo; se, invece, deve procedere con equo apprezzamento (il che si presume quando le parti non si riferirono espressamente al mero arbitrio) la mancanza di determinazione, l'iniquità o l'errore manifesto del terzo legittima l'intervento del giudice.
Questi principi si collegano per alcuni aspetti a quelli dettati in materia di vendita (art. 1454 cod. civ. e art. 60 cod, comm.), e in materia di successione (art. 177, 178-e 209 libro delle successioni): per altri aspetti si riannodano alla disposizione dell'art. 1718 cod. civ. (art. 569 di. questo progetto) circa la determinazione dei guadagni e delle perdite di ciascun socio. Ma più che altro sono aderenti alla regola da me adottata nel precedente art. 26, illustrando il quale ho anche detto la ragione per cui ho preferito escludere la nullità del contratto quando il terzo non ha proceduto alla determinazione commessagli.
Fin quando però le parti si sono riferite a concetti di equità, come è nel presupposto dell'art. 26 citato, esse hanno dato del criteri obiettivi che consentono la sostituzione del giudice all'arbitratore. Ma è certo insostituibile la dichiarazione del terzo quando questi deve procedere in base al mero arbitrio, come può accadere secondo la previsione dell'art: 213; tale arbitrio è soggettivo e potrebbe non corrispondere alla volontà delle parti quando si riportasse al giudizio di persona diversa da quella nella quale esse ebbero fiducia, donde in questo solo caso la nullità del contratto.

Massime relative all'art. 1349 Codice Civile

Cass. civ. n. 16648/2022

Ove, in relazione ad un contratto di compravendita di azioni, le parti convengano che il prezzo delle stesse venga stabilito da un terzo, ex art. 1349, comma 1 c.c. ma, a causa del mancato accordo sulla nomina, attivino un giudizio arbitrale all'esito del quale sia determinato il prezzo definitivo delle azioni, l'impugnazione del lodo sarà governata dalla normativa speciale di cui agli artt. 806 e 827 e segg. c.p.c., restando esclusa la possibilità di impugnazione del lodo per "manifesta iniquità ed erroneità" ex art. 1349 c.c.

C. giust. UE n. 844/2020

Il divieto del patto commissorio sancito dall'art. 2744 c.c. non opera quando nell'operazione negoziale (nella specie, una vendita immobiliare con funzione di garanzia) sia inserito un patto marciano (in forza del quale, nell'eventualità di inadempimento del debitore, il creditore vende il bene, previa stima, versando al debitore l'eccedenza del prezzo rispetto al credito), trattandosi di clausola lecita, che persegue lo stesso scopo del pegno irregolare ex art. 1851 c.c. ed è ispirata alla medesima "ratio" di evitare approfittamenti del creditore in danno del debitore, purché le parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso ed all'epoca dell'inadempimento, sia compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali parametri debba fare riferimento.

Cass. civ. n. 3835/2019

Qualora il terzo - cui sia stato demandato dalle parti il relativo compito - non addivenga alla determinazione della prestazione dedotta in contratto, né ad essa provvedano le parti direttamente, e una di esse adisca il giudice chiedendo la condanna della controparte all'adempimento della prestazione, la relativa controversia - che ha per oggetto il predetto adempimento e il necessario presupposto della determinazione della prestazione da eseguire - può essere risolta direttamente, anche per il principio generale dell'economia processuale, dal giudice, con una decisione il cui risultato ha la funzione di integrare, quanto alla determinazione e secondo la "ratio" dell'art. 1349 c.c., il contratto nel suo manchevole elemento. (Nella specie, la S.C, in applicazione del principio, ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso di poter individuare giudizialmente, al posto del terzo, la superfice da distaccare in base agli accordi di divisione, nell'assunto che non fosse manifestamente iniqua la compiuta valutazione tecnica di non determinazione dell'oggetto del contratto). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 25/05/2015).

Cass. civ. n. 16594/2016

In tema di arbitrato, qualora il lodo preveda che la quantificazione del compenso degli arbitri sarà effettuata dal Consiglio dell'ordine degli avvocati, l'accettazione del lodo integra una convenzione tra le parti, riconducibile all'art. 1349 c.c., che determina l'inapplicabilità dell'art. 814 c.p.c. (Fattispecie anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006).

Cass. civ. n. 19677/2015

In tema di arbitraggio, l'accertamento dell'equità della determinazione della prestazione dedotta in contratto ad opera del terzo, cui è stata rimessa dalle parti contraenti, è deferito al prudente apprezzamento del giudice di merito, che rimane sindacabile in sede di legittimità, a seguito della riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, nella sua riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato della Cassazione sulla motivazione, ossia solo per la «mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico», per la «motivazione apparente», per il «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e per la «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile».

Cass. civ. n. 13379/2014

L'arbitratore, al quale sia stata affidata la determinazione della prestazione dedotta in contratto (art. 1349 cod. civ.), può decidere secondo il suo criterio individuale, in quanto le parti hanno riposto piena fiducia nella sua correttezza ed imparzialità, oltre che nella sua capacità di discernimento, sicchè il suo apprezzamento si sottrae ad ogni controllo nel merito della decisione e le parti possono impugnare la determinazione effettuata solo dimostrando che egli ha agito intenzionalmente a danno di una di esse. In tal caso (ed a differenza dell'ipotesi in cui la determinazione sia stata rimessa all'equo apprezzamento del terzo, nella quale l'iniquità manifestata che può giustificare l'impugnazione deve essere oggettiva) assume rilievo decisivo l'atteggiamento psicologico dell'arbitratore che, tradendo la fiducia conferitagli, si pieghi volontariamente ed in piena consapevolezza agli interessi di una delle parti, non essendo sufficiente che l'incarico non sia stato compiutamente eseguito e che le determinazioni siano prive di ragionevolezza.

In tema di determinazione della prestazione rimessa ad un terzo, il contratto di conferimento di incarico professionale o di mandato al terzo arbitratore non può essere risolto per inadempimento ex artt. 1453 e 1455 cod. civ., ostandovi la previsione dell'art. 1349, cod. civ., che consente l'impugnazione della determinazione di quest'ultimo solo se manifestamente iniqua o erronea ("arbitrium boni viri") o in presenza di comprovata malafede ("arbitrium merum"), che, altrimenti, resterebbe vanificata.

Cass. civ. n. 13954/2005

Con la clausola di arbitraggio, inserita in un negozio incompleto in uno dei suoi elementi, le parti demandano ad un terzo arbitratore la determinazione della prestazione, impegnandosi ad accettarla. Il terzo arbitratore, a meno che le parti si siano affidate al suo «mero arbitrio» deve procedere con equo apprezzamento alla determinazione della prestazione, adottando cioè un criterio di valutazione ispirato all'equità contrattuale, che in questo caso svolge una funzione di ricerca in via preventiva dell'equilibrio mercantile tra prestazioni contrapposte e di perequazione degli interessi economici in gioco. Pertanto l'equo apprezzamento si risolve in valutazioni che, pur ammettendo un certo margine di soggettività, sono ancorate a criteri obbiettivi, desumibili dal settore economico nel quale il contratto incompleto si iscrive, in quanto tali suscettibili di dare luogo ad un controllo in sede giudiziale circa la loro applicazione nel caso in cui la determinazione dell'arbitro sia viziata da iniquità o erroneità manifesta, il che si verifica quando sia ravvisabile una rilevante sperequazione tra prestazioni contrattuali contrapposte, determinate attraverso l'attività dell'arbitratore. Anche la perizia contrattuale, che ricorre quando le parti deferiscono ad uno o più soggetti, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito di formulare un accertamento tecnico che esse preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro volontà contrattuale, costituisce fonte di integrazione del contratto, ma essa di distingue dall'arbitraggio perché l'arbitro-perito non deve ispirarsi alla ricerca di un equilibrio economico secondo un criterio di equità mercantile, ma deve attenersi a norme tecniche ed ai criteri tecnico-scientifici propri della scienza, arte, tecnica o disciplina nel cui ambito si iscrive la valutazione che è stato incaricato di compiere. Ne consegue che nel caso di perizia contrattuale va esclusa l'esperibilità della tutela tipica prevista dall'art. 1349 c.c. per manifesta erroneità o iniquità della determinazione del terzo, trattandosi di rimedio circoscritto all'arbitraggio, in quanto presuppone l'esercizio di una valutazione discrezionale e di un apprezzamento secondo criteri di equità mercantile, inconciliabili con l'attività strettamente tecnica dell'arbitro-perito.

Cass. civ. n. 24183/2004

In tema di arbitraggio, per stabilire quando la determinazione della prestazione da parte del terzo sia impugnabile per manifesta iniquità ai sensi dell'art. 1349 c.c., deve farsi riferimento, in mancanza di un criterio legale, al principio desumibile dall'art. 1448 c.c., sicchè ricorre la manifesta iniquità in presenza di una valutazione inferiore alla metà di quella equa.

Cass. civ. n. 858/1999

L'arbitratore, al quale sia stata affidata la determinazione della prestazione dedotta in contratto (art. 1349 c.c.), può decidere secondo il suo criterio individuale, in quanto le parti hanno riposto piena fiducia nella sua correttezza ed imparzialità, oltre che nella sua capacità di discernimento. Il suo apprezzamento si sottrae, pertanto, ad ogni controllo nel merito della decisione e le parti possono impugnare la determinazione effettuata solo dimostrando che egli ha agito intenzionalmente a danno di una di esse. In tal caso (ed a differenza dell'ipotesi in cui la determinazione sia stata rimessa all'equo apprezzamento del terzo, nella quale l'iniquità manifesta che può giustificare l'impugnazione deve essere oggettiva) assume rilievo decisivo l'atteggiamento psicologico dell'arbitratore che, tradendo la fiducia conferitagli, si pieghi volontariamente ed in piena consapevolezza agli interessi di una delle parti, non essendo sufficiente che l'incarico non sia stato compiutamente eseguito e che le determinazioni siano prive di ragionevolezza.

Cass. civ. n. 9070/1995

Con riguardo ad arbitrato irrituale, l'iniquità manifesta del lodo può rilevare, ai fini dell'impugnabilità del lodo per vizi della volontà contrattuale, solo in quanto costituisca espressione di dolo degli arbitri; mentre non è ad essa applicabile la disciplina dell'arbitraggio (art. 1349 c.c.), la quale è finalizzata alla tutela contro la rilevante sperequazione tra prestazioni contrattuali contrapposte.

Cass. civ. n. 3227/1995

Poiché il contratto preliminare ha come oggetto finale, mediato dalla prestazione del consenso al contratto definitivo, lo stesso oggetto di quest'ultimo, il deferimento ad un terzo della determinazione della prestazione non postula necessariamente un contratto definitivo, ben potendo le parti con il contratto preliminare assumere, per una qualsiasi ragione d'opportunità, l'obbligazione di concludere un contratto definitivo comportante prestazioni predeterminate da un terzo arbitratore e delle quali le parti stesse possano preventivamente, attraverso le impugnazioni previste dall'art. 1349 c.c., addirittura impedire l'effetto traslativo (nella specie, trattavasi di divisione ereditaria rimessa alla progettazione di un terzo).

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relative all'articolo 1349 Codice Civile

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A. N. chiede
mercoledì 31/05/2023
“7 coppie di condomini + 1 condomino (dello stesso condominio) a suo tempo abbiamo comprato - pagando ciascuno un quindicesimo dell'importo dell'acquisto - in comunione indivisa un cantinato e lo abbiamo diviso in 15 posti auto. Abbiamo fatto in modo che ogni coppia avesse due stalli vicini (o per due auto o per un auto ed un ripostiglio) ed il singolo uno "stallo" per una sola auto. Poi ce li siamo assegnati provvisoriamente, comunque sottoscrivendo un accordo scritto di futuro (ma senza data fissata) scioglimento della comunione, frazionamento e conferma dello stato quo previa adeguata valutazione (superficie, facilità di manovra, parti murarie già esistenti, ecc.) secondo legge e secondo valori di mercato al momento del frazionamento al fine di una compensazione monetaria delle differenze di valore. DOMANDE: come procedere? a chi rivolgerci per una valutazione obiettiva? che titolo devono avere? per evitare che ci siano "favoritismi" ogni comproprietario può indicare un proprio "tecnico frazionatore" di fiducia?
Brocardi ha possibilità di suggerire nominativi, studi appositi, ecc.? La città è MESSINA ME.”
Consulenza legale i 09/06/2023
Ai sensi dell’art 1111 del c.c. ciascun partecipante alla comunione può chiederne la divisione, salvo che non sia stato convenuto un patto per rimanere in comunione per un determinato periodo di tempo, il quale comunque non può eccedere la durata di dieci anni.
La divisione può avvenire bonariamente davanti al notaio, quando vi è armonia e accordo tra tutti i partecipanti alla comunione: in questo caso sarà la volontà delle parti nell’ambito del contratto di divisione a determinare il contenuto e l’assegnazione dei singoli lotti, come l’eventuale presenza di conguagli in denaro a favore di una o dell’altra parte. E' ben possibile che le parti decidano ai sensi dell’art. 1349 del c.c. di affidare ad un terzo sia la determinazione del contenuto dei singoli lotti, sia la loro assegnazione: questo, per quanto si è capito, è in definitiva ciò che si propone di fare nel caso specifico.

Ovviamente la redazione non può indicare uno specifico professionista, ma certamente si possono dare delle indicazioni di massima, che ci si augura possono essere d’aiuto a chi ci sta leggendo. Innanzitutto non sarà possibile nominare il professionista a colpi di maggioranza nell’ambito di una assemblea della comunione ai sensi dell’art. 1105 del c.c.. La divisione bonaria è prima di tutto un contratto e quindi la scelta del terzo arbitratore ex art 1349 del c.c. dovrà avvenire con il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, diversamente la divisione potrebbe considerarsi nulla, vanificando in utili contenziosi il lavoro finora svolto e gli accordi già presi nell’ambito della comunione.
La scelta dovrà giocoforza necessariamente cadere su un tecnico edile, preferibilmente un geometra o un ingegnere, il quale con ogni probabilità dovrà anche svolgere sul cespite in comunione delle pratiche di frazionamento catastale prima del perfezionamento dell’accordo di divisione davanti al notaio. Ovviamente sotto questo ultimo aspetto per ogni migliore approfondimento si deve necessariamente rinviare al professionista scelto dalle parti.

Purtroppo, se tra i partecipanti alla comunione non si riuscirà a trovare un accordo su un nome di un tecnico condiviso, l’unica strada per procedere alla divisione del bene sarà quella di attivare un processo giudiziario di divisione, il quale dovrà necessariamente essere preceduto da un tentativo obbligatorio di mediazione ex D.Lgs. n.28/2010.
Nell’ambito di un processo di divisione, attivabile su semplice richiesta di uno dei comproprietari, il giudice dovrà necessariamente nominare un CTU chiamato a determinare i singoli lotti che poi verranno assegnati molto probabilmente tramite sorteggio ai singoli condomini. Nell’ambito delle attività peritali espletate dal CTU nominato dal giudice ciascun comproprietario potrà farsi assistere (anzi, sarebbe meglio dire, dovrà farsi assistere) da un consulente tecnico di parte che affiancherà i singoli legali di fiducia di ciascuna parte.

E’ ben possibile che la divisione possa anche fuoriuscire dall’esito della mediazione pre-processuale nel caso in cui il procedimento riesca ad appianare le divergenze sorte tra le parti, magari facendo nominare al mediatore stesso un tecnico terzo. In questo caso si tornerebbe ad avere una divisione per mezzo di accordo contrattuale già descritta nella prima parte del parere.

Al fine di evitare inutili lungaggini processuali in una situazione come quella descritta nel quesito, è assolutamente consigliabile che la divisione avvenga di comune accordo tra le parti, o se ciò non è possibile nell’ambito di un procedimento di mediazione.