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Articolo 158 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Separazione consensuale

Dispositivo dell'art. 158 Codice Civile

La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l'omologazione del giudice(1) [150; 711 c.p.c.].

[omissis](4)

Note

(1) Le pattuizioni concordate dai coniugi per la separazione hanno natura di negozio bilaterale, e sono destinate ad essere trasfuse nell'accordo omologato; quelle non trasfuse opereranno solo se si collocheranno, rispetto al decreto, in posizione di non interferenza.
(2) Il giudice dovrà sentire i minori che abbiano superato i 12 anni (Cass. S.U. n. 22238/2009); lo stesso, prima della pronuncia del necessario decreto, avrà compiti propositivi nel far adeguare il contenuto degli accordi agli interessi tutelati, pur senza imporre condizioni alla omologazione.
Il successivo decreto omologativo non sarà impugnabile per Cassazione ex art. 111 Cost. in quanto mancheranno i requisiti di definitività e decisorietà.
(3) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 40 della L. 19 maggio 1975 n. 151. La Corte costituzionale con sentenza n. 186 del 18 febbraio 1988 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo "nella parte in cui non prevede che il decreto di omologazione della separazione consensuale costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 c.c.".
(4) Comma abrogato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia"), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022 n. 197.

Ratio Legis

Il regolamento concordato tra i coniugi in sede di separazione consensuale, avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali, acquisterà efficacia giuridica con il provvedimento di omologazione del tribunale; la ratio è quella di controllare e tutelare i superiori interessi della famiglia (uniforme la Cassazione nel ritenerle, in difetto di omologazioni, pattuizioni di un contratto atipico, valide solo se conformi o migliorative rispetto all'interesse protetto dalla norma, e sancite dall'accordo omologato).

Spiegazione dell'art. 158 Codice Civile

La separazione consensuale è l’accordo con il quale i coniugi decidono di porre fine al rapporto coniugale stabilendo, limitatamente agli interessi disponibili, la regolamentazione dei loro futuri rapporti personali e patrimoniali, oltreché gli aspetti riguardanti i rapporti con la prole.
Tale accordo di separazione ha la natura di accordo privato (in particolare, lo dottrina lo qualifica quale negozio bilaterale di carattere familiare) il quale, per ottenere piena validità ed efficacia, necessita della “omologa”, ovvero di un controllo, da parte del giudice. Tuttavia, tale controllo giudiziale, che si traduce poi nella concessione dell’omologa, non è un controllo di merito, ma è limitato ad un mero esame di legalità, volto a verificare che ciò che è stato pattuito non si ponga in contrasto alle norme imperative e all’ordine pubblico, mentre non entra nel merito di quanto concordato dagli ex coniugi.
Peraltro il decreto di omologa, privo di contenuto decisorio, è impugnabile con reclamo ex art. 739 c.p.c., e revocabile ai sensi del successivo art. 742 c.p.c.
Il controllo del regolamento concordato dagli ex coniugi è sottoposto all’omologa del giudice per verificare, in particolare, le pattuizioni che riguardano i figli, al cui superiore interesse è volta la disciplina in materia di separazione.
Il giudice, infatti, è chiamato a verificare la legittimità delle clausole e la loro convenienza nell’interesse materiale e spirituale della prole. Tale interesse deve considerarsi sottratto dalla libera disponibilità delle parti.
Tale aspetto, ovvero la tutela del minore nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia, è stato ulteriormente valorizzato ed amplificato in seguito alla “Riforma Cartabia”, che pone al centro della normativa in materia di famiglia proprio il “best interest of the child”. L’intera “Riforma Cartabia”, infatti, è orientata nel senso di una valorizzazione del ruolo e delle esigenze del figlio minore in occasione, in particolare, della crisi e della rottura della famiglia.
Il legislatore nazionale, in tal senso, ha inteso “istituzionalizzare” il conflitto di interessi che può venirsi a creare tra genitori e figli, anche valorizzando la figura del curatore speciale del minore, deputato a rappresentare gli interessi dello stesso, dal punto di vista sostanziale e procedurale.
La legge delega ha abrogato il secondo comma dell’articolo 158 c.c., essendo i relativi contenuti stati riorganizzati e trasposti nella nuova e uniforme disciplina relativa ai procedimenti su istanza congiunta all’art. 473 bis 51 del c.p.c., nell'ambito del nuovo "Rito unificato" denominato "procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie".
Attualmente, l’art. 473 bis 51 c.p.c. prevede, tra le altre cose, e per quanto qui di interesse, che “Il collegio provvede con sentenza con la quale omologa o prende atto degli accordi intervenuti tra le parti. Se gli accordi sono in contrasto con gli interessi dei figli, convoca le parti indicando loro le modificazioni da adottare, e, in caso di inidonea soluzione, rigetta allo stato la domanda”.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 158 Codice Civile

Cass. civ. n. 24687/2022

La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale, relativo allo status di separato, ed un contenuto eventuale, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata e che possono prevedere anche l'assegnazione di immobili. Mentre, dunque, il contenuto essenziale dell'accordo di separazione non può essere oggetto di azione di simulazione assoluta, il negozio patrimoniale di attribuzione immobiliare, contenuto nelle condizioni di separazione consensuale omologate, stante la sua autonomia, può essere aggredito dai terzi creditori del simulato alienante con l'azione di simulazione assoluta.

Cass. civ. n. 28649/2020

In tema di separazione consensuale, il regolamento concordato fra i coniugi ed avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali, pur trovando la sua fonte nell'accordo delle parti, acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione, al quale compete l'essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti siano conformi ai superiori interessi della famiglia; ne consegue che, potendo le predette pattuizioni divenire parte costitutiva della separazione solo se questa è omologata, secondo la fattispecie complessa cui dà vita il procedimento di cui all'art. 711 cod. proc. civ. in relazione all'art. 158, primo comma, cod. civ., in difetto di tale omologazione le pattuizioni convenute antecedentemente sono prive di efficacia giuridica, a meno che non si collochino in una posizione di autonomia in quanto non collegate al regime di separazione consensuale.

Cass. civ. n. 25861/2014

La pendenza di una lite sulla validità dell'accordo giustificativo della separazione consensuale tra coniugi pregiudica, in senso tecnico giuridico, l'esito del giudizio, contemporaneamente pendente, di cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, e ne comporta la sospensione ex art. 295 cod. proc. civ., perché l'eventuale annullamento di quell'accordo determinerebbe il venir meno, con effetto "ex tunc", di un presupposto indispensabile della pronuncia di divorzio. (Regola sospensione)

Cass. civ. n. 18066/2014

In caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale ma, sull'accordo tra i coniugi, realizza - in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli - un controllo solo esterno attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell'ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti. Ne consegue che i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l'affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori.

Cass. civ. n. 6297/2014

La competenza in ordine alla controversia avente ad oggetto l'adempimento delle obbligazioni di natura economica, imposte al coniuge in sede di separazione consensuale (nella specie relative al pagamento delle spese straordinarie relative ai figli sostenute dal coniuge affidatario), va determinata in ragione del valore della causa secondo i criteri ordinari, trattandosi di controversia diversa da quella concernente il regolamento dei rapporti tra coniugi ovvero la modifica delle condizioni della separazione, rientrante nella competenza funzionale del tribunale.

Cass. civ. n. 9174/2008

In tema di separazione consensuale, il regolamento concordato fra i coniugi ed avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali, pur trovando la sua fonte nell'accordo delle parti, acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione, al quale compete l'essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti siano conformi ai superiori interessi della famiglia; ne consegue che, potendo le predette pattuizioni divenire parte costitutiva della separazione solo se questa è omologata, secondo la fattispecie complessa cui dà vita il procedimento di cui all'art. 711 c.p.c. in relazione all'art. 158, primo comma, c.c., in difetto di tale omologazione le pattuizioni convenute antecedentemente sono prive di efficacia giuridica, a meno che non si collochino in una posizione di autonomia in quanto non collegate al regime di separazione consensuale. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo ad un accordo, avente ad oggetto la rinuncia alla comproprietà immobiliare da parte di un coniuge a favore dell'altro, ritenuto parte di un progetto di separazione consensuale non andato a buon fine, essendo intervenuta tra i coniugi separazione giudiziale con addebito).

Cass. civ. n. 20290/2005

Le pattuizioni intervenute tra i coniugi anteriormente o contemporaneamente al decreto di omologazione della separazione consensuale, e non trasfuse nell'accordo omologato, sono operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest'ultimo, in posizione di «non interferenza» — perché riguardano un aspetto che non è disciplinato nell'accordo formale e che è sicuramente compatibile con esso, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, ovvero perché hanno un carattere meramente specificativo — oppure in posizione di conclamata e incontestabile maggiore o uguale rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo di cui all'art. 158 c.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la sentenza impugnata, che aveva escluso l'invalidità dell'accordo intervenuto tra i coniugi per l'alienazione della casa coniugale, di proprietà esclusiva del marito ed assegnata alla moglie, e per la ripartizione del ricavato tra loro, in quanto la perdita dell'abitazione da parte del coniuge assegnatario era giustificata dall'intenzione di quest'ultimo di trasferirsi in un'altra città, ed era comunque compensata dal beneficio economico derivante dall'attribuzione di parte del corrispettivo, che avrebbe consentito alla moglie di far fronte più largamente alle proprie esigenze ed a quelle della figlia a lei affidata).

Cass. civ. n. 6625/2005

La dichiarazione di addebito della separazione personale dei coniugi può essere richiesta e adottata solo nell'ambito del giudizio di separazione, dovendosi escludere l'esperibilità, in tema di addebito, di domande successive a tale giudizio, poiché il capoverso dell'art. 151 c.c. espressamente attribuisce la cognizione della relativa domanda alla competenza esclusiva del giudice della separazione. Ne consegue che, successivamente alla pronuncia di separazione senza addebito, come alla omologazione di separazione consensuale, le parti non possono chiedere, né per fatti sopravvenuti, né per fatti anteriori alla separazione, una pronuncia di addebito, a nulla rilevando, nel caso di separazione consensuale, nemmeno il carattere negoziale della stessa, e la conseguente applicabilità ad essa delle norme generali relative alla disciplina dei vizi della volontà - nei limiti in cui siano compatibili con la specificità di tale negozio di diritto familiare - implicando tale regime solo la possibilità di promuovere il relativo giudizio di annullamento.

Cass. civ. n. 5741/2004

Gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della «donazione», e — tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all'actio revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. — rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell'evento di «separazione consensuale» (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo — in quanto tale — da un lato alle connotazioni classiche dell'atto di «donazione» vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto — quello della separazione personale — caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell'affettività), e dall'altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua «tipicità» propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell'obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della «gratuità» in ragione dell'eventuale ricorrenza — o meno — nel concreto, dei connotati di una sistemazione «solutorio-compensativa» più ampia e complessiva, di tutta quell'ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale.

Cass. civ. n. 4306/1997

Sono pienamente valide le clausole dell'accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d'udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell'art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l'omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell'art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi.

Cass. civ. n. 9393/1994

Le clausole della separazione consensuale omologata in tema di mantenimento, nel loro contenuto originario od in quello ridefinito in esito alla procedura di cui agli artt. 710 e 711 c.p.c., hanno, ai sensi dell'art. 158 c.c. (nel testo risultante dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 186 del 18 febbraio 1988), natura di titolo giudiziale, anche ai fini dell'iscrizione d'ipoteca a norma dell'art. 2818 c.c., al pari delle statuizioni in proposito incluse nella sentenza di separazione. Ne discende che l'avente diritto a detto mantenimento non è abilitato, per difetto di interesse, a reclamare, con il rito ordinario o con quello monitorio, una decisione di condanna all'adempimento, la quale si tradurrebbe nella reiterazione di un titolo di cui già gode.

Cass. civ. n. 4647/1994

Anche nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi è ammissibile il ricorso alla transazione per porre fine o per prevenire l'insorgenza di una lite tra le parti, sia pure nel rispetto della indisponibilità di talune posizioni soggettive, ed è configurabile la distinzione tra contratto di transazione novativo e non novativo, realizzandosi il primo tutte le volte che le parti diano luogo ad un regolamento d'interessi incompatibile con quello preesistente, in forza di una previsione contrattuale di fatti o di presupposti di fatto estranei al rapporto originario (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha ritenuto novativa e, quindi, non suscettibile di risoluzione per inadempimento, a norma dell'art. 1976 c.c., la transazione con la quale il marito si obbligava espressamente, in vista della separazione consensuale, a far conseguire alla moglie la proprietà di un appartamento in costruzione, allo scopo di eliminare una situazione conflittuale
tra le parti).

Cass. civ. n. 2270/1993

In tema di separazione consensuale, le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente all'omologazione, trovando fondamento nell'art. 1322 c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dall'art. 710 c.p.c., quando non varchino il limite di derogabilità consentito dall'art. 160 c.c.; per contro, alle pattuizioni convenute dai coniugi prima del decreto di omologazione e non trasfuse nell'accordo omologato, può riconoscersi validità solo quando assicurino una maggiore vantaggiosità all'interesse protetto dalla norma (ad esempio concordando un assegno di mantenimento in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione), o quando concernano un aspetto non preso in considerazione dall'accordo omologato e sicuramente compatibile con questo in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o quando costituiscano clausole meramente specificative dell'accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull'accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all'art. 158 c.c.

Cass. civ. n. 2788/1991

L'accordo con il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può anche riguardare rapporti non immediatamente riferibili, né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli obblighi del perdurante matrimonio (cosiddette convenzioni familiari caratterizzate da un sostanziale parallelismo di volontà ed interessi) e pertanto può anche consistere in una transazione, ove ne rispecchi i requisiti di forma e di sostanza, sempre che non comporti una lesione di diritti inderogabili.

Cass. civ. n. 1208/1985

In tema di separazione consensuale dei coniugi, l'art. 158 (nuovo testo) c.c., prevedendo il rifiuto dell'omologazione per il caso di accordi sul mantenimento dei figli in contrasto con gli interessi dei medesimi, conferisce al giudice il potere - dovere di controllare i suddetti accordi anche nel merito, e non solo cioè in relazione all'eventuale contrasto con inderogabili principi di ordine pubblico. Ciò comporta che i patti, con cui i coniugi definiscano nel suo complesso il mantenimento del nucleo familiare, includente figli minori, e non si limitino quindi a regolamentare i rapporti patrimoniali fra loro, restano inefficaci qualora vengano sottratti al vaglio dell'omologazione, sia perché non compresi fra le clausole della separazione, sia perché concordati in un momento successivo alla sua omologazione.

Cass. civ. n. 3940/1984

Poiché ciascuno dei coniugi ha il diritto di condizionare il proprio consenso alla separazione personale ad un soddisfacente assetto dei propri interessi economici, sempre che in tal modo non si realizzi una lesione di diritti inderogabili, è valido un contratto preliminare con il quale uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale, promette di trasferire all'altro la proprietà di un immobile, anche se tale sistemazione dei rapporti patrimoniali avviene al di fuori di qualsiasi controllo da parte del giudice che provvede all'omologazione della separazione, purché tale attribuzione non sia lesiva delle norme relative al mantenimento ed agli alimenti e ciò a prescindere dalle condizioni economiche del coniuge beneficiario, una volta che il diritto al mantenimento di quest'ultimo sia stato così riconosciuto dal coniuge obbligato.

Cass. civ. n. 3323/1982

I fatti antecedenti alla separazione consensuale possono essere invocati da un coniuge, al fine di conseguire un mutamento del titolo della separazione con pronuncia di addebitabilità a carico dell'altro coniuge, solo quando deduca e dimostri di averli conosciuti dopo detta separazione consensuale.

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Consulenze legali
relative all'articolo 158 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Laura G. chiede
lunedì 12/11/2018 - Lombardia
“Buongiorno, mi trovo in una circostanza in cui potrei chiedere la separazione con addebito, essendo gravi le motivazioni a carico dell'altro coniuge.
Vorrei evitare una giudiziale, anche perché , pur avendo il coniuge sul quale pendono le gravi motivazioni, un ottimo lavoro, qualora il giudice mi riconoscesse un mantenimento, non avrebbe liquidità residua dallo stipendio, poiché ha ancora un mutuo relativo ad una casa intestata solo a lui e acquistata prima del matrimonio.
La mia domanda è: Potrei chiedere al " signore" di intestare a me l'appartamento lasciandogli l'usufrutto, essendo molto disponibile in questo momento nei miei confronti in virtù dei grossissimi sensi di colpa che nutre?
Parliamo di un immobile di modesto valore, non ci sono figli e di sicuro una giudiziale peserebbe molto di più sotto tutti i punti di vista. A cosa devo fare particolare attenzione? Qualora ricevessi un rifiuto, la cosa potrebbe precludere la verginità di una causa per addebito?”
Consulenza legale i 19/11/2018
La scelta di una separazione consensuale. in quanto più semplice, meno traumatica e meno dispendiosa rispetto ad una separazione giudiziale, è sicuramente preferibile rispetto a quest’ultima e in genere viene vista con maggior favore anche dai magistrati.
Dunque appare condivisibile la preferenza espressa nel quesito, anche quando - come riferito in questo caso - sarebbe più che comprensibile la “tentazione” di chiedere una separazione con addebito a causa del comportamento dell’altro coniuge.
Inoltre bisogna tenere presente che, nel caso della separazione consensuale, le condizioni, ossia la regolamentazione nel caso concreto della separazione, sono conosciute in anticipo dai coniugi proprio perché liberamente pattuite tra loro (salva naturalmente l’omologazione da parte del Tribunale).
Invece l’esito di una causa di separazione giudiziale è sempre incerto e rimesso alla valutazione del giudice (ad esempio, quanto all’ammontare dell’assegno di mantenimento).
Inoltre la separazione consensuale presenta un altro indubbio vantaggio: nell’accordo di separazione è possibile inserire pattuizioni di carattere economico che, invece, non potrebbero trovare ingresso in una separazione giudiziale come ad esempio il trasferimento della proprietà di un immobile o, come nel caso che ci riguarda, di altro diritto reale sullo stesso.
Al riguardo la giurisprudenza costante ha chiarito che l'accordo di separazione costituisce un “atto essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente”.
È dunque valido l'accordo dei coniugi sulle condizioni patrimoniali della cessazione della loro comunione di vita, avendo ad oggetto diritti disponibili (così Cass. Civ., Sez. I, 11225/2014).
Ma c’è di più. Infatti, sempre secondo un orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente, da un lato, un contenuto essenziale, tipico, costituito dal consenso reciproco a vivere separati, dall'affidamento dei figli, dall'assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti. Dall’altro, esso può avere un contenuto eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dalle pattuizioni che i coniugi intendono concludere in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata. Pertanto, l'accordo con cui i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il contenuto tipico predetto e che ad esso non sono immediatamente riferibili, e che vengono in altre parole assunte "in occasione" della separazione senza dipendere da essa (in questo senso, tra le altre, Cass. Civ., Sez. I, 16909/2015).
Dunque una proposta quale quella prospettata nel quesito potrebbe trovare ingresso nella separazione consensuale che si intende iniziare.
Il consiglio è quello di rivolgersi ad un legale ed invitare, tramite quest’ultimo, il coniuge a concordare le condizioni della separazione formulando la relativa proposta.
Vi è anche da tenere presente che, oggi, è possibile separarsi consensualmente senza necessariamente entrare in un’aula di tribunale: ciò può avvenire sia mediante la procedura di negoziazione assistita (cioè con l’intervento di uno o più avvocati) in materia familiare, prevista dall’art. 6 del D.L. n. 132/2014, conv. in L. n. 162/2014, sia dinanzi al sindaco quale ufficiale di stato civile, come previsto dall’art. 12 della stessa legge. In questo secondo caso, peraltro, l’assistenza di un avvocato è facoltativa. La separazione dinanzi al sindaco è applicabile solo quando non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, per cui alla stessa si potrebbe tranquillamente ricorrere nel caso in esame.
Qualora il tentativo di porre fine consensualmente alla convivenza matrimoniale non abbia esito positivo, nulla precluderà la via della separazione giudiziale eventualmente con richiesta di addebito all’altro coniuge.

Nicola B. chiede
mercoledì 05/09/2018 - Veneto
“Buongiorno ,
ho firmato un accordo consensuale di separazione , accordo attualmente non omologato dal giudice ,in tale accordo mi impegno ad acquistare un appartamento (non determinato)e nel caso non riuscissi a trovarlo entro una determinata data , a pagare una somma di denaro a mia moglie .Vi chiedo gentilmente : L'accordo ha valore , non essendo stato omologato? e se si , in base a quale articolo di legge?”
Consulenza legale i 11/09/2018
Dal quesito non risulta perfettamente chiaro a quale tipo di accordo ci si stia riferendo.

La separazione (così come il divorzio), infatti, sono procedure regolate da specifiche discipline normative e possono avere effetti sullo stato dei coniugi solo nell’integrale rispetto di tali discipline.
Ciò detto, risulta in effetti improbabile che l’accordo di cui si parla nel quesito in oggetto sia stato sottoscritto alla presenza di un solo avvocato, come parrebbe dalla lettera del testo: una scrittura privata tra i coniugi che regoli la separazione e ne detti le condizioni, che fosse redatta e sottoscritta da un solo legale, comune ai due coniugi, non avrebbe alcun effetto giuridico e non sarebbe idonea alla separazione.

E’ dunque presumibile che chi scrive si riferisse ad un accordo sottoscritto dalle parti alla presenza dei rispettivi avvocati: questa situazione, infatti, è riconducibile alla fattispecie, nota e legittima, della negoziazione assistita.

Il Decreto Legge n. 132/2014, infatti, all’art. 6, ha introdotto la possibilità per i coniugi che si vogliano separare di farlo senza dover necessariamente presentarsi davanti al Giudice ma solamente alla presenza ed assistiti dai rispettivi avvocati: “1. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale (…)

La procedura richiede l’intervento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, che – a seconda della presenza o meno di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave – diversifica gli interventi (se ad esempio l’accordo non risponde all’interesse dei figli minori interviene il Tribunale che convoca le parti).

L'accordo raggiunto tra i coniugi mediante questa procedura produce gli stessi effetti e tiene luogo in tutto e per tutto del provvedimento del Giudice che definisce la separazione.
Nel contenuto dell'accordo si deve dare atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti, le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e – nei casi in cui siano presenti minori - dell'importanza per questi ultimi di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori.
Poi, gli avvocati devono obbligatoriamente trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dagli stessi legali, dell'accordo munito delle certificazioni di legge (ovvero sull’autografia delle firme e sulla conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico).

Com'è evidente, dunque, per tornare al quesito, l’accordo regolarmente sottoscritto ed inviato in copia autentica al Comune di competenza per le annotazioni del caso sui registri dello stato civile è perfettamente valido e cogente, senza bisogno di quella che viene definita “omologazione”, ovvero una sorta di “visto” e conferma del Giudice.

Al di fuori, come si diceva, di questa procedura particolare, rimane soltanto la procedura giudiziale di separazione consensuale che, com’è noto, nonostante si sostanzi pur sempre in un accordo redatto con l'assistenza del/dei legali, necessita alla fine dell’omologazione di quest’ultimo da parte del Giudice: senza omologazione l’accordo non produce alcun effetto.


Alessandra B. chiede
domenica 19/11/2017 - Lombardia
“sono divorziata; sulla precedente sentenza di separazione del 31 7 1987 sono riportati i patti e la formula che chiude ogni pendenza economica tra i coniugi (poi divorziati). Prima di tale sentenza, il 7 luglio 1987, io sottoscrissi una scrittura privata con la quale (sotto ricatto, ma faticosamente dimostrabile e comunque non raccontabile in breve) dichiaravo che nel 1984 avevo acquistato un appartamento con 50 milioni di lire datami da mio marito. In realtà le cose andarono diversamente; l'appartamento fu acquistato come bene di famiglia col matrimonio funzionante e intestato a me perché mi piaceva (un edificio antico e malandato, ma pieno di fascino per me) e per motivi fiscali .
In detta scrittura io mi impegnavo a restituire la somma entro il 2007; in realtà avevamo pattuito in sede di scrittura dell'impegno 30 anni per la restituzione. Giorni dopo io mi resi conto dell'errore e chiesi agli avvocati di rettificare la data.
La controparte accettò e decidemmo di sottoscrivere la modifica il giorno dell'udienza, 31 luglio, prima di entrare dal Giudice.
Adesso, passati i 30 anni l'ex mi chiede la restituzione della somma. Secondo voi devo farlo o quel debito non esiste o non è esigibile?il problema consiste nel fatto che la sentenza(che chiude ogni pendenza economica tra i coniugi) e la rettifica della scrittura del 7.7, hanno la stessa data: 31, luglio. grazie per la risposta.
Alessandra bonfanti”
Consulenza legale i 26/11/2017
La fattispecie descritta nel quesito è stata affrontata espressamente dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 3 dicembre 2015 n. 24621.

Nel caso affrontato dalla Suprema Corte, due coniugi sottoscrivevano una transazione, poi non omologata, nelle more del giudizio di separazione, sull'assegnazione di beni immobili.

La Corte ha ritenuto valido qualsiasi accordo raggiunto dai coniugi (orami quasi “ex”) relativo a questioni di natura patrimoniale, come, ad esempio, un piano di divisione e assegnazione dei beni mobili o immobili, senza che sia necessariamente richiesta la loro trasfusione nel decreto di omologa, e sempre che non intervenga su diritti indisponibili (come l’affidamento dei figli minori).

Dunque, l'accordo raggiunto dai coniugi su diritti liberamente disponibili, come quelli patrimoniali, nell'ambito della regolamentazione delle condizioni di separazione, ha natura negoziale, ossia acquista l'effetto di un vero e proprio contratto efficace e vincolante tra le parti, anche se non trasfuso in un atto sottoposto all'autorità giudiziaria per l’omologazione.

L’accordo di contenuto patrimoniale tra coniugi contenuto in un atto separato da quello di separazione o divorzio è dunque valido sia tra le parti che nei confronti dei terzi. Infatti, con riferimento agli accordi sulla parte economica della separazione si ammette ormai un’ampia autonomia di regolamentazione attraverso contratti, purché ciò non contrasti con l’esigenza di tutela dei minori e dei soggetti più deboli.

Pertanto, non si può rimettere in discussione tale accordo chiedendo al giudice di annullarlo perché mai approvato dal giudice stesso della separazione.

Sono, infatti, considerati validi e vincolanti tanto gli accordi anteriori che contemporanei, ma anche successivi al divorzio (o alla separazione), nella forma della scrittura privata o dell’atto pubblico redatto da notaio.

Alla luce di quanto esposto è da ritenersi valido e vincolante l'accordo preso con l'ex coniuge un attimo prima dell'udienza di separazione e la somma è quindi esigibile a tutti gli effetti.

Quanto all'aspetto relativo al ricatto, infine, non ci sono elementi per poter esprimere un parere compiuto.

ANONIMO chiede
martedì 29/03/2016 - Emilia-Romagna
“Gent.ma Redazione Brocardi,
vi scrivo per un consiglio sulla mia situazione inerente ad una separazione da convivenza “more uxorio” di lungo periodo con prole.
Io e la mia ex compagna ci siamo già rivolti ai nostri rispettivi legali per definire la gestione della bambina che ad oggi ha solo OMISSIS, ma vedo che ci sono alcune divergenze sulle premesse della separazione che lei non vuole siano scritte, mentre il mio legale dice che sono ininfluenti e quindi posso anche tralasciarle. Vorrei sentire diciamo, un terzo parere disinteressato.
Praticamente dopo anni di convivenza ci nasce una figlia. Dopo un anno dalla nascita lei si sente trascurata e depressa e pensa bene di accettare le avance di un amico di vecchia data OMISSIS.
Dopo OMISSIS di allontanamenti, telefonate nascoste, messaggini, sparizioni e misteri, finalmente mi sveglio e scopro che la storia clandestina durava da ormai OMISSIS e che avevano pure affittato una nuova abitazione come loro alcova.
La nostra “famiglia” abitava in un appartamento di mia proprietà dove lei ha tutt’ora la residenza e le spese di gestione erano e sono sempre state tutte a mio carico.
Ora il mio legale mi dice che il rischio che sto correndo è quello che la madre potrebbe diventare collocataria di mia figlia presso il mio appartamento e dover lasciare io la casa; e che sta facendo in modo, con un affido condiviso e io genitore collocatario, che lei se ne vada di casa (e che vada nella sua affittata).
Nell’accordo però lei non vuole che sia scritto che formalmente aveva già iniziato una nuova convivenza, mentre io lo vedo oltre che la verità anche come un parafulmini nel caso ci fossero legalmente degli appigli da parte sua per intaccare il mio stato patrimoniale.
Vorrei chiedervi un inquadramento giuridico della mia situazione e che rischi sto correndo.
Fermo restando il bene della bambina.
OMISSIS”
Consulenza legale i 07/04/2016
Per rispondere al quesito in esame è in primo luogo necessario fare una osservazione preliminare. La giurisprudenza ha spesso precisato che l'infedeltà di uno dei partner (sia che essi siano legati da un vincolo matrimoniale o che semplicemente convivano more uxorio) non implica necessariamente una inadeguatezza genitoriale atta a giustificare l'affidamento esclusivo, e non motiva nemmeno una limitazione del tempo trascorso dall'uno o dall'altro genitore con i propri bambini (tra le molte, Tribunale di Milano, sent. 9 luglio 2015). In altre parole, il fatto che una persona sia un pessimo compagno non implica che sia al contempo un pessimo genitore.
Occorre pertanto considerare che l'affido condiviso (ossia ad entrambi i genitori) costituisce ormai la regola, infatti generalmente la casa coniugale viene assegnata al genitore presso il quale il minore è prevalentemente collocato.
Nel caso concreto il giudice, vista la minore età della bambina, tenderà a disporre la collocazione di quest'ultima presso la madre ma con affido congiunto, e quindi con possibilità per il padre di vederla e trascorrere tempo con lei in base a quanto verrà stabilito nel provvedimento giudiziale.
Infatti "la convivenza more uxorio, quale formazione sociale che porta alla nascita di un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata. Il diritto di continuare ad abitare la casa familiare viene attribuito dal giudice al coniuge (o al convivente) affidatario del figlio minorenne, qualora ne sussistano i presupposti di legge, ed è tale da comprimere temporaneamente, cioè fino al raggiungimento della maggiore età dell’indipendenza economica dei figli, il diritto di proprietà' o di godimento di cui sia titolare o contitolare l’altro genitore, in vista dell’esclusivo interesse della prole alla conservazione, per quanto possibile, dell’habitat domestico anche dopo la separazione dei genitori" (così Cass. SS.UU. 29 settembre 2014 n. 20448).
In pratica, anche nelle convivenze di fatto, in presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti nati dai due conviventi, l’immobile adibito a casa familiare viene assegnato al genitore affidatario dei figli anche se non proprietario dell’immobile, conduttore o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all’immobile.
Il genitore affidatario dei figli minorenni o dei figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti giuridicamente assume la qualità di detentore qualificato dell’immobile e, pertanto, può esercitare il diritto di godimento su di esso in una posizione del tutto assimilabile a quella del comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l’altro convivente (tra le molte, Cass. SS.UU. 29 settembre 2014 n. 20448; Cass. 11 settembre 2015 n.17971).
Per poter ottenere la collocazione prevalente della figlia e conseguentemente l'assegnazione della casa lo scrivente dovrà riuscire allora a dimostrare l'incapacità della donna di adempiere ai propri doveri genitoriali. Non conoscendo nello specifico le dinamiche della coppia si può comunque affermare in via generale che, a meno che la donna non abbia commesso particolari mancanze nei confronti della figlia, sarà difficile ottenere tale risultato.
Tuttavia, ricollegandosi alla questione dell'appartamento preso in affitto dalla ex compagna, qualche possibilità di riuscita potrebbe magari essere offerta nel caso in cui lo scrivente riesca a dimostrare una convivenza continuativa della ex compagna con il suo nuovo partner in tale immobile, iniziata precedentemente alla separazione dallo scrivente, ma dovrebbe trattarsi appunto di una convivenza continuativa e non di semplici incontri (anche se frequenti).
In via conclusiva può quindi affermarsi che, qualora lo scrivente non riesca a dimostrare una particolare incapacità della ex compagna di svolgere adeguatamente le sue funzioni genitoriali, molto probabilmente il giudice assegnerà alla donna la casa familiare affinché possa viverci con la figlia.
Tuttavia questa situazione non è permanente, ma può mutare (cioè lo scrivente potrà chiedere la restituzione del proprio immobile) in presenza di alcune situazioni che per l'ordinamento giuridico giustificano la restituzione dell'immobile al suo proprietario:
a) Nel momento in cui non sussistono più le condizioni che giustificano l'assegnazione della casa familiare, e cioè se con il genitore affidatario non convivano più figli minori o figli maggiorenni non autosufficienti. Infatti "tale 'ratio' protettiva, che tutela l'interesse dei figli a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso i quali non sussiste, invero, proprio in ragione della loro acquisita autonomia ed indipendenza economica, esigenza alcuna di speciale protezione" (tra le molte, Cass. 5857/2002; 25010/2007; 21334/2013). "Devesi - per il vero - considerare, in proposito, che l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario risponde all'esigenza di tutela degli interessi dei figli, con particolare riferimento alla conservazione del loro 'habitat' domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi, con la conseguenza che detta assegnazione non ha più ragion d'essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione" (così Cass., sent. 22 luglio 2015, n. 15367).
b) Nel caso in cui sopravvenga un urgente ed imprevedibile bisogno del proprietario dell'immobile (cioè dello scrivente) ai sensi dell'art. 1809 comma 2 c.c. Ovviamente il bisogno deve essere serio e non artificiosamente indotto, come ad esempio nel caso di un grave deterioramento delle condizioni economiche dello scrivente. Se quindi per esempio quest'ultimo versa in una grave situazione economica potrebbe esigere la restituzione dell'immobile, anche in presenza di un figlio minore, qualora l'ex compagna si trovi invece in una situazione di indipendenza economica e (come nel caso di specie) possieda o comunque possa affittare una abitazione per sé e per la figlia.

Christian P. chiede
domenica 10/07/2011 - Toscana

“Sono separato legalmente da gennaio 2010. Da 2 mesi ci siamo riconciliati. Per ritornare coniugati si deve andare di nuovo davanti al giudice? Grazie”

Consulenza legale i 22/07/2011

L’intervenuta riconciliazione, per espresso accordo delle parti o per comportamenti concludenti quali la ripresa della convivenza coniugale – dovendosi la volontà riconciliativa manifestarsi concretamente con la ricostituzione del consorzio familiare, attraverso il complesso dei rapporti materiali e spirituali tra i coniugi che caratterizzano il vincolo matrimoniale (v. Cass. civ. del 1987, n. 72) - fa cessare lo stato di separazione concreta tra i coniugi e, se avvenuta dopo la pronuncia di una sentenza che accerta la separazione giudiziale ne fa sospendere gli effetti ex art. 157 del c.c.senza che sia necessario l’intervento del giudice”. La sentenza di divorzio, invece, è irrevocabile, a differenza della sentenza di separazione, le parti d’accordo tra di loro non potrebbero farne cessare gli effetti.

In aggiunta, un ulteriore rilievo: posto che ai sensi dell’art. 191 del c.c. la separazione personale dei coniugi costituisce causa di scioglimento del (eventuale) regime di comunione legale, una volta rimossa con la riconciliazione tale causa, si ripristina automaticamente tra le parti il regime di comunione originariamente adottato, con esclusione degli acquisti effettuati durante il periodo di separazione (Cass. civ., 12.11.1998, n. 11418; per la non opponibilità al terzo che ha acquistato in buona fede e a titolo oneroso dal coniuge che figurava esclusivo proprietario, successivamente alla riconciliazione v. Cass. civ. 5.12.2003, n. 18619).


Annunziata R. chiede
giovedì 28/04/2011 - Calabria
“E' possibile modificare l'atto di omologazione in una separazione consensuale nella parte in cui recita:"La moglie, non vivendo nella casa coniugale, asporterà suppellettili, regali personali, beni dotali ed effetti personali propri e della figlia con lei convivente"?
La coniuge è stata informata che non è possibile modificare questa parte e che per questo motivo non può recuperare i suelencati beni in quanto nella stessa omologa non vengono specificati per ogni singolo oggetto personale.”
Giorgio B. chiede
martedì 21/09/2010

“Ha valore contrattuale il deposito della separazione consensuale prima dell'omologa del giudice?”

Consulenza legale i 28/12/2010

La separazione consensuale è caratterizzata dalla manifestazione da parte dei due coniugi di un consenso a vivere separati (cd. contenuto essenziale dell'accordo di separazione), nonché da una serie di ulteriori eventuali pattuizioni che regolamentano il nuovo stato di vita separata (per es. determinazione dell'assegno di mantenimento, affidamento della prole, disciplina del diritto di visita del genitore non affidatario etc...).

La semplice espressione del consenso non è produttiva di alcun effetto giuridico in mancanza della omologazione del Tribunale competente.

Le pattuizioni antecedenti o contemporanee all'accordo omologato sono efficaci solo se non interferiscono con quest'ultimo (perché riguardano aspetti in esso non disciplinati o specificano aspetti secondari) ovvero se attuano in maniera uguale o migliore gli interessi tutelati, come per l'assegno di mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione. Anche le pattuizioni successive all'omologazione sono valide purché non superino il limite di derogabilità dei diritti e dei doveri nascenti dal matrimonio fissati dall'art. 160 del c.c.. Tali pattuizioni possono anche integrare una transazione (così Cass. 03/10794). La mancata omologazione della separazione non incide sulla validità ed efficacia delle pattuizioni di natura meramente patrimoniale stipulate in occasione della separazione.


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