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Articolo 6 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Diritto al nome

Dispositivo dell'art. 6 Codice Civile

Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito(1).

Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.

Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati(2).

Note

(1) Il diritto al nome si acquista al momento della nascita ed in base al rapporto di filiazione, basandosi sugli atti di nascita e di battesimo.
Cfr. art. 29, d.P.R. 3-11-2000, n. 396 (Semplificazione dell'ordinamento dello stato civile) e vedasi Cass. 3779/1978.
(2) Cfr. d.P.R. 3-11-2000, n. 396 (Semplificazione dell'ordinamento dello stato civile); art. 5, l. 1-12-1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio); art. 5, l. 14-4-1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso).

Ratio Legis

La norma tutela l'identità personale dell'individuo come singolo e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (di cui all' art. 2 Cost.), segnando così il superamento della concezione pubblicistica del nome come semplice strumento di identificazione della persona nell'esclusivo interesse della collettività.
Il diritto al nome è pertanto uno dei diritti della personalità costituzionalmente riconosciuti e garantiti, precisando la stessa Carta, tra l'altro, che nessuno può essere privato, per motivi politici, del nome (art. 22 Cost.).
Come diritto della personalità, il diritto al nome è assoluto, indisponibile e non patrimoniale.

Brocardi

Nomen

Spiegazione dell'art. 6 Codice Civile

I cambiamenti del nome sono ammessi solo nei limiti stabiliti dalla legge.
Vi sono pochi casi, analiticamente disciplinati (d.P.R. 396/2000 sui cambiamenti e modificazioni del nome e del cognome): le modifiche del cognome, con decreto presidenziale, per un mutamento della situazione familiare; le modifiche del cognome, con decreto del procuratore generale, nelle ipotesi di cognome ridicolo o vergognoso; le modifiche del prenome a seguito del mutamento di sesso. Non esiste comunque un diritto al cambiamento del nome.
Distinta è l'ipotesi della rettificazione, disciplinata dagli artt. 95 e ss. del d.P.R. 396/2000, e che riguarda una mera eliminazione delle difformità tra la realtà effettiva e le risultanze dei registri dello stato civile. Al di fuori di tale ipotesi, vige il cd. principio di immutabilità del nome di cui al co. III dell'art. 6.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

38 Nell'art. 6 del c.c. si afferma il diritto al nome, elemento distintivo della personalità, precisandosi che nella espressione «nome» si comprendono il prenome e il cognome, il che avrà il vantaggio pratico di coordinare l'art. 6 con i successivi articoli 7 e 8, che provvedono alla tutela del diritto al nome. E' sembrato utile mantenere la disposizione con cui si dichiara che non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati. E' vero che, nella legge sull'ordinamento dello stato civile, viene regolata la materia in generale dei cambiamenti dei nome, ma la legge speciale fissa soltanto la procedura relativa, mentre nel codice occorre affermare il principio fondamentale della immutabilità del nome; salvo sempre l'intervento dello Stato anche in questa materia.

Massime relative all'art. 6 Codice Civile

Cass. civ. n. 34658/2022

In tema di tutela del "diritto all'oblio", e in conformità al diritto dell'Unione europea, il Garante per la protezione dei dati personali, ed anche il giudice investito della questione, possono ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare la deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraeuropee, di determinati URL dal menzionato motore, previo bilanciamento del diritto della persona interessata alla tutela della vita privata e alla protezione dei suoi dati personali con il diritto alla libertà d'informazione, da operarsi secondo gli standard di protezione dell'ordinamento italiano.

Cass. civ. n. 34090/2021

In tema di diritto al nome, la persona fisica ha sempre titolo di rivendicare per sé il cognome con il quale è stata individuata e iscritta dai propri genitori negli atti dello stato civile, senza che quello del coniuge, acquisito in sostituzione del proprio a seguito di matrimonio contratto all'estero, anche se utilizzato in molteplici contesti, possa costituire un fatto causativo del suo indebolimento o della sua perdita, restando l'assolutezza di tale diritto un tratto ineliminabile dello stesso.

Cass. civ. n. 3877/2020

Il riconoscimento del primario diritto all'identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazione dell'attribuzione di sesso, rende conseguenziale la rettificazione del prenome, che non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tenere conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato. (Nella specie, la Corte d'appello aveva negato il diritto alla rettifica del prenome "Alessandro" in "Alexandra" ritenendo che necessariamente dovesse essere modificato nel corrispondente di genere "Alessandra"). (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO TORINO, 28/03/2018)

Cass. civ. n. 23691/2015

In caso di cessazione degli effetti civili di un matrimonio contratto all'estero da due cittadini stranieri, il diritto della moglie di utilizzare l'esclusivo cognome del marito, acquisito, con il consenso di quest'ultimo, al momento dell'assunzione del vincolo, va delibato sulla base dei criteri di collegamento indicati dalla Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980, resa esecutiva in Italia con la legge n. 950 del 1984, per la quale i cognomi ed i nomi di una persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui è titolare il cittadino (nella specie, l'ordinamento svedese), non assumendo alcun rilievo che la cessazione del rapporto coniugale sia stata dichiarata e regolata dalla legge di un altro Stato (nella specie, quella italiana). (Rigetta, App. Trieste, 17/04/2013)

Cass. civ. n. 20385/2012

L'imposizione del prenome "Andrea" ad una neonata non viola il disposto dell'art. 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, che vieta l'uso di nomi ridicoli o vergognosi, non potendo, detto prenome, per la sua peculiarità lessicale, così ritenersi ove attribuito ad una persona di sesso femminile ed essendo, altresì, rispettoso del dettato dell'art. 35 del d.P.R. richiamato, che impone la corrispondenza del nome al sesso, posto che il prenome "Andrea" ha natura sessualmente neutra, essendo utilizzato, nella maggior parte dei paesi europei ed extraeuropei, per soggetti femminili e maschili indifferentemente, e, pertanto, non è produttivo di alcuna ambiguità. (Cassa e decide nel merito, App. Firenze, 03/08/2010)

Cass. civ. n. 25452/2008

La scelta dei genitori di attribuire un nome comune al figlio viola il divieto di imposizione di nomi ridicoli o vergognosi ai sensi dell'art. 34, comma 1, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, qualora sia idonea a creare situazioni discriminanti o difficoltà di inserimento della persona nel contesto sociale (nella specie, la S.C. non è entrata nel merito per un vizio di procedura, ed ha confermato la sentenza d'appello in base alla quale il nome Venerdì imposto al neonato dai genitori è stato rettificato in Gregorio, nome del santo del giorno in cui è nato).

Cass. civ. n. 23934/2008

La domanda di rettifica dell'atto di nascita, tesa all'attribuzione del cognome materno per comune volontà dei genitori, implicando la scelta tra l'ammettere o l'escludere la possibilità di deroga alla norma di sistema che l'attuale quadro normativo pone a previsione dell'attribuzione automatica del cognome paterno, rende opportuna la rimessione degli atti al Primo Presidente affinché valuti se, alla luce della mutata situazione della giurisprudenza costituzionale e del probabile mutamento delle norme comunitarie, possa adottarsene un'interpretazione costituzionalmente orientata o, se tale soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell'attività interpretativa, la questione possa essere rimessa alla Corte costituzionale.

Cass. civ. n. 2751/2008

Qualora la filiazione naturale nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta in tempi diversi rispetto al riconoscimento da parte della madre, il cognome paterno può essere aggiunto o sostituito a quello della madre se ciò corrisponda all’esclusivo interesse del minore.

Corte cost. n. 348/2007

Lo scrutinio di costituzionalità sulla norme CEDU non può limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali o dei principi supremi, ma si estende ad ogni profilo di contrasto tra le "norme interposte" e quelle costituzionali. Nell'ipotesi di una norma della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo che risulti in contrasto - insanabile in via interpretativa - con una norma costituzionale, la Corte ha il dovere di dichiarare l'inidoneità della stessa ad integrare il parametro costituzionale provvedendo, nei modi rituali, ad espungerla dall'ordinamento giuridico italiano.

Cass. civ. n. 16989/2007

Per l'attribuzione del cognome paterno in aggiunta a quello materno al figlio naturale, già riconosciuto dalla madre, il giudice deve accertare se l'esigenza che il minore mantenga, con la conservazione del cognome materno, l'identità, acquisita nell'ambiente in cui si svolge la sua vita di relazione, venga soddisfatta e verificare se l'aggiunta a tale cognome di quello paterno possa recargli pregiudizio, che non potrebbe comunque verificarsi, per il caso di assenza di comportamenti negativi del padre di tale gravità da renderlo inidoneo ad assumere il ruolo genitoriale, anche tenuto conto dell'auspicabile evoluzione positiva del rapporto tra padre e figlio, per effetto dell'assunzione del cognome paterno.

Cass. civ. n. 15953/2007

Qualora venga dichiarata giudizialmente la paternità naturale nei confronti di un figlio minore in precedenza già riconosciuto dalla madre, l'ultimo comma dell'art. 262 c.c. demanda al giudice la decisione circa le modalità di assunzione del cognome paterno, che può essere aggiunto o anche sostituito a quello materno. Tale decisione — da maturare nell'esclusivo interesse del minore, tenendo conto della natura inviolabile del diritto al cognome, tutelato ai sensi dell'art. 2 Cost. — è incensurabile in cassazione se adeguatamente motivata.

Cass. civ. n. 16093/2006

L'attribuzione al figlio del cognome paterno è espressione di una norma che, seppur non scritta, appare desumibile dall’attuale sistema giuridico, in quanto presupposta da una serie di disposizioni regolatrici di fattispecie diverse. Tale norma, seppur retaggio di una superata concezione patriarcale della famiglia, e seppur non in sintonia con le fonti sovranazionali, deve ritenersi tutt’ora vigente ed operante almeno sintanto che il legislatore non provveda a ridisegnarla in senso costituzionalmente adeguato.

Cass. civ. n. 12641/2006

In sede di applicazione delle disposizioni di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 262 c.c., disciplinanti l'ipotesi in cui la filiazione nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, occorre muovere dal presupposto che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo, avente copertura costituzionale assoluta, sicché il giudice deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all'ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre, prescindendo, anche a tutela dell'eguaglianza fra i genitori, da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome. Oltre che nei casi in cui ne possa derivare danno all'interessato, l'assunzione del patronimico non dovrà, quindi, essere disposta allorquando precludere il diritto di mantenere il cognome materno, ormai naturalmente associato al minore dal contesto sociale in cui egli si trova a vivere, si risolverebbe in un'ingiusta privazione di un elemento della sua personalità, tradizionalmente definito come il diritto «a essere se stessi». Il provvedimento deve, in definitiva, tutelare l'interesse del figlio minore non ad avere un'apparenza di filiazione regolare, ma a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità.

Il cognome nel nostro ordinamento giuridico non svolge solo una funzione pubblicistica, volta ad offrire una tutela della famiglia consentendo ai suoi membri di essere identificati come appartenenti a un determinato nucleo familiare, ma assolve anche ad una fondamentale funzione di natura privatistica, quale strumento identificativo della persona. Nel caso di filiazione naturale, non essendovi una famiglia legittima da tutelare, il cognome del figlio assolve principalmente alla funzione privatistica, in virtù della quale il cognome è una componente dell'inviolabile diritto di ciascun uomo ad avere una propria identità personale (artt. 2 e 22 Cost.). Pertanto il giudice, chiamato a valutare l'interesse del minore preventivamente riconosciuto dalla madre a vedersi attribuito il patronimico a seguito del successivo riconoscimento paterno, dovrà impedire il mutamento del cognome non solo nei casi in cui la cattiva reputazione del genitore possa comportare un pregiudizio al minore, ma anche nel caso in cui il matronimico sia assurto ad autonomo segno distintivo della di lui identità personale.

Cass. civ. n. 13298/2004

È rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3 e 29, comma 2, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 143-bis, 236, 237, comma 2, 262, 299 comma 3 c.c., 33 e 34 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, nella parte in cui prevedono che il figlio legittimo acquisti automaticamente il cognome del padre anche quando vi sia in proposito una diversa volontà dei coniugi, legittimamente manifestata.

Corte cost. n. 350/2002

È manifestamente inammissibile la q.l.c. del combinato disposto degli art. 35, 27 e 28 l. 4 maggio 1983 n. 184 - nel testo modificato dalla l. 28 marzo 2001 n. 149 - censurato, in riferimento agli art. 2, 3, 10 e 11 cost., nella parte in cui, per l'adozione di minori stranieri, prevedendo l'automatica attribuzione all'adottato del solo cognome degli adottanti, non consente che il tribunale possa stabilire che il minore conservi anche il cognome originario, in quanto il remittente, investito della domanda del p.m. volta alla formazione di un atto di stato civile, non deve fare in alcun modo applicazione delle disposizioni censurate, essendo esse già state considerate dal competente tribunale per i minorenni, sicché la questione risulta priva di rilevanza nel giudizio "a quo".

Corte cost. n. 268/2002

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 L. n. 184 del 1983, nella parte in cui, rinviando all'art. 299 c.c. per l'attribuzione del cognome al minore adottato in casi particolari, non consente che il minore, o suoi legali rappresentanti, o gli adottanti possano ottenere, sempre nell'interesse del minore, che questi mantenga il suo precedente cognome, anteponendolo o aggiungendolo a quello dell'adottante, o sostituisca il cognome di quest'ultimo al suo, in riferimento agli art. 2, 3, 2° comma, 30, 3° comma, e 31, 2° comma, Cost.

Corte cost. n. 120/2001

Non è fondata, in riferimento agli art. 2, 3 e 30 cost., la q.l.c. dell'art. 299 comma 1 c.c., nella parte in cui dispone che l'adottato anteponga il cognome dell'adottante al proprio.

Cass. civ. n. 6098/2001

Nell'ipotesi di legittimazione del figlio naturale per provvedimento del giudice, ai fini dell'attribuzione al figlio del cognome del padre che lo ha legittimato successivamente si deve valutare l'interesse esclusivo del minore (Nella specie la Cassazione ha precisato che si deve aver riguardo al diritto del medesimo alla propria identità personale fino a quel momento posseduta nell'ambiente in cui è vissuto, anche con riferimento alla famiglia in cui è cresciuto, nonché ad ogni altro elemento di valutazione suggerito dalla fattispecie, escludendo ogni automaticità).

Corte cost. n. 240/1998

Non è fondata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 della legge 4 maggio 1983 n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui, non estendendo l'effetto legittimante anche al minore adottato in precedenza secondo la disciplina dell'adozione ordinaria, non consente al figlio adottivo, estraneo alla successione dei parenti dell'adottante, di subentrare per rappresentazione in luogo dell'adottante nell'eredità alla quale quest'ultimo sia chiamato, giacché - premesso che adozione legittimante e adozione ordinaria (ora prevista unicamente per i maggiori di età) configurano situazioni diverse, ancorate a presupposti, finalità e requisiti non omogenei (solo nella prima il minore adottato viene definitivamente inserito nella famiglia di accoglienza ed acquista, in corrispondenza alla cessazione dei suoi rapporti con la famiglia di origine, lo stato di figlio legittimo dei coniugi adottanti, ed in quanto tale partecipa alla successione dei parenti di essi) -, non è palesemente irrazionale né discriminatoria una differente disciplina rispondente alle diverse connotazioni dell'istituto e che, quanto alla successione ereditaria, determini o escluda la possibilità di succedere per rappresentazione in connessione all'instaurarsi o meno di un rapporto di parentela con i congiunti dell'adottante e, correlativamente, al cessare o al permanere dei rapporti con la famiglia di origine.

Cass. civ. n. 10936/1997

L'usurpazione di predicato nobiliare "cognomizzato" non integra, per ciò stesso, il pregiudizio richiesto dall'art. 7 c.c., il quale pregiudizio deve attenere alla sfera d'individuazione della persona, e non pure ad una dimensione che presuppone una rilevanza giuridica del titolo nobiliare, esclusa da ogni tutela giurisdizionale nell'ordinamento giuridico italiano.

Cass. civ. n. 9339/1997

La scelta e il mutamento del nome del figlio minore, coinvolgendo un diritto fondamentale e irrinunciabile della persona, da un lato rientrano tra le "questioni di particolare importanza" per le quali gli art. 316 c.c. e 38 disp. att. c.c. esigono l'accordo dei genitori e, in difetto, contemplano l'intervento del tribunale per i minorenni, dall'altro, - nella pendenza della causa di separazione - realizzano "decisioni di maggiore interesse" per il figlio minore, come tali demandate al giudice della separazione, cioè al tribunale ordinario.

Cass. civ. n. 7618/1996

In ipotesi di adozione del figlio del proprio coniuge ai sensi dell'art. 44 lett. b) della L. 4 maggio 1983, n. 184 (nella quale, stante il richiamo contenuto nel successivo art. 55 della stessa legge, trova applicazione l'art. 299 c.c.) l'adottato che sia figlio naturale riconosciuto dai propri genitori non assume il solo cognome dell'adottante ma antepone tale cognome al proprio cognome di origine, non essendo prevista per tale ipotesi, alla stregua del tenore letterale della norma, alcuna deroga alla regola del doppio cognome fissata dal primo comma del menzionato art. 299, regola che, peraltro, costituisce conseguenza del principio, caratterizzante l'adozione del maggiorenne e quella del minorenne nei casi particolari previsti dal cit. art. 44 della legge n. 184 del 1983, secondo cui l'adottato conserva tutti i diritti e doveri verso la sua famiglia di origine.

Corte cost. n. 297/1996

È costituzionalmente illegittimo l'art. 262 del c.c. nella parte in cui non prevede che il figlio naturale, nell'assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale.

Cass. civ. n. 2426/1991

La XIV disposizione transitoria della Costituzione, la quale, nell'escludere la riconoscibilità dei titoli nobiliari, eccezionalmente attribuisce il diritto alla cognomizzazione dei predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922, va interpretata, alla stregua della sent. n. 101 del 1967 della Corte costituzionale, nel senso che presupposto di tale diritto è l'avvenuto riconoscimento del titolo anteriormente all'entrata in vigore della Costituzione e che la relativa tutela giudiziale può essere fatta valere esclusivamente in base alla disciplina privatistica del diritto al nome. Ne consegue che il diritto alla cognomizzazione spetta ex lege soltanto al soggetto per il quale il riconoscimento è avvenuto ed ai suoi discendenti, mentre non può farsi valere da soggetti non compresi in tale categoria ed in particolare dagli ascendenti, in quanto, ai sensi dell'ordinamento dello stato civile approvato con R.D. n. 1238 del 1939, il patronimico si trasferisce dal padre al figlio e non viceversa.

Cass. civ. n. 3779/1978

Il diritto della persona al nome si acquista la momento della nascita ed in base al rapporto di filiazione, e, quindi, va riscontrato essenzialmente alla stregua degli atti di nascita o di battesimo, mentre l'utilizzazione protratta nel tempo del nome medesimo non può di per sé avere valore acquisitivo del relativo diritto, stante la non estensibilità in proposito degli istituti dell'usucapione e dell'immemorabile, operanti nel campo dei diritti reali.

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