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Articolo 217 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Bancarotta semplice

Dispositivo dell'art. 217 Legge fallimentare

È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente:

  1. 1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica (1);
  2. 2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti (2);
  3. 3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento (3);
  4. 4) ha aggravato il proprio dissesto (4), astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;
  5. 5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale [28 ss. c.p.], la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.

Note

(1) Il punto 1 si riferisce alle spese in generale, quali esborsi economici di qualsiasi tipo. La "famiglia" indicata dal legislatore va intesa in senso ampio, non limitata al solo nucleo coniugi-figli.
(2) Sono operazioni inerenti all'esercizio dell'impresa, dalle quali si evinca la temerarietà dell'imprenditore. Si parla di dissipazione ai sensi dell'art. 216 della l. fall., invece, quando le operazioni temerarie abbiano carattere personale.
(3) Un caso frequente è quello del ricorso a mutui con tassi usurari, nel tentativo di mascherare la situazione di insolvenza e posticipare l'inevitabile fallimento.
(4) Per dissesto, secondo la giurisprudenza, deve intendersi una situazione di squilibrio economico patrimoniale progressivo, tale da comportare un inarrestabile aggravamento della situazione dell'impresa, fino alla totale insolvenza.

Ratio Legis

Si parla di bancarotta semplice quando la condotta dell'imprenditore è sorretta da dolo semplice o a titolo di colpa, vale a dire per imprudenza, negligenza, imperizia.

Massime relative all'art. 217 Legge fallimentare

Cass. pen. n. 38077/2015

Nel reato di bancarotta semplice, la condotta della mancata tempestiva richiesta di dichiarazione del proprio fallimento è punibile se caratterizzata da colpa grave.

Cass. pen. n. 20061/2015

Integra il reato di bancarotta semplice (art. 217, comma secondo, l. fall.) l'omessa tenuta dei registri contabili, in quanto l'art. 7, comma quarto ter, della legge n. 489 del 1994 - prevedendo che la contabilità può essere tenuta mediante il sistema informatico - non esime l'amministratore della società dall'adempimento degli obblighi di legge, relativi alla tenuta dei libri contabili e, quindi, dall'obbligo del puntuale aggiornamento dell'esercizio corrente, della veridicità delle singole attestazioni dei libri contabili nonché della loro conservazione, preordinata alla consultazione degli stessi. (Fattispecie in cui il libro degli inventari veniva tenuto per una sola annualità mentre il libro giornale non veniva tenuto, sussistendo passività insolute, fino alla data del fallimento).

Cass. pen. n. 13318/2013

Nel reato di bancarotta semplice per mancata tempestiva richiesta di fallimento, oggetto di punizione è l'aggravamento del dissesto dipendente dal semplice ritardo nell'instaurare la concorsualità, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti.

Cass. pen. n. 36613/2010

Non integra il reato di bancarotta semplice documentale (art. 217 R.D.) il mero ritardo, da parte dell'amministratore di diritto, nella trasmissione dei documenti contabili al commercialista, che può essere considerato solo un sintomo della irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili.

Cass. pen. n. 38598/2009

La bancarotta semplice documentale è punibile anche a titolo di colpa, a ciò non ostando il tenore dell'art. 42 c.p. che esige la previsione espressa della punibilità di un delitto a titolo di colpa, in quanto la nozione di "previsione espressa" non equivale a quella di "previsione esplicita" e, nel caso della bancarotta semplice documentale, la previsione implicita è desumibile dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale.

Cass. pen. n. 35886/2009

È configurabile il delitto di bancarotta semplice documentale nel caso di perdita, per comportamento negligente o imprudente, della "memoria" informatica del computer contenente le annotazioni delle indicazioni contabili. (In motivazione, la S.C. ha richiamato la previsione di cui all'ultimo comma dell'art. 2220 c.c., ai sensi del quale le scritture e i documenti di cui alla stessa disposizione possono essere conservati sotto forma di registrazioni su supporti di immagini, sempre che le registrazioni corrispondano ai documenti e possano in ogni momento essere rese leggibili con mezzi messi a disposizione dal soggetto che utilizza detti supporti).

Cass. pen. n. 31885/2009

Integra il reato di bancarotta semplice (art. 217 L. fall.) l'amministratore che, ancorché estraneo alla gestione dell'azienda - esclusivamente riconducibile all'amministratore di fatto - abbia omesso, anche per colpa, di esercitare il controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, poiché l'accettazione della carica di amministratore, anche quando si tratti di mero prestanome, comporta l'assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo di cui all'art. 2932 c. c.

Cass. pen. n. 9572/2006

Il mancato aggiornamento del libro giornale integra gli estremi del reato di bancarotta semplice di cui all'art. 217 L. fall., la quale è punita indifferentemente a titolo di dolo o di colpa.

Cass. pen. n. 4015/2006

Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta semplice per inadempimento degli obblighi assunti in un precedente concordato (art. 217, primo comma, n. 5 legge fall.) viene in rilievo il concordato relativo ad una precedente e distinta procedura concorsuale conseguente a un distinto stato di dissesto rispetto a quello che ha dato luogo al fallimento che costituisce elemento costitutivo del reato.

Cass. pen. n. 6462/2005

Non ricorre l'ipotesi di bancarotta semplice di cui all'art. 217, primo comma, n. 2, legge fall., integrata da operazioni di manifesta imprudenza ma quella più grave della bancarotta fraudolenta, allorché si tratti di operazioni che comportino un notevole impegno sul patrimonio sociale essendo quasi del tutto inesistente la prospettiva di un vantaggio per la società, mentre le operazioni realizzate con imprudenza costitutive della fattispecie incriminatrice della bancarotta semplice sono quelle il cui successo dipende in tutto o in parte dall'alea o da scelte avventate e tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo, ma, in ogni caso, si tratta pur sempre di comportamenti realizzati nell'interesse dell'impresa

Cass. pen. n. 27515/2004

Il reato di bancarotta semplice documentale è punibile a titolo tanto di dolo quanto di colpa, come appare desumibile dalla struttura della norma incriminatrice la quale, nel punire l'imprenditore che non tenga o tenga irregolarmente le prescritte scritture sociali e contabili, non prevede come necessaria ai fini della sussistenza dell'illecito la deliberata volontà di violare le disposizioni vigenti in materia e/o di arrecare pregiudizio ai creditori.

Cass. pen. n. 24231/2003

Ai fini del reato di cui all'art. 217 comma primo n. 2 l. fall., operazioni di grave imprudenza sono quelle caratterizzate da alto grado di rischio, prive di serie e ragionevoli prospettive di successo economico, le quali, avuto riguardo alla complessiva situazione dell'impresa, oramai votata al dissesto, hanno il solo scopo di ritardare il fallimento. (Nel caso di specie, la S.C. ha condiviso l'interpretazione del giudice di merito che aveva considerato gravemente imprudenti alcune operazioni negoziali poste in essere da una società in stato di dissesto, e precisamente la locazione dell'intera azienda in favore di altra società, che non offriva peraltro serie garanzie di solvibilità, e per un canone locativo di gran lunga inferiore rispetto al valore dei beni locati; un contratto estimatorio mediante il quale la merce di magazzino era immediatamente consegnata all'altra società, con facoltà per quest'ultima di acquistarla per sè, venderla a terzi o restituirla alla controparte; una cessione di contratti relativi a beni oggetto di locazione finanziaria detenuti dalla stessa società cedente).

La differenza tra le due ipotesi di bancarotta semplice previste all'art. 217, comma primo, n. 2 e 3 l. fall. (relative, rispettivamente, alla consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti ed al compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento) risiede nel fatto che la prima fattispecie riguarda operazioni “in genere”, aventi ad oggetto il patrimonio dell'imprenditore, consumato, in notevole parte, in operazioni aleatorie od economicamente scriteriate, il cui effetto conclusivo è la diminuzione della garanzia generica dei creditori, costituita proprio dal patrimonio del debitore, ai sensi dell'art. 2740 c.c.; la seconda ipotesi riguarda, invece, operazioni finalisticamente orientate a ritardare il fallimento, ma ad un tempo caratterizzate da grave avventatezza o spregiudicatezza, che superino i limiti dell'ordinaria “imprudenza”, che, secondo la comune logica imprenditoriale, può a volte giustificare il ricorso, da parte dell'imprenditore che versi in situazione di difficoltà economica, ad iniziative “coraggiose”, da extrema ratio, ma ragionevolmente dotate di probabilità di successo, al fine di scongiurare il fallimento. Inoltre, mentre la seconda ipotesi, per via dell'anzidetta finalizzazione che la connota, ha certamente carattere doloso, la prima è, invece, punibile a titolo di colpa.

Cass. pen. n. 20729/2003

In tema di bancarotta semplice per omessa tenuta delle scritture contabili (art. 217, comma 2, l. fall.), l'art. 7, comma 4 ter, L. n. 489 del 1994 — prevedendo che la tenuta della contabilità può essere effettuata mediante il sistema informatico — non esime l'amministratore della società dall'adempimento degli obblighi di legge, relativi alla tenuta dei libri contabili e, quindi, dall'obbligo del puntuale aggiornamento dell'esercizio corrente, della veridicità delle singole attestazioni dei libri contabili nonché da quello della loro conservazione, preordinata alla consultazione degli stessi. Ne consegue che la perdita dello strumento informatico, anche se dovuta ad un intervento esecutivo posto in essere dai creditori per acquisire il valore commerciale del computer, non determina il venir meno dell'obbligo di conservazione dei libri e delle scritture contabili, ma semplicemente la necessità di modificarne le modalità di conservazione, provvedendo al loro immediato trasferimento su carta o su altro computer; l'omissione di tale adempimento integra il delitto di bancarotta semplice documentale.

Cass. pen. n. 8932/2000

In tema di bancarotta semplice documentale, la mancanza di specifica ed esplicita indicazione, nel capo di imputazione, delle scritture, non tenute o non regolarmente tenute, non comporta alcuna genericità dello stesso, dal momento che le scritture cui si fa riferimento sono quelle rese obbligatorie dal codice civile.

Nel reato di bancarotta semplice documentale, la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non deve ricomprendere l'intero periodo di tre anni precedenti alla dichiarazione di fallimento, ma il reato sussiste anche se il comportamento anzidetto venga tenuto, durante il periodo di tempo indicato, per un arco temporale inferiore ai tre anni atteso che la possibilità di ricostruzione contabile del patrimonio del fallito è attività ricognitiva che presuppone non solo che i libri e le scritture contabili siano tenuti correttamente, ma anche che essi siano tenuti con regolarità e completezza, e cioè senza omissioni o lacune, in modo da rispecchiare, fedelmente ed in maniera continuativa, la dinamica contabile ed aziendale nel periodo di tempo preso in considerazione dalla norma incriminatrice.

Cass. pen. n. 4727/2000

In tema di bancarotta semplice documentale, è punito il comportamento omissivo del fallito che non ha tenuto le scritture contabili. Trattasi di reato di pericolo presunto che, mirando ad evitare che sussistano ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito, persegue la finalità di consentire ai creditori l'esatta conoscenza della consistenza patrimoniale, sulla quale possano soddisfarsi. La fattispecie, pertanto, consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all'imprenditore dall'art. 2214 c.c.), integra un reato di pura condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori; peraltro, l'obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno se l'azienda non ha formalmente cessato la attività, anche se manchino passività insolute; esso viene meno solo quando la cessazione della attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese

In tema di bancarotta semplice documentale, essendo la pena accessoria prevista dall'art. 217 l. fall. determinata solo nel massimo, essa deve, ai sensi dell'art. 37 c.p., avere durata eguale a quella della pena principale inflitta.

Cass. pen. n. 7598/1999

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 217 comma primo n. 4 legge fallimentare, per violazione del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione, sotto il profilo della mancanza di tipicità dei comportamenti sanzionati. Invero, la norma indica concreti elementi atti a specificare sufficientemente la condotta incriminata, tanto sotto il profilo oggettivo, quanto sotto quello soggettivo, con la conseguenza che gli indicati parametri costituzionali risultano rispettati.

Cass. pen. n. 13601/1989

La L. 7 agosto 1982, n. 516 (norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto) non ha abrogato né espressamente né implicitamente l'art. 217 legge fallimentare, poiché, in tema di bancarotta semplice documentale, il richiamo ai libri previsti dalla legge, di cui al menzionato art. 17 si riferisce agli obblighi regolati dall'art. 2214 cod. civ. e non alle scritture contabili previste dalle leggi fiscali. Ne deriva che la norma incriminatoria di cui all'art. 217 cit. non si estende alla omessa tenuta di scritture contabili prescritte a fini esclusivamente fiscali e la tenuta di queste ultime non esonera l'imprenditore dell'obbligo delle scritture previste dal codice civile.

Cass. pen. n. 5404/1984

Il giudice penale non può, in contrasto con quanto definitivamente accertato in sede civile, qualificare l'imputato piccolo imprenditore commerciale e ritenerlo, in quanto tale, non soggetto all'obbligo della tenuta delle scritture contabili. Ciò in quanto la qualifica di imprenditore commerciale, riconosciuta con la sentenza dichiarativa di fallimento passata in giudicato, costituisce una pregiudiziale riservata alla competenza del giudice civile, la cui decisione fa stato in sede penale in base al disposto dell'art. 21 c.p.p.

Cass. pen. n. 9575/1975

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) e, in particolare, dell'art. 217 della stessa legge, in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Cass. pen. n. 660/1967

Il reato di bancarotta semplice, per omessa tenuta dei libri, prescritti proprio a tutela degli interessi patrimoniali dei creditori, offende, sia pure indirettamente, il patrimonio e conseguentemente ad esso non è applicabile la diminuente della spontanea attività riparatrice, prevista nella seconda ipotesi dell'art. 62 n. 6 c.p.

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