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Articolo 574 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Sottrazione di persone incapaci

Dispositivo dell'art. 574 Codice Penale

Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la responsabilità genitoriale(1), al tutore [346], o al curatore [424], o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la responsabilità genitoriale(1), del tutore o del curatore [120], con la reclusione da uno a tre anni.

Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso, per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio(2).

Si applicano le disposizioni degli articoli [525] e [544] [c.p.p. 689](3).

Note

(1) Il riferimento alla responsabilità genitoriale è stato inserito dall'art. 93, comma 1, lett. p), del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.
(2) A differenza del comma primo, affinché possa dirsi integrata tale ipotesi criminosa è necessario che vi sia stato il dissenso del minore.
(3) Gli artt. 525 e 544 sono stati abrogati rispettivamente dall'art. 1, l. 15 febbraio 1996, n. 66 e dalla l. 5 agosto 1981, n. 442.

Ratio Legis

Si tratta di un reato plurioffensivo, in quanto qui il legislatore ha voluto tutelare non solo la responsabilità genitoriale, ma anche il diritto del minore a vivere nel proprio ambiente.

Spiegazione dell'art. 574 Codice Penale

Il bene giuridico oggetto di tutela è la potestà dei genitori (ad oggi responsabilità genitoriale), offesa da coloro che, approfittando del consenso del minore, rendano impossibili il normale svolgimento del compito di ogni genitore.

Il dissenso del genitore può anche presumersi in base alle circostanze ed alle modalità della sottrazione, tenendo comunque conto di tutte le circostanze, delle particolari condizioni dell'ambiente familiare, delle abitudini e delle consuetudini in cui vive il minore.

Il reato si consuma nel momento in cui viene interrotto di fatto il vincolo di soggezione con l'altro genitore, indipendentemente dal fine perseguito dal soggetto agente o dal minore.

A differenza dell'articolo precedente (art. 573), la norma in esame punisce la sottrazione di un minore di anni quattordici o di un incapace, dei quali il legislatore presume l'incapacità di prestare il proprio consenso all'allontanamento volontario dall'altro genitore (o tutore, curatore ecc.).

Difatti, il secondo comma prevede la medesima pena nei confronti di chi sottragga il minore o l'incapace contro la loro volontà, equiparando di fatto le due situazioni.

///SPIEGAZIONE ESTESA

La norma in esame punisce chi, volontariamente, allontani un minore di quattordici anni o un infermo di mente da chi eserciti verso di lui la responsabilità genitoriale, la tutela o la cura, oppure ne abbia la custodia; oppure chi trattenga il minore, nella consapevolezza di agire contro la volontà dei suddetti soggetti. È, altresì, punito per il reato in esame, chi, volontariamente, sottragga o trattenga un minore che abbia compiuto i quattordici anni, per un fine diverso da quello di libidine o di matrimonio.

La condotta tipica può essere di tre tipi. Essa può, innanzitutto, consistere negli atti con cui un minore degli anni quattordici o un infermo di mente, sia allontanato dalla sfera di direzione, tutela, cura o custodia, senza il consenso del genitore esercente la responsabilità genitoriale, del tutore, del curatore o di chi ne abbia la vigilanza o la custodia. La condotta criminosa può, però, concretizzarsi anche negli atti con cui un minore degli anni quattordici o un infermo di mente venga trattenuto al di fuori del luogo in cui dovrebbe ritornare, contro la volontà di chi eserciti su di esso la responsabilità genitoriale, la tutela, la curatela o ne abbia la custodia o la vigilanza. Ai sensi del secondo comma, infine, è punito per il reato in esame anche chi, senza il suo consenso, sottragga o trattenga un minore che abbia, però, compiuto i quattordici anni, per un fine diverso da quello di libidine o di matrimonio.
È, peraltro, opportuno osservare come, mentre in quest'ultima ipotesi è richiesta espressamente la mancanza del consenso del soggetto passivo, nelle prime due tale condizione non è necessaria poiché, in ogni caso, l'eventuale consenso di un minore dei quattordici anni non sarebbe valido.

È un reato permanente che si caratterizza da un'azione iniziale di sottrazione del minore o dell'infermo di mente, e dal successivo protrarsi della situazione antigiuridica, attraverso una condotta sempre attiva di controllo sul soggetto passivo, oltre che dalla possibilità, per l'agente, di porre fine in ogni momento al comportamento antigiuridico.

Oggetto materiale del reato è la persona del minore degli anni quattordici o dell'infermo di mente, oppure del minore che abbia compiuto quattordici anni ma non sia consenziente, nel caso di cui al comma 2, a cui sia rivolta la condotta criminosa.

Il delitto si considera consumato nel momento in cui si realizza l'evento tipico, il quale consiste nell'interruzione di fatto del vincolo di soggezione che che lega il soggetto passivo al genitore esercente la responsabilità genitoriale, al tutore, al curatore o chi ne abbia la custodia o la vigilanza.
Si può configurare il tentativo nel caso in cui l'evento non si verifichi, nonostante l'agente abbia posto in essere atti idonei e non equivoci.

Ai fini della configurazione del reato in esame è sufficiente che sussista, in capo all'agente, il dolo generico, quale volontà di sottrarre o trattenere un minore o un infermo di mente, con la consapevolezza di agire senza il consenso o contro la volontà del genitore esercente la responsabilità genitoriale, del tutore, del curatore o di chi ne abbia la custodia o la vigilanza, e, nel caso di cui al secondo comma, anche senza il consenso del minore che abbia compiuto quattordici anni. In quest'ultima ipotesi è, altresì, richiesto che il soggetto attivo non abbia agito per un fine di libidine o di matrimonio.

Il reato è punibile a querela del genitore, del tutore o del curatore.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA


Massime relative all'art. 574 Codice Penale

Cass. pen. n. 31927/2019

In tema di reati contro la famiglia, integra il delitto previsto dall'art. 574-bis cod. pen. la condotta del genitore che porti con sé all'estero il figlio minore senza il consenso del coniuge, impedendo a quest'ultimo l'esercizio delle prerogative genitoriali, anche qualora il trattenimento all'estero sia di breve periodo. (In motivazione, la Corte ha chiarito che il decorso di un tempo rilevante non rientra tra gli elementi oggettivi del reato, ma costituisce elemento caratterizzante la diversa fattispecie di cui all'art. 574 cod. pen.).

Cass. pen. n. 28561/2018

Integra il reato di cui all'art. 574 cod. pen. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga a quest'ultimo il figlio per un periodo di tempo significativo, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente d'abituale dimora. (Fattispecie relativa alla sottrazione di minore da parte della madre che portava la figlia per un periodo di circa quindici giorni in una località ignota al padre, affidatario in via esclusiva, interrompendo ogni contatto tra quest'ultimo e la figlia).

Cass. pen. n. 44260/2013

È configurabile il tentativo nel delitto di sottrazione di incapaci a condizione che gli atti compiuti siano idonei a creare una situazione di pericolo attuale di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice. (Fattispecie in cui l'agente, presentatosi presso una scuola elementare, aveva chiesto con insistenza la consegna di un minore, asserendo falsamente di essere stato incaricato dai genitori impossibilitati a provvedervi e non era riuscito nel suo intento per l'opposizione della insegnante).

Cass. pen. n. 8076/2012

Il rifiuto di consegna di un minore da parte di uno dei genitori - o di colui che per conto di questi esercita la potestà (nella specie, la nonna) - all'altro, non integra il reato di sottrazione di persona incapace se il trattenimento del minore sia stato limitato a poche ore.

Cass. pen. n. 48744/2011

È integrata la fattispecie di sequestro di persona a scopo di estorsione, e non quella di cui all'art. 574 c.p., qualora, mediante una "abductio" o una ritenzione violenta o fraudolenta, "l'infans" o "l'amens" siano sottratti alla custodia o vigilanza del legale rappresentante e sottoposti ad uno stato di cattività, allo scopo di conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione. (Nella specie, la S.C. ha configurato il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione in danno di un bambino di cinque mesi, rilevando che l'art. 630 c.p. è diretto a preservare la libertà personale del soggetto la cui inviolabilità è stabilita dall'art. 13 Cost., mentre il delitto previsto dall'art. 574 c.p. risulta introdotto dall'ordinamento al solo fine di tutelare la potestà genitoriale, come è dimostrato dalla sua collocazione normativa).

Cass. pen. n. 37321/2008

La condotta di uno dei genitori integra il reato di cui all'art. 574 c.p. qualora, contro la volontà dell'altro, egli sottragga il figlio per un periodo di tempo rilevante, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente d'abituale dimora.

Cass. pen. n. 21954/2008

Il delitto di sequestro di persona può concorrere con quello di sottrazione d'incapaci, a condizione, però, che, trattandosi di fatto commesso nei confronti di minore infraquattordicenne, possa in concreto affermarsi che si sia in presenza di una limitazione della libertà del minore rispetto alla quale quest'ultimo, avendo acquistato una sufficiente capacità di esprimersi, abbia verbalmente o in altro modo manifestato il proprio dissenso. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto, senza verificare la sussistenza della predetta condizione, la configurabilità del reato di sequestro di persona, in concorso con quello di sottrazione d'incapace, in un caso in cui il sequestrato sarebbe stato un bambino di soli 18 mesi d'età, sottratto dal padre alla madre da cui viveva separato ).

Cass. pen. n. 8577/2006

È configurabile il concorso formale tra il reato di sottrazione di minori, previsto dall'art. 574 c.p., e quello di elusione di provvedimenti del giudice concernenti l'affidamento di minori, attesa la differenza dei rispettivi elementi strutturali che esclude il rapporto di specialità, dal momento che la prima delle suindicate fattispecie, mirando a tutelare il legame fra minore e genitore, si incentra sulla cesura di tale legame che si realizza mediante la sottrazione, mentre l'altra ha il suo «accento» sulla elusione del provvedimento del giudice.

Cass. pen. n. 1275/2004

Non vi è concorso tra il delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e quello di sottrazione di persone incapaci, puniti rispettivamente dagli artt. 388 e 574 c.p., quando l'agente disattende un ordine del giudice avente ad oggetto esclusivo la consegna di un minore a persona che su di lui eserciti la potestà di genitore, poiché il reato di sottrazione è assorbito in tal caso da quello di mancata esecuzione del provvedimento giudiziale.

Cass. pen. n. 20950/2003

L'art. 574 c.p. configura un reato contro la famiglia, plurioffensivo in quanto lede non soltanto il diritto di chi esercita la patria potestà, ma anche quello del figlio a vivere secondo le indicazioni e determinazioni del genitore stesso. Ed infatti il reato si commette anche disponendo del minore in contrasto con l'autorità di chi esercita la potestà di genitore su di lui e con i connessi poteri di custodia e di vigilanza, conducendolo o trattenendolo in luogo non autorizzato, senza il consenso, espresso o tacito, dei genitori. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurarsi il reato nella condotta dell'imputato che, del tutto sconosciuto al bambino ed ai suoi genitori, lo aveva prelevato dal luogo in cui questi ultimi lo avevano mandato insieme con il fratello conducendo con sè sulla propria autovettura, sia pure con lo scopo di offrirgli un gelato, e ritenendo che ciò sia avvenuto senza il consenso quantomeno presunto dei genitori).

Cass. pen. n. 19520/2003

Le norme di cui agli artt. 388 e 574 c.p., che prevedono rispettivamente il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e quello di sottrazione di persona incapace non danno luogo ad un concorso di norme governato dal principio di specialità (art. 15 c.p.), tutelando le suddette fattispecie obiettività giuridiche diverse, che si realizzano congiuntamente quando con la stessa condotta vengono violate entrambe le norme.

Cass. pen. n. 28863/2002

In tema di sottrazione di minori, poiché il principale bene giuridico tutelato dall'art. 574 c.p. è la potestà genitoriale, in mancanza di uno specifico provvedimento giudiziario che affidi i figli in via esclusiva a uno dei genitori, è configurabile il delitto di cui all'art. 574 c.p. da parte di uno dei genitori nei confronti dell'altro, sia nel caso di sussistente matrimonio sia nell'ipotesi di famiglia di fatto.

Cass. pen. n. 11415/2002

Risponde del delitto di sottrazione di persona incapace (art. 574 c.p.) il genitore che, senza consenso dell'altro, porta via con sé il figlio minore, allontanandolo dal domicilio stabilito, ovvero lo trattiene presso di sé, quando tale condotta determina un impedimento per l'esercizio delle diverse manifestazioni della potestà dell'altro genitore, come le attività di assistenza e di cura, la vicinanza affettiva, la funzione educativa, identificandosi nel regolare svolgimento della funzione genitoriale il principale bene giuridico tutelato dalla norma.

Cass. pen. n. 38438/2001

Il delitto di sequestro di persona può concorrere con quello di sottrazione di persona incapace, atteso che le due fattispecie tutelano beni giuridici e diritti soggettivi distinti (la libertà di movimento, per quanto attiene al reato di cui all'art. 605 c.p., ed il diritto dell'affidatario dell'incapace di mantenere il predetto sotto la propria custodia, per quanto riguarda il delitto di cui all'art. 574 dello stesso codice) e solo occasionalmente coincidenti nella stessa condotta antigiuridica.

Cass. pen. n. 7836/1999

Affinché la condotta di uno dei due coniugi possa integrare l'ipotesi criminosa prevista dall'art. 574 c.p., è necessario che il comportamento dell'agente porti a una globale sottrazione del minore alla vigilanza dell'altro, così da impedirgli la funzione educativa e i poteri inerenti all'affidamento, rendendogli impossibile l'ufficio che gli è stato conferito dall'ordinamento nell'interesse del minore stesso e della società.

L'elemento soggettivo del reato di sottrazione di persone incapaci, che ha natura permanente, consiste nella coscienza e volontà di sottrarre il minore, nel senso che l'agente deve avere la consapevolezza che il suo comportamento realizza una situazione antigiuridica mediante la ritenzione dell'incapace, attuata con un comportamento sempre attivo diretto a mantenere l'esclusivo suo controllo sullo stesso. (Fattispecie in tema di sottrazione di un minore da parte di un coniuge in danno dell'altro coniuge).

Cass. pen. n. 2620/1993

Le norme di cui agli artt. 388 e 574 c.p., che prevedono rispettivamente il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e quello di sottrazione di persona incapace non danno luogo ad un concorso di norme governato dal principio di specialità (art. 15 c.p.). Ed infatti il primo reato è caratterizzato dalla elusione di un provvedimento del giudice, mentre il secondo è qualificato da un'incidenza su un rapporto di cui il minore è parte e che si collega alla patria potestà o ad altre situazioni particolari. Le diverse componenti delle fattispecie sono indicative di offese diverse, che si realizzano congiuntamente quando con la stessa condotta vengono violate entrambe le norme.

Cass. pen. n. 9538/1992

Integra gli estremi del delitto di cui all'art. 574 c.p. (sottrazione di persone incapaci), e non quelli di cui all'art. 605 stesso codice (sequestro di persona), il fatto di chi sottrae un minore degli anni quattordici al genitore — nella specie di un neonato alla madre — mediante rapimento. Infatti, il concetto di libertà personale, di cui all'art. 605 citato, deve essere interpretato come libertà di locomozione, libertà fisica, di movimento in uno spazio fisico, non come diritto di vivere in un certo ambiente, di realizzare la propria personalità nell'habitat naturale: tale diritto trova tutela nell'art. 574 c.p., che punisce un reato appartenente alla categoria dei delitti contro la famiglia, da considerarsi plurioffensivo, in quanto lede non soltanto il diritto di chi esercita la potestà (che è potere-dovere) del genitore, ma altresì quello del figlio a «vivere nell'habitat naturale» secondo le indicazioni e determinazioni del genitore stesso.

Cass. pen. n. 4515/1990

L'attribuzione della potestà sui figli minori congiuntamente ad entrambi i genitori, che la esercitano di comune accordo, non esclude la configurabilità del reato di cui all'art. 574 c.p. a carico di colui, dei due genitori, che sottragga il minore all'altro, cui sia stato legalmente affidato.

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GIOVANNI R. chiede
lunedì 15/06/2015 - Marche
“SE UN RAGAZZO DI ANNI 18 (MAGGIORENNE) FA SALIRE IN MACCHINA UNA RAGAZZA DI 15 ANNI SENZA LA VOLONTA' DEI GENITORI DELLA MINORENNE, E' PERSEGUIBILE PENALMENTE?
IL GENITORE DELLA MINORENNE COSA PUO' FARE LEGALMENTE PER IMPEDIRE IL FATTO?”
Consulenza legale i 17/06/2015
La risposta al quesito proposto, nei termini esposti, è negativa, fintantoché il fatto di "salire in auto" con un maggiorenne sia voluto dalla minore (in altre parole, ella deve essere consenziente), nell'ambito di un rapporto di amicizia o affettivo (l'età dei due ragazzi fa presumere questa circostanza).

Il minore degli anni 18, in particolare se ha più di 14 anni, può legalmente prendere alcune decisioni che attengono alla sua sfera personale, come quella, ad esempio, di prestare il consenso a rapporti sessuali. L'art. 609 quater c.p., infatti, reputa non penalmente punibile il maggiorenne che abbia rapporti intimi con chi abbia più di 14 anni anni e meno di 16 e sia consenziente, tranne nei casi in cui il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza (si pensi al caso dell'insegnante che ha rapporti con lo studente).

Il genitore che non approvi le frequentazioni della figlia minorenne non può accusare penalmente il maggiorenne che intrattenga un rapporto affettivo con essa solo in base a tale fatto, salvo che questi commetta un autonomo reato.
Tra i reati che si possono ipotizzare vi è, ad esempio, la circonvenzione di persone incapaci (art. 643 del c.p.), che punisce chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso (ad esempio, ciò può avvenire se la minore è indotta a fare uso di droghe).
Oppure, la sottrazione di persona incapaci (art. 574 del c.p.), che si configura solo in capo a colui che sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di questo.

Naturalmente, è nell'interesse dei genitori, oltre che per motivi evidentemente affettivi, che la figlia minore non commetta atti dannosi per sé o per gli altri, in quanto, ai sensi dell'art. 2048 del c.c., il padre e la madre sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati che abitano con essi. Il genitore deve adottare tutte le strategie educative necessarie affinché il figlio minorenne non si renda responsabile di atti illeciti ("[...] la responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 cod. civ., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all’art. 147 cod. civ. e alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti e a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito. Per sottrarsi a tale responsabilità, essi devono pertanto dimostrare di aver impartito al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la prova di circostanze (quali l’età ormai raggiunta dal minore e le esperienze lavorative da lui eventualmente avute) idonee ad escludere l’obbligo di vigilare sul minore, dal momento che tale obbligo può coesistere con quello educativo, ma può anche non sussistere, e comunque diviene rilevante soltanto una volta che sia stata ritenuta, sulla base del fatto illecito determinatosi, la sussistenza della culpa in educando", Cass. 22.4.2009, n. 9556).

I genitori, quindi, possono solo assicurarsi di impartire ai figli la migliore educazione possibile, pretendendo al contempo da essi il rispetto, come sancito dall'art. 315 bis del c.c. ("Il figlio deve rispettare i genitori").

In conclusione, può dirsi che l'argomento sollevato nel quesito è delicato e gli aspetti sociali ed educativi prevalgono in realtà su quelli giuridici.