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Articolo 374 bis Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale

Dispositivo dell'art. 374 bis Codice Penale

(1)Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente(2) in certificati o atti destinati a essere prodotti all'autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all'imputato, al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione.

Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio o da un esercente la professione sanitaria(3).

Note

(1) La disposizione è stata introdotta dall'art. 11, comma terzo, del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, poi convertito in l. 7 agosto 1992, n. 356. Il riferimento alla Corte penale internazionale però è stato inserito dall’art. 10, comma 7, della l. 20 dicembre 2012, n. 237.
(2) Mentre la dichiarazione ha ad oggetto fatti o circostanze provenienti dallo stesso dichiarante l'attestazione raccoglie fatti o intenzioni risalenti ad un terzo. Si tratta comunque di provvedimenti di natura dichiarativa, in quanto la disposizione in esame incrimina condotte solo di falsità ideologica, e non anche materiale, ovvero il documento è in sé e per sé genuino (non contraffatto né alterato), ma contiene dichiarazioni mendaci.
(3) Si tratta di una circostanza aggravante, data l'identità di condotte incriminate, che si differenziano solo per le qualità soggettive del reo.

Ratio Legis

La norma è stata introdotta al fine di dare copertura fatti che non erano in precedenza punibili, tutelando così la genuinità dei documenti su cui poggia il buon funzionamento della giustizia.

Spiegazione dell'art. 374 bis Codice Penale

La norma è diretta a tutelare l'interesse della collettività al corretto funzionamento della giustizia.

Il delitto si configura tramite l'esecuzione di attività di documentazione, risultante da certificati o da atti, di circostanze non rispondenti al vero, e richiede che la suddetta attività documentativa sia realizzata con la finalità specifica della destinazione ad essere prodotta all'autorità giudiziaria, perché eventualmente ne possano derivare effetti favorevoli per l'interessato.

Trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente la mera formazione della falsa documentazione, senza la necessità che il destinatario di essa venga effettivamente tratto in inganno o che vi siano, in generale, conseguenza dannose.

Inoltre, è del tutto irrilevante che i documenti prodotti siano rappresentati da atti pubblici, certificati, scritture private o altro, dovendosi avere esclusivo riguardo alla loro idoneità a fungere da elemento probatorio.

Massime relative all'art. 374 bis Codice Penale

Cass. pen. n. 14917/2023

Sussiste concorso materiale di reati, e non rapporto di specialità, tra il delitto di falsità materiale commessa dal privato in atto pubblico e quello di false dichiarazioni od attestazioni in atti destinati all'Autorità giudiziaria, in quanto il primo fa apparire come venuto ad esistenza un atto che, in realtà, non è stato mai formato, mentre il secondo, posto a presidio del corretto funzionamento della giustizia, si traduce in un falso ideologico commesso da privato.

Cass. pen. n. 2967/2020

Il reato di cui all'art. 374-bis cod. pen. è posto a presidio del corretto funzionamento della giustizia, essendo finalizzato ad impedire l'emanazione di provvedimenti giurisdizionali sulla base di presupposti contenuti in dichiarazioni provenienti da privati a contenuto mendace, sicché non è rilevante l'autenticità materiale dell'atto, ma la falsità dei suoi contenuti e l'idoneità dello stesso ad adempiere alla funzione probatoria cui è preordinato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il reato in relazione alla falsificazione della data di una documentazione sanitaria, prodotta in giudizio al fine di avvalorare l'assunto che l'agente, al quale si contestava di aver partecipato ad una rapina, lo stesso giorno si trovasse in altra città per essere sottoposto all'accertamento medico indicato nella falsa certificazione).

Cass. pen. n. 31599/2017

Integra il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria di cui all'art. 374-bis cod. pen. la falsa dichiarazione, proveniente dal condannato, in ordine a "condizioni" o "qualità personali" rilevanti nell'ambito del procedimento di riabilitazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che la falsa dichiarazione di non essere in condizioni di adempiere alle obbligazioni nascenti dal reato, pur non avendo efficacia probatoria, impedisce al Tribunale di sorveglianza di pronunciare immediatamente sull'istanza, in tal modo pregiudicando il buon andamento dell'amministrazione giudiziaria).

Cass. pen. n. 23547/2016

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 374 bis cod. pen. (false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati alla autorità giudiziaria), deve aversi riguardo non all'autenticità materiale dell'atto ma all'inveridicità dei suoi contenuti e all'idoneità dello stesso ad adempiere alla funzione probatoria cui è preordinato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva ricondotto al reato previsto dall'art. 374 bis cod. pen. la condotta dell'imputato che, già in stato di detenzione domiciliare, aveva prodotto al magistrato di sorveglianza una dichiarazione materialmente falsa, apparentemente proveniente dal proprio datore di lavoro, relativa ai propri orari lavorativi, al fine di ottenere una estensione del periodo di autorizzazione ad assentarsi dal domicilio).

Cass. pen. n. 13425/2016

Il reato di cui all'art. 374 bis cod. pen., se aggravato dal fatto di essere stato commesso da un pubblico ufficiale, si pone in rapporto di specialità rispetto al delitto di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici, in quanto si differenzia da questo per la destinazione dell'atto all'autorità giudiziaria.

Cass. pen. n. 6062/2015

Il delitto previsto dall'art. 374 bis cod.pen. costituisce reato di pericolo che si consuma anche a prescindere dalla presentazione della documentazione all'autorità giudiziaria, a condizione che la destinazione delle false dichiarazioni ad essere prodotte all'A.G. possa essere desunta dal giudice da ogni elemento emergente dalla situazione concreta esaminata, sia testuale che contestuale.

Cass. pen. n. 29262/2011

Integra il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria (art. 374 bis c.p.), la donazione di titoli di credito destinati a non essere incassati - depositato in allegato ad atto di appello avverso sentenza di condanna per corruzione - in quanto l'attestazione notarile della donazione conferisce ad essa natura di atto pubblico e dalla falsità dell'esistenza della provvista discende la falsità di quanto compiuto dinanzi al notaio, inoltre, si tratta di atto falso che ha avuto sin dalla nascita la naturale destinazione al suo impiego in sede giudiziaria, sia pure non diretta in modo esclusivo verso uno specifico e predeterminato obiettivo fraudolento. (Nella specie la S.C. ha censurato la decisione con cui il Tribunale del riesame ha annullato l'ordinanza applicativa di misura di custodia cautelare in carcere, escludendo, tra gli altri, la configurabilità del reato di cui all'art. 374 bis c.p., per l'insussistenza della natura di atto pubblico della donazione simulata, poiché faceva fede della consegna degli assegni ma non del fatto che sarebbero stati incassati e negando che un atto compiuto nel 2004 fosse destinato alla produzione in un processo penale, cinque anni dopo).

Cass. pen. n. 5284/2011

Ai fini della configurabilità del delitto di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria, rientrano nella previsione della norma incriminatrice la certificazione di dati clinici non veri o l'attestazione di condizioni inesistenti, mentre nessun rilievo possono assumere gli apprezzamenti e le valutazioni che un medico abbia compiuto relativamente alla gravità delle condizioni cliniche del soggetto esaminato, traendone un giudizio di incompatibilità con il regime carcerario. (Fattispecie relativa a valutazioni compiute da un consulente tecnico di parte in merito al livello di gravità e al rischio di aggravamento della patologia oculare di un soggetto detenuto).

Cass. pen. n. 42928/2010

Sussiste la causa di giustificazione dello stato di necessità nell'ipotesi in cui il soggetto che abbia reso alla polizia giudiziaria sommarie informazioni, in ordine agli autori di un reato oggetto di investigazioni, successivamente le ritratti in seguito alle minacce alla propria incolumità fisica rivoltegli da soggetti appartenenti al medesimo ambiente mafioso di quelli da lui accusati nelle precedenti dichiarazioni.

Cass. pen. n. 19802/2009

Integra il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria non solo la falsa diagnosi di patologie inesistenti, ma anche la falsa diagnosi di una maggiore gravità di patologie esistenti. (Fattispecie in cui un consulente medico psichiatra e un dirigente di un istituto carcerario, d'intesa con un detenuto, hanno attestato patologie inesistenti ai fini della dichiarazione di incompatibilità con il regime carcerario).

Cass. pen. n. 30193/2006

Il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria, previsto dall'art. 374 bis c.p., sanziona una pluralità di condotte tutte rientranti nello schema della falsità ideologica, dovendo escludersi che vi siano ricomprese anche ipotesi di falsità materiale. (Nel caso di specie, la Corte non ha ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 374 bis c.p., bensì quello di falsità materiale, in relazione alla formazione e produzione in giudizio di un falso certificato di morte, grazie al quale l'imputato aveva ottenuto la declaratoria di estinzione del reato ex art. 531 c.p. pen.).

Cass. pen. n. 14964/2004

La falsità della dichiarazione sostitutiva di notorietà allegata all'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per comprovare lo stato di non abbienza, integra il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) e non quello di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria (art. 374 bis c.p.), posto che nella suddetta falsità il legislatore non ha ravvisato un pericolo per il corretto svolgimento dell'attività giudiziaria vera e propria, avendo il procedimento di cui alla legge 30 luglio 1990 n. 217 natura accessoria rispetto al processo, quanto un attentato alla fede pubblica documentale.

Cass. pen. n. 44745/2003

Nella fattispecie criminosa prevista dall'art. 374 bis c.p., la destinazione delle false dichiarazioni, o attestazioni, sulle condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro, ad essere prodotti all'autorità giudiziaria, può essere desunta dal giudice da ogni elemento emergente dalla situazione concreta esaminata, sia testuale, che contestuale. La ricostruzione e la valutazione del giudice di merito non sono sindacabili in sede di legittimità, quando sono motivate in maniera non manifestamente illogica.

Cass. pen. n. 10123/2002

In tema di falsità personale, deve ritenersi punibile ai sensi dell'art. 495 c.p. (falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sull'identità o su qualità personali proprie o di altri) e non dell'art. 374 bis c.p. (false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria), la condotta di chi allo scopo di essere ammesso a colloquio con un detenuto, dichiari falsamente di essere legato a quest'ultimo da un rapporto di convivenza. (La Corte nell'affermare il principio, ha precisato che la tutela penale della fede pubblica deve intendersi estesa, oltre che ai connotati della persona che valgono in ogni caso ad integrare la sua identità o il suo status, anche ad ogni altro aspetto cui una determinata norma colleghi effetti giuridici).

Cass. pen. n. 32962/2001

Il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria previsto dall'art. 374 bis c.p. si configura quando l'attività di documentazione di circostanze non rispondenti al vero è destinata all'autorità giudiziaria — senza che sia necessaria la effettiva presentazione e il conseguimento dello scopo — e sempre che si tratti di scritti i quali, ancorché non provenienti da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, abbiano efficacia dichiarativa di determinati fatti rilevanti nell'ambito del procedimento penale, e si riferiscano a «condizioni» o «qualità personali», tra le quali rientra anche la qualità di imputato in altro procedimento. (In applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto correttamente affermata la penale responsabilità per il reato in questione di un soggetto il quale, allo scopo di ottenere il rinvio della trattazione di un procedimento penale a suo carico, aveva fatto trasmettere al giudice procedente, da altro complice, una comunicazione via fax, facendola apparire proveniente da uno studio legale, con la quale si informava che il suindicato soggetto avrebbe dovuto presentarsi nello stesso giorno, contrariamente al vero, davanti ad altra autorità giudiziaria in qualità di imputato).

Cass. pen. n. 1789/1998

Nella fattispecie criminosa di cui all'art. 374 bis c.p., l'elemento oggettivo si riferisce all'attività di documentazione, risultante da certificati o da atti, di circostanze non rispondenti al vero e richiede che la suddetta attività documentativa sia realizzata con la finalità specifica della destinazione ad essere prodotta all'autorità giudiziaria, perché eventualmente ne possano derivare effetti favorevoli all'interessato. Trattandosi di reato di pericolo, esso si perfeziona, innanzitutto, per la sola formazione della falsa documentazione, qualora la destinazione dell'atto all'autorità giudiziaria risulti in modo specifico ed univoco dal contesto dell'atto medesimo in ragione del suo tenore oggettivo; in tal caso non occorre anche che la documentazione risulti effettivamente presentata all'autorità giudiziaria, né che lo scopo della utilizzazione giudiziaria sia quello esclusivo dell'atto, ben potendo il falso documento essere predisposto anche per finalità concorrenti. Qualora, invece, l'utilizzazione giudiziaria non emerga dall'atto in ragione del suo contenuto espresso, ma abbia costituito comunque la finalità che l'autore consapevolmente abbia inteso dare al documento, allo scopo di stabilire se ricorra la prevista destinazione occorre che questa venga ad essere in concreto attuata, mediante il comportamento concludente della produzione all'autorità giudiziaria, quale condotta consequenziale. (Fattispecie di annullamento con rinvio della decisione con cui il tribunale della libertà ha escluso la sussistenza del reato, in quanto una volta ammesso che il ricovero in clinica era stato pretestuosamente ideato, in base ad una insussistente situazione di urgenza, per sottrarsi ad un procedimento penale in corso, il tribunale avrebbe dovuto accertare se detta finalità era stata anche prevista e voluta dall'autore del falso e dai concorrenti nel reato, per cui la successiva produzione in giudizio della documentazione veniva a dare concreta rilevanza alla originaria, ancorché non esclusiva, destinazione giudiziale).

Cass. pen. n. 3084/1997

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 374 bis c.p. (false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati alla autorità giudiziaria), è del tutto irrilevante che i documenti prodotti all'autorità giudiziaria siano costituiti da atti pubblici, certificati, scritture private o altro, dovendosi solo aver riguardo alla loro idoneità ad adempiere alla funzione probatoria da essi concretamente svolta. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto corretta la configurazione del reato de quo in un caso in cui era stata prodotta all'autorità giudiziaria una dichiarazione di disponibilità all'assunzione di un imputato come dipendente, da parte di un'impresa, recante la firma apocrifa del titolare di quest'ultima).

Cass. pen. n. 3446/1995

La fattispecie di cui all'art. 374 bis c.p. (false dichiarazioni od attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria) si riferisce a due specifiche attività documentative («dichiarare» e «attestare») e a due specie di documenti («certificati» ed «atti»). Con il certificato si dichiarano dati, fatti e situazioni, di cui si ha cognizione aliunde; con l'atto si attestano fatti compiuti da chi attesta o avvenuti in sua presenza ovvero dichiarazioni da lui ricevute. In entrambi i casi, l'attività è di natura documentativa. Ne consegue che nella parte in cui la consulenza tecnica di parte dichiari o attesti dati, qualità, condizioni essa ha natura certificativa o attestativa: pertanto, ove riporti in modo difforme dal vero detti dati, qualità e condizioni, ricade nella previsione della norma incriminatrice di cui all'art. 374 bis c.p. Per la parte invece nella quale la consulenza tecnica di parte svolge valutazioni e formula pareri o giudizi, detta consulenza non rientra nella previsione della norma incriminatrice dell'art. 374 bis c.p., proprio perché essa non può essere compresa nel novero dei «certificati» e degli «atti». (Nel caso di specie era stato contestato il delitto di cui all'art. 374 bis c.p. ad un medico legale, consulente tecnico di parte, per avere «redatto relazioni sanitarie nelle quali si asseriva falsamente che l'imputato era soggetto a patologia claustrofobica incompatibile con il regime carcerario». La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso del P.M. avverso il provvedimento del tribunale che, in sede di riesame di misura cautelare interdittiva, aveva escluso l'ipotizzabilità del delitto in questione in quanto al medico non era stato contestato di avere certificato dati clinici non veri o di avere attestato condizioni inesistenti, ma di avere fatto una valutazione di maggiore gravità delle condizioni morbose del soggetto esaminato e di avere tratto conseguentemente un giudizio di incompatibilità con il regime carcerario).

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Nicola T. chiede
domenica 13/09/2020 - Marche
“In un processo del lavoro per contestare la legittimità di un licenziamento disciplinare la parte datoriale usa come prova regina una relazione investigativa commissionata per verificare la reale percorrenza chilometrica svolta durante le missioni effettuate con la propria auto.
In realtà l’ispettorato del lavoro accerta che la reale motivazione utilizzata dal datore di lavoro per commissionare l’attività investigativa, al fine di darne una parvenza di legittimità giuridica in assenza di allert, era la verifica del corretto utilizzo dei permessi ex art. 33 della legge 104. Pertanto è stato utilizzato un documento in realtà non genuino per tentare di condizionare il giudice. Tale fattispecie può rilevarsi come reato es. quanto previsto dall’art. 374 bis cp? Inoltre potrebbe essere considerato un illecito disciplinare per l’avvocato che ha utilizzato a sostegno delle tesi difensive tale documento ideologicamente falso?”
Consulenza legale i 15/09/2020
La risposta al quesito è negativa.

L’art. 374 bis c.p. punisce solo la condotta specificatamente indicata nel dato normativo e, soprattutto, si applica ai soli procedimenti penali e/o di prevenzione. Tale ultima circostanza lo si evince in modo chiaro dal fatto che il soggetto attenzionato è l’imputato oppure l’ indagato oppure il soggetto sottoposto ad un procedimento di prevenzione.

Dette “qualifiche”, tipiche solo del procedimento penale e di quello di prevenzione, appunto, non possono essere estese all’attore/convenuto di un giudizio del lavoro.

Peraltro, la condotta in esame non sembra affatto che possa assurgere a reato atteso che, nell’ambito di una relazione investigativa, poco rileva la ragione per la quale la stessa viene espletata; assumendo importanza, al contrario, solo il contenuto sulla cui veridicità – che comunque non viene contestata nel caso di specie – poco può esser fatto.

In un caso simile, più che altro, sarebbe utile valutare se porre una questione sull’utilizzabilità, nell’ambito del procedimento del lavoro, di tale relazione, anche alla luce della normativa giuslavoristica che non consente, se non per precise ragioni, di “indagare” sul dipendente.

Per le medesime ragioni di cui sopra, si ritiene che anche la condotta dell’avvocato sia scevra di profili critici dal punto di vista deontologico.