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Articolo 20 bis Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Pene sostitutive delle pene detentive brevi

Dispositivo dell'art. 20 bis Codice Penale

(1)Salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, le pene sostitutive della reclusione e dell'arresto sono disciplinate dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e sono le seguenti:

  1. 1) la semilibertà sostitutiva;
  2. 2) la detenzione domiciliare sostitutiva;
  3. 3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo;
  4. 4) la pena pecuniaria sostitutiva.

La semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all'arresto non superiori a quattro anni.

Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all'arresto non superiori a tre anni.

La pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all'arresto non superiori a un anno.

Note

(1) Disposizione inserita dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia").

Spiegazione dell'art. 20 bis Codice Penale

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
L’attuazione della legge delega comporta una riforma organica delle “sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi”, di cui al Capo III della l. 24 novembre 1981, n. 689.
Tale tipologia di sanzioni si inquadra come è noto tra gli istituti – il più antico dei quali è rappresentato dalla sospensione condizionale della pena – che sono espressivi della c.d. lotta alla pena detentiva breve; cioè del generale sfavore dell’ordinamento verso l’esecuzione di pene detentive di breve durata.


È infatti da tempo diffusa e radicata, nel contesto internazionale, l’idea secondo cui una detenzione di breve durata comporta costi individuali e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi, in termini di risocializzazione dei condannati e di riduzione dei tassi di recidiva.
Quando la pena detentiva ha una breve durata, rieducare e risocializzare il condannato – come impone l’articolo 27 della Costituzione – è obiettivo che può raggiungersi con maggiori probabilità attraverso pene diverse da quella carceraria, che eseguendosi nella comunità delle persone libere escludono o riducono l’effetto desocializzante della detenzione negli istituti di pena, relegando questa al ruolo di extrema ratio. La Costituzione, nel citato articolo 27, parla al terzo comma, al plurale, di “pene” che devono tendere alla rieducazione del condannato. Non menziona il carcere e, comunque, non introduce alcuna equazione tra pena e carcere. La pluralità delle pene, pertanto, è costituzionalmente imposta perché funzionale, oltre che ad altri principi (es., quello di proporzione), al finalismo rieducativo della pena.


In questo contesto, trovano spazio nel sistema le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, introdotte più di quarant’anni fa, dalla legge 689 del 1981, quale rilevante novità per l’ordinamento italiano, ispirata, appunto, alla logica delle alternative al carcere.
L’area della sostituzione della pena detentiva, originariamente individuata nella misura massima di sei mesi, è stata progressivamente estesa, prima, a un anno (nel 1993) e, poi, a due anni (nel 2003).


Nonostante questa progressiva valorizzazione dell’istituto, l’evoluzione del sistema sanzionatorio, nei decenni successivi, è stata tale da rendere nella prassi sempre meno rilevanti le sanzioni sostitutive. Come ha notato la dottrina, l’area della pena sostituibile, infatti, è rimasta sovrapposta a quella della pena sospendibile, rendendo così di fatto le sanzioni sostitutive soluzioni meno praticate dai giudici e meno interessanti per la difesa, anche nel contesto dei riti alternativi.
Entro l’area dei due anni di pena inflitta, patteggiare l’applicazione di una sanzione sostitutiva della reclusione, ad esempio, è di gran lunga meno conveniente rispetto a un patteggiamento subordinato alla sospensione condizionale dell’esecuzione della pena stessa.


Le statistiche del Ministero della Giustizia confermano d’altra parte il successo applicativo della sospensione condizionale della pena: il 50% delle condanne a pena detentiva di qualsiasi ammontare, nel decennio 2011-2021, è infatti rappresentato da condanne a pena sospesa. Per contro, la pressoché irrilevante applicazione delle pene sostitutive di cui all’art. 53 l. n. 689/1981 è testimoniata, emblematicamente, dai dati relativi alla semidetenzione - che ha interessato nel 2021 solo 11 persone - e alla libertà controllata - che ha interessato nello stesso anno solo 540 persone.
Di qui la scelta del legislatore delegante di abolire tali sanzioni sostitutive di introdurre ex novo una disciplina organica.


Nel contesto di un più ampio disegno volto all’efficienza del sistema penale, e al raggiungimento degli obiettivi del P.N.R.R., il Parlamento ha infatti delegato il Governo a rivitalizzare e rivalorizzare le sanzioni sostitutive delle pene detentive, che vengono ora concepite, sin dal nomen iuris, come vere e proprie pene sostitutive: ciò per sottolineare come si tratti di vere e proprie pene, per quanto non edittali.


Invero già la legge 689/1981, nonostante il titolo del Capo III (“sanzioni sostitutive”), in alcune disposizioni parla di “pene sostitutive” (ad es., negli artt. 57 e 58), espressione presente anche nella giurisprudenza costituzionale (v., da ultimo, la sentenza n. 28/2022).
La scelta del legislatore delegato, in linea con lo spirito della legge delega, è di adottare senza indugi la nuova denominazione, più coerente col sistema sanzionatorio e, per quanto si è detto, con la Costituzione.
Si tratta di pene, diverse da quelle edittali (detentive e pecuniarie), irrogabili dal giudice penale in sostituzione di pene detentive, funzionali alla rieducazione del condannato, così come a obiettivi di prevenzione generale e speciale.


La scelta del Parlamento è stata di ampliare notevolmente l’area della pena detentiva breve sostituibile: il limite massimo di due anni di pena detentiva, infatti, viene raddoppiato.
Il concetto di pena detentiva “breve” cambia e si allinea, nel giudizio di cognizione, con quello individuato in sede di esecuzione dall’art. 656, co. 5 c.p.p. Per effetto di interventi legislativi e della Corte costituzionale, infatti, il limite di pena detentiva inflitta fino al quale, di norma, il pubblico ministero deve sospendere l’ordine di esecuzione, dando al condannato la possibilità di chiedere al tribunale di sorveglianza una misura alternativa alla detenzione, è di quattro anni.


Di fatto, la pena detentiva breve, nell’esecuzione penale, è la pena fino a quattro anni, che può essere eseguita ab initio fuori dal carcere, previa concessione di una misura alternativa alla detenzione.
La scelta della l. n. 134/2021 è di allineare il limite massimo della pena sostituibile con quello entro il quale in sede di esecuzione può applicarsi una misura alternativa alla detenzione. Questa scelta comporta due effetti positivi sul sistema:
a) fa venir meno l’integrale sovrapposizione dell’area della pena sospendibile con quella della pena sostituibile, ai sensi della l. n. 689/1981, promettendo così di rivitalizzare nella prassi le pene sostitutive;
b) consente al giudice di cognizione di applicare pene, diverse da quella detentiva, destinate a essere eseguite immediatamente, dopo la definitività della condanna, senza essere ‘sostituite’ con misure alternative da parte del tribunale di sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna stessa (come testimonia l’allarmante fenomeno dei c.d. liberi sospesi).


La riforma, in altri termini, realizza una anticipazione dell’alternativa al carcere all’esito del giudizio di cognizione.
Più in generale, la riforma delle pene sostitutive promette positivi effetti di deflazione processuale e penitenziaria, inserendosi a pieno titolo tra gli interventi volti a migliorare l’efficienza complessiva del processo e della giustizia penale.
Nella prospettiva del processo, la valorizzazione delle pene sostitutive rappresenta, anzitutto, un incentivo ai riti alternativi. Basti pensare all’ampliamento dell’operatività del procedimento per decreto (per effetto del raddoppio – da sei mesi a un anno – del limite di pena detentiva sostituibile con la pena pecuniaria, nonché della possibilità di applicare, con il decreto di condanna, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo), ovvero alla possibilità di patteggiare una pena sostitutiva di una pena detentiva fino a quattro anni, con la garanzia di evitare l’ingresso in carcere.


In secondo luogo, la valorizzazione, tra le pene sostitutive, del lavoro di pubblica utilità, con il quale può essere sostituita la pena detentiva fino a tre anni, concorre alla riduzione delle impugnazioni, essendo prevista dalla legge delega l’inappellabilità delle sentenze di condanna al lavoro di pubblica utilità.
Sempre sul terreno processuale, inoltre, la valorizzazione delle pene sostitutive, irrogabili dal giudice di cognizione, promette una riduzione dei procedimenti davanti al tribunale di sorveglianza, oggi sovraccarichi e incapaci, in molti distretti, di far fronte in tempi ragionevoli alle istanze di concessione di misure alternative, come testimonia il fenomeno dei c.d. liberi sospesi.


L’efficienza della giustizia penale, cui mira la legge delega, non può ragionevolmente essere rapportata al solo processo di cognizione. Se la fase dell’esecuzione penale ha una durata irragionevole, il procedimento penale nel suo complesso non può dirsi certo efficiente. Misure alternative concesse a distanza di anni dall’istanza, e dalla sospensione dell’ordine di esecuzione rappresentano oggi una realtà non infrequente e inaccettabile, per ragioni di efficienza del sistema e, ancor prima, di difesa sociale, di ragionevolezza e di rispetto dei principi costituzionali.


Nella prospettiva del carcere, afflitto da strutturali problemi di sovraffollamento, la riforma delle pene sostitutive promette un significativo impatto, concorrendo alla riduzione del numero dei detenuti per pene brevi. Secondo le statistiche del Ministero della Giustizia, Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, al 31 dicembre 2021 i detenuti per pene inflitte in misura inferiore a quattro anni erano 11.262 su 37.631, pari cioè al 29,9%. Ciò significa che quasi un detenuto ogni tre stava scontando una pena breve. Dei citati 11.262 detenuti, 1.173 stavano scontando una pena fino a un anno; 2.244 una pena compresa tra un anno e due anni; 3.754 una pena compresa tra due anni e tre anni; 4.100 una pena compresa tra tre anni e quattro anni.


Ciò significa che i detenuti per pene inflitte tra i due e i quattro anni – oggi non sostituibili né sospendibili – sono il 70% (7.854) dei detenuti condannati a pena detentiva breve e il 21% del complesso dei detenuti condannati. Tali dati – pur al netto di eventuali condizioni soggettive che possano precludere la sostituzione della pena – rendono evidente il possibile impatto della riforma sulla popolazione penitenziaria e sul problema del sovraffollamento carcerario. Tali dati, in uno con la rivitalizzazione delle pene sostitutive ad opera della presente riforma e con la crescente dimensione applicativa della sospensione del procedimento con messa alla prova, confermano la centralità dell’esecuzione penale esterna e il ruolo fondamentale dell’UEPE.


Il numero delle persone in esecuzione penale esterna ha ormai superato il numero di quelle detenute: a un sistema che per anni ha tradizionalmente conosciuto la centralità del carcere si sta gradualmente sostituendo, in linea con un trend osservabile in altri ordinamenti europei e non, un sistema che assegna un ruolo centrale a misure da eseguirsi nella comunità, con minor sacrificio della libertà personale e dei diritti fondamentali, nonché con maggiori possibilità di rieducazione, reinserimento sociale e riduzione della recidiva, nonché del sovraffollamento carcerario.


L’efficienza e l’effettività di un simile sistema sanzionatorio richiede opportuni investimenti sull’esecuzione penale esterna. In previsione dell’attuazione della legge delega, il Governo ha già provveduto a stanziare risorse necessarie per il raddoppio dell’organico dell’UEPE (art. 17 d.l. 30 aprile 2022, n. 36, recante “Misure di potenziamento dell’esecuzione penale esterna e rideterminazione della dotazione organica dell’Amministrazione per la giustizia minorile e di comunità, nonché autorizzazione all’assunzione”).


La valorizzazione delle pene sostitutive all’interno del sistema sanzionatorio penale, operata della legge delega, rende opportuna l’introduzione nel codice penale di una disposizione di raccordo con l’articolata disciplina delle pene stesse, che continua a essere prevista nella legge 689 del 1981. Per ragioni di economia e di tecnica legislativa, oltre che di rispetto della legge delega, la disciplina delle pene sostitutive non viene inserita nel codice penale, dove nondimeno è opportuno, per ragioni sistematiche, che alla disciplina stessa venga operato un rinvio nella parte generale, trattandosi di pene applicabili alla generalità dei reati.


Per tale ragione si introduce un nuovo art. 20 bis c.p. (“Pene sostitutive delle pene detentive brevi”) – inserito nel Titolo II (Delle pene), Capo I (Delle specie di pene, in generale), dopo la disciplina generale delle pene principali e delle pene accessorie. Scopo della nuova disposizione è di includere espressamente le pene sostitutive nel sistema delle pene, delineato dalla parte generale del codice, richiamando la disciplina della legge 689 del 1981.


Si prevede, in particolare, che “salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge” – come ad es. nel caso degli artt. 16 t.u. immigrazione o 186, co. 9 bis c. strada –, le pene sostitutive della reclusione e dell’arresto sono disciplinate dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Si stabilisce espressamente, in linea con il riformato art. 53 della stessa legge, attuativo della legge delega, che le pene sostitutive sono le seguenti: la semilibertà sostitutiva; la detenzione domiciliare sostitutiva; il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; la pena pecuniaria sostitutiva. In particolare, la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni.


Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni.
La pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno.


Si è ritenuto opportuno denominare le nuove pene sostitutive aggiungendo l’aggettivo “sostitutivo/”: semilibertà “sostitutiva”, detenzione domiciliare “sostitutiva”, lavoro di pubblica utilità “sostitutivo”, pena pecuniaria “sostitutiva”.
Tale denominazione è funzionale a rendere immediatamente distinguibili le predette pene sostitutive da istituti analoghi che, nell’ordinamento, hanno una diversa natura giuridica e disciplina. È il caso delle misure alternative alla detenzione della semilibertà e della detenzione domiciliare, del lavoro di pubblica utilità previsto come pena principale irrogabile dal giudice di pace o disposto nell’ambito della sospensione condizionale della pena o della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, ovvero, infine, è il caso della pena pecuniaria, prevista come pena principale (multa/ammenda).

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