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Articolo 439 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Cambiamento del rito in appello

Dispositivo dell'art. 439 Codice di procedura civile

La Corte di appello (1), se ritiene che il procedimento in primo grado non si sia svolto secondo il rito prescritto, procede a norma degli articoli 426 e 427 (2).

Note

(1) Se la Corte d’appello ritiene che il giudizio sia stato svolto erroneamente con il rito ordinario anziché con quello speciale, procede a fissare l’udienza di discussione di cui all’art. 420 del c.p.c., assegnando alle parti un termine perentorio entro cui poter integrare le rispettive difese. Il mutamento di rito comporta per il collegio il dovere di procedere con l’interrogatorio delle parti e il tentativo di conciliazione, mentre per le parti la facoltà di richiedere nuovi mezzi di prova e sollevare nuove eccezioni.
(2) Diversamente, se il collegio ritiene che il processo avrebbe dovuto svolgersi seguendo il rito ordinario, dispone la regolarizzazione degli atti con le disposizioni tributarie e la continuazione davanti a sè o la sezione ordinaria qualora si tratti di Corti divise in sezioni, utilizzando le prove raccolte nel giudizio svoltosi secondo il rito speciale, nei limiti consentiti dall'art. 427 del c.p.c., II comma.

Spiegazione dell'art. 439 Codice di procedura civile

La norma in esame rende applicabili gli artt. 426 e 427 c.p.c. nelle ipotesi in cui la Corte di Appello ritenga che il procedimento in primo grado sia stato svolto erroneamente con il rito ordinario anziché con quello speciale del lavoro.

In tale caso, dunque, la stessa Corte deve procedere a fissare l’udienza di discussione di cui all’art. 420 del c.p.c., assegnando alle parti un termine perentorio entro cui poter integrare le rispettive difese.
La mancata assegnazione del termine per l'integrazione degli atti con memorie o documenti comporta la nullità della sentenza nel caso in cui si determini un pregiudizio al diritto di difesa.
Inoltre, a seguito del mutamento del rito, il collegio ha il dovere di procedere con l’interrogatorio delle parti e con il tentativo di conciliazione, mentre alle parti deve riconoscersi la facoltà di richiedere nuovi mezzi di prova e di sollevare nuove eccezioni.
Al riguardo la giurisprudenza ha precisato che non può ritenersi preclusa alle parti la formulazione nella memoria integrativa di mezzi di prova non dedotti nel primo grado del giudizio e nella fase antecedente al mutamento di rito

Al contrario, se il Collegio ritiene che il processo avrebbe dovuto svolgersi con il rito ordinario anziché con quello speciale del lavoro, è tenuto a disporre la regolarizzazione degli atti con le disposizioni tributarie e la continuazione davanti a sé o alla sezione ordinaria (nel caso di Corte divisa in sezioni).
In questo caso le prove raccolte nel corso del giudizio speciale potranno essere utilizzate nei limiti consentiti dal secondo comma dell’art. 427 del c.p.c..

L’omesso cambiamento del rito così come la prosecuzione del giudizio secondo il rito precedentemente utilizzato, sebbene ne sia stato disposto il mutamento, non comporta l’invalidità della sentenza e non può costituire oggetto di impugnazione, fatto salvo il cui in cui determini un difetto di competenza.

Massime relative all'art. 439 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 8947/2006

Nelle cause locatizie, alle quali si applica il rito del lavoro per espressa previsione legislativa (art. 447 bis cod. proc. civ.), l'appello si propone con ricorso e, se è formulato con citazione, è inammissibile per inosservanza della forma prescritta; l'inammissibilità è, peraltro, evitata e rimane soltanto un problema di mutamento del rito che può avvenire in corso di giudizio nel caso in cui la citazione sia depositata in cancelleria entro il termine per la proposizione dell'appello, essendo in tal modo ugualmente conseguita la finalità della legge; l'eventuale trattazione della causa in appello con rito ordinario invece che con rito speciale determina una semplice irregolarità che assume rilievo ai fini dell'impugnazione esclusivamente se abbia arrecato alla parte un pregiudizio processuale incidente sulla competenza, sul regime delle prove o sui diritti di difesa. (Rigetta, App. Roma, 26 Febbraio 2002).

Cass. civ. n. 10030/1998

L'omesso cambiamento del rito, anche in appello, dal rito speciale del lavoro a quello ordinario o viceversa non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente né nulla. L'errore consistito nella utilizzazione di una diverso rito processuale può essere dedotto come motivo di impugnazione ove si indichi lo specifico pregiudizio che ne sia derivato, per aver inciso sulla determinazione della competenza ovvero sul contraddittorio o sui diritti di difesa.

Cass. civ. n. 9774/1996

Con riguardo a causa di lavoro decisa in primo grado nelle forme ordinarie, nel passaggio al rito speciale in grado di appello la fissazione dell'udienza di discussione con assegnazione di termine per l'eventuale integrazione degli atti è finalizzata allo svolgimento del processo nei modi stabiliti per il primo grado e quindi all'utile esplicazione delle facoltà di difesa delle parti per quanto concerne la precisazione dell'oggetto della controversia e la determinazione degli elementi di prova. In relazione alla finalità sopraindicata non è pertanto preclusa alle parti la formulazione di mezzi di prova nella memoria integrativa ancorché essi non siano stati dedotti nel primo grado del giudizio e nella fase antecedente al mutamento di rito.

Cass. civ. n. 977/1996

Con riguardo a causa di lavoro decisa in primo grado nelle forme ordinarie, nel passaggio al rito speciale in grado di appello la fissazione dell'udienza di discussione con assegnazione di termine per l'eventuale integrazione degli atti è finalizzata allo svolgimento del processo nei modi stabiliti per il primo grado e quindi all'utile esplicazione delle facoltà di difesa delle parti per quanto concerne la precisazione dell'oggetto della controversia e la determinazione degli elementi di prova. In relazione alla finalità sopraindicata non è pertanto preclusa alle parti la formulazione di mezzi di prova nella memoria integrativa ancorché essi non siano stati dedotti nel primo grado del giudizio e nella fase antecedente al mutamento di rito.

Cass. civ. n. 10686/1994

Nel rito del lavoro — che si applica anche alle controversie in materia di locazione urbana, ai sensi degli artt. 30, 45 e ss. L. 27 luglio 1978, n. 392 — l'introduzione del giudizio di appello con citazione, quando questa è stata depositata nei termini indicati dagli artt. 434 comma 2 e 327 comma 1 c.p.c., determina soltanto la necessità processuale del mutamento del rito, ai sensi dell'art. 439 c.p.c. (nelle cause di lavoro) o dell'art. 52 L. n. 392/1978 (nelle cause di locazione), o, in mancanza, una mera irregolarità processuale attinente ad una questione di rito, che non può essere autonomamente dedotta come motivo di gravame e che assume rilievo, ai fini dell'impugnazione solamente se abbia arrecato alla parte un pregiudizio processuale che abbia inciso sulla competenza, sul regime delle prove o sui diritti di difesa.

Cass. civ. n. 4567/1994

Il termine fissato per la riassunzione della causa dinnanzi al giudice ordinario al quale la causa sia stata rimessa in sede di appello dal giudice del lavoro, ai sensi degli artt. 439-427 c.p.c., decorre dalla comunicazione della sentenza di incompetenza e non dalla data in cui questa è passata in giudicato.

Cass. civ. n. 4573/1993

La concessione del termine di cui all'art. 439 c.p.c. in relazione all'art. 426 stesso codice è volta solo a consentire alle parti di mettersi in regola con le prescrizioni introdotte dal rito del lavoro e non può quindi essere utilizzato per aggirare il divieto di proporre domande nuove in appello, con la conseguenza che è da escludere che la memoria integrativa di cui al citato art. 426 possa contenere conclusioni di merito diverse e più ampie di quelle esposte con l'atto introduttivo del giudizio di impugnazione.

Cass. civ. n. 2405/1986

Il riscontro, in sede di gravame, dell'erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione in primo grado, con il rito ordinario anziché con il rito del lavoro, impone al giudice d'appello di disporre il cambiamento del rito medesimo, in base alle norme degli artt. 426 e 439 c.p.c., ma non spiega effetti invalidanti sull'attività processuale in precedenza compiuta (sempreché sussista la competenza del giudice adito), né, in particolare, può implicare la nullità della sentenza di primo grado, sotto il profilo della mancata lettura del dispositivo in udienza, trattandosi di nullità ricorrente soltanto nel caso in cui la relativa pronuncia venga emessa secondo il rito del lavoro.

Cass. civ. n. 6161/1984

Il principio dell'ultrattività del rito, in forza del quale, ove una controversia sia stata trattata in primo grado con rito ordinario anziché con quello del lavoro, vanno seguite le forme ordinarie anche per la proposizione del relativo gravame, salva la possibilità che il giudice dell'appello, ricorrendone i presupposti, disponga il passaggio al rito speciale, ai sensi dell'art. 439 c.p.c., si applica anche per la determinazione della forma dell'eventuale atto di riassunzione del giudizio in appello, con la conseguenza che, qualora questo sia stato ritualmente introdotto con citazione a udienza fissa in attuazione del detto principio, sebbene relativamente ad una controversia soggetta alle disposizioni introdotte con la legge n. 533 del 1973, anche la riassunzione va eseguita in modi ordinari.

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