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Articolo 348 bis Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Inammissibilità e manifesta infondatezza dell'appello

Dispositivo dell'art. 348 bis Codice di procedura civile

Quando ravvisa che l'impugnazione è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice dispone la discussione orale della causa secondo quanto previsto dall'articolo 350 bis.

Se è proposta impugnazione incidentale, si provvede ai sensi del primo comma solo quando i presupposti ivi indicati ricorrono sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza(3).

Note

(1) Il Decreto Sviluppo 2012 ha introdotto una novità legislativa molto rilevante, nell'ottica di ridurre il carico di lavoro delle Corti d'appello. E' stata inserita una sorta di udienza filtro, in cui il giudice è tenuto a prognosticare la ragionevole probabilità di accoglimento dell'appello e, in caso negativo, a dichiararlo inammissibile con ordinanza non reclamabile.
(2) Articolo aggiunto con D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in l. 11 agosto 2012, n. 143.
(3) Il D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia") come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto:
- (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti";
- (con l'art. 35, comma 4) che "Le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023".

Spiegazione dell'art. 348 bis Codice di procedura civile

Il testo ante Riforma Cartabia di questa norma, come introdotta dalla lettera a) del comma 1, dell'art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 (c.d. decreto sviluppo), prevedeva un filtro di inammissibilità dell'appello, il quale si realizzava sulla base di una prognosi rimessa alla discrezionalità dello stesso giudice del gravame, e basata sulla ragionevole fondatezza dell'impugnazione (il primo comma diceva, infatti, che l'impugnazione è inammissibile “quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”).

Veniva, dunque, introdotto nel processo civile uno schema fondato su una selezione preventiva delle impugnazioni meritevoli di trattazione, e ciò in considerazione del fatto che il 68% degli appelli si concludono con la conferma della sentenza di primo grado.

Per tale ragione si è voluto prevedere che se il giudice dovesse rilevare l'infondatezza di merito dell'impugnazione, dovesse dichiarane con ordinanza l'inammissibilità, così spogliandosi del gravame.
A quel punto, la decisione di primo grado diventava ricorribile per cassazione.
Se, al contrario, avesse ritenuto l’appello ammissibile, procedeva alla trattazione dello stesso, senza necessità di adottare alcun provvedimento.

Il secondo comma, invece, prevedeva dei casi in cui il filtro di inammissibilità non poteva essere applicato.

La lettera e), del comma 8 dell’unico articolo della Legge 26 novembre 2021, n. 206 (legge delega per la riforma del processo civile), assegnava al legislatore delegato il compito di abolire l’attuale filtro di inammissibilità per le impugnazioni non aventi una ragionevole probabilità di essere accolte, introducendo un modulo decisorio semplificato per le ipotesi di manifesta infondatezza dell’appello e prevedendo, in particolare, che “l'impugnazione che non ha una ragionevole probabilità di essere accolta sia dichiarata manifestamente infondata”, e che “la decisione di manifesta infondatezza sia assunta a seguito di trattazione orale con sentenza succintamente motivata anche mediante rinvio a precedenti conformi”.

Le ragioni di tale scelta si fondavano sul presupposto che, considerato che per il giudice il tempo necessario per lo studio del fascicolo e la redazione del provvedimento, nell’uno e nell’altro caso, è sostanzialmente lo stesso, piuttosto che una dichiarazione di inammissibilità doveva ritenersi preferibile una decisione sul merito di un appello manifestamente infondato, nelle forme semplificate previste dall’art. 281 sexies del c.p.c..

In considerazione di ciò, dunque, la norma in commento è stata riscritta, ritenendosi tuttavia opportuna la conservazione di una previsione che renda manifesta l’esistenza di un “filtro” o comunque di una forma di decisione accelerata e semplificata, estendendone l’applicazione, stante l’identità di ratio, agli appelli manifestamente infondati e a quelli inammissibili.
In entrambi i casi, infatti, l’impugnazione “non ha una ragionevole probabilità di essere accolta” ed è possibile e opportuno pervenire alla definizione del processo già nella fase iniziale, con la necessità di consentire alle parti di esporre oralmente al collegio le ragioni favorevoli o contrarie a un tale esito.

Massime relative all'art. 348 bis Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 14622/2017

L’ordinanza, ex art. 348-bis c.p.c., dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello, qualora assuma il carattere sostanziale di sentenza e sia, quindi, ricorribile per cassazione, può essere impugnata per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. nei termini previsti dall'art. 348-ter, comma 3, c.p.c

Cass. civ. n. 12440/2017

Il ricorso per cassazione, con il quale siano impugnate congiuntamente la sentenza di primo grado e l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c., deve contenere la trattazione separata delle censure indirizzate a ciascuno dei due provvedimenti e, ove sia ritenuta l'esistenza di un identico errore, deve individuare ed illustrare tale identità, così da consentire di distinguere quale sia la critica da riferire all'uno e quale all'altro di essi, essendo in mancanza il ricorso inidoneo a raggiungere il suo scopo, che è quello della critica al provvedimento impugnato.

Cass. civ. n. 14696/2016

La facoltà per il giudice d'appello di rendere l'ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. deve essere esercitata all'udienza di cui all'art. 350 c.p.c. prima di procedere alla trattazione, sicché tale facoltà è preclusa ove siano stati svolti gli adempimenti di cui al comma 2 del medesimo art. 350, quali l'aver dato atto della presenza delle parti, della costituzione della parte appellata e dell'avvenuto scambio della relativa comparsa, con rinvio "per la trattazione" ad un'udienza successiva, e il conseguente vizio dell'ordinanza può essere fatto valere con ricorso per cassazione, trattandosi di violazione della legge processuale.

Cass. civ. n. 12293/2016

Il giudice d'appello, se ha sentito le parti, può pronunciare l'ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. in un'udienza anteriore a quella ex art. 350 c.p.c. o fissata ex art. 351, comma 3, c.p.c. a fini inibitori, atteso che l'effetto semplificatorio e acceleratorio di tale anticipazione della dichiarazione di inammissibilità dell'appello non comporta alcuna lesione del diritto di difesa dell'appellante.

Cass. civ. n. 13923/2015

In materia di appello, quando il giudice - nel provvedere a norma dell'art. 348 bis cod. proc. civ. - non si limiti a dichiarare l'appello inammissibile, perché lo stesso non ha una ragionevole probabilità di essere accolto, ma compia anche uno scrutinio sul merito del gravame, assume una decisione che, sebbene rivesta forma di ordinanza, presenta natura di sentenza, sicché è ricorribile per cassazione. (Nella specie, a fronte di una domanda risarcitoria promossa da uno straniero, dichiarata improcedibile dal giudice di pace per difetto di prova della sussistenza della condizione di reciprocità di cui all'art. 16 delle preleggi, il giudice d'appello aveva riconosciuto l'erroneità, sul punto, della pronuncia di primo grado, ma, avendo ritenuto comunque infondata la domanda risarcitoria per altre considerazioni di merito, piuttosto che statuire secondo le normali regole procedurali aveva pronunciato l'inammissibilità del gravame ex art. 348 bis cod. proc. civ., così privando, di fatto, l'appellante della possibilità di contestare tale decisione, potendo egli indirizzare il ricorso per cassazione soltanto avverso la pronuncia di primo grado, a norma dell'art. 348 ter, quarto comma, cod. proc. civ.).

Cass. civ. n. 10723/2014

Nel caso in cui l'appello venga dichiarato inammissibile per carenza di ragionevole probabilità di accoglimento ai sensi dell'art. 348 bis cod. proc. civ., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado proposto, ex art. 348 ter, terzo comma, cod. proc. civ., oltre il termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello è, a propria volta, inammissibile, dovendosi escludere la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., atteso che la proposizione dell'impugnazione nel termine ordinario non costituisce un onere tale da impedire o rendere eccessivamente gravoso l'esercizio del diritto di difesa, né, comunque, tale termine decorrerebbe qualora dalla comunicazione non fosse possibile ricondurre il provvedimento adottato a quello previsto dall'art. 348 bis cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 8940/2014

Il ricorso per cassazione, sia ordinario che straordinario, non è mai esperibile avverso l'ordinanza che dichiari l'inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis cod. proc. civ., e ciò a prescindere dalla circostanza che essa sia stata emessa nei casi in cui ne è consentita l'adozione, ovvero al di fuori di essi, ostando, quanto all'esperibilità del ricorso ordinario, la lettera dell'art. 348 ter, terzo comma, cod. proc. civ. (che definisce impugnabile unicamente la sentenza di primo grado), mentre, quanto al ricorso straordinario, la non definitività dell'ordinanza, dovendosi valutare tale carattere con esclusivo riferimento alla situazione sostanziale dedotta in giudizio, della quale si chiede tutela, e non anche a situazioni aventi mero rilievo processuale, quali il diritto a che l'appello sia deciso con ordinanza soltanto nei casi consentiti, nonché al rispetto delle regole processuali fissate dall'art. 348 ter cod. proc. civ.

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Consulenze legali
relative all'articolo 348 bis Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Giuseppe C. chiede
martedì 09/06/2015 - Abruzzo
“1) Il giudice di 1^ grado, con sentenza parziale, ha rigettato le questioni pregiudiziali in rito
sollevate dalla parte convenuta/condominio, la quale si riservava il diritto d’appello. Al termine del giudizio la stessa convenuta è risultata soccombente anche nel merito ed ha proposto appello sia contro la sentenza parziale che contro quella definitiva con un unico atto.
Nonostante il contenuto dell’appello con il quale sono state impugnate entrambe le sentenze,
l'avvocato della parte che ha proposto gravame ha fatto sottoscrivere
all’amministratore condominiale una procura, nella quale però viene menzionata la sola
sentenza definitiva con esplicita indicazione del relativo numero cronologico, senza citare
minimamente la sentenza parziale.
Si fa presente, inoltre, che l’atto di appello è sottoscritto dal solo legale (non anche dal delegante).
Quesito: la sentenza parziale, può intendersi passata in giudicato, a causa di inammissibilità
del gravame per carenza di procura, oppure l’impugnazione della sentenza
definitiva, può avere efficacia assorbente anche della parziale?

2) I motivi di appello si limitano ad una mera riproposizione di tutte le difese, eccezioni ed
istanze svolte nel primo grado del giudizio, le quali sono già state ampiamente vagliate dai
giudici di prime cure che si sono succeduti nel giudizio: viene contestato il rito, il merito, le
risultanze della CTU, ovvero ogni attività svolta e di ogni decisione presa. Tale incertezza
sui peculiari motivi d’appello rende oltretutto poco agevole la difesa agli appellati.
Quesito: il gravame così posto, può essere considerato inammissibile in quanto i
motivi d’appello non possono consistere in una mera riproposizione della domanda
o dell’eccezione decisa in senso sfavorevole da giudice di primo grado?

3) Per la prima volta in appello, controparte eccepisce la violazione del contraddittorio in
quanto in primo grado sarebbe stata chiamata in giudizio solo una delle palazzine facenti
parte del complesso residenziale condominiale. In realtà, ogni palazzina ha un proprio
amministratore e soprattutto l’illecito è stato commesso dai condomini di una sola di esse
che ha tratto vantaggio esclusivo dall’abuso (allaccio di un tratto fognario della palazzina
alle tubatura privata del confinante).
Quesito: è proponibile questa eccezione per la prima volta in appello? Sarebbe stato
necessario coinvolgere tutte le palazzine (fisicamente autonome e con diverse
gestioni condominiali) del complesso condominiale nel giudizio?

4) La parte convenuta proponeva in primo grado una domanda riconvenzionale (nonché
chiamata di terzo in causa), che veniva rigettata dal giudice, in quanto infondata. In
secondo grado viene proposta doglianza anche in merito a tale mancato accoglimento. A
ben vedere, nella procura rilasciata a margine dell’atto costitutivo di primo grado, si rileva
la mancanza di una delega che legittimi il difensore a proporre domande riconvenzionali e
chiamata in causa di terzi.
Quesito: la domanda riconvenzionale e la chiamata di terzo, in assenza di una
esplicita procura al difensore in tal senso, possono essere considerate comunque
ammissibili o sono inficiate da nullità, trattandosi oltretutto di rappresentanza
condominiale?

5) Trattandosi di giudizio introdotto con rito possessorio, controparte lamenta la mancata
dimostrazione in primo grado del possesso esclusivo di una tubatura fognaria, che transita
nell’area privata e recintata dei ricorrenti (oggi appellati) in primo grado. Nessun dubbio
sussiste sulla proprietà del tratto fognario (dimostrata tramite ricevute di pagamento e
prove testimoniali di chi l’ha realizzato). Eppure l’appellante ritiene insufficiente la prova
del possesso esclusivo di tale manufatto.
Quesito: come si può altrimenti provare detto possesso esclusivo, trattandosi di
tubazione di scarico interrata e collegata ad altri tratti privati e comunali?

6) La sentenza di primo grado, pur accogliendo in toto la domanda attorea e condannando
la resistente anche al pagamento delle spese processuali, omette di pronunciarsi sulle
spese relative alla CTU, anticipate al 50% da ciascuna parte nella fase istruttoria.
Quesito: In questo caso, l’omessa pronuncia sulle spese sulla consulenza
tecnica, nonostante la parte ricorrente sia risultata totalmente vittoriosa nel
giudizio di primo grado, può dar luogo ad un motivo autonomo di
impugnazione da proporre invia incidentale?”
Consulenza legale i 15/06/2015
1.
Le questioni relative alla validità della procura alla lite vengono generalmente risolte in senso favorevole dalla giurisprudenza, che reputa molto spesso valida anche la procura che appare, invece, irregolare.
Con sentenza del 28.11.2007 n. 24743, ad esempio, la Cassazione ha chiarito che l'inosservanza delle forme stabilite dall'art. 83 del c.p.c. non comporta, a norma dell'art. 156, nullità, ove sia ugualmente raggiunto lo scopo per il quale le forme stesse sono prescritte, e cioè il controllo della certezza, provenienza e tempestività della procura (nello stesso senso Cass. civ. 28.8.2007 n. 181187).
Di conseguenza, nel caso di specie, pur essendo vero che la procura cita espressamente solo gli estremi della sentenza definitiva, se dal tenore dell'atto è assolutamente evidente che la parte abbia in realtà inteso conferire la procura anche per impugnare la sentenza parziale (in relazione alla quale è stata ritualmente espressa la riserva di impugnazione, art. 340 del c.p.c.), si ritiene che il giudice presumibilmente potrà ritenere valida la procura, in quanto lo scopo dell'atto è stato comunque raggiunto.

Quanto al problema della mancanza della sottoscrizione della controparte nell'atto di appello, va ricordato che tranne in alcuni casi tassativamente previsti dalla legge (es. proposizione della querela di falso, ma anche in questo caso esiste giurisprudenza molto permissiva), la parte non è tenuta a firmare l'atto assieme al legale, essendo sufficiente che la stessa abbia sottoscritto debitamente la procura.

2.
Come noto, la Legge 134/2012 ha introdotto nel nostro sistema una sorta di "filtro" basato sulla ragionevole probabilità di accoglimento dell'appello, con possibilità di dichiarare direttamente l'inammissibilità dell'impugnazione.
In base alle pronunce finora emesse dalle corti d'appello, possiamo enucleare alcuni principi, relativi alla “ragionevole probabilità”: essa può configurarsi come manifesta infondatezza, quando l'appello è evidentemente infondato (Corte App. Roma, ordinanza 25.1.2013);
oppure come fumus boni iuris, ossia come "apparenza del diritto", cioè verosimilità della fondatezza dell'impugnazione proposta (linee guida della Corte App. Milano, 10.10.2012); oppure, ancora, come probabilità derivante dall'esistenza di precedenti giurisprudenziali conformi (Corte App. Palermo, ordinanza 15.4.2013).
La Corte d'appello normalmente valuterà quindi in modo negativo l'atto di appello "fotocopia" degli atti di primo grado, perché l'atto di impugnazione deve mirare a demolire la sentenza di primo grado, individuandone i vizi logici e formali.
Non è possibile prevenire il contenuto di una decisione di inammissibilità, tuttavia depone certamente a favore di essa il fatto che l'atto d'appello non contenga alcun elemento di novità rispetto alle difese ed eccezioni proposte in primo grado.

3.
L'eccezione di difetto di integrità del contraddittorio in primo grado è ritenuta rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo (v. tra le altre Cass., 15.02.2006, n. 3281). La parte può quindi proporla ex novo in appello.
Se l'eccezione è sollevata per la prima volta in appello o in cassazione, il giudice - se la accoglie - deve rimettere la causa al primo giudice (artt. 354 e 383, comma 3, c.p.c.)
Nel merito, non è possibile dare una risposta circa l'effettiva violazione del contraddittorio nella fattispecie concreta, senza poter esaminare con attenzione tutti gli atti processuali.

4.
Di norma ogni procura riporta una espressione simile a questa "con ogni più ampio potere conferito dalla legge". Tra tali poteri può essere ricompreso quello di proporre domanda riconvenzionale ("Il mandato ad litem, una volta validamente conferito, attribuisce al difensore la facoltà di proporre tutte le domande che siano comunque ricollegabili con l'originario oggetto della causa e, quindi, anche le domande riconvenzionali", Cass. civ., 7.4.2000, n. 4356) e chiedere la chiamata di un terzo ("Ai fini della chiamata in causa di un terzo il difensore non necessita di una apposita procura in aggiunta all'altra già ottenuta per iniziare la lite", Cass. civ., sez. II, 1.12.2000, n. 15370).
Gli unici atti che il difensore non può compiere in assenza di un espresso potere sono quelli che importano disposizione del diritto in contesa (art. 84, secondo comma, c.p.c.), come la rinuncia alla domanda riconvenzionale, la dichiarazione di non voler proseguire la causa, la rinuncia alle spese del giudizio, etc.

5.
Il possesso si può dimostrare con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, quindi documenti, testimonianze, etc., che siano idonei a provare che il possessore ha esercitato un potere di fatto sulla cosa, escludendo tutti gli altri. Si può provare, inoltre, per presunzioni.
L'art. 1142 del c.c. stabilisce, ad esempio, che il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si presume che abbia posseduto anche nel tempo intermedio (in questo modo si può evitare di dover dare prova diretta del possesso per un lungo periodo di tempo).
Inoltre, se il possessore abbia un titolo a fondamento del suo possesso, come un titolo di proprietà del bene, si presume che egli abbia posseduto dalla data del titolo (art. 1143 del c.c.).

6.
La questione può essere risolta più semplicemente interpretando la sentenza in modo che le spese della CTU seguano la soccombenza stabilita dal provvedimento. Nel caso di specie, la soccombenza è nettamente di una sola parte, quindi si potrà ritenere che la pronuncia sulle spese processuali ricomprenda implicitamente anche quella sulle spese di consulenza, in quanto spesa relativa al processo.
Si configurerebbe come sufficiente un mero procedimento di correzione materiale della sentenza (art. 287 del c.p.c.).
Tuttavia, poiché è già pendente l'appello e l'appellato intende costituirsi, in via precauzionale (esistendo giurisprudenza che sul tema dell'omessa liquidazione di spese giudiziali richiede sempre e solo l'impugnazione della sentenza) è consigliabile inserire la domanda della comparsa di risposta.