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Articolo 274 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Riunione di procedimenti relativi a cause connesse

Dispositivo dell'art. 274 Codice di procedura civile

Se più procedimenti relativi a cause connesse pendono davanti allo stesso giudice, questi, anche d'ufficio, può (1) disporne la riunione [151 disp. att.] (2) (3).

Se il giudice istruttore o il presidente della sezione ha notizia che per una causa connessa pende procedimento davanti ad altro giudice o davanti ad altra sezione dello stesso tribunale, ne riferisce al presidente, il quale, sentite le parti, ordina con decreto che le cause siano chiamate alla medesima udienza davanti allo stesso giudice o alla stessa sezione per i provvedimenti opportuni (4).

Note

(1) La decisione circa la riunione delle cause è lasciata alla valutazione discrezionale del giudice e non costituisce un obbligo (essa è quindi insindacabile in sede di legittimità).
(2) La riunione può essere disposta anche se le cause connesse siano giunte a stadi diversi di istruzione: il giudice valuterà discrezionalmente se ciò possa comportare o meno un rallentamento dell'attività processuale.
Il potere di riunire i processi può comunque essere esercitato, oltre che nel corso della fase istruttoria, anche dal collegio (laddove competente) in sede di decisione, se le cause siano state rimesse ad esso separatamente.
(3) Le cause connesse e riunite conservano la loro autonomia, per cui vengono definite in base alle prove raccolte in ciascuna di esse: gli elementi probatori emersi nell'una potranno essere utilizzati nell'altra solo per rafforzare il convincimento che si sia formato in base alle prove raccolte in ognuno. In questo modo, la sentenza che definisce l'unico processo, sarà suddivisibile in capi distinti, autonomamente impugnabili.
(4) Il d. lgs. 40/2006 ha sostituito l'articolo 151 delle disposizioni di attuazione del c.p.c., prevedendo che l'obbligo della riunione sie esteso alle controversie davanti al giudice di pace connesse anche soltanto per identità di questioni.
Si deve comunque considerare che la mancata riunione non costituisce una causa di nullità della sentenza, potendo essere disposta anche in Cassazione (la finalità della riunione è infatti solo quella di garantire l'economia e il minor costo dei giudizi).

Brocardi

Reductio ad unum

Spiegazione dell'art. 274 Codice di procedura civile

La ratio ispiratrice della previsione qui contenuta viene individuata nella necessità di evitare che si verifichino contrasti di giudicati, nonché nell'esigenza di rispettare il principio dell'economia processuale, senza operare alcuna deroga ai criteri della competenza.

Presupposto fondamentale della riunione è la sussistenza di cause connesse, sia in ipotesi di connessione impropria che oggettiva o soggettiva (in quest’ultimo caso si ritiene necessario il consenso delle parti).
Si ritiene anche che la riunione possa essere disposta nel caso in cui dalla trattazione, istruzione e decisione congiunta delle cause ne possa derivare un concreto vantaggio, purché non si ritardi il processo oppure questo non sia reso più gravoso.

La disciplina della riunione, prevista dalla presente norma, deve essere distinta dall’ ipotesi delle cause connesse proposte davanti a giudici diversi, di cui si occupa l’art. 40 del c.p.c..
Quest’ultima norma, infatti, riguarda la proposizione di cause connesse dinnanzi a giudici diversi con possibili deroghe alla competenza, mentre la norma in esame attiene all'ipotesi in cui le cause connesse siano state proposte davanti allo stesso ufficio giudiziario, ossia davanti allo stesso giudice-persona fisica o a diverse sezioni dello stesso tribunale, senza che vi siano conseguenze per quanto riguarda la competenza.

Il primo comma disciplina l'ipotesi in cui sia il medesimo giudice - persona fisica, a venire a conoscenza dell'esistenza di più procedimenti relativi alla stessa causa; in questa ipotesi, il provvedimento di riunione potrà essere pronunciato tanto dal giudice istruttore quanto dall'organo decidente, a seconda dello stato di pendenza del procedimento nel momento in cui perviene la notizia di pendenza di altro procedimento relativo alla stessa causa.

Il secondo comma, invece, disciplina l’ipotesi in cui più procedimenti pendano innanzi a giudici diversi o a sezioni diverse del medesimo tribunale; in questo caso sarà il presidente del tribunale a decidere se disporre la riunione e ordinare, con decreto, che le cause siano chiamate alla medesima udienza innanzi allo stesso giudice o alla stessa sezione per i necessari provvedimenti.

A differenza di quanto previsto all’art. 273 del c.p.c., in cui la trattazione congiunta delle cause si presenta come necessaria, la riunione presa in esame dalla presente norma ha carattere meramente facoltativo e l'esercizio del relativo potere è rimesso all'apprezzamento insindacabile e discrezionale del giudice di merito, che dovrà considerare non solo la sussistenza della connessione ma, anche, l'opportunità che le cause siano trattate congiuntamente.

La facoltatività del provvedimento comporta che, nel caso in cui il magistrato non giudichi opportuna la trattazione congiunta, in quanto ritiene che si possano verificare ritardi processuali, la riunione può non essere disposta; in tal caso ciascuna causa procederà autonomamente seguendo il proprio corso, salvi eventuali provvedimenti di sospensione.
La valutazione di opportunità costituisce esercizio di un potere processuale discrezionale ed insindacabile del giudice del merito.

A seguito della pronuncia del provvedimento di riunione, non viene meno l'individualità delle cause connesse, ciascuna delle quali conserva la propria autonomia, senza che le posizioni delle parti si fondano.
Per effetto del provvedimento di riunione, gli atti compiuti dal giudice e la relativa documentazione (ossia, verbale e fascicolo d'ufficio), si uniscono.

Inoltre, le vicende processuali che riguardano soltanto una causa non incidono sulle altre; ciò comporta che, in caso di contumacia in una sola delle cause riunite e connesse, le regole del processo in contumacia si applicano solamente alla causa in cui si è verificata la contumacia stessa, senza possibilità di estensione alle altre cause connesse.
In egual modo, per quanto concerne il materiale probatorio raccolto in ciascuna delle cause connesse prima della riunione, questo non potrà incidere sulle altre cause, ma dovrà essere autonomamente valutato con riferimento alla causa in cui è stato raccolto.

Infine, la sentenza che decide le cause riunite, seppur si presenti formalmente come unica, sotto il profilo sostanziale costituisce una somma delle varie pronunce.

Massime relative all'art. 274 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 11634/2020

Quando due giudizi tra cui sussiste pregiudizialità risultino pendenti davanti al medesimo ufficio giudiziario, non deve disporsi la sospensione di quello pregiudicato, ma occorre verificare la sussistenza dei presupposti per la riunione dei processi ai sensi dell'art. 274 c.p.c., tenendo conto che tra sezioni specializzate e ordinarie del medesimo tribunale non si pone una questione di competenza. (Nella specie la S.C. ha rilevato che non sussiste pregiudizialità ai sensi dell'art. 295 c.p.c., tra il giudizio proposto in tribunale dal creditore per ottenere il pagamento di una somma in conseguenza di una fideiussione ed il diverso processo instaurato dal debitore, innanzi alla sezione specializzata in materia di impresa dello stesso ufficio giudiziario, per domandare la dichiarazione di nullità della detta garanzia). (Cassa con rinvio, TRIBUNALE MILANO, 14/03/2019).

Cass. civ. n. 12441/2017

Ove tra due procedimenti, pendenti dinanzi al medesimo ufficio o a sezioni diverse di quest'ultimo, esista un rapporto di identità o di connessione, il giudice del giudizio pregiudicato non può adottare un provvedimento di sospensione ex art. 295 c.p.c., ma deve rimettere gli atti al capo dell'ufficio, secondo le previsioni degli artt. 273 o 274 c.p.c., a meno che il diverso stato in cui si trovano i due procedimenti non ne precluda la riunione.

Cass. civ. n. 12741/2012

Se davanti al medesimo ufficio giudiziario pendano più cause connesse per pregiudizialità, il giudice della causa pregiudicata non può sospenderla ex art. 295 cod. proc. civ., ma deve rimetterla al presidente del tribunale ai sensi dell'art. 274 cod. proc. civ., perché questi valuti l'opportunità di assegnarla al giudice della causa pregiudicante, a nulla rilevando che i due giudizi siano soggetti a riti diversi, soccorrendo in tal caso la regola dettata dall'art. 40, cod. proc. civ..

Cass. civ. n. 3690/2012

L'istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall'art. 274 c.p.c., operante anche in sede di legittimità, è inapplicabile non solo nel caso di giudizi pendenti in gradi diversi, ma anche quando i due procedimenti, di cui si chiede la riunione, si svolgano dinanzi a giudici i quali esercitano giurisdizioni distinte, pur se aventi ad oggetto la tutela dei medesimi beni della vita da parte delle distinte giurisdizioni, ordinaria ed amministrativa, che possano erogarle, sulla base di domande che, ai sensi dell'art. 386 c.p.c., abbiano determinato l'individuazione dei giudici aditi. (Nella specie, le Sezioni Unite non hanno disposto la chiesta riunione tra il giudizio di impugnazione, per motivi attinenti alla giurisdizione, di una sentenza emessa dal Consiglio di Stato all'esito di un processo amministrativo, e il procedimento sorto da un'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, proposta nell'ambito di una causa in corso in primo grado davanti ad un tribunale ordinario, tra le stesse parti, non potendosi qualificare le cause tra loro connesse come pendenti davanti allo "stesso giudice").

Cass. civ. n. 22631/2011

L'istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall'art. 274 c.p.c., essendo volto a garantire l'economia ed il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, trova applicazione anche in sede di legittimità, sia in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi sia, a maggior ragione, in presenza di sentenze pronunciate in grado di appello in un medesimo giudizio, legate l'una all'altra da un rapporto di pregiudizialità e impugnate, ciascuna, con separati ricorsi per cassazione. (Nella specie, la S.C. non ha disposto la chiesta riunione dei giudizi, del tutto distinti quanto alle domande e alle ragioni giuridiche proposte, attinenti l'uno alla impugnazione per revocazione di una decisione in materia risarcitoria e, l'altro, a una domanda di pagamento dell'indennità prevista dall'art. 17 della legge n. 865 del 1971, mancando ogni ipotizzabilità del contrasto di giudicati).

Cass. civ. n. 15383/2011

La riunione di cause connesse lascia inalterata l'autonomia dei giudizi per tutto quanto concerne la posizione assunta dalle parti in ciascuno di essi, con la conseguenza che gli atti e le statuizioni riferiti ad un processo non si ripercuotono sull'altro processo sol perché questo è stato riunito al primo. Essendo tale assunto, tuttavia, suscettibile di temperamento ogni qualvolta la riunione non abbia vulnerato i diritti difensivi delle parti, nel giudizio di legittimità non è necessaria, in omaggio al principio della ragionevole durata del processo, una nuova notifica del controricorso se, in una delle controversie riunite, vi sia stato il trasferimento del procuratore domiciliatario del ricorrente.

Cass. civ. n. 17468/2010

L'esistenza d'un rapporto di pregiudizialità tra due procedimenti pendenti rispettivamente uno di fronte ad una sezione delle sede centrale del Tribunale e l'altro in sede distaccata dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, è ostativa all'adozione di un provvedimento di sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c., dovendo in tal caso il giudice della causa pregiudicata rimettere il fascicolo al capo dell'ufficio, perché provveda ai sensi dell'art. 274 c.p.c..

Cass. civ. n. 1697/2008

Nel caso di connessione della stessa causa con altra causa pendente davanti ad un diverso giudice dello stesso ufficio, è inidonea a determinare la nullità della sentenza la violazione dell'art. 274, secondo comma, c.p.c., relativo al dovere del giudice incaricato della trattazione di una delle cause di riferire al capo dell'ufficio, in quanto concerne una norma attinente al mero ordine interno (ad uno stesso ufficio giudiziario) di trattazione delle cause, e non ad una fase dell'iter formativo del convincimento del giudice. Peraltro, l'esercizio in senso affermativo o negativo del potere di disporre la riunione non è censurabile in sede di legittimità, poiché i relativi provvedimenti hanno natura ordinatoria e si fondano su valutazioni di mera opportunità.

Cass. civ. n. 14607/2007

L'inosservanza dell'obbligo di disporre, ai sensi dell'art. 274 c.p.c., la riunione dei procedimenti svoltisi contemporaneamente dinanzi alla medesima Corte di appello e conclusisi con separate sentenze — l'una concernente la controversia petitoria, l'altra il possesso per fatti insorti nel corso della prima — non comporta la nullità dei relativi giudizi, mancando, al riguardo, l'espressa comminatoria prevista dall'art. 156 c.p.c.

Cass. civ. n. 11357/2006

L'identità di due cause pendenti davanti allo stesso giudice non può determinare il rapporto di litispendenza governato dall'articolo 39, comma primo, c.p.c., che presuppone la contemporanea pendenza della «stessa causa» dinnanzi a «giudici diversi» ma solo una situazione riconducibile alla fattispecie dell'articolo 274 c.p.c., che, nel caso di identità di cause pendenti dinnanzi allo stesso giudice, consente e prescrive la loro riunione. Peraltro, l'ordinanza del giudice di merito che, nella ipotesi considerata dall'articolo 274 c.p.c., provvede sulla istanza di riunione, deve considerarsi atto processuale di carattere meramente preparatorio, privo di contenuto decisorio sulla competenza, siccome non implicante soluzione di questioni relative ad una translatio iudicii (sulla base di tale principio la S.C. ha confermato la sentenza d'appello, che aveva ritenuto inammissibile l'appello avverso l'ordinanza proposto congiuntamente alla sentenza definitiva del merito).

Cass. civ. n. 18125/2005

L'istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall'art. 274 c.p.c., in quanto volto a garantire l'economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità dal ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, nonché l'unità del diritto oggettivo nazionale.

Cass. civ. n. 19652/2004

La riunione, ex art. 274 c.p.c., di cause connesse lascia sostanzialmente inalterata l'autonomia dei giudizi per tutto quanto concerne la posizione assunta dalle parti in ciascuno di essi, con la conseguenza che gli atti e le statuizioni riferiti ad un processo non si ripercuotono sull'altro processo sol perché questo è stato riunito al primo; ne consegue che la invalida costituzione della parte in uno dei processi riuniti non viene sanata dalla regolare costituzione della medesima parte in altro successivo processo quando i due processi siano riuniti, e che il provvedimento ammissivo di prova nel processo validamente instaurato determina - in mancanza di impugnazione - il giudicato implicito solo in detto processo e non in entrambi.

Cass. civ. n. 7908/2001

Il provvedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l'autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni; pertanto, la loro congiunta trattazione lascia integra la loro identità tanto che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite pur essendo formalmente unica si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise: conseguentemente, la liquidazione delle spese giudiziali va operata in relazione ad ogni singolo giudizio, posto che solo in riferimento alle singole domande è possibile accertare la soccombenza, non potendo essere coinvolte in quest'ultima soggetti che non sono parti in causa.

Cass. civ. n. 6733/2000

La riunione di procedimenti relativi a cause connesse (art. 274 c.p.c.), non fa venir meno l'autonomia delle cause tra loro connesse per l'oggetto e per il titolo e riunite nello stesso processo, con la conseguenza che restano autonome, ancorché contestuali, le relative decisioni.

Cass. civ. n. 9638/1999

Il provvedimento di riunione ex art. 274 c.p.c. delle cause connesse, ha natura ordinatoria e costituisce esercizio della facoltà discrezionale affidata al giudice di merito incensurabile in Cassazione. Del pari è insindacabile in sede di legittimità il provvedimento di separazione che può essere ordinata dal giudice di merito quando ne ravvisi l'opportunità indipendentemente dall'istanza o dall'accordo delle parti.

Cass. civ. n. 4695/1999

La violazione dell'art. 274, secondo comma, relativo al dovere del giudice incaricato della trattazione di una causa (nella specie, giudice di pace), di riferire al capo dell'ufficio in caso di connessione della stessa causa con altra causa pendente davanti ad un diverso giudice dello stesso ufficio, è inidonea a determinare la nullità della sentenza (e così pure a porre problemi di competenza), in quanto relativa ad una norma attinente al mero ordine interno, ad uno stesso ufficio giudiziario, di trattazione delle cause e non ad una fase dell'iter formativo del convincimento del giudice.

Cass. civ. n. 10416/1997

La natura indiscutibilmente amministrativa della fase presidenziale del procedimento disciplinato dall'art. 274 c.p.c. (fase meramente prodromica rispetto a quella che si svolge, successivamente, dinanzi al giudice designato dal presidente per la pronuncia sull'eventuale riunione) comporta che alcun concreto nocumento può derivare, alla parte, dall'eventuale vizio di comunicazione del decreto di convocazione dinanzi al presidente del tribunale (vizio che ne abbia impedito la pur prevista partecipazione in tale fase) qualora le sia stato, comunque, possibile far valere le proprie ragioni nella fase successiva, dinanzi al giudice designato.

Cass. civ. n. 5210/1994

La riunione in un unico procedimento di più procedimenti pendenti davanti al medesimo ufficio giudiziario è insindacabile in sede di legittimità, ancorché disposta fuori dei casi previsti dall'art. 274 c.p.c., norma che disciplina non una fase dell'iter formativo della decisione, ma solo l'ordine del procedimento, sicché la sua violazione non determina nullità della sentenza.

Cass. civ. n. 1201/1981

Qualora esista un rapporto di dipendenza fra due o più cause, o per la natura propria della situazione giuridica controversa o per effetto delle domande insieme proposte, di talché la decisione dell'una funge da necessario presupposto logico della decisione dell'altra, è necessaria la prosecuzione unitaria di esse anche in sede di gravame, una volta che siano state iniziate e decise in primo grado in unico processo, ad evitare la possibilità di giudicati contrastanti sul medesimo oggetto nei confronti di quei soggetti che siano stati parti in causa nello stesso giudizio in primo grado. Tale litisconsorzio processuale — mantenuto fermo in appello ed in Cassazione — opera anche in sede di rinvio.

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Consulenze legali
relative all'articolo 274 Codice di procedura civile

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C C. chiede
lunedì 24/04/2023
“Facendo seguito alla Vs. replica relativamente ad un precedente quesito (Q202333132), sono a richiedere ulteriori approfondimenti circa a tre aspetti, con preghiera di riferimenti normativi e/o giurisprudenziali, se possibile.

A) In virtù di quale motivazione la Corte d'Appello, ai fini dello scioglimento giudiziario della comunione ereditaria e vendita forzata dell'intero immobile, ha ordinato la vendita all'asta senza incanto piuttosto che con incanto.

B) Una volta venduto l'immobile e posto che uno dei coeredi è deceduto (mio padre), sarebbe utile comprendere come verrebbe incamerata la somma relativa alla sua quota e cosa ne sarebbe, visto che la successiva successione paterna è oggetto di processo per contenzioso successorio in primo grado.
In merito, se quest'ultimo procedimento finisse in appello prima della chiusura della vendita coatta, sarebbe possibile riunire i due procedimenti?

C) Ipotizzo uno scenario:
- la prima asta con vendita dell'immobile al valore di stima del CTU (per comodità di calcolo € 100.000) va deserta;
- il delegato professionista organizza una seconda asta, con riduzione del valore dell'immobile del 25% (€ 75.000) e possibile offerta minima (€ 56.000) equivalente al valore della base d'asta ridotta di non oltre un quarto;
- io, coerede , riesco a rinvenire delle risorse economiche;
- decido di acquistare le quote degli altri coeredi ai sensi dell'Art. 720 C.C.
A questo punto sarebbe utile comprendere:
- se ho la possibilità di acquistare l'intero immobile (e non la metà ovvero la porzione relativa alla successione materna) ed in tal caso
- a quale somma: al solo prezzo di base della seconda asta (€ 75.000) o anche al valore dell'offerta minima (€ 56.000).

Ringrazio per l'attenzione e resto in attesa di eventuale replica.”
Consulenza legale i 16/05/2023
Il primo aspetto della vicenda in esame che si chiede di aver chiarito è quello relativo alle ragioni per cui il giudice d’appello ha preferito disporre la vendita senza incanto piuttosto che quella con incanto.
Le ragioni di tale dubbio stanno, probabilmente, in ciò che si legge nell’ultima parte dell’art. 720 c.c., ove è detto che “…Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto”.
In realtà tale espressione non va intesa in senso letterale, avendo con essa il legislatore voluto richiamare, per l’ipotesi in cui nessuno dei condividenti possa o voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell'intero (con i conseguenti addebiti), l’attuazione dei mezzi previsti dalla legge per realizzare lo scopo dello scioglimento della comunione forzosa venutasi a creare, tra i quali vi è, appunto, la vendita del bene, se indivisibile, vendita che va attuata secondo le norme dettate dal codice di procedura civile in tema di procedure esecutive immobiliari (artt. 567 e ss. c.p.c.).

E’ proprio in forza di queste norme che la vendita senza incanto va anteposta a quella con incanto, essendo possibile ricorrere alla seconda soltanto se la prima non ha prodotto risultati.
La vendita senza incanto, infatti, è quella maggiormente diffusa e va preferita a quella con incanto in quanto offre maggiori garanzie di soddisfacimento degli interessi delle parti (in questo caso dei condividenti).
Nell’asta senza incanto i partecipanti devono presentare le loro offerte in busta chiusa (più il 10% di cauzione) nei termini e con le modalità indicate nell’avviso; le offerte non possono essere inferiori al prezzo base precedentemente stabilito ed in presenza di più offerte non vince la più alta, ma viene indetta una gara fra tutti i partecipanti (in questo caso la base è costituita dall’importo indicato nell’offerta più alta).
Solo se la vendita senza incanto dovesse andare deserta, il giudice può disporre una nuova asta con incanto, ossia una pubblica gara tra offerenti, dichiarata conclusa nel momento in cui siano trascorsi almeno tre minuti dall’ultima offerta e se nessuno abbia effettuato un rilancio.

Si tenga presente, infatti, che solo nella disciplina anteriore alla riforma delle esecuzioni del 2005, il giudice poteva disporre che la vendita avvenisse con il meccanismo dell’incanto, senza preventivamente ordinare la vendita senza incanto.
A seguito della suddetta riforma, invece, il passaggio alla vendita con incanto non è più rimesso alla discrezionalità del giudice, ma potrà avvenire solo in via subordinata rispetto ad un preliminare esperimento di vendita senza incanto ed in ipotesi predeterminate.

Passando adesso alla seconda questione posta sotto lettera b), va detto che non può avere alcuna rilevanza, in sede di distribuzione della somma che si ricaverà dalla vendita, la circostanza che vi sia ancora un giudizio pendente sull’eredità del padre.
La somma complessiva ricavata dalla vendita dell’immobile, infatti, andrà pur sempre divisa in tre distinte quote, tanti quanti erano i condividenti originari, mentre la quota di pertinenza del padre dovrà essere ulteriormente divisa per quote eguali tra i suoi eredi, ovvero i due figli, ex art. 566 del c.c..
Per quanto concerne la possibilità di una riunione dei due procedimenti, trattasi di fattispecie espressamente disciplinata dall’art. 274 del c.p.c., norma qui applicabile per effetto del rinvio operato dall’art. 359 del c.p.c..
La giurisprudenza ha, infatti, sancito il carattere generale dell’art. 274 c.p.c. e la possibilità che essa trovi applicazione, oltre che in sede di appello, anche nel giudizio di Cassazione (cfr. Cass. n. 18125/2005) relativamente sia a ricorsi avverso sentenze diverse emanate in giudizi separati, sia in presenza di sentenze pronunciate in grado di appello nel medesimo giudizio, legate da un rapporto di pregiudizialità e impugnate, ognuna, con diversi ricorsi per cassazione (così Cass. n. 22631/2011; Cass. n. 14607/2007).
Presupposto fondamentale di tale riunione è la sussistenza di cause connesse, sia in ipotesi di connessione impropria che oggettiva o soggettiva (in quest’ultimo caso si ritiene necessario il consenso delle parti).
Si ritiene anche che la riunione possa essere disposta nel caso in cui dalla trattazione, istruzione e decisione congiunta delle cause ne possa derivare un concreto vantaggio, purché non si ritardi il processo oppure questo non sia reso più gravoso.

In particolare, il primo comma dell’art. 274 c.p.c. disciplina l'ipotesi in cui sia il medesimo giudice - persona fisica, a venire a conoscenza dell'esistenza di più procedimenti relativi alla stessa causa (in questa ipotesi, il provvedimento di riunione potrà essere pronunciato tanto dal giudice istruttore quanto dall'organo decidente, a seconda dello stato di pendenza del procedimento nel momento in cui perviene la notizia di pendenza di altro procedimento relativo alla stessa causa).
Il secondo comma, invece, disciplina l’ipotesi in cui più procedimenti pendano innanzi a giudici diversi o a sezioni diverse del medesimo Tribunale; in questo caso sarà il presidente del tribunale a decidere se disporre la riunione e ordinare, con decreto, che le cause siano chiamate alla medesima udienza innanzi allo stesso giudice o alla stessa sezione per i necessari provvedimenti.

A differenza di quanto previsto all’art. 273 del c.p.c., in cui la trattazione congiunta delle cause si presenta come necessaria, la riunione presa in esame dall’art. 274 cpc, che qui dovrebbe invocarsi, ha carattere meramente facoltativo e l'esercizio del relativo potere è rimesso all'apprezzamento insindacabile e discrezionale del giudice di merito, che dovrà considerare non solo la sussistenza della connessione ma, anche, l'opportunità che le cause siano trattate congiuntamente.
La facoltatività del provvedimento comporta che, nel caso in cui il magistrato non giudichi opportuna la trattazione congiunta, in quanto ritiene che si possano verificare ritardi processuali, la riunione può non essere disposta; in tal caso ciascuna causa procederà autonomamente seguendo il proprio corso, salvi eventuali provvedimenti di sospensione.
La valutazione di opportunità costituisce esercizio di un potere processuale discrezionale ed insindacabile del giudice del merito.
Infine, la sentenza che decide le cause riunite, seppur si presenti formalmente come unica, sotto il profilo sostanziale costituisce una somma delle varie pronunce.

Ultima questione da prendere in considerazione è quella riportata sub lettera c) del quesito, ove sostanzialmente si chiede se sia possibile per uno dei coeredi condividenti chiedere l’attribuzione per intero del bene pur dopo che sia intervenuta sentenza con cui è stata disposta la vendita coattiva dello stesso, ed eventualmente per quale valore detta attribuzione debba realizzarsi.
Ebbene, a tale domanda va data risposta parzialmente positiva, in quanto la sentenza che stabilisce la vendita coattiva, con incanto o senza, del bene non facilmente divisibile non impedisce ai condividenti di esercitare la facoltà di ottenere l’attribuzione dell’intero prevista dall’art. 720 c.c., fatta eccezione per il caso in cui il giudizio di divisione non fosse sorto unicamente a causa della indivisibilità del bene, ma anche per la risoluzione di questioni attinenti l’alternativa tra vendita e attribuzione (così Tribunale di Roma sent. 17/03/2003).
Tuttavia, poiché l’attribuzione avviene quale alternativa alla vendita forzata dell’immobile per indivisibilità, si ritiene che a tal fine non si possa più tenere conto del prezzo d’asta del bene (asta che si intende, appunto evitare), ma del valore che allo stesso immobile è stato assegnato dal CTU nella perizia espletata in corso di causa.

Per evitare ciò ed aggiudicarsi il bene nella sua interezza al prezzo d’asta (ciò che sicuramente risulta più conveniente dal punto di vista economico), si suggerisce, a questo punto, di far partecipare all’asta una persona di propria fiducia, fornendo alla stessa le somme di denaro necessarie per l’acquisto ed alla quale il bene andrà formalmente intestato, previa conclusione di un contratto fiduciario.

Anonimo chiede
lunedì 08/07/2019 - Lazio
“Il presente annuncio potrà essere pubblicato solo in qualità di ANONIMO.

descrivo di seguito la fattispecie:
il contribuente ricorre alla Commissione Tributaria provinciale per impugnare tre distinti avvisi di accertamento per irrituale notifica degli stessi, gli avvisi si riferiscono a tre distinte annualità ma i rilievi sono identici e per ciò il ricorrente ha chiesto alla CTP la riunione del processo.

La CTP accoglie la riunione dei tre avvisi di accertamento in un unico processo, ma respinge il ricorso per inammissibilità, (con spese legali a carico del ricorrente), per impugnazione tardiva ovvero dopo la decadenza dei termini di opposizione, e nella sentenza tra l’altro l’inammissibilità viene motivata dal fatto che il ricorrente non aveva contestato con querela di falso le eccezioni in tema di errata notifica degli avvisi.

La domanda è questa:
in sede di istanza di querela di falso (principale) il ricorrente al fine di evitare che il ricorso di falso venga ritenuto inammissibile chiede se deve fare tre disgiunte istanze di querela di falso una per ogni relazione di notificazione o può effettuate una unica istanza di querela di falso allegando cumulativamente tutte e tre le relazioni di notificazioni in calce all’avviso di accertamento.

Nell’ipotesi di querela di falso cumulativa se ammissibile il contributo unificato (indeterminato) credo che dovrà essere moltiplicato per tre atti anche se l’istanza di falso è unica.

Le tre relazioni di notificazioni sono identiche, difatti riportano (per economia) tutti e tre i numeri di protocollo dei tre avvisi di accertamento, il messo notificatore speciale dell’agenzia delle entrate si è limitato ad evidenziare con il pennarello il numero di protocollo inerente al pertinente avviso di accertamento notificato.

Ulteriormente si rileva dagli atti che in calce all’avviso vi sono due documenti in tema, uno intestato REFLAZIONE DI NOTIFICAZIONE ove viene attesta limitatamente che il contribuente non ha abitazione, ufficio o azienda nel comune, poi segue un ulteriore documento non intestato ad alcun titolo, compilato dal messo notificatore ove relaziona in modo circostanziato le ricerche effettuate. Le falsità sono in questo secondo documento che però è spillato alla relazione di notificazione, quindi in sede di querela, quale atto va impugnato con la querela di falso tutte de due? Ovvero anche il format (aggettivo giusto?) allegato alla relazione di notificazione ove certifica le attività effettuate in presenza del messo è da ritenere un atto pubblico?

Cordiali saluti.
08.07.2019”
Consulenza legale i 14/07/2019
I tre avvisi di accertamento, anche se sostanzialmente identici, rappresentano formalmente tre documenti distinti, da impugnarsi disgiuntamente. L'impugnazione ha infatti ad oggetto tre atti differenti, i cui giudizi possono però essere riuniti dal giudice.

Lo stesso dicasi per le tre relazioni di notificazione da impugnare singolarmente attraverso la querela di falso. Anche in questa ipotesi, per evidenti ragioni di economia processuale, viene in soccorso l'articolo 274 relativo alla riunione dei procedimenti. La riunione può essere disposta anche se le cause connesse siano giunte a stadi diversi di istruzione: il giudice valuterà discrezionalmente se ciò possa comportare o meno un rallentamento dell'attività processuale.
Il potere di riunire i processi può comunque essere esercitato, oltre che nel corso della fase istruttoria, anche dal collegio (laddove competente) in sede di decisione, se le cause siano state rimesse ad esso separatamente.
Come detto, le cause connesse e riunite conservano la loro autonomia, per cui vengono definite in base alle prove raccolte in ciascuna di esse: gli elementi probatori emersi nell'una potranno essere utilizzati nell'altra solo per rafforzare il convincimento che si sia formato in base alle prove raccolte in ognuno. In questo modo, la sentenza che definisce l'unico processo, sarà suddivisibile in capi distinti, autonomamente impugnabili.

Rispondendo ora all'ultimo quesito posto, la querela di falso va indirizzata nei confronti dell'intera relazione di notificazione, la quale rappresenta l'atto dell'ufficiale giudiziario, così da consentire al giudice un vaglio completo e puntuale circa la asserita falsità o meno dell'atto stesso. Ovvio che poi, nello specifico, il ricorrente focalizzerà i suoi motivi di doglianza sulla seconda parte dell'atto, ma ciò non esime dalla necessità di impugnare l'atto principale, vera fonte da cui scaturisce la falsità.