L’
ordinanza è quel tipo di provvedimento giurisdizionale che ha una funzione c.d. ordinatoria del processo, essendo volta a regolare l’
iter procedimentale, risolvendo le questioni che possono insorgere tra le parti.
In quanto tale, essa presuppone un
contraddittorio tra le parti e la legge richiede che sia succintamente motivata; secondo parte della dottrina, infatti, il difetto assoluto di
motivazione ne determina la
nullità (altra parte della dottrina, invece, ritiene che non sussista alcun problema di nullità vera e propria, essendo l’ordinanza per sua natura revocabile e modificabile).
Requisiti tipici dell’ordinanza sono la sua revocabilità e modificabilità ad opera dello stesso giudice che l’ha emessa, nonché la sua inidoneità a pregiudicare la decisione della causa.
Oltre che come provvedimento tipicamente interlocutorio che può essere emesso nel corso del rito di cognizione ordinario, l’ordinanza viene utilizzata anche in numerosi altri ambiti e riti, e ciò ancor più a seguito della riforma operata dalla Legge n. 69/2009.
E’ intanto previsto l’utilizzo dell’ordinanza per i provvedimenti in tema di
competenza,
litispendenza,
continenza e
connessione, giustificato dal fatto che si tratta di un atto semplificato sotto il profilo formale e degli adempimenti di
cancelleria.
Anche il provvedimento conclusivo del nuovo rito sommario deve avere forma di ordinanza ex
art. 702 ter del c.p.c.; essa presenta dei caratteri che la rendono simile alla sentenza, quali l’essere provvisoriamente esecutiva e costituire titolo per l’iscrizione di
ipoteca giudiziale e per la
trascrizione.
Un ruolo particolarmente importante assume l’ordinanza istruttoria nel rito del lavoro e nel procedimento dinanzi al
giudice di pace, quando quest’ultimo decide la controversia secondo
equità.
Nell’ambito delle procedure esecutive, i provvedimenti emessi dal giudice dell’esecuzione sono normalmente assunti ex
art. 487 del c.p.c. comma 1 mediante ordinanza, e sono modificabili e revocabili finchè non abbiano avuto un principio di esecuzione.
La comunicazione dell’ordinanza, a cui fa riferimento il secondo comma, è l’atto mediante il quale il cancelliere, mediante il c.d.
biglietto di cancelleria, dà notizia alle parti del contenuto dell’ordinanza pronunciata fuori udienza dal giudice.
La sua mancata comunicazione comporta la nullità di tale provvedimento e di tutti gli atti successivi (compresa la sentenza eventualmente emessa), salvo che tale vizio non risulti successivamente sanato dalla comparizione spontanea della parte destinataria della comunicazione.
Le ordinanze pronunciate dal giudice in udienza, invece, se inserite nel processo verbale si reputano conosciute sia dalle parti presenti che da quelle che avrebbero dovuto intervenire e che non sono intervenute.
La legge prescrive la
notificazione dell’ordinanza nei casi previsti dagli artt. 179, 237, 288, 292 c.p.c. e
art. 121 delle disp. att. c.p.c..
Il terzo comma, introdotto dalla Legge n. 80/2005, è stato successivamente abrogato dall’art. 25 comma 1, lett. b) della Legge n. 183/2011