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Articolo 12 Codice del consumo

(D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206)

[Aggiornato al 31/12/2023]

Sanzioni

Dispositivo dell'art. 12 Codice del consumo

1. Fatto salvo quanto previsto nella parte IV, titolo II, e salvo che il fatto costituisca reato, per quanto attiene alle responsabilità del produttore, ai contravventori al divieto di cui all'articolo 11 si applica una sanzione amministrativa da 516 euro a 25.823 euro. La misura della sanzione è determinata, in ogni singolo caso, facendo riferimento al prezzo di listino di ciascun prodotto ed al numero delle unità poste in vendita.

2. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall'articolo 13 della predetta legge 24 novembre 1981, n. 689, all'accertamento delle violazioni provvedono d'ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa. Il rapporto previsto dall'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è presentato all'ufficio della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia in cui vi è la residenza o la sede legale del professionista.

Spiegazione dell'art. 12 Codice del consumo

Con la presente norma vengono individuate le sanzioni da comminare nel caso in cui il rivenditore al dettaglio metta in circolazione un prodotto che non riporta le indicazioni o queste non siano visibili e leggibili.
La sanzione è applicabile per la sola astratta capacità di quel comportamento di causare un sinistro per il consumatore, indipendentemente dall’effettivo verificarsi di un danno.
In particolare, in giurisprudenza è stato affermato che il dettagliante che immette sul mercato prodotti privi delle informazioni prescritte è sanzionabile senza che possa invocare la propria buona fede per aver acquistato i prodotti da rivenditori autorizzati o grossisti, trattandosi di errore di diritto non scusabile, stante la semplicità degli adempimenti richiesti, basati su una conoscenza minima e necessaria della legislazione nazionale ed europea, tanto più che il suo operato si colloca nella fase in cui è maggiore l'esigenza di tutelare la libera autodeterminazione del consumatore.

Tale tesi trova il proprio fondamento nella considerazione secondo cui la normativa consumeristica, in virtù della ratio protettiva che la contraddistingue, deve essere interpretata nel senso che anche il distributore, in quanto protagonista finale della filiera produttiva, destinato a relazionarsi direttamente con il consumatore, deve garantire che la confezione, l'etichetta o l'ulteriore documentazione illustrativa allegata alla merce, riportino le informazioni prescritte dalla legge, non potendosi appunto ritenere circostanza esimente l'aver acquistato i prodotti contestati presso rivenditori o grossisti autorizzati.

Difatti, gli artt. 11 e 12 del Codice del consumo, prevedendo una sanzione amministrativa in capo a quanti, genericamente, si dedichino al "commercio" di prodotti che non riportino, in modo visibile e leggibile, le indicazioni di cui all'art. 6, si prestano a essere interpretati sistematicamente alla luce del combinato disposto degli artt. 5, 7 e 13 del medesimo Codice, i quali non solo rivelano la ratio protettiva della norma, ma forniscono anche indizi ermeneutici bastevoli a far ritenere che il legislatore, nell'adoperare il termine "commercio", abbia inteso fare riferimento al rapporto intercorrente tra dettagliante e consumatore, essendo questa la soluzione più conforme allo spirito e allo scopo della norma.
Pertanto, una volta riconosciuto in via ermeneutica l'obbligo del distributore di non immettere sul mercato prodotti privi delle informazioni prescritte, l'eventuale omissione dei controlli necessari, giustificata attraverso il riferimento alla buona fede dell'obbligato, perfeziona un errore di diritto, da valutarsi in base al parametro dell'inevitabilità dell'errore.
A quest’ultimo proposito va richiamato l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in cui si evidenzia che per integrare l'elemento soggettivo delle sanzioni amministrative (assimilabili alle contravvenzioni penali), è sufficiente la mera colpa dell'agente, la quale non può essere esclusa dal solo errore sull'illiceità della condotta, genericamente celato sotto il velo della "buona fede", salvo che quest'ultimo risulti essere cagionato da circostanze esterne non imputabili a titolo di negligenza.

Tale giudizio di inevitabilità, ovviamente, non può prescindere da un attento apprezzamento delle competenze e della professionalità dell'agente, nell’ambito del quale vanno valutati anche gli obblighi di conoscenza della legge e i doveri d'informazione gravanti sullo stesso.

Per quanto concerne, infine, la procedura che conduce all’irrogazione delle sanzioni, va precisato che competente ad accertare l’infrazione è la polizia giudiziaria ed amministrativa, mentre all’irrogazione della sanzione provvede la Camera di Commercio della Provincia in cui ha la residenza o la sede legale il rivenditore.

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