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Articolo 1006 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Rifiuto del proprietario alle riparazioni

Dispositivo dell'art. 1006 Codice Civile

Se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritarda l'esecuzione senza giusto motivo, è in facoltà dell'usufruttuario di farle eseguire a proprie spese(1). Le spese devono essere rimborsate alla fine dell'usufrutto senza interesse(2). A garanzia del rimborso l'usufruttuario ha diritto di ritenere l'immobile riparato [2756; 152](3).

Note

(1) L'effettuazione delle riparazioni straordinarie rappresenta per il titolare una semplice facoltà, concessa dall'ordinamento a suo vantaggio, che nasce nel momento in cui il nudo proprietario rinuncia ad eseguire gli interventi di sua spettanza sulla cosa e relativamente alla quale è necessario tener conto dell'interesse dell'usufruttuario a che il valore d'uso della stessa non venga compromesso in alcun modo.
(2) A favore dell'usufruttuario non è previsto alcun rimborso delle spese sostenute per riparazioni straordinarie se oggetto del relativo diritto sono cose deteriorabili, passibili, cioè, di lenta consumazione, dal momento che il nudo proprietario non può trarre dalle stesse alcun vantaggio.
(3) Se le riparazioni in esame si riferiscono a beni mobili, l'usufruttuario gode del diritto di ritenzione e del privilegio riconosciutogli dalla legge per aver operato delle migliorie sugli stessi e per aver provveduto alla loro conservazione (v. art. 2756 del c.c.).

Spiegazione dell'art. 1006 Codice Civile

L'onere delle spese di custodia, amministrazione e manutenzione

L'usufruttuario ha durante il suo godimento una serie di obblighi che tendono ad assicurare la conservazione della cosa. L'esistenza di questi obblighi si ricava dalla non felicissima norma dell'art. 1004, che pone a carico dell'usufruttuario le spese e gli oneri relativi alla custodia, all'amministrazione e alla manutenzione ordinaria della cosa. Veramente la formulazione letterale della norma non condurrebbe necessariamente all'affermazione che l'usufruttuario abbia l'obbligo della custodia e della manutenzione ordinaria delle cose, perché che egli debba sopportare il carico delle spese occorse per la custodia e la manutenzione non significa necessariamente che egli debba fare queste spese.

Ma il dubbio non avrebbe ragion d'essere sia perché è chiaro che l'intenzione del legislatore non può essere stata quella di lasciare libero l'usufruttuario di fare o non fare quelle spese, sia perché risulta dal capoverso dell'art. 1004 che la manutenzione ordinaria è il contenuto di un vero e proprio obbligo dell'usufruttuario e risulta inoltre dall'art. 1015 del c.c. che, come si vedrà, regola un tipico atteggiamento dell'obbligo di custodia, che anche la custodia è un comportamento dovuto dall'usufruttuario.

Sarebbe stato comunque più conforme al testo legislativo porre senz'altro a carico dell'usufruttuario l'obbligo di custodia e di manutenzione, da cui sarebbe conseguito che le spese sostenute per l'adempimento di tali obblighi facevano carico all'usufruttuario. Quanto invece alle spese per l'amministrazione, esse non sono in relazione ad un presunto obbligo di amministrare dell'usufruttuario verso il proprietario. Le spese di amministrazione fanno carico esclusivamente al primo per l'evidente ragione che esse sono indissolubilmente legate al godimento e sono il necessario presupposto del reddito che dalla cosa l'usufruttuario viene a trarre.


L'obbligo di custodia

Poiché l'usufruttuario possiede la cosa anche in nome del proprietario, è chiaro che egli abbia, come qualunque possessore in nome altrui, l'obbligo di custodirla, allo scopo di prevenire le alterazioni nella consistenza materiale o nello stato giuridico che la cosa può subire in conseguenza di accidenti naturali o di fatti di terzi. Il contenuto e la misura dell'obbligazione di custodire si determina secondo i criterio della diligenza media, in altri termini l'usufruttuario deve vigilare sulla cosa e prendere quelle cautele che, in relazione alla natura della cosa e alla sua specifica destinazione economica, prenderebbe il buon padre di famiglia.

Una ulteriore specificazione del contenuto dell'obbligo di custodia porterebbe necessariamente a una casistica. Tuttavia a titolo di esempio si ricorda che l'usufruttuario deve prendere le normali cautele per evitare accidenti naturali come l'incendio o fatti delittuosi di terzi come il furto; il pascolo abusivo e così via; egli deve avvertire il proprietario se la cosa ha bisogno urgente di riparazioni che non siano a suo carico; deve inoltre curare che non venga alterata la condizione giuridica della cosa per fatto proprio o per fatto di terzi; così egli sarebbe responsabile se facesse estinguere per non uso una servitù costituita a favore del fondo su cui cade l'usufrutto, se facesse estinguere per prescrizione un credito perché non ha curato di riscuotere gli interessi o almeno di fare un atto interruttivo della prescrizione, se fa estinguere una garanzia ipotecaria per difetto di rinnovazione, se non provvede a farsi rilasciare il documento ricognitivo quando l'usufrutto ha per oggetto il diritto del concedente ai canoni enfiteutici ovvero una rendita perpetua, se permette l'usucapione di un terzo di un diritto sulla cosa.

Si è discusso se in base al suo obbligo di custodia l'usufruttuario sia tenuto ad assicurare la cosa contro i danni. Il Progetto preliminare aveva risolto la questione nel senso che l'usufruttuario era tenuto all'assicurazione se lo avesse richiesto il proprietario (art. 955 del c.c.). Probabilmente la soluzione era discutibile, ma ancora più discutibile è il silenzio che il nuovo codice mantiene al riguardo. In linea generale si dovrà negare che incomba all'usufruttuario l'obbligo dell'assicurazione, ma si dovrà fare eccezione per quelle cose così frequentemente esposte a determinati rischi che ogni persona di media diligenza provvede ad assicurarle. Quando l'usufruttuario provvede all'assicurazione, a lui incombe l'onere del pagamento dei premi per la durata del suo diritto, ma in caso di perimento totale o parziale della cosa l'usufrutto si trasferisce sull'indennità di assicurazione (art. 1019 del c.c.).

Essendo l'usufruttuario tenuto alla custodia della cosa, ne discende che in caso di perimento totale o parziale della cosa incombe all'usufruttuario l'onere di provare che esso e dovuto a una causa a lui non imputabile (art. 1225 c. 1865, art. 1218 del c.c.).


Manutenzione ordinaria e straordinaria

L'obbligo della manutenzione della cosa data in usufrutto è stata regolata dal nuovo codice in maniera apparentemente alquanto diversa da quella che risultava dal codice del 1865. Mentre infatti l'art. 501 poneva senz'altro a carico dell'usufruttuario le riparazioni ordinarie e gli articoli 502-503 lasciavano liberi il proprietario e l'usufruttuario di eseguire le riparazioni straordinarie, salvo a regolare il loro concorso nelle spese, invece dagli articoli 1004-1005 parrebbe doversi desumere che, se l'usufruttuario ha l'obbligo della manutenzione ordinaria, il proprietario ha da canto suo quello della manutenzione straordinaria. La diversità è però soltanto apparente, perché in realtà non si può parlare di un obbligo del proprietario di eseguire le riparazioni straordinarie. Infatti se il primo comma dell'art. 1005le riparazioni straordinarie sono a carico del proprietario») avesse il significato di creare per il proprietario un vero e proprio obbligo, la conseguenza dovrebbe essere che, in caso di inadempimento, l'usufruttuario potrebbe eseguire le riparazioni a spese del proprietario (art. 1220 c. 1865).

Invece l'art. 1005 stabilisce che, in caso di rifiuto o di ritardo del proprietario, l'usufruttuario ha soltanto la facoltà di eseguirle a proprie spese col diritto di essere rimborsato delle somme impiegate alla fine dell'usufrutto senza interessi. In sostanza, perciò, salva la diversa formulazione, è rimasto immutato il sistema del codice del 1865, con la sola differenza che è chiaramente accordata al proprietario la precedenza sull'usufruttuario nell'esecuzione delle riparazioni straordinarie, di guisa che, anche se la cosa ha urgente bisogno di riparazioni straordinarie, il proprietario può rifiutarsi di eseguirle e l'usufruttuario ha solo la facoltà di anticipate le somme necessarie per eseguirle direttamente. Che questo sia un risultato opportuno dal punto di vista sociale non si può forse dire, ma probabilmente la soluzione adottata a senza inconvenienti pratici, dato l'interesse che hanno entrambi i soggetti alla conservazione della cosa e delle sue attitudini fruttifere.

L'obbligo dell'usufruttuario si limita dunque alla manutenzione ordinaria. Potrebbe sembrare che una estensione di tale obbligo sia stabilita dal capoverso dell'art. 1004 che pone a carico dell'usufruttuario le riparazioni straordinarie rese necessarie dall'inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione, ma in realtà non si tratta di una vera e propria estensione ma piuttosto di una forma di risarcimento in forma specifica del danno provocato dall'inadempimento dell'usufruttuario, la quale sarebbe senz'altro ammissibile anche secondo le regole generali. Infatti le riparazioni straordinarie devono essere conseguenza necessaria (espressione che equivale alla conseguenza immediata e diretta di cui all'art. 1229 c. 1865) dell'inadempimento, e perciò è ovvio che l'usufruttuario a tenuto a eseguirle allo scopo di riparare il danno. Soltanto si può dire che nella nostra ipotesi non si può distinguere tra inadempimento doloso e colposo al fine di fare operare in questa seconda ipotesi il limite della prevedibilità del danno (art. 1228 c. 1865 e art. 1225 del c.c.) e non si può ritenere applicabile la disposizione di favore per il debitore che lo autorizza a risarcire il danno per equivalente quando il risarcimento in forma specifica sarebbe per lui eccessivamente oneroso. S'intende però che se l'usufruttuario non esegue le riparazioni straordinarie, il proprietario pub farle eseguire a spese dell'usufruttuario medesimo senza che questi abbia diritto a rimborso alcuno alla fine dell'usufrutto.

La distinzione fra riparazioni ordinarie e straordinarie non è sempre chiara. Nel vecchio codice, almeno per quanto riguardava gli edifici e altre opere immobili annesse a un fondo (argini, acquedotti, muri di cinta), il criterio di distinzione era testuale, perché l'elenco di riparazioni straordinarie contenute nell'art. 504 doveva considerarsi tassativo, dato che la disposizione si chiudeva con l'affermazione che tutte le altre riparazioni erano ordinarie. Invece altrettanto non può dirsi per il nuovo codice perché l'art. 1005, pur ripetendo quasi letteralmente l'elenco contenuto nel vecchio art. 504, non contiene più la norma che le altre riparazioni devono qualificarsi ordinarie. Il che deve far pensare, malgrado che non si trovi alcun ausilio nei lavori preparatori, che l'intenzione legislativa è stata quella di eliminare il carattere di tassatività che l'elencazione aveva nel codice abrogato. Tuttavia dal fatto che la legge espressamente qualifichi come riparazioni straordinarie quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta, si può desumere il criterio generale di distinzione fra riparazioni ordinarie e straordinarie, al fine di delimitare il contenuto dell'obbligo di manutenzione dell'usufruttuario.

Si noti anzitutto che a questo scopo non è rilevante l'indagine sulle cause che rendono necessarie le riparazioni. Anche se la necessità deriva da eventi fortuiti che l'usufruttuario non poteva in alcun modo evitare, le riparazioni sono a carico dell'usufruttuario se esse rientrano oggettivamente nella categoria delle riparazioni ordinarie, sono in definitiva a carico del proprietario nell'ipotesi inversa.

Ciò premesso devono ritenersi spese di manutenzione ordinaria quelle necessarie per conservare per uno spazio di tempo limitato, e non mai oltre alla possibile durata dell'usufrutto, il reddito normale della cosa mentre devono ritenersi spese di manutenzione straordinaria quelle necessarie per conservare la cosa nella sua capacità redditizia e quindi indirettamente per conservare per un tempo indefinito il reddito. All'usufruttuario infatti non può essere imposto un sacrificio maggiore di quello rappresentato dalle spese della prima categoria: egli non deve sopportare altro che le spese della manutenzione che e condizione del suo godimento e non può essere tenuto a conservare la cosa nella sua capacità produttiva indefinita nel tempo. D'altro canto non si potrebbe far carico al proprietario delle spese necessarie a conservare il reddito della cosa per uno spazio di tempo limitato, perché l'utilità di queste spese si riversa direttamente e immediatamente nel patrimonio dell'usufruttuario, il quale ne sarebbe così ingiustamente arricchito.


L'obbligo di manutenzione dell'usufruttuario

L'obbligo di manutenzione ha una sua autonomia rispetto all'obbligo di custodia quando l'usufrutto ha per oggetto una cosa corporale: se questo invece ha per oggetto un diritto di credito i due obblighi si identificano quanto al contenuto e al risultato pratico.

L'obbligo di manutenzione ordinaria che incombe sull'usufruttuario è più lato dell'obbligo di eseguire le riparazioni ordinarie (per cui giustamente l'art. 1004 ha modificato la formula dell'art. 501), perché la manutenzione comprende ad es. l'alimentazione degli animali, la coltura dei fondi, la conservazione dell'efficienza dell'organizzazione di un'azienda e così via.

Il contenuto dell'obbligo di manutenzione che genericamente consiste nel dovere di erogare le spese necessarie per conservare (quindi non per aumentare, nel qual caso non si tratterebbe più di manutenzione ma di miglioramenti) alla cosa la sua attitudine a dare utilità, si specifica diversamente in relazione alla destinazione economica della cosa e alla sua natura. Così se oggetto dell'usufrutto sono animali, l'obbligo della manutenzione si esaurirà nell'alimentazione e nel mantenimento delle condizioni di vita normali, se oggetto è un'azienda, consisterà nella conservazione della sua organizzazione, del suo avviamento, degli impianti, delle scorte, e così via.

Per determinare sino a qual punto si estenda l'obbligo della manutenzione bisogna avere riguardo allo stato in cui si trovavano le cose soggette all'usufrutto nel momento in cui è stato costituito, non potendo essere l'usufruttuario tenuto a rispondere delle alterazioni o delle menomazioni che la cosa abbia subito prima di quel momento. Deve quindi ritenersi esatta quell'opinione che ritiene non essere l'usufruttuario tenuta a erogare le spese di manutenzione ordinaria che occorrevano all'inizio dell'usufrutto. Ciò era stato espressamente affermato nel Progetto preliminare (art. 146), ma deve ammettersi, perché in perfetta armonia coi principi, anche per il codice malgrado non sia stata riprodotta la norma proposta dalla Commissione Reale.

Per converso si ritiene che l'obbligo di manutenzione nasce a carico dell'usufruttuario nel momento in cui ha inizio l'usufrutto e non in quello eventualmente successivo in cui 1"usufruttuario abbia conseguito il possesso delle cose.

Se l'usufruttuario non adempie all'obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria, il proprietario, se non preferisce chiedere l'applicazione delle sanzioni disposte dalla legge per i casi di abuso, può attendere la cessazione dell'usufrutto e chiedere allora la restitutio in pristinum o il risarcimento dei danni, oppure può procedere immediatamente sostituendosi all'usufruttuario nell'esecuzione delle opere col diritto al rimborso delle spese ed eventualmente al risarcimento dei danni, secondo le norme sul l'esecuzione in forma specifica delle obbligazioni di fare. Era tuttavia molto discusso per il vecchio codice se il proprietario avesse questo diritto durante l'usufrutto ritenendosi da alcuni scrittori che anche sotto questo profilo la pretesa del proprietario dovesse essere rimandata alla fine dell'usufrutto. Il Progetto preliminare aveva risolto la questione nel senso migliore e più aderente alla esigenza di provvedere subito alla conservazione dell'attitudine produttiva della cosa (art. 957 del c.c.), ma mi pare che, anche nel silenzio del codice, questa sia la soluzione preferibile. Quando il proprietario ha un interesse attuale all'esecuzione delle opere, non si può costringerlo a restare impotente davanti alla omissione dell'usufruttuario o costringerlo a chiedere la decadenza di quest'ultimo dal suo diritto.

Dall'obbligo di manutenzione l'usufruttuario può liberarsi rinunciando all'usufrutto sempre che le opere da eseguire non si riferiscano a un periodo di godimento già trascorso.


Le riparazioni straordinarie

Il carico delle riparazioni straordinarie incombe, come si è visto, sul proprietario nel senso che egli in definitiva o le esegue direttamente o deve alla fine dell'usufrutto rimborsare all'usufruttuario quanto abbia speso per la loro esecuzione, ma non nel senso che il proprietario abbia l'obbligo in senso tecnico di eseguirle. Si può dire invece che il proprietario ha diritto di eseguirle, nel senso che l'usufruttuario non può opporsi, ancorché durante la esecuzione delle opere egli possa essere menomato nel suo godimento.

Se il proprietario esegue le riparazioni, l'usufruttuario gli deve corrispondere per tutta la durata del suo diritto gli interessi sulle somme spese. Non si tiene conto a questo proposito del fatto che l'usufruttuario consegua o no un incremento di reddito per effetto delle riparazioni straordinarie o che queste aumentino o meno il valore della cosa. Il Progetto preliminare seguiva una diversa soluzione (art. 959 del c.c.), ma questa è stata abbandonata nel testo definitivo perché complicava troppo la definizione dei rapporti tra proprietario e usufruttuario. Del resto è normale che l'usufruttuario riceva dei concreti benefici per effetto delle riparazioni straordinarie eseguite dal proprietario.

Se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni straordinarie oppure ne ritarda senza giusto motivo l'esecuzione, l'usufruttuario può (non deve) eseguirle a proprie spese. Alla fine dell'usufrutto egli ha diritto di essere rimborsato delle spese sostenute. Il rimborso, a differenza del vecchio codice (art. 502) e del Progetto preliminare (articoli 148 e 150) deve essere integrate e non è condizionato nè per l'esistenza nè per l'entità alla utilità che le opere hanno apportato alla cosa o alla loro sussistenza al tempo della cessazione dell'usufrutto. Sulla somma che deve essere rimborsata non decorrono interessi a favore dell'usufruttuario se non dalla fine dell'usufrutto, epoca nella quale il credito diviene esigibile e quindi come tale produttivo di interessi secondo il principio generale di cui al Libro delle Obbligazioni.

Dispone infine l'art. 1006 che «a garanzia del rimborso l'usufruttuario ha diritto di ritenere l'immobile riparato». La disposizione si riferisce solo agli immobili perché per i beni mobili l'usufruttuario avrebbe, anche nei confronti dei terzi aventi causa e dei creditori del proprietario, la garanzia del privilegio per le spese di conservazione, che attribuisce al creditore non solo il diritto di ritenere la cosa ma anche quello di farla vendere secondo le regole stabilite per la vendita del pegno.

Il Progetto preliminare (art. 148, comma terzo) accordava all'usufruttuario nei confronti dei creditori procedenti contro il proprietario un diritto di prededuzione analogo a quello che ha il terzo acquirente dell'immobile ipotecato per i miglioramenti da lui fatti, ma il codice non ha accolto la proposta di questa forma ulteriore di garanzia, sul presupposto che il diritto di ritenzione, certamente opponibile anche all'aggiudicatario, sia una sufficiente garanzia per le ragioni dell'usufruttuario.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

482 Circa la ripartizione delle spese e degli oneri tra proprietario e usufruttuario, si è riveduta e completata negli artt. 1004-1009 la disciplina del codice del 1865 (artt. 501-508). Sono a carico dell'usufruttuario tutte le spese relative alla custodia, all'amministrazione e alla manutenzione ordinaria della cosa: così pure devono essere sostenute dall'usufruttuario le riparazioni straordinarie, rese necessarie dall'inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione (art. 1004 del c.c.). Le riparazioni straordinarie, invece, sono a carico del proprietario. L'enumerazione che di queste fa il secondo comma dell'art. 1005 del c.c. è conforme a quella contenuta nell'art. 504 del codice del 1865. L'usufruttuario, peraltro, poiché ne trae profitto, deve corrispondere al proprietario per la durata dell'usufrutto l'interesse delle somme per esse erogate (art. 1005, terzo comma). Se il proprietario non esegue le riparazioni, può eseguirle l'usufruttuario, e in tal caso ha diritto al rimborso delle spese senza interesse alla fine dell'usufrutto (art. 1006 del c.c.). Le stesse disposizioni valgono nel caso di rovina parziale, per vetustà o caso fortuito, di un edificio che formava accessorio necessario del fondo soggetto a usufrutto (art. 1007 del c.c.. Per ciò che concerne i carichi annuali, i quali sono addossati all'usufruttuario, l'art. 1008 del c.c., primo comma, risolve affermativamente la questione, sorta a proposito dell'art. 506 del codice del 1865, se l'usufruttuario debba corrispondere anche le rendite fondiarie. Il secondo comma dell'articolo ripartisce poi, per l'anno in corso al principio e alla fine dell'usufrutto, tali carichi tra proprietario e usufruttuario in proporzione della durata del rispettivo diritto. Gravano sul proprietario, salvo diverse disposizioni di legge, i carichi imposti sulla proprietà, inerenti cioè al capitale e non al reddito, ma l'usufruttuario deve corrispondergli l'interesse e, se ne anticipa il pagamento, ha diritto al rimborso del capitale, senza interesse, alla fine dell'usufrutto (art. 1009 del c.c. corrispondente all'art. 507 del codice del 1865). Non ho riprodotto, perché mi sembrava superfluo, la disposizione dell'art. 508 del codice anteriore, con la quale si riconosceva all'usufruttuario di una o più cose particolari il diritto di regresso verso il proprietario per il pagamento dei debiti di questo per cui il bene fosse ipotecato, nonché per le rendite semplici (o censi), le quali sostanzialmente non divergono di un comune debito ipotecario (articoli 1782 del codice precedente e art. 1861 del c.c.). La disciplina delle passività gravanti su un'eredità in usufrutto (art. 1010 del c.c.) è conforme a quella dettata dall'art. 509 del codice del 1865, che, però, più genericamente parlava di usufrutto di un patrimonio: e la modifica rende chiaro che l'usufrutto di un patrimonio non può essere costituito che come usufrutto dei singoli beni di cui il patrimonio è composto, con l'osservanza delle forme prescritte secondo la natura di ciascuno di questi. Al menzionato art. 509 del codice precedente si è aggiunta una disposizione (art. 1010, ultimo comma), che prevede la necessità della vendita dei beni per il pagamento dei debiti. La vendita è fatta d'accordo tra proprietario e usufruttuario, salvo ricorso all'autorità giudiziaria in caso di dissenso. Si è stabilito, infine, che l'espropriazione forzata debba seguire contro entrambi.

Massime relative all'art. 1006 Codice Civile

Cass. civ. n. 22703/2015

L'art. 1006 c.c., stabilendo che l'usufruttuario può ripetere solo alla fine dell'usufrutto le spese fatte in luogo del nudo proprietario, implica che, prima di tale momento, l'usufruttuario è carente di azione; quale mancanza di una condizione dell'azione, l'improponibilità della domanda di rimborso in pendenza dell'usufrutto può essere rilevata d'ufficio dal giudice.

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relative all'articolo 1006 Codice Civile

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Piero chiede
lunedì 13/06/2011 - Abruzzo
“Ho donato a mio figlio un terreno mantenendone l'usufrutto; se sul terreno viene successivamente costruito un immobile, quest'ultimo rientra nell'usufrutto?”
Consulenza legale i 14/06/2011

Certamente.

L'usufrutto, infatti, si estende a tutte le accessioni della cosa. Il legislatore, peraltro, ha trovato giusto che l'usufruttuario, poiché gode del maggior reddito della cosa per effetto di esse, debba corrispondere al proprietario l'interesse delle somme da questo impiegate per realizzarle. Si veda a tal fine quanto disposto dall'art. 983 del c.c.

Ipotizzando che il nudo proprietario costruisca un edificio condominiale di dieci unità investendo un milione di Euro, egli ritrarrà quale unico reddito dell'investimento gli interessi sul milione di Euro speso. Interessi che gli verranno corrisposti dall'usufruttuario; il quale, invece, potrà locare gli appartamenti e percepirne il relativo canone.

È chiaro che, da un punto di vista prettamente economico, il maggior vantaggio dell'operazione sarà a favore dell'uno o dell'altro a seconda dell'andamento del mercato delle locazioni e dei tassi di interesse legale, oltre che, dei livelli di tassazione fiscale dei redditi da locazione di fabbricati ad uso civile abitazione.


A.F. chiede
mercoledì 13/10/2021 - Campania
“Vorrei impugnare il verbale di assemblea condominiale datato 8 ottobre 2021 relativo ad una palazzina in Napoli alla Via (omissis), in quanto io quale usufruttuaria dell'appartamento al primo piano, ove ho anche la residenza, non sono stata mai convocata, precisando che non ho mai comunicato all'Amministratore del condominio di essere usufruttuaria dell'appartamento, mentre nuda proprietaria è mia sorella con la quale non convivo, la quale è stata sempre convocata via PEC. Inoltre, ho appreso per caso che anche i due figli di altro condomino sono nudi proprietari e non sono stati mai convocati, mentre è stato convocato sempre il di loro padre titolare di diritto di abitazione, sulla sua email personale.”
Consulenza legale i 19/10/2021
Gli errori che attengono alla convocazione dei condomini alla riunione condominiale possono essere messi a fondamento di una eventuale impugnazione della delibera assembleare. Ai sensi del 2° co. dell’art. 1137 del c.c. l’impugnazione deve essere proposta entro il termine perentorio e obbligatorio di 30 gg., che per i condomini non presenti alla riunione decorrono dal giorno in cui viene loro comunicato il verbale della assemblea.

Visto che la riunione di condominio ha avuto luogo il giorno 8 ottobre scorso, si è ancora nei termini per avanzare una qualche contestazione a ciò che l’assise ha deciso. Tale probabilità è resa ancora più reale dal fatto che il termine indicato dall’art. 1137 del c.c. può ritenersi rispettato nel momento in cui si propone davanti ad un organismo abilitato un'istanza di mediazione: atto che può sicuramente redigersi anche in tempi molto brevi e ristretti rispetto ad un atto di citazione nei confronti del condominio, che dovrà essere poi notificato all’amministratore e iscritto successivamente a ruolo.

Si ricorda che ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs n.28/2010, nelle cause condominiali l’instaurazione del procedimento di mediazione diviene un passaggio obbligatorio e condizione necessaria per proporre poi opposizione innanzi al giudice.

Se da un punto di vista processuale si è nei termini per proporre opposizione, non è però detto che poi la stessa possa essere considerata fondata nel merito. I commi 6°e 7° dell’art. 67 disp.att. del c.c. ci dicono che l’usufruttuario ha diritto di voto in assemblea, e quindi vi è l’obbligo di convocarlo, solo se l’assise è chiamata a discutere affari di ordinaria amministrazione, salvo che egli non intenda avvalersi del diritto di cui all’art. 1006 del c.c. ovvero si tratti di opere o lavori ai sensi degli art.985 e 986 del c.c. In tutti gli altri casi, il diritto di voto, e quindi l’obbligo di convocazione, spetta al nudo proprietario.

Per capire quindi se una ipotetica contestazione possa trovare accoglimento è necessario sapere gli argomenti che sono stati trattati durante la riunione dell’8.10 us.
Se tale riunione era la classica riunione condominiale annuale è molto probabile che tra i suoi argomenti all’ordine del giorno siano stati trattati affari attinenti alla ordinaria amministrazione dello stabile, come approvazione del bilancio, nomina revoca amministratore, incarico ad impresa di giardinaggio, etc. In questo caso vi era sicuramente l’obbligo di convocare l’usufruttuario.
Se la riunione, invece, aveva ad oggetto la discussione circa lavori straordinari da eseguirsi nel palazzo, allora il diritto di voto spettava senz'altro al nudo proprietario, salvo che quest’ultimo si rifiuti di partecipare alla spesa: in questo caso l’usufruttuario può sopportare lui i costi d'intervento invocando la facoltà di cui all’ art. 1006 del c.c., avendo quindi diritto di voto nell'assemblea condominiale che tratta detti interventi.

Lo stesso discorso può dirsi nel caso in cui l’assemblea discuta sulla realizzazione di determinate innovazioni sulla cosa comune ai sensi degli artt. 1120e ss. del c.c. e l’usufruttuario voglia esercitare le facoltà di cui agli art. 985 e 986 del c.c.