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Articolo 751 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Collazione del danaro

Dispositivo dell'art. 751 Codice Civile

(1)La collazione del danaro donato si fa prendendo una minore quantità del danaro che si trova nell'eredità, secondo il valore legale della specie donata o di quella ad essa legalmente sostituita all'epoca dell'aperta successione(2) [1277 c.c.].

Quando tale danaro non basta e il donatario non vuole conferire altro danaro o titoli dello Stato, sono prelevati mobili o immobili ereditari, in proporzione delle rispettive quote(3) [725, 727 c.c.].

Note

(1) Essendo un'obbligazione pecuniaria, cioè avente ad oggetto una somma di danaro, essa è assoggettata al principio nominalistico (v. art. 1277 del c.c.). Oggetto di imputazione è la somma di denaro che ha costituito oggetto di donazione, rimanendo irrilevante l'intervenuta svalutazione monetaria.
(2) Nel caso in cui il de cuius abbia donato del denaro con cui l'erede abbia poi acquistato un immobile, è dubbio se la collazione debba avere ad oggetto l'immobile o il denaro, trovando in tale ultima ipotesi applicazione la norma in commento. La giurisprudenza più recente propende per la prima soluzione, osservando che lo scopo della collazione non è ricostruire una titolarità, quanto piuttosto distribuire la ricchezza. Rilevante diviene, quindi, non ciò che è uscito dal patrimonio del defunto ma ciò che ha costituito incremento del patrimonio del donatario.
(3) Qualora non vi sia abbastanza danaro per parificare la posizione degli altri coeredi rispetto al coerede tenuto a collazione, il donatario potrà scegliere se conferire altro danaro o titoli di Stato, ovvero consentire agli altri coeredi di prelevare beni mobili o immobili dall'eredità per un valore corrispondente alle somme di danaro oggetto di donazione.
Ove nel patrimonio non siano presenti beni sufficienti, al donatario verranno accollati debiti di conguaglio in denaro.

Ratio Legis

Scopo della norma è quello di consentire che tutti i coeredi, anche quelli non donatari, conseguano delle quote composte, in parte, di denaro.

Spiegazione dell'art. 751 Codice Civile

La prima parte del primo comma è conforme a quella dell’art. #1025# del vecchio codice del 1865. Secondo il principio fondamentale sancito nell’art. 718, il donatario del denaro, prendendo una minore quantità di quello che si trova nell’eredità, fa sì che le quote dei coeredi siano anch’esse composte, almeno in parte, da numerario.
La seconda parte del primo comma è diretta ad eliminare i dubbi che potrebbero sorgere per effetto delle svalutazioni della moneta, applicando il principio del valore legale di essa.
Se il denaro esistente in massa non fosse stato sufficiente, il donatario, secondo il capoverso dell’art. #1025# del codice precedente, aveva il diritto graduale di conferire denaro o cedere mobili o in mancanza immobili ereditari. Il nuovo testo introduce due innovazioni: a) attribuisce il diritto di conferire, in luogo del denaro, titoli di rendita (al corso dell’apertura della successione); b) parifica il conferimento mobili ed immobili. La scelta spetta al donatario conferente in conformità del principio fondamentale di cui all’art. #1178# del vecchio codice del 1865.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

363 Una lieve modificazione ho introdotta nel secondo comma dell'art. 751 del c.c., uniformando la regola relativa al prelevamento dei beni ereditari da parte degli eredi che avrebbero diritto alla collazione del denaro al principio più generale stabilito nell'art. 725 del c.c..

Massime relative all'art. 751 Codice Civile

Cass. civ. n. 8174/2022

In tema di successione necessaria, la riunione fittizia, quale operazione meramente contabile di sommatoria tra attivo netto e "donatum", cioè tra il valore dei beni relitti al tempo dell'apertura della successione, detratti i debiti, ed il valore dei beni donati, sempre al momento dell'apertura della successione, è finalizzata alla determinazione della quota disponibile e di quella di legittima, per accertare l'eventuale lesione della quota riservata al legittimario; ne deriva che l'inammissibilità della domanda di riduzione proposta, nei confronti del donatario non coerede, dal legittimario che non abbia accettato l'eredità con il beneficio d'inventario è del tutto ininfluente ai fini della riunione fittizia. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso dalla riunione fittizia il valore di un bene donato ad un non coerede in ragione dell'inammissibilità della domanda di riduzione proposta nei suoi riguardi dal legittimario che aveva omesso di accettare l'eredità con il beneficio dell'inventario).

Cass. civ. n. 26486/2019

In tema di divisione ereditaria la collazione del denaro ricevuto in donazione dal "de cuius" soggiace al principio nominalistico con esclusione di qualsiasi rivalutazione, senza che possa tenersi conto del mutato potere d'acquisto della moneta. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 19/08/2015).

Cass. civ. n. 18054/2004

In tema di successioni mortis causa la collazione del denaro si attua naturalmente per imputazione, sul presupposto necessario che si sia in precedenza proceduto ad un'operazione di divisione dell'asse ereditario, realizzandosi l'imputazione, appunto, attraverso un minor prelievo rispetto a quanto altrimenti spetterebbe pro quota al donatario sull'intero asse. Da ciò conseguono l'impossibilità di scindere logicamente i due momenti — quello della collazione e quello della formazione delle quote ereditarie spettanti a ciascun coerede — e perciò la necessità che la collazione si compia all'interno dell'operazione di divisione dell'asse ereditario (nella specie, gli eredi del de cuius morto ab intestato avevano chiesto che venisse ammesso, in prededuzione, il loro credito avverso il fallimento di un altro coerede che aveva ricevuto in vita alcune donazioni in denaro, delle quali si chiedeva operarsi la collazione. La s.c., nel confermare la sentenza di rigetto della domanda emessa dalla corte di merito, ha enunciato il principio di diritto di cui in massima).

Cass. civ. n. 836/1973

La collazione per imputazione è il modo normale della collazione delle donazioni di denaro tanto secondo l'art. 1025 del c.c. del 1865, quanto secondo l'art. 751 del c.c. vigente, mentre ha carattere eccezionale la collazione reale, la quale può avvenire allorché il denaro manchi o non sia sufficiente a che gli altri coeredi prelevino somme di ammontare pari a quello ricevuto dal donatario. In questa seconda ipotesi, peraltro, la collazione reale può essere esclusa allorché il donante abbia imposto al donatario l'onere di conferire in collazione il denaro donato, mediante imputazione e non in natura; onere perfettamente valido, dovendosi riconoscere al donante il potere e la facoltà di stabilire il modo di conferimento della disposta donazione. (Nella specie la volontà del donante si era espressa nel senso che per le somme di denaro donate la collazione si facesse per imputazione, escludendo un conferimento alla massa ereditaria di somme di pari ammontare).

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relative all'articolo 751 Codice Civile

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Caterina B. chiede
domenica 07/07/2019 - Campania
“Buongiorno, vorrei sottoporvi il mio caso piuttosto complicato: mio padre è morto quattro anni fa e mia madre due anni fa. Mio padre ha redatto un testamento olografo in cui ha disposto che il suo patrimonio venga così suddiviso tra i suoi 5 figli:
- un appartamento del valore di circa 280000 euro a mio fratello Cesare che vive in questo appartamento.
- un appartamento del valore di circa 200000 euro a mio fratello Gennaro e a mia sorella Laura in parti uguali.
- una proprietà rurale del valore di circa 25000 euro a mia sorella Anna e a mio fratello Gennaro in parti uguali.
- una proprietà rurale del valore di circa 30000 euro a me e a mia sorella Laura in parti uguali.
A mia madre l'usufrutto è il diritto di abitazione vita natural durante.
Nulla ha disposto di una somma di 250000 euro che aveva depositato sul c.c. di mio fratello Cesare.
Premetto che mio padre ha donato a me nel 1982 la somma di 30.000.000 di lire per potermi comprare una casa. Ha poi donato a mia sorella Anna la somma di 50.000.000 di lire per lo stesso motivo.
Vorrei sapere come si rivalutano le due donazioni per poterle aggiungere al patrimonio ereditario. Si devono calcolare anche gli interessi legali?
È valido questo testamento visto che non tiene conto della quota legittima?
Come andrebbe diviso il patrimonio, tenendo conto che la volontà dei miei genitori era di lasciare a mio fratello Cesare l'appartamento in cui vive?
Le donazioni in mio favore e di mia sorella Anna non risultano da un atto pubblico e non sono tracciabili ma sono note ai miei fratelli.
Il conto su cui mio padre ha versato la somma di 250000 euro non è cointestato ma il versamento è tracciabile.
Grazie ancora per la risposta. Cordiali saluti

Consulenza legale i 18/07/2019
Il caso in esame richiede sostanzialmente di affrontare il problema, abbastanza comune in materia successoria, di come tener conto di eventuali donazioni (dirette o indirette) o comunque di qualunque altro atto di liberalità effettuato in vita dal de cuius a favore di uno o più eredi, e ciò al fine di giungere al corretto calcolo della quota di riserva spettante a ciascuno dei legittimari.

Il patrimonio ereditario in relazione al quale vengono sollevati dubbi è quello del proprio padre, il quale al momento della sua morte lasciava come eredi legittimari il coniuge e cinque figli.
In presenza di coniugi e figli, la norma a cui fare riferimento per il calcolo della quota di riserva è l’art. 542 del c.c., il quale dispone che se chi muore lascia il coniuge e più di un figlio, a questi ultimi è riservata la metà del patrimonio del defunto, ovviamente da dividere in parti eguali (ci si riferisce soltanto ai figli in quanto è chiaro che il problema non può riguardare l’altro coniuge, perché già deceduto).

A questo punto, la successiva operazione da compiere è quella di cercare di determinare la quota di cui il defunto poteva disporre (cioè di cui poteva fare ciò che voleva, anche donandola a terzi estranei alla famiglia).
Per compiere tale operazione dobbiamo volgere l’attenzione all’art. 556 del c.c., il quale dispone che occorre preliminarmente formare una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al momento della morte, dalla quale vanno detratti gli eventuali debiti.
Successivamente si riuniranno (fittiziamente) i beni di cui sia stato disposto per donazione e sull’asse così formato si potrà calcolare la quota di cui il defunto poteva disporre.

In relazione alla determinazione del valore dei beni donati, la medesima norma richiama gli articoli dal 747 al 750 c.c., mentre per il denaro è stata dettata una specifica norma, ossia l’art. 751 c.c., il quale dispone che la collazione del denaro si fa “…secondo il valore legale della specie donata…”
Tale espressione va intesa nel senso che, trattandosi di donazione di una somma di denaro, per essa vige il principio nominalistico di cui all’art. 1277 del c.c. (in particolare si veda il primo comma di tale norma), con la conseguenza che oggetto di imputazione sarà la somma di denaro che ha costituito oggetto di donazione, rimanendo irrilevante l’intervenuta svalutazione monetaria.

Ciò significa (e così si risponde ad una delle domande poste) che non potrà essere fatta alcuna rivalutazione delle donazioni di somme di denaro, anche se deve precisarsi che il principio nominalistico (inteso come possibilità per il debitore di liberarsi pagando la sola somma indicata nel titolo per il suo valore nominale) gode di piena operatività fintantoché la prestazione non diventi esigibile.
L’esigibilità del credito (che segna il momento in cui il debitore diviene inadempiente) determina il passaggio ad una fase in cui il bilanciamento tra l’interesse debitorio e l’interesse creditorio non può più risolversi a tutto vantaggio del debitore.
Infatti, seppure a seguito della intervenuta esigibilità del credito non si realizza una trasformazione del debito di valuta in debito di valore (per effetto della quale la somma dovrebbe essere assoggettata ad una operazione di rivalutazione in senso stretto), da quel momento il debitore (cioè chi ha ricevuto la donazione della somma di denaro) sarà tenuto a corrispondere gli interessi.

Di ciò ne è chiara applicazione l’art. 745 del c.c., il quale risponde esplicitamente alla domanda posta nel quesito, relativa al calcolo o meno degli interessi.
Dispone tale norma, infatti, che gli interessi sulle somme soggette a collazione non sono dovuti che dal giorno in cui si è aperta la successione, essendo questo il momento in cui il credito diventa esigibile (non saranno dovuti interessi, dunque, per il periodo di tempo che va dalla compiuta donazione alla morte del de cuius).

Chiarito questo aspetto, vediamo se il testamento del de cuius può trovare integrale applicazione, non potendosi mettere in dubbio la sua validità (infatti, un testamento, anche se lesivo della quota di riserva, è pienamente valido, mentre può soltanto autorizzare il legittimario leso o pretermesso ad agire in riduzione).
Dando per presupposto che si abbia certezza giuridica e piena prova delle donazioni di somme di denaro che il de cuius ha fatto in favore di alcuni soltanto dei suoi figli, il patrimonio da prendere in considerazione, stando a quanto viene detto nel quesito, risulta composto da immobili per un valore di circa € 535.000,00 e da denaro per un valore di circa € 330.000, per un totale complessivo di circa € 865.000,00.

Poiché ex art. 542 c.c. comma secondo la quota riservata ai figli deve essere pari alla metà del patrimonio ereditario (ossia euro 432.500,00) da dividere in parti eguali (ossia € 86.500,00 ciascuno), ci si accorge che Cesare, Gennaro e Laura hanno fatto la parte del leone, mentre Anna e, in particolare, Caterina sono quelle a cui è andata peggio, in quanto Anna ha ricevuto beni per un valore pari a circa € 62.500,00 e Caterina addirittura beni per un valore di circa € 45.000,00.
Caterina ed Anna, dunque, avrebbero tutto il diritto di agire in riduzione.

Nasce a questo punto il vero problema, in quanto, fatta salva l’ipotesi remota che i beneficiari delle somme donate dal padre riconoscano con atto spontaneo e volontario di aver ricevuto a titolo gratuito e per puro spirito di liberalità tali somme, sarà alquanto complesso riuscire a dimostrare, soprattutto a distanza di tanti anni, che il de cuius ha elargito in vita denaro in favore di alcuni soltanto dei suoi figli.
Come è detto nel quesito, infatti, non si ha alcuna traccia del denaro donato ad Anna e Caterina, mentre sono tracciabili soltanto i versamenti effettuati sul conto corrente personale di Cesare, al quale non può essere impedito di addurre che quelle somme gli erano dovute dal padre per un qualsiasi titolo (es. per prestiti fatti in favore dello stesso padre nel corso degli anni, di cui, ragionando ovviamente per ipotesi, Cesare potrebbe avere una prova documentale precostituita ad hoc e da utilizzare all’occorrenza).

Queste considerazioni inducono a cercare di raggiungere in altro modo il risultato sperato, ossia quello di veder accresciuta la propria porzione di eredità in misura quantomeno pari alla quota di riserva che il legislatore ha voluto garantire a ciascun legittimario.

Ebbene, abbiamo prima calcolato che tale quota dovrebbe essere pari a circa € 86.500,00 e che Caterina ha ottenuto finora, tra donazione del denaro e immobili, un valore pari a circa € 45.000,00
La sua quota, dunque, dovrebbe essere integrata di circa € 41.500,00.
Lasciando da parte ogni tentativo di far valere la collazione delle donazioni effettuate in vario modo in vita dal de cuius (operazione che risulterebbe estremamente complessa e dispendiosa al fine di conseguirne la prova), ciò che si consiglia è di concentrarsi su quello che il proprio padre ha lasciato per testamento, ovvero gli immobili.
Dal calcolo del valore dei beni relitti, ne esce fuori un patrimonio pari a circa € 535.000,00, del quale, giusta il disposto di cui al citato art. 542 c.c., la metà doveva essere riservata ai figli in parti eguali.
In termini numerici avremo che ciascun figlio avrebbe dovuto ricevere beni per un valore di circa € 53.500,00.
Considerato che Caterina ha ricevuto soltanto un mezzo indiviso di una proprietà rurale per un valore di circa € 15.000,00, avrà tutto il diritto di recuperare con l’esercizio dell’azione di riduzione la restante parte della sua quota, pari a circa € 38.500,00, che, come si può vedere, non si discosta poi tanto dal valore della quota comprensiva delle donazioni, calcolata in circa € 41.500,00.
Sicuramente, l’interesse a recuperare una così minima differenza non può in alcun modo giustificare l’instaurazione di una battaglia legale, volta a dimostrare la donazione delle somme di denaro e la loro riunione alla massa da dividere.

Con ciò vuol dirsi che, risultando indiscussa la validità del testamento e considerato in ogni caso che il testatore aveva a sua disposizione un quarto del patrimonio per avvantaggiare chi gli faceva più gradimento tra i suoi figli, ciò che si consiglia di fare è portare all’attenzione di chi ha ricevuto di più (ossia Cesare, Gennaro e Laura) il calcolo delle quote come sopra riportato e sperare di ottenere da loro, in via bonaria, una integrazione in denaro della propria quota per un importo di circa € 38.500,00.

Qualora la soluzione bonaria non dia il risultato sperato, non resta altra strada, purtroppo, che agire in riduzione ex artt. 553 e ss. c.c., chiedendo al Giudice investito della controversia che l’appartamento del valore di € 280.000,00 venga lasciato per intero al fratello Cesare (come voluto dal testatore) e che lo stesso venga condannato, per la parte che gli compete, a compensare in denaro i legittimari la cui quota sia stata lesa.


Lorenzo chiede
sabato 23/03/2019 - Emilia-Romagna
“Buongiorno
Siamo due fratelli, Luca e Pamela.
Pamela nel 2003 ha ricevuto una donazione dai genitori pari ad Euro 300.000, effettuata da un notaio.
Tale donazione di denaro proveniva dalla vendita di un appartamento di proprietà (A) dei genitori nel quale Pamela viveva da alcuni anni.
Con la cifra donata Pamela autonomamente ed insieme al marito ha comprato un altro immobile (B) dove tutt’ora risiede.
Nel 2007 viene a mancare il primo dei due genitori e i due fratelli hanno accettato e diviso l’eredità (conti correnti e la quota dell’immobile (C) dove vivono i genitori) in parti uguali senza procedere a collazione con una semplice accettazione di eredità ognuno per la sua parte di legittima.
Nel 2009 Luca riceve una donazione in denaro di euro 100.000, somma utilizzata da Luca per comprare un immobile, dove tutt’ora risiede.
Nel 2010 viene a mancare il secondo dei genitori e i due fratelli hanno accettato e diviso l’eredità (conti correnti e la quota restante dell’immobile (C) dove vivevano i genitori) in parti uguali senza procedere a collazione con una semplice accettazione di eredità ognuno per la sua parte di legittima.
Come nel 2007 anche nel 2010 Luca non ha ricevuto somme o beni in quantità superiore alla sorella.
Nel 2019 si procede alla vendita dell’immobile ereditato (C) (in comproprietà al 50% tra ognuno dei due eredi come da successione del 2007 e del 2010)
Luca, non avendolo fatto nei 10 anni precedenti, vorrebbe sistemare i conti tra fratelli approfittando della vendita dell’immobile C.
Luca sostiene quindi di essere a credito verso Pamela di euro 100mila, avendo avuto solo 100mila ((300+100)/2=200mila corrisponderebbe alla quota pro capite)
Luca sostiene che gli dovrebbero essere riconosciuti anche gli interessi a decorrere dalla data di apertura della successione ad oggi, quindi dopo quasi 10 anni.
Pamela sostiene che:
va considerato il valore dell’appartamento (A) venduto nel 2003 ad oggi (che è inferiore del 30% rispetto al 2003, e quindi pari a 210mila, avendo subito la svalutazione immobiliare)
va considerato che anche i 100mila di Luca vanno ridotti del 30% avendo subito anch’esso la svalutazione immobiliare fino ad oggi, quindi i 100mila donati a Luca vanno imputati per 70mila
Quindi Luca non sarebbe creditore di 100mila verso Pamela, ma di 70 mila ((210+70)/2=140mila quota pro capite)
Luca sostiene che non può subire il deprezzamento di un immobile poiché la sorella ha avuto una donazione in denaro, a prescindere dall'utilizzo che la stessa ha fatto di quel denaro, e non ritiene corretto di essere agganciato al valore di mercato di un immobile, ma alla donazione di cui solo oggi può rientrare in possesso per la sua quota di spettanza.”
Consulenza legale i 28/03/2019
Il caso prospettato richiede di prendere in esame le norme che il codice civile detta in materia di collazione, ed in particolare, per ciò che qui ci interessa, gli articoli 745 e 751 c.c.
Come dimostra la stessa collocazione di tali norme, l’istituto della collazione svolge una funzione strumentale rispetto a quelle che sono le esigenze della divisione ereditaria, nel senso che il diritto di collazione si fonda su una pretesa creditoria che non può essere avulsa dalla divisione del patrimonio ereditario (in tal senso si esprime anche la giurisprudenza, tra cui si segnala Cass. Civ. Sez. I, sent. N. 18054/2004).

Trattasi di un presupposto che fortunatamente ricorre nel caso di specie, tenuto conto che Luca vuol far valere una sua potenziale pretesa creditoria in sede di vendita di quello che sembra essere l’unico cespite residuo del patrimonio del defunti genitori.
Da tale vendita, infatti, ne conseguirà, per forza di cose, la divisione tra i fratelli della somma pattuita quale corrispettivo, a tacitazione delle quote ereditarie di rispettiva pertinenza (quote che, in assenza di testamento e di altri eredi, non potranno che essere eguali).

Pertanto, se uno dei due fratelli ha ricevuto, in vita dei genitori, una o più donazioni di maggior consistenza rispetto all’altro, sarà solo in questo momento che il fratello svantaggiato potrà far valere il proprio diritto di credito.
Diversa sarebbe stata la situazione se nel patrimonio ereditario non fosse rimasto più nulla da dividere, in quanto sarebbe venuto a mancare il presupposto essenziale per far valere il proprio diritto alla collazione della donazione di maggior valore ricevuta da Pamela.

Ebbene, passando adesso all’analisi della disciplina interessata, va osservato che, per espressa disposizione dell’art. 751 c.c., la collazione del denaro si attua soltanto per imputazione.
Sul piano concreto, ciò comporta che il donatario, in sede di divisione, avrà diritto a prelevare meno di quanto gli spetterebbe secondo il valore della sua quota.
Il problema che qui viene sollevato, però, attiene alla misura in cui gli eredi Pamela e Luca devono imputare le donazioni in denaro ricevute, avendo la prima ricevuto una donazione pari ad euro 300.000 ed il secondo una donazione pari ad euro 100.000.

Intanto va precisato che nessuna rilevanza può assumere il fatto che i donatari hanno utilizzato quelle somme di denaro per acquistare degli immobili, in quanto occorre guardare a ciò di cui il loro patrimonio è stato accresciuto (ed è appunto il denaro).
Precisato ciò, va poi detto che il codice civile, sempre in materia di collazione, distingue espressamente tra collazione di immobili, di mobili e di denaro, e ciò lo fa agli articoli dal 746 al 751 c.c. (norme, peraltro, richiamate dall’art. 556 del c.c. in materia di azione di riduzione).
In particolare, mentre per la collazione di immobili e di mobili si dispone che la stessa venga effettuata con riferimento al valore che tali beni hanno al momento dell’apertura della successione (salvo, nel solo caso di immobili, il diritto a rendere il bene in natura), per la collazione del denaro l’art. 751 c.c. fa riferimento al “valore legale della specie donata o di quella ad essa legalmente sostituita all’epoca dell’aperta successione”.

Tale norma, dunque, deve interpretarsi nel senso che, accanto alla collazione per imputazione (costituente il modo normale per le donazioni di somme di denaro), il legislatore ha eccezionalmente previsto la c.d. collazione reale, alla quale è possibile fare ricorso nell’ipotesi in cui nel patrimonio ereditario manchi il denaro o non ve ne sia a sufficienza per consentire agli eredi di prelevarne quanto ne spetta.
In ogni caso, anche nell’ipotesi di collazione reale (che poi è l’unica forma di collazione che qui può realizzarsi), la donazione del denaro dovrà essere imputata secondo il principio nominalistico espresso dall’art. 1277 del c.c., essendo irrilevante l’intervenuta svalutazione monetaria.

Ciò significa che Pamela e Luca, nell’effettuare la collazione delle donazioni ricevute in vita dai loro genitori, dovranno imputare la somma di denaro che ciascuno di essi ha rispettivamente ricevuto (ossia 300.000 e 100.00), e ciò nonostante il fatto che nel frattempo si sia verificato un cambiamento del potere di acquisto della moneta, gravando sul creditore il rischio del deprezzamento della valuta (così Cass. N. 929/1964).
Qualora poi non vi siano beni sufficienti per effettuare i prelevamenti, sul coerede donatario avvantaggiato graverà un debito di conguaglio in denaro.

Diversa, invece, è la situazione nel caso di c.d. donazione indiretta, ossia nell’ipotesi in cui un soggetto (beneficiario finale) acquisti un immobile con denaro del donante, dovendo il denaro essere corrisposto nella sua interezza dal donante al donatario allo specifico scopo dell’acquisto del bene oppure mediante versamento diretto dell’importo al venditore (in tal senso si è espressa Cass. N. 17604/2015, la quale ha qualificato come donazione diretta del denaro la consegna che il donante abbia fatto al donatario di una specifica somma di denaro che, successivamente, il donatario abbia deciso di utilizzare per l’acquisto di un immobile).

Nel caso di donazione indiretta, dunque, ciò che si richiede è che vi sia uno stretto collegamento negoziale tra la donazione del denaro e l’acquisto del bene, collegamento che in questo caso sembra mancare in maniera abbastanza evidente, avendo il donante intenso arricchire i donatari solo della somma di denaro (e risultando oltretutto la donazione del denaro da regolare atto pubblico).

Alla luce di ciò, dunque, deve ritenersi corretta la tesi di Luca secondo cui oggetto di collazione non possono che essere le somme donate, ossia euro 300.000 per Pamela ed euro 100.000 per Luca, con la conseguenza che Luca potrà vantare un credito nei confronti di Pamela pari ad euro 100.000 (secondo il calcolo da lui stesso fatto).

E’ anche corretta la pretesa di Luca a vedersi riconosciuti gli interessi sulla somma di cui risulta creditore per effetto della collazione, e ciò in forza del disposto di cui all’art. 745 del c.c., il quale stabilisce espressamente che sulle somme soggette a collazione sono dovuti gli interessi dal giorno dell’apertura della successione.
Tenuto conto che il credito di Luca è frutto della sommatoria delle donazioni effettuate in vita da entrambi i genitori e considerato altresì che il bene che si andrà a vendere appartiene ai fratelli Luca e Pamela, in ragione di metà indivisa ciascuno, per effetto di una duplice delazione (la prima del 2007 e la seconda del 2010), sarà all’apertura della successione del secondo genitore che ci si dovrà riferire per il calcolo dei suddetti interessi.


Marilena P. chiede
martedì 02/08/2011 - Toscana
“Mia madre 88 anni (900 euro di pensione al mese) ora non più autonoma, ha donato del denaro (oltre 200.000 euro) al figlio di una sorella, ora chiede a lui un vitalizio mensile e questi dapprima l'ha negato e poi ha detto che poteva spedirle 200 euro al mese ( mai arrivate). Il beneficiario in questione lavora all'estero alle dipendenze del Ministero Interni e percepisce un lauto stipendio.E' possibile ottenere la trattenuta sullo stipendio per giusta causa essendo mia madre in stato di necessità?”
Consulenza legale i 20/11/2011

Nel caso proposto il donante può, sussistendo lo stato di bisogno previsto dall'art. 437 del c.c., chiedere il versamento degli alimenti al donatario, il quale è tenuto a corrisponderli con precedenza su ogni altro obbligato (art. 437 del c.c.), a meno che non si tratti di donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione rimuneratoria (art. 770 del c.c.).

La pronuncia favorevole dell'autorità giudiziaria potrà essere posta in esecuzione, in caso di mancato adempimento spontaneo, nei modi ordinariamente previsti.


Daniele chiede
sabato 23/10/2010

“Se ho ben capito il calcolo della collazione, cioè il conguaglio dei valori di denaro avuti in precedenza dai genitori, si fa al momento della successione SENZA calcolare gli interessi maturati negli anni dai precedenti denari avuti in anticipo. Si esegue solo il calcolo matematico. E' corretto?”

Consulenza legale i 26/10/2010

La collazione del denaro donato si fa prelevando da parte dell'erede donatario una minore quantità del denaro che si trova nell'eredità (art. 751 del c.c.). Le operazioni di conferimento devono essere fatte tenendo conto del c.d. criterio nominalistico.
Il denaro oggetto dei prelevamenti è conteggiato secondo il valore legale della specie monetaria donata o, se essa non ha più corso all'apertura della successione, di quella ad essa legalmente sostituita, senza tener conto delle oscillazioni monetarie nel frattempo intervenute. Pertanto, gli interessi astrattamente maturati negli anni dal denaro avuto in anticipo non dovranno essere conteggiati, così come non si terrà conto della svalutazione monetaria frattanto intervenuta e quindi non si procederà a rivalutazione della somma.


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