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Articolo 1903 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Agenti di assicurazione

Dispositivo dell'art. 1903 Codice Civile

Gli agenti autorizzati a concludere contratti di assicurazione(1) possono compiere gli atti concernenti le modificazioni e la risoluzione dei contratti medesimi, salvi i limiti contenuti nella procura che sia pubblicata nelle forme richieste dalla legge [1753].

Possono inoltre promuovere azioni ed essere convenuti in giudizio in nome dell'assicuratore, per le obbligazioni dipendenti dagli atti compiuti nell'esecuzione del loro mandato, davanti l'autorità giudiziaria del luogo in cui ha sede l'agenzia presso la quale è stato concluso il contratto [1392](2).

Note

(1) La legge 7 febbraio 1979, n. 48 ha istituito l'albo nazionale degli agenti di assicurazione al quale devono essere iscritti coloro che esercitano tale attività. Non possono svolgere tale attività i c.d. brokers, cioè coloro che esercitano professionalmente l'attività di mettere in contatto tra di loro compagnie di assicurazione e potenziali clienti.
(2) Essi sono dotati sia della rappresentanza sostanziale che della rappresentanza processuale.

Ratio Legis

La norma è volta a contemperare due diverse esigenze: quella di garantire la speditezza dell'attività della compagnia assicuratrice (esigenza soddisfatta conferendo all'agente ampi poteri) e quella dei terzi di essere messi a conoscenza dei poteri di cui egli è dotato (scopo perseguito ponendo come limiti a tali poteri quelli che derivano all'agente dal mandato).

Spiegazione dell'art. 1903 Codice Civile

Storia delle norme

Il vecchio codice di commercio non si occupava affatto della disciplina degli agenti di assicurazione, che doveva essere cosi desunta dai principi in tema di mandato, locazione di opera ecc.

Il nuovo codice disciplina ampiamente il contratto di agenzia in genere (art. 1742 del c.c. e segg.), dichiarando poi applicabile tale disciplina all’agente di assicurazione in quanto non sia derogata o dagli usi e in quanto sia compatibile con la natura dell'industria assicurativa (art. 1753 del c.c.) ; e infine nel libro del lavoro disciplina il rapporto tra l'assicuratore e l'agente lavoratore subordinato, mentre demanda alle norme degli accordi intersindacali che esso richiama nell'uno e nell'altro caso (accordo economico collettivo tra assicuratori e agenti, contratto collettivo tra agenti e produttori) l'ulteriore disciplina dei rapporti interni.

Vediamo dunque la figura e la disciplina dell'agente di assicurazione nel quadro dei collaboratori dell'impresa assicurativa.



Collaboratori subordinate e collaboratori indipendenti dall'impresa. Gli agenti di assicurazione: nozione

Come avviene per qualsiasi impresa agricola, industriale, commerciale, per quella assicurativa, l'imprenditore ha bisogno della collaborazione di più persone : tale collaborazione e data tanto da lavoro subordinato ai sensi dell'art. 2094 del c.c., quanto da opera non subordinata ai sensi dell' art. 2222 del c.c. e quella ai sensi dell'art. 1754 del c.c..

Tra i van collaboratori dell'impresa assicurativa, particolare importanza rivestono gli agenti ai quali e demandato il compito di provvedere alla raccolta degli affari assicurativa e mantenere in genere i contatti con la clientela, amministrando it portafoglio (incasso premi ecc.) ad essi affidato : compito di specialissima importanza nella pratica assicurativa italiana nella quale, a differenza che in altri mercati (ad es. l'inglese), il mediatore (Broker), specialmente nelle assicurazioni terrestri, ha pochissima importanza.

Degli agenti di assicurazione esistono vane categorie. Nei regolamenti di azienda e in genere nella prassi vengono adottate vane qualifiche: agenti generali, co-agenti generali, agenti locali, sub-agenti, agenti viaggianti, agenti corrispondenti e, nel seno dell'organizzazione di agenzia, direttore di agenzia, ispettori di produzione, capi gruppo, produttori. Per stabilire la posizione degli agenti tra le due categorie di collaboratori sopra accennate, e delineare la loro disciplina giuridica, occorre però badare non alla qualifica, che varia spesso da impresa a impresa ed ha diverso contenuto, ma alla natura del rapporto tra agente o tra ausiliari dell'agente ed agente e ai poteri all'agente conferiti. A tale scopo occorre distinguere a) il rapporto interno tra agente (sub-agente ecc.) e assicuratore; b) il rapporto tra agente e clientela.


Il rapporto tra assicuratore e agente (e tra agente e subagente) : agenti a gestione in economia e agenti a gestione autonoma

Il rapporto tra agente e assicuratore tocca solo indirettamente il diritto assicurativo e rientra invece nell'ambito del diritto del lavoro. Esso va quindi disciplinato e studiato altrove (art. 2094 e segg., art. 1742 e segg.).

La dottrina e la giurisprudenza più recenti ed autorevoli hanno pere, a ragione, distinto la ipotesi di agenzie c. d. a gestione in economia nella quale l'agente è collaboratore subordinato ai sensi dell’art. 2094 del c.c., e l'ipotesi di agenzia c. d. a gestione libera nella quale l'agente è un lavoratore autonomo.

a) Nel primo caso l'assicuratore impianta e mantiene a sue spese gli uffici dell'agenzia, ne assume direttamente il personale, riducendo in tal modo l'autonomia dell'agente. L'impresa di agenzia e il rischio relativo fanno cosi capo direttamente all'assicuratore. In questo caso, qualunque sia il modo di retribuzione - stipendio o provvigione o l'uno e l'altra insieme - l'agente, scelto talora tra i dirigenti o gli impiegati della stessa società, a un lavoratore subordinato, dirigente o impiegato, secondo i casi dell'assicuratore ai sensi dell'art. 2094 del c.c.: il suo rapporto con l'assicuratore e quindi disciplinato dalle norme sopra a). Quando ne esistono i presupposti, quando cioè accanto al rapporto di locatio operarum interviene anche il potere di rappresentanza, l’agente assume anche la figura di institore ai sensi dell'art. 2203 del c.c. e segg.

b) Nel secondo caso - indubbiamente più frequente - gli uffici della agenzia vengono impiantati da l'agente e mantenuti da questi a proprie spese, seppure talora con contributo della società. Il personale e da esso assunto e con questo ha rapporto; l'autonomia dell'agente e in tal modo più ampia. L'impresa di agenzia e il rischio relativo fanno cosi capo non pia all'assicuratore, bensì all'agente. Lo stesso e a dirsi quando l’impresa e il rischio incombono sul capo dell'agente, anche se questi non ha un vero e proprio ufficio di agenzia.

In questo caso l'agente - remunerato per lo più soltanto a provvigione non è più un lavoratore subordinato, bensì un lavoratore autonomo ai sensi dell'art. 2222 libro lavoro (sopra n. b). E poiché questo articolo stabilisce the al lavoratore autonomo si applicano le norme degli articoli successivi salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro delle obbligazioni e questo per l'appunto disciplina (art. 1742 e segg.) il contratto di agenzia, il rapporto tra agente a gestione libera e assicuratore sarà disciplinato dalle norme sul contratto d'agenzia (art. 1742 e segg.), in quanto non siano derogate dagli usi e in quanto siano compatibili con la natura dell'industria assicurativa (art. 1753 del c.c.).

Data la sua posizione di imprenditore autonomo, l'agente a gestione libera e, nell'ordinamento sindacale, inquadrato tra i datori di lavoro e la norma fondamentale, richiamata dall'art. 1753, e pertanto non un contratto di lavoro bensì un accordo economico collettivo (accordo 5 luglio 1939 in sostituzione di quello 31 ottobre 1931).

Secondo gli stessi criteri va risolto il problema della natura del rapporto tra agente e subagente, produttore ecc. Nel caso che questi ultimi nei limiti della loro sfera di azione siano imprenditori per loro conto a loro rischio essi sono lavoratori autonomi ; nel caso invece che l’impresa e il relativo rischio faccia sempre capo all'agente preponente essi sono dei lavoratori subordinati (per questa più frequente ipotesi cfr. il contratto collettivo 31 dicembre 1938 tra l'associazione sindacale degli agenti inquadrata tra i datori di lavoro e quella dei produttori di assicurazione, inquadrata tra i lavoratori).



Il rapporto tra agente e terzi : in particolare tra agente e assicurato. Agenti con potere rappresentativo e agenti sforniti di tale potere

Agli effetti del rapporto esterno, gli agenti devono distinguersi in due fondamentali categorie a seconda che siano o meno forniti di potere di piena rappresentanza, tenendo presente che questa viene conferita con la procura, indipendentemente dalla natura del rapporto interno, sì che vi sono agenti a gestione libera e agenti in economia forniti di potere rappresentativo, come pure agenti dell'una e dell'altra specie sforniti di tale potere. In generale nell'assicurazione vita prevale per ragioni tecniche il principio dell'accentramento, si che gli agenti non hanno il potere di rappresentanza ; nell'assicurazione danni, invece, prevale, per ragioni di rapidità, i1 principio del decentramento, si the gli agenti hanno invece il potere di rappresentanza. Di solito il potere di piena rappresentanza spetta all'agente titolare di agenzia generale e non agli agenti locali o ai subagenti, produttori ecc.

a) Agenti forniti di potere di piena rappresentanza sono quelli ai quali con regolare procura l'assicuratore conferisce il potere di concludere in suo nome i contratti di assicurazione che egli ha, in base al rapporto interno, il compito di promuovere (artt. 1903, 175). Tali agenti possono essere considerati institori ai sensi dell' art. 2203 del c.c. e segg., quando il rapporto interno the essi hanno con l'assicuratore sia un rapporto di lavoro subordinato (supra sub a) ; non credo invece che lo stesso possa dirsi per l'agente a gestione libera il quale deve considerarsi non già preposto, bensì titolare di un'impresa autonoma.

In base al loro pieno potere rappresentativo, gli agenti autorizzati a concludere i contratti:

1) hanno anche il potere di modificare e risolvere i contratti già stipulati (art. 1903), incassare i premi e rilasciare quietanze, salvi i limiti contenuti nella procura quando questa è pubblicata nelle forme richieste dalla legge ;

2) hanno la rappresentanza giudiziale attiva e passiva per le obbligazioni dipendenti dagli atti compiuti nell'esecuzione del loro mandato, soltanto però nei limiti e competenza per territorio dell'autorità giudiziaria del luogo in cui ha sede l'agenzia presso la quale è stato concluso il contratto;

3) Gli agenti non forniti di pieno potere rappresentativo non sono autorizzati a concludere i contratti. Detti agenti non possono pertanto neppure modificare o risolvere i contratti stessi. Questi agenti pera hanno una rappresentanza limitata in base al loro rapporto interno e precisamente:
a) L'agente ha il potere di riscuotere i crediti dell'assicuratore (specie i premi) soltanto se tale facoltà gli viene espressamente attribuita : in tal caso non può però concedere sconti o dilazioni senza speciale autorizzazione (art. 1744 del c.c.). La facoltà d'incasso può essere attribuita come facoltà rappresentativa, col potere cioè di rilasciare quietanza in nome dell'assicuratore o dell'agente fornito di rappresentanza.
b) L'agente ha il potere di rappresentanza passiva rispetto alle dichiarazioni del contraente e dell'assicurato the riguardano l'esecuzione del contratto concluso per suo tramite e i reclami relativi alle inadempienze : tali dichiarazioni effettuate all'agente valgono come se effettuate direttamente all'assicuratore (art. 1745 del c.c.).
c) L'agente ha potere di rappresentanza attiva per tutti gli atti necessari per la conservazione e la cautela dei contratti diretti dell'assicuratore. Può perciò validamente 1) agire per provvedimento cautelare ; 2) effettuare quelle dichiarazioni the sono necessarie per la conservazione del diritto dell'assicuratore (ad es. interruzione della prescrizione, contestazione di aggravamento di rischio e del sinistro ecc.).


Responsabilità dell'assicuratore per il fatto dell'agente

Problema particolarmente delicato, dibattuto ampiamente in giurisprudenza e oggetto di apposita norma nei progetti, norma poi scomparsa nel nuovo codice, è quello della responsabilità dell'assicuratore per fatto dell'agente - fornito o meno di rappresentanza - specialmente all'atto della conclusione del contratto. I casi che sono stati più di frequente esaminati sono:
i) atti colposi dell'agente ausiliario in genere commessi nell'informare l'assicurando sulle clausole del contratto o sulla portata del questionario
2) conoscenza da parte dell'agente delle reali circostanze del rischio non esattamente o completamente dichiarate nella proposta
3) concorso materiale nella redazione della proposta.
In tutti i casi la giurisprudenza, forse troppo favorevole agli assicurati, ha ritenuto responsabile, oltre the l'agente, in base all'art. 1151 codice del 1865, anche l'assicuratore, per lo più in base all'art. 1153 stesso codice, con la conseguenza dell'impossibilità di impugnare il contratto in base all'art. 429 cod. comm. Nel primo caso l'agente agisce comunque nei limiti del suo mandato e quindi l'assicuratore ne risponde. Nel secondo caso, però, è più esatto ritenere che la conoscenza dell'agente e irrilevante quando, per patto tradizionale di polizza, la valutazione del rischio si basa soltanto sulle dichiarazioni dell'assicurando, sì che all'infuori di esse solo la conoscenza diretta dell'assicuratore e rilevante. Anche nel terzo caso l'agente, quali che siano i suoi poteri, esce dai limiti di essi, ed anzi con evidente conflitto di interessi diviene mandatario dell'assicurando. Nell'uno e nell'altro caso l'assicuratore non pub essere quindi responsabile.

Questa soluzione è del resto pacifica se l'assicurato ha agito con negligenza o se il contratto contempla la clausola, ormai di stile, con la quale l'assicurato assume la piena responsabilità delle dichiarazioni della proposta, anche se redatte da altri o dagli stessi ausiliari della compagnia.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1903 Codice Civile

Cass. civ. n. 11108/2015

In tema di assicurazione, ed alla stregua di quanto disposto dall'art. 1903, secondo comma, cod. civ., l'agente con rappresentanza non può promuovere, di sua iniziativa, la domanda di accertamento negativo dell'esistenza del contratto, sicchè qualunque sentenza pronunciata tra lo stesso e l'assicurato è inopponibile all'assicuratore e, in caso di accoglimento della suddetta domanda, l'assicurato non ha titolo esecutivo per chiedere la restituzione del premio all'assicuratore medesimo.

Cass. civ. n. 8609/2004

Gli agenti generali di una compagnia di assicurazione stanno in giudizio non in proprio, ma in nome e per conto della compagnia stessa, come specificato dall'art. 1903, secondo comma, c.c., per le obbligazioni nascenti dai contratti conclusi in forza dei poteri di rappresentanza sostanziale di cui sono dotati; ne consegue che, ai fini del valido esercizio dei poteri rappresentativi, non è necessario che l'agente dichiari di agire in nome e per conto della società assicuratrice, essendo sufficiente, al contrario, che egli indichi la propria qualità, ricollegandosi automaticamente ad essa la sussistenza in capo all'agente di assicurazione del potere rappresentativo.

Cass. civ. n. 18243/2003

Atteso che, ai sensi dell'art. 1903 c.c., all'agente autorizzato a stipulare polizze è attribuita la rappresentanza sostanziale dell'assicuratore, con i conseguenti poteri di rappresentanza processuale rispetto alle controversie derivanti dai contratti stessi, ne consegue che allo stesso può essere indirizzato l'atto interruttivo della prescrizione del diritto dell'assicurato, con effetti incidenti nella sfera giuridica dell'assicuratore.

Cass. civ. n. 7033/1999

In tema di rappresentanza processuale dell'agente di assicurazioni deve distinguersi il caso in cui non vi è conferimento di potere rappresentativo da parte della società da quello opposto. Nel primo la rappresentanza è fondata sull'art. 1903 c.c. ed è limitata alle obbligazioni dipendenti dal contratto di assicurazione stipulato dall'agente; nel secondo deriva dall'atto di conferimento, ai sensi degli artt. 1744, 1752 e 1753 c.c. che non è necessario menzionare espressamente, essendo sufficiente che l'agente indichi la propria qualità — e può estendersi alla riscossione dei premi anche di contratti stipulati da un altro agente, ma appartenenti allo stesso portafoglio, indipendentemente dalla circostanza che l'agente sia a gestione libera o legato all'impresa da un rapporto di subordinazione.

Cass. civ. n. 10978/1998

La procura rilasciata agli agenti (ed ai subagenti) di assicurazione è assoggettata alla forma pubblicitaria della pubblicazione nel registro delle imprese. La previsione di tale regime si desume dalla formulazione dell'art. 1903, primo comma, c.c. Ed infatti, pur facendo la predetta norma generico riferimento alla pubblicazione della procura «nelle forme richieste dalla legge», deve ritenersi, in assenza di altre norme che regolino la pubblicazione della procura di cui si tratta, che il rinvio operato dal citato art. 1903 riguardi solo le modalità procedurali della pubblicazione, che, tenuto conto della natura del soggetto rappresentato, vanno identificate in quelle previste in via generale per gli imprenditori commerciali dagli artt. 2188 ss. c.c. Ne consegue che il terzo che abbia omesso di verificare l'esistenza e la portata della attribuzione dei poteri in questione non può invocare il principio dell'affidamento facendo valere una incolpevole aspettativa di fronte all'apparenza del diritto.

Cass. civ. n. 12506/1995

L'agente generale di assicurazione che abbia richiesto decreto ingiuntivo per il pagamento del premio di una polizza assicurativa sta in giudizio, nel procedimento di opposizione al decreto, non in nome proprio, ma in nome e per conto della compagnia assicuratrice, come si ricava dall'art. 1903, secondo comma, c.c., che prevede la legittimazione attiva e passiva degli agenti espressamente «in nome» dell'assicuratore, per le obbligazioni nascenti dai contratti conclusi in forza dei poteri di rappresentanza sostanziale loro conferiti.

Cass. civ. n. 612/1993

Con riguardo ad attività di impresa assicuratrice avente ad oggetto la promozione della stipulazione di contratti di assicurazione e la gestione del portafoglio acquisito, il decentramento della stessa presso apposite agenzie operanti localmente può avvenire o in economia, e cioè con personale dipendente dall'impresa medesima, o con affidamento dell'incarico a soggetti estranei operanti autonomamente, con propria organizzazione di mezzi materiali e personali, distinguendosi, poi, in concreto, le due modalità organizzative delle agenzie periferiche, in relazione alla diversa titolarità del rischio, che nel primo caso soltanto è, in tutto o in parte, attribuibile all'impresa assicuratrice, ed in relazione all'imputazione giuridica degli atti con i quali il preposto all'agenzia provvede ad organizzare attività personali e mezzi necessari al funzionamento dell'agenzia stessa, nel senso che se tali atti sono imputabili all'impresa si avrà un rapporto di lavoro subordinato fra questa ed il preposto all'agenzia, mentre, se essi sono imputabili allo stesso preposto, si avrà un rapporto di agenzia in senso tecnico. 

Cass. civ. n. 6932/1983

Quando per il contratto che il rappresentante deve concludere la legge prescrive la forma scritta, sia pur soltanto ad probationem, come per il contratto di assicurazione, anche la procura deve essere conferita per atto scritto, con la conseguenza che, essendo soggetta al medesimo regime probatorio, le restrizioni nell'utilizzazione dei mezzi di prova stabilite per il negozio rappresentativo valgono sempre anche per la procura, l'esistenza della quale, pertanto, non può essere provata né a mezzo di testimoni, né a mezzo di presunzioni; e nemmeno ha rilievo la circostanza che il contratto sia stato sottoscritto da un agente della compagnia assicuratrice, poiché tale qualità non lo abilita, da sola, a concludere il contratto in nome e per conto dell'assicuratore, ove il relativo potere di rappresentanza non gli sia stato espressamente conferito.

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Immacolato M. chiede
martedì 21/03/2017 - Lazio
“Sono agente di assicurazioni.
La compagnia mandante, a seguito di furto, paga € 2.450,00 - valore commerciale del mezzo- quadriciclo a motore- pur avendo il cliente assicurato in polizza € 6.000,00.
Vengo citato in giudizio per il risarcimento della differenza poiché il suo legale sostiene che io avrei dovuto adeguare il premio ogni anno in base al valore commerciale del mezzo.
Io so che l'agente assicura in base alle dichiarazioni del cliente e che non è tenuto (senza richiesta da parte dell'assicurato) alla revisione annuale del valore del mezzo.
Vorrei essere supportato nella mia tesi da norme norme giuridiche
vigenti.
Ringrazio ed attendo il Vs.parere supportato dalle prescrizioni in materia.”
Consulenza legale i 28/03/2017
A livello preliminare, evidenziamo che, ai sensi dell’art. 1903, secondo comma c.c., gli agenti possono essere convenuti in giudizio in nome dell’assicuratore per le obbligazioni che derivano dagli atti compiuti nell’esecuzione del loro mandato, ma non in proprio.
Nel caso di specie, quindi, se l’agente fosse stato convenuto in giudizio in proprio, ben potrebbe far valere in via preliminare il difetto di legittimazione passiva.

La Corte di Cassazione (n. 8609/2004) conferma che “gli agenti generali di una compagnia di as­sicurazione stanno in giudizio non in proprio, ma in nome e per conto della compagnia stessa, come specificato dall'art. 1903, secondo comma, c.c., per le obbligazioni nascenti dai contratti conclusi in forza dei poteri di rappresentanza sostanziale di cui sono dotati”.

Ciò premesso, per ciò che concerne gli obblighi degli agenti di assicurazione, occorre guardare all’art. 183 del codice delle assicurazioni private, il quale, oltre a sancire il dovere di diligenza, stabilisce alla lettera b) che l’agente deve “acquisire dai contraenti le informazioni necessarie a valutare le esigenze assicurative o previdenziali ed operare in modo che siano sempre adeguatamente informati”.

La giurisprudenza da tempo afferma che il risarcimento del danno da parte dell’assicurazione non possa essere superiore al valore di mercato del mezzo assicurato (così ex multis sez. VI, ord. 28/4/2014 n. 9367) e che il valore che l’assicurazione deve prendere in considerazione è il valore commerciale del mezzo, vale a dire il valore di mercato “cristallizzato” al momento del sinistro.

Il riferimento è l’art. 1908 c.c., che recita testualmente al primo comma: “Nell'accertare il danno non si può attribuire alle cose perite o danneggiate un valore superiore a quello che avevano al tempo del sinistro.
Secondo la più autorevole dottrina, tale articolo, nel suo primo comma, costituisce applicazione del principio indennitario, per cui il valore dell'indennizzo non può eccedere il valore effettivo del danno al momento dell'evento lesivo. Si sostiene, altresì, che il principio indennitario sia un principio di “protezione” e di ordine pubblico, volto cioé ad impedire speculazioni che porterebbero al conseguimento di indebiti vantaggi economici.

Per ciò che concerne il valore della cosa assicurata, di regola, si terrà presente il c.d. valore d'uso, determinato sottraendo dal valore della cosa in commercio il deprezzamento subito per l'uso fino al tempo del sinistro.

È peraltro facoltà delle parti, e lo precisa il secondo comma della norma sopraccitata (art. 1908 c.c.), quella di stabilire preventivamente in contratto il valore da dare al bene assicurato (Il valore delle cose assicurate può essere tuttavia stabilito al tempo della conclusione del contratto, mediante stima accettata per iscritto dalle parti. Non equivale a stima la dichiarazione di valore delle cose assicurate contenuta nella polizza o in altri documenti”). Ove la determinazione (o stima) sia redatta per iscritto e venga espressamente accettata dalle parti, sorge il problema se essa precluda o meno all'assicuratore di provare il diverso (e minore) valore del bene all'epoca del sinistro.
Si ritiene tanto in dottrina quanto in giurisprudenza che l'accettazione della stima produca solo un'inversione dell'onere della prova, gravando sul capo dell'assicuratore la dimostrazione del minor valore del bene; e ciò in applicazione dall'inderogabile principio indennitario il quale, come visto, impone che la liquidazione del danno non sia mai superiore al valore effettivo della perdita (come ribadito da C. Cass., sez. VI, ord. 28/4/2014 n. 9367).

Non equivale a stima, invece, la semplice dichiarazione di valore contenuta nella polizza od in altri documenti collegati, che ha valore puramente indicativo.

Di solito le polizze assicurative prevedono un indennizzo in base al c.d. valore commerciale del mezzo, una formula che prevede un risarcimento commisurato al valore del bene al momento del verificarsi dell’evento garantito, ovvero del sinistro. Pertanto, si terranno in considerazione il deprezzamento e lo stato d’uso del bene assicurato.

Non così le polizze che prevedono l’indennizzo c.d. “valore a nuovo”, che non tengono in considerazione del deprezzamento dovuto al degrado per l’uso del mezzo.

Se la polizza, dunque, prevede la formula indennitaria del “valore commerciale” sarà a tale criterio che si farà riferimento e non al “valore a nuovo”. Il valore commerciale sarà, peraltro, determinato in base alle quotazioni effettuate da riviste di settore (es. Quattroruote, Eurotax per i veicoli commerciali, ecc.) espressamente menzionate nelle condizioni di assicurazione e, in mancanza, in modo equitativo dal giudice.

Non pare, inoltre, sussistere alcun obbligo di “adeguamento automatico” in capo all’agente delle condizioni della polizza in ordine al valore del mezzo assicurato. L’unico adeguamento previsto dalla normativa (art. 128 del codice delle assicurazioni private) riguarda infatti gli “importi minimi di copertura obbligatoria per i danni alle cose e per i danni alle persone” (obbligo che peraltro risiede in capo alla compagnia e non di certo all’agente mandatario).