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Articolo 1771 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Richiesta di restituzione e obbligo di ritirare la cosa

Dispositivo dell'art. 1771 Codice Civile

Il depositario deve restituire(1) la cosa appena il depositante la richiede [1183, 1834], salvo che sia convenuto un termine nell'interesse del depositario [1184](2).

Il depositario può richiedere in qualunque tempo che il depositante riprenda la cosa [1373 comma 2], salvo che sia convenuto un termine nell'interesse del depositante. Anche se non è stato convenuto un termine, il giudice può concedere al depositante un termine congruo per ricevere la cosa [1246 n. 2].

Note

(1) L'obbligo di restituire configura debito di valore (v. 1277 c.c.).
(2) Nonostante la fissazione di un termine la fattispecie rimane diversa dal comodato (1803 c.c.) se il bene non è consegnato perché la parte se ne serva ma perché lo custodisca. Inoltre, se l'interesse del depositario è di tipo economico, il depositante può ottenere la restituzione anticipata versando il corrispettivo.

Ratio Legis

La norma prevede a favore di entrambe le parti un diritto di recesso unilaterale, giustificato dal fatto che il deposito è un contratto ad esecuzione continuata (v. 1373 c.c.). Solo in caso di recesso del depositario il giudice può concedere al depositante un termine per riprendere il bene, ciò perché la restituzione improvvisa potrebbe essere problematica per la parte che ha consegnato il bene.

Spiegazione dell'art. 1771 Codice Civile

Natura della restituzione e sue modalità

La restituzione costituisce l'adempimento di un obbligo consequenziale nel senso che non costituisce diretta estrinsecazione e realizzazione della causa del contratto, che è la custodia, ma ha la funzione di far cessare la situazione di fatto, detenzione del depositario, necessaria per l'adempimento della prestazione principale di custodia. L'interesse alla restituzione non è che il riflesso negativo dell'interesse alla custodia, essendo determinato per il depositante dalla fine del bisogno di custodia, e per il depositario dall'interesse a liberarsi dall'obbligo di custodire.

Per la sua natura di contratto reale, il deposito inizia la sua vita con la consegna, la esaurisce con la restituzione. E questa viene in considerazione non solo, e non tanto, come adempimento di un obbligo autonomo, quanto come momento finale dell'obbligazione di custodire, cioè dell'effetto principale e caratteristico del contratto. L'articolo in esame, disciplinando il tempo della restituzione, attiene principalmente a questo secondo aspetto di essa, poiché regola in definitiva la durata della custodia, e quindi del deposito. Per quanto attiene a tutte le altre modalità della restituzione, come adempimento, si rinvia al commento all'art. 1774.


La restituzione nel deposito a tempo indeterminato...

Quando il deposito è a tempo indeterminato, la restituzione può avvenire in qualsiasi momento, a richiesta così del depositante come del depositario; in questo secondo caso, il giudice può concedere al depositante un termine congruo per ricevere la cosa.
La regola così posta coincide, nel risultato pratico, con i principi generali sul tempo dell'adempimento (art. 1183), per quanto riguarda la facoltà attribuita al depositante, creditore della restituzione; ne diverge, invece, nei riguardi del depositario. Non può, infatti, considerarsi equivalente alla generale facoltà del debitore di chiedere al giudice la fissazione di un termine (art. 1183), il potere del giudice di concedere al depositante un termine congruo per ricevere la cosa: la lettera della legge («termine per ricevere la cosa») dimostra, a mio avviso, che questo potere provvede soltanto alla temporanea impossibilità del depositante di ritirare la cosa, da apprezzarsi normalmente in relazione alle stesse circostanze che lo avevano indotto a depositarla, e non costituisce quindi una limitazione intrinseca della facoltà del depositario, come se al giudice fosse dato di valutare, in relazione a tutte le circostanze contrattuali e postcontrattuali, l'adeguatezza di tale
facoltà per autorizzarne o meno l'esercizio. Si tratta, per il depositario, di un vero e proprio diritto alla restituzione in ogni tempo, e non di una semplice possibilità di chiedere al giudice la fissazione di un termine; ed esso costituisce una caratteristica del deposito. A darne ragione, non è sufficiente, nel nuovo diritto, il tradizionale carattere amichevole e gratuito del contratto: dovrebbe allora escludersi il diritto del depositario alla restituzione in ogni tempo in ogni ipotesi di deposito retribuito, mentre la legge lo esclude solo in presenza di un termine nell'interesse del depositante, e non sempre la stipulazione del compenso può considerarsi implicita prefissione di esso.
Gli è, invece, che l'art. 1771 non va considerato tanto regola della restituzione come adempimento di un obbligo autonomo, ma piuttosto regola del momento finale della custodia, in conformità al duplice aspetto della restituzione. E sotto questo profilo il diritto del depositario si spiega, come riflesso del principio che esclude la durata indefinita delle obbligazioni d'opera, ammettendo il debitore al recesso in ogni tempo (cfr. art. 2118).

Il valore sostanziale della disposizione in esame non consiste nel porre la disciplina del tempo dell'adempimento di una obbligazione come tale — al qual fine sarebbe stata sufficiente l'applicazione dell'art. 1183, — bensì nell'attribuire a ciascuno dei contraenti la facoltà di recesso unilaterale dal contratto di deposito, la cui esecuzione, per quanto attiene all'obbligo principale di custodia, si inizia necessariamente all'atto stesso della conclusione; facoltà di recesso conforme, per il depositante, al carattere fiduciario della custodia ed al normale intento di mantenere costante la disponibilità della res deposita, e per il depositario al suaccennato principio; recesso, infine, esercitabile anche dopo l'inizio dell'esecuzione del deposito, attesa la sua natura di contratto ad esecuzione continuata (cfr. art. 1373).


... e nel deposito a tempo determinato

Analogamente, quando il deposito è a tempo determinato, il termine ha il precipuo significato di un termine finale della custodia, e solo strumentalmente di momento esecutivo dell'obbligo di restituzione; si tratta, in buona sostanza, di una limitazione convenzionale della facoltà di recesso unilaterale. Ciò va tenuto presente quando occorra stabilire se esista prefissione implicita del termine, come consentono i principi generali sulla manifestazione della volontà: indagine che va pertanto condotta dall'angolo visuale dell'interesse alla custodia ed all'inerente situazione possessoria, non da quello dell'interesse alla restituzione come tale. Per escludere il recesso unilaterale dell'una parte o dell'altra, non occorre che il termine sia posto nell'interesse esclusivo dell'altro contraente, ma è sufficiente che tuteli anche tale interesse (arg. art. 1185).


Termine nell'interesse del depositante

La stipulazione di un termine nell'interesse del depositante è del tutto consentanea all'essenza ed alla funzione economica del deposito: essa deriva naturalmente dalla preventiva valutazione, da parte del depositante, della probabile persistenza nel tempo delle circostanze, personali od oggettive, che determinano il bisogno della custodia.


Termine nell'interesse del depositario

Reciprocamente, l'art. 1771 esclude la facoltà di recesso del depositante, se sia stato convenuto un termine nell'interesse del depositario: e così innova radicalmente nei confronti dell'art. 1860 codice abrogato, che ammetteva il deponente a chiedere la restituzione in ogni tempo, quantunque fosse fissato nel contratto un termine per la restituzione. Per rendersi conto della portata dell'innovazione, e valutarla adeguatamente, bisogna anzitutto cercare di stabilire in che possa consistere l'interesse del depositario alla durata del deposito fino al termine prestabilito.

Può trattarsi, qualora il deposito sia oneroso, dell'interesse a percepire l'intero compenso corrispondente alla durata prestabilita, come, in ogni caso, dell'interesse ad ottenere il rimborso delle maggiori spese di organizzazione della custodia, sostenute in previsione della durata medesima, e giustificate solo in funzione di essa. Veramente, anche sotto l'impero del codice abrogato, si ammetteva da qualche autore la possibilità di provvedere a quest'esigenza, considerando l'apposizione del termine, inefficace come tale, come implicita determinazione volitiva delle parti in tal senso; ma, a parte l'incertezza di questo risultato in sede di interpretazione contrattuale, altre ragioni di dubbio sarebbero potute sorgere, ammesso che si tratti di un recesso unilaterale, in relazione alla disciplina di questo, contenuta nell'art. 1373 cpv. Nessun dubbio, quindi, circa l'opportunità, della disposizione espressa. Piuttosto potrebbe osservarsi che il legislatore avrebbe potuto limitarsi a riconoscere espressamente il diritto del depositario all'intero compenso ed al rimborso, senza escludere il diritto del depositante di chiedere la restituzione prima della scadenza. E, sotto questo profilo, la disposizione può considerarsi ultronea rispetto all'interesse tutelato, e deve interpretarsi nel senso che, quando il depositante offra di soddisfare tutte le ragioni del depositario in ordine al compenso ed alle spese, quest'ultimo non possa, per difetto di interesse, pretendere l'effettiva continuazione del deposito fino alla scadenza.

È quindi giocoforza ritenere compresi nella tutela legislativa altri interessi del depositario alla continuazione del deposito; e poiché non è praticamente configurabile ex parte debitoris un interesse alla custodia per se stessa, si deve ammettere che la stipulazione del termine sia rivolta a garantire interessi mediati del depositario, per es. all'utilizzazione della res deposita o alla conservazione di essa a scopo di garanzia. Così intesa, la disposizione in esame potrebbe apparire criticabile, anzitutto, sul terreno della logica giuridica. L'insegnamento, di gran lunga prevalente nella dottrina anteriore al nuovo codice, considerava l'inderogabilità della restituzione ad nutum e l'inammissibilità di un termine in favore del depositario come connaturali all'essenza causale del deposito: poiché l'efficacia del termine in favore del depositario, realizzando la prevalenza dell'estrinseco interesse di quest'ultimo sull'interesse del depositante alla custodia, implicherebbe la sovrapposizione alla causa custodiendi di una diversa causa negoziale, caratterizzata dal diverso scopo perseguito dal depositario, e così il passaggio dal tipo negoziale "deposito" ad un diverso tipo negoziale, qualificato dallo scopo prevalente. Ma sembra che quest'insegnamento, per quanto attiene all'essenza veramente logica ed immutabile del deposito, sia viziato in radice, ritenendo essenziale alla causa custodiendi la costante disponibilità della res deposita (e così avvicinandosi ad una concezione della causa del deposito diversa dalla comune, e della quale s'è dimostrata l'inesattezza); solo quest'ultima, infatti, presuppone necessariamente la restituzione ad nutum, mentre l'interesse alla custodia è soddisfatto, anche se si autolimita la facoltà di chiedere in ogni tempo la restituzione.

Non sussiste, quindi, la pretesa assoluta incompatibilità tra l'interesse del tradens alla custodia e il diverso intento perseguito dall'accipiens, poiché la realizzazione di questo non esclude la contemporanea e non perciò meno piena realizzazione di quello. E tanto basta per ridurre il problema della persistenza del tipo negoziale, quando lo stesso negozio serve alla realizzazione di un interesse del depositario estraneo alla custodia, ad un problema di tecnica legislativa, secondo che si ritenga opportuno attribuire al tipo negoziale una maggiore o minore elasticità. Inoltre, non sembra esatto considerare l'interesse del depositario come estraneo alla custodia, se non obliterando il limite concettuale tra interesse negoziale immediato, che è l'unico rilevante in problemi del genere, ed interesse mediato o semplice motivo, e contaminando con considerazioni economiche l'argomentazione giuridica.
Nessun dubbio, infatti, che il depositario, per realizzare lo scopo ulteriore di godimento o garanzia, abbia interesse alla conservazione della res deposita in condizioni inalterate, che val quanto dire alla custodia, e questo costituisce l'interesse immediato, mentre l'ulteriore fine perseguito è solo un interesse mediato, la cui presenza è irrilevante dal punto di vista causale. E non si vede per quale ragione la stipulazione del termine debba alterare la posizione rispettiva di questi due interessi, elevando il secondo da semplice motivo a causa, quando si riconosce comunemente che i c.d. elementi accidentali del negozio giuridico non rivestono alcuna rilevanza causale, anche se rivolti alla concorrente tutela di un interesse non tipico (si pensi alla donazione modale). La stipulazione del termine significa soltanto che il depositario, in vista di suoi interessi estranei alla fattispecie negoziale, non è disposto ad accettare il deposito se non a patto di una sua certa durata: ma ciò non toglie — e lo dimostra il contenuto obbligatorio normale del contratto — che il suo interesse immediato sia sempre e soltanto quello della conservazione della res deposita. Il termine pone innegabilmente in evidenza un interesse del depositario alla custodia, che non è quello normale, determinato in funzione dello spirito di amicizia (deposito gratuito) o della retribuzione. Ma l'apprezzamento di esso attiene al campo economico e non a quello giuridico. Quindi, ciò che viene attratto nello schema del deposito, e ritenuto compatibile con esso, non è un interesse estrinseco alla custodia, ma l'interesse del depositario alla custodia.

In conclusione, il riconoscimento dell'efficacia del termine in favore del depositario e della conseguente derogabilità della restituzione ad nutum non importa obliterazione di alcun carattere logicamente essenziale al concetto di custodia, e quindi alla causa del deposito. Esso implica, soltanto, che la causa del deposito non è ulteriormente circostanziata — come potrebbe esserlo nel sistema positivo — come custodia nell'esclusivo interesse del depositante.

Altro è apprezzare questa minore specificazione e reciproca maggiore elasticità della causa dal punto di vista della convenienza pratica e soprattutto sistematica ed in verità, su questo terreno, l'innovazione appare discutibile. Infatti, essendo difficile ipotizzare un interesse personale del depositario non coincidente con lo scopo di godimento o garanzia, tipici di altre figure negoziali (comodato e pegno) implicanti anch'esse la detenzione e la custodia della cosa, diventa meno netta la linea di demarcazione tra ciascuna di queste figure, ed ancor più delicato il giudizio di appartenenza all'una o all'altra delle fattispecie pratiche non univoche. In presenza del termine, e della conseguente tutela dell'interesse del depositario, si dovrà caso per caso stabilire se prevalga il fine di custodia del tradens o quello di godimento o garanzia dell'accipiens, se l'uno o l'altro costituisca oggetto principale o movente immediato della contrattazione, con tutte le difficoltà inerenti ad un siffatto apprezzamento: ( si veda il commento all'art. 1770). E non sembra che quest'inconveniente sia superato, nella valutazione critica della norma, dall'esigenza di provvedere all'interesse del depositario, quando la sua realizzazione sia meramente incidentale ed accessoria nell'intento delle parti.


Interpretazione del termine
Tuttavia è un dato d'esperienza che normalmente la custodia avvenga nell'interesse esclusivo del depositante. E dovrà pertanto la stipulazione di un termine di restituzione, qualora non soccorrano in pratica univoci elementi per una diversa interpretazione, ritenersi fatta nell'interesse del depositante, contro la presunzione posta, in linea generale, dall'art. 1184 del codice.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

554 La Commissione reale non aveva dettato alcuna norma per regolare la restituzione della cosa nell'ipotesi di pluralità di depositanti o di depositari e non aveva neppure contemplato il caso di più eredi del depositante, disciplinato, invece, dall'art. 1855 del codice. Ho colmato la lacuna con le disposizioni dell'art. 641.
Se più sono i depositanti ho presunto che il deposito sia stato fatto nell'interesse di tutti, perciò ho disposto che la restituzione debba avvenire in concorso di tutti. Si è riprodotto, in sostanza, il principio contenuto nell'art. 1855 cod. civ., con la sola differenza che nemmeno la divisibilità della cosa dovuta può ammettere la divisione dell'obbligo di restituire: questa divisibilità ha influenza soltanto quando obbligati alla restituzione siano più eredi di un unico depositante.
L'ultimo comma dell'art. 641 prevede l'ipotesi in cui, essendovi più depositari o più eredi del depositario, per accordi tra loro o per altra circostanza, alcuno di essi sia rimasto detentore della cosa. In tal caso si è agevolata la domanda di restituzione, concentrandola verso il detentore. Né d'altra parte gli altri possono opporsi, poiché non vantano alcun diritto sulla cosa in dipendenza del deposito, e neppure hanno il diritto di ritenzione, che per il suo esercizio presuppone il possesso.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

729 E' tradizionale il principio secondo il quale il depositario deve restituire la cosa al depositante. Di esso, in conformità del codice del 1865 o della tradizione storica, si è conservata (art. 1778 del c.c.), nell'interesse del depositario, la rigida applicazione, nonostante qualche dubbio sollevato al riguardo, anche quando il depositario venga a conoscenza che la cosa proviene da un reato e gli sia nota la persona a cui è stata sottratta, qualora questa, dopo la denunzia fattale del depositario, non faccia opposizione entro brevi termine. Per il caso in cui il depositario sia convenuto in giudizio da chi pretenda la proprietà od altro diritto sulla cosa, in analogia a quanto si è stabilito per la locazione (art. 1586 del c.c.), si è imposto al depositario l'obbligo di denunziare la lite al depositante; il depositario può ottenere la sua estromissione mediante la laudatio auctoris e può liberarsi dall'obbligo di restituire, depositando la cosa nei modi stabiliti dal giudice (art. 1777 del c.c., secondo comma). Dal principio che normalmente il deposito si effettua nell'interesse del depositante, deriva la regola, contenuta nell'art. 1860 cod. civ. del 1865 e ripetuta nell'art. 1771, che il depositarlo deve restituire la cosa quando il depositante la richieda. Due eccezioni peraltro sono state poste a tale regola. Una, già sostanzialmente preveduta nell'art. 1860, secondo comma, del codice del 1865, è nel senso che il depositario può costringere il depositante a riprendersi la cosa anche prima del tempo che lo stesso depositante potrebbe ritenere di suo interesse circa la durata del deposito, salva l'esistenza di un termine a favore del depositante. L'altra, nuova, è nel senso che il depositante non possa chiedere la restituzione ad libitum quando è stato convenuto un termine nell'interesse del depositario; questo termine è largamente applicato nella pratica relativa ai depositi vincolati ma può riferirsi ad ogni tipo di deposito, se per l'entità o per la modalità del pagamento del compenso, o in rapporto alle spese che il depositario sostiene, questi abbia convenuto un termine a suo favore. Più persone possono aver diritto alla restituzione, o perché più sono i depositanti (art. 1772 del c.c., primo comma), o perché all'unico depositante succedono più eredi (art. 1772, secondo comma). Il codice del 1865 prevedeva solo questa seconda ipotesi, in una disciplina sostanzialmente riprodotta nel codice nuovo si è considerato che, quando vi è una pluralità di depositanti, si profila il loro interesse alla restituzione della cosa nella sua integralità e non per parti, per quanto oggetto del contratto sia una cosa divisibile; i depositanti devono quindi accordarsi circa le modalità della restituzione, altrimenti le modalità stesse saranno stabilite dall'autorità giudiziaria, su istanza di alcuno degli interessati. Diverso è il caso che si tratti di più depositari, perché allora non è necessario che il depositante debba perseguirli tutti per ottenere la restituzione. Basta quindi che egli si rivolga contro colui o coloro che detengono la cosa, mentre gli eventuali diritti degli altri depositari sono salvaguardati dall'obbligo, imposto al detentore o ai detentori, di dare pronta notizia, agli altri depositari, della domanda di restituzione (art. 1772, terzo comma). Infine, se il deposito è stato eseguito nell'interesse di un terzo che abbia aderito al rapporto, la cosa depositata non può essere restituita al depositante senza il consenso del terzo (art. 1773 del c.c.).

Massime relative all'art. 1771 Codice Civile

Cass. civ. n. 5766/2016

Dall'affidamento, da parte del comune committente, alla società, cui abbia demandato il servizio di rimozione coattiva dei veicoli in sosta vietata, anche della custodia di quelli rimossi perché vengano custoditi presso il parcheggio di pertinenza della società stessa, in attesa del ritiro da parte dei rispettivi proprietari, deriva, ai sensi dell'art. 1771 c.c., l'obbligo del comune, quale depositante, di ritirare i veicoli alla scadenza pattuita o, in ogni caso, dopo la richiesta avanzata dalla depositaria, con la conseguente responsabilità dell'ente per i danni cagionati dall'inadempimento di tale obbligo.

Cass. civ. n. 9751/2011

Dall'affidamento, da parte del Comune committente, alla società, cui abbia demandato il servizio di rimozione coattiva dei veicoli in sosta vietata, anche della custodia dei veicoli rimossi perché vengano custoditi presso il parcheggio di pertinenza della società stessa, in attesa del ritiro da parte dei rispettivi proprietari, deriva, ai sensi dell'art. 1771 c.c., l'obbligo del Comune, quale depositante, di ritirare i veicoli alla scadenza pattuita o, in ogni caso, dopo la richiesta avanzata dalla depositaria, con la conseguente responsabilità dell'ente per i danni cagionati dall'inadempimento di tale obbligo.

Cass. civ. n. 6048/2010

Nel contratto di deposito, soggetto attivo dell'obbligazione di restituzione è il depositante, non potendo il depositario esigere la prova della proprietà della cosa depositata; egli, pertanto, è anche soggetto attivo dell'obbligazione sostitutiva di restituzione dell'equivalente pecuniario della cosa depositata, che grava sul depositario in caso di perdita a lui imputabile, non potendo il depositario esimersi dall'adempiere eccependo la mancanza del titolo di proprietà in capo al depositante.

Cass. civ. n. 6765/2001

In tema di deposito, l'onere di provare l'esatto adempimento della prestazione di riconsegna della cosa depositata, nel caso in cui il depositante assuma la mancata corrispondenza tra la cosa consegnata e quella restituita, spetta al depositario.

Cass. civ. n. 1294/1979

A norma dell'art. 1771 c.c., in mancanza di diversa pattuizione, al ritiro della cosa depositata deve provvedere, a propria cura e proprie spese, il depositante, e pertanto, se egli procrastini ingiustificatamente il ritiro della cosa depositata, il depositario non risponde dei danni derivati da tale ritardo a lui non imputabile.

Cass. civ. n. 535/1979

Mentre nel contratto di deposito regolare senza termine, la prescrizione del diritto alla restituzione decorre dal momento in cui il depositante chiede effettivamente la restituzione, o il depositario recede dal contratto, nel deposito irregolare il detto termine decorre dal momento in cui il depositante può chiedere la restituzione. Questo momento, se il termine non è previsto dalle parti, né stabilito dal giudice, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1782 e 1817 c.c., coincide con quello in cui la cosa è stata depositata, a norma della regola generale contenuta nell'art. 1183 c.c.

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relative all'articolo 1771 Codice Civile

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A. N. chiede
giovedì 01/02/2024
“In eredità, fra vari beni, abbiamo ricevuto alcuni gioielli. A distanza di 12 anni i 4 eredi hanno stipulato un accordo nel dicembre 2022 dove, i gioielli, venivano affidati a un nipote, residente a Monza, con l'impegno di farli valutare, suddividere in 4 lotti tirati a sorte entro 120 giorni. In aprile 2023 l'affidatario faceva pervenire un valutazione dei gioielli per a_mail scritta a mano senza riportare da chi fosse stata eseguita.
Abbiamo saputo da pochi giorni che i gioielli non sono custoditi nella residenza dell'affidatario, ma che questi li ha portati in una seconda casa in montagna adibita a residenza estiva.
Ho chiesto di far eseguire una valutazione, senza impegno, da un mio esperto, a mie spese, ma mi è stato negato.
Domanda:
1) E' lecito portare i gioielli in una località ad limitum?
2) Se è nel mio diritto prelevare i gioielli per breve tempo per far valutare i gioielli anche da un esperto di mia fiducia?
3) Quale potrebbe essere la via da intraprendere per superare l'impasse?”
Consulenza legale i 07/02/2024
L’elemento più importante della vicenda che qui viene descritta e che può senza alcun dubbio risolversi a favore di chi pone il quesito è la sussistenza di un accordo tra i comproprietari dei gioielli, accordo che, in considerazione dell’espressione che viene usata “…hanno stipulato un accordo…” lascia intuire e sperare che lo stesso risulti da atto scritto.
Se così è, il rapporto che si è venuto ad instaurare tra le parti, ed in particolare tra i diversi comproprietari e colui a cui i gioielli sono stati affidati per la stima, è riconducibile ad una fattispecie negoziale complessa, individuabile nel collegamento tra i contratti di mandato e di deposito, con la conseguenza che potrà invocarsi in proprio favore l’applicazione di alcune specifiche norme che disciplinano entrambe le fattispecie negoziali.

In particolare, con riferimento alle norme che disciplinano il contratto di deposito, il depositario (ovvero il nipote cui è stato affidato il compito di far valutare i gioielli entro il termine prefissato di 120 giorni dalla consegna), in forza di quanto disposto dal primo comma dell’art. 1771 c.c., è obbligato a restituire la cosa non appena il depositante la richiede.
Analogo obbligo, a sua volta, può farsi discendere dalle norme che disciplinano il mandato ed in particolare dal n. 1 dell’art. 1722 c.c., il quale identifica quale causa di estinzione di tale contratto la scadenza del termine ovvero il compimento dell’affare per il quale il mandato era stato conferito (nel caso in esame risultano essersi verificati entrambi gli eventi, considerato che non solo è trascorso il termine di 120 gg., ma il nipote ha anche adempiuto al mandato, come risulta dalla mail con cui comunica il risultato della perizia effettuata).

Nessuna rilevanza, invece, può assumere la circostanza che il mandatario ed affidatario dei gioielli abbia deciso di custodire gli stessi in luogo diverso da quello della sua residenza, in quanto, a meno che nell’accordo a cui si fa riferimento non sia stato indicato espressamente il luogo di custodia, non può negarsi al depositario, in adempimento del suo obbligo, di custodire i beni affidatagli in qualsiasi luogo che ritenga possibilmente più sicuro ai fini di una loro eventuale sottrazione.

In considerazione di quanto sopra detto, pertanto, ciò che si consiglia è di diffidare formalmente l’affidatario di quei gioielli a restituirli entro un termine preciso, evidenziando di aver adempiuto all’incarico che gli era stato conferito e che non sussistendo più alcuna ragione per continuare a detenere quei gioielli.
In caso di inottemperanza a tale diffida, non rimarrà altra soluzione che quella di agire giudizialmente, onde ottenere un decreto ingiuntivo per consegna, producendo quale prova documentale l’accordo raggiunto tra le parti.

Rispondendo, invece, alle singole domande che vengono poste, va detto quanto segue:
  1. è lecito per il depositario trasferire e custodire i gioielli in luogo diverso da quello di residenza (ciò che potrebbe aver fatto per ragioni di maggior sicurezza);
  2. si ha senza alcun dubbio il diritto, nella qualità di comproprietario, di prelevare quei gioielli onde sopporli a valutazione presso un perito di propria fiducia (rientra sicuramente tra i poteri che competono al proprietario della cosa);
  3. la via da intraprendere per superare il problema che si sta presentando può essere prima quella stragiudiziale e, in difetto di alcun riscontro positivo, quella giudiziale.