Varia configurazione dell'opzione; differenza rispetto alla prelazione, al contratto claudicante e al contratto preliminare
L'opzione ha una notevole varietà di configurazione.
Può costituire contenuto unico di un contratto o contenuto di una clausola contrattuale; si può raffigurare come diretta a provocare effetti costitutivi, modificativi o estintivi di una situazione; si può configurare a contenuto negativo perché talora l'effetto è prodotto dal non esercizio della facoltà, o a contenuto positivo perché talvolta è necessario l'atto di esercizio per far scaturire la conseguenza voluta; può indirizzarsi alla produzione di un contratto preliminare; può rivolgersi a costituire un contratto definitivo; può rivestirsi di qualsiasi contenuto causale; può accedere a qualsiasi tipo di contratto. Frequenti sono l'opzione di vendita, che conduce così ad una vendita obbligatoria come ad una vendita reale, e l'opzione di mutuo (obbligatorio) nella sottoscrizione di obbligazioni o di prestiti pubblici quando (come nell'ipotesi di emissione determinata nel massimo) i1 mutuatario ha facoltà di accettare o di respingere le sottoscrizioni raccolte (allo scopo di non eccedere i limiti del massimo di emissione); esempi di clausole d'opzione si hanno nei c. d. patti di rispetto che talora si oppongono ai contratti di durata (specialmente nella locazione), in base ai quali uno dei contraenti (spesso il locatore) rimane tenuto al contratto per una durata ulteriore oltre a quella c.d. di fermo, mentre l'altra parte ha facoltà di valersi o di non valersi del maggior termine.
Vi è però nell'opzione un carattere costante che serve a farla distinguere da figure affini: il vincolo definitivo di una parte a compiere una determinata prestazione se l'altra vorrà addivenire al contratto. Questa attualità di obbligo unilaterale non si riscontra, ad esempio, nella c.d. prelazione (pactum protimiseos; cfr. sub art. 1322, n. 9) che non solo non crea obblighi nel soggetto favorito, libero, come nell'opzione, di prestare o di non prestare la volontà diretta alla formazione del contratto al quale si riferisce l'obbligo dell'altra parte, ma subordina l'obbligo di quest'ultima, di preferire un soggetto in un futuro contratto, al fatto che essa si induca al contratto medesimo, in modo che per nessuna parte vi è, nella prelazione, un obbligo attuale e definitivo. Talora la legge chiama opzione ciò che è prelazione (esempio nell'art. 2441); ma la situazione che deriva dalla norma chiarisce la realtà: un esempio di patto di prelazione e nell'art. 1566, caso di opzione e invece l’art. 1520.
Manca nell'opzione ogni espressione di volontà del favorito circa la prestazione che è oggetto dell'obbligo dell'altra parte; per il che essa si distingue dal contratto claudicante, nel quale, rispetto all'oggetto stesso, vi è invece costituzione effettiva di un rapporto, sia pure incompleto o annullabile, che per giunta, in questo secondo caso, è suscettibile di spiegare immediata efficacia, salva la retroattività degli effetti del suo posteriore annullamento.
Contenuto ed effetto dell’opzione
L’analisi condotta sullo schema dell'opzione tracciato nell'art. 1331 rivela un rapporto fra più parti («quando le parti convengono»), di cui l'una si obbliga a stare alla propria dichiarazione, e l'altra si riserva la facoltà di accettarla o meno in un tempo posteriore. Rapporto ad obbligazione unilaterale, dunque, che importa, per la parte obbligata, non soltanto irrevocabilità della dichiarazione, ma anche obbligo di non impedire la formazione della fattispecie o la produzione dei suoi effetti.
Del primo effetto fa cenno espresso l'art. 1331 quando considera proposta irrevocabile la dichiarazione della parte obbligata, e quindi fa da essa scaturire le conseguenze giuridiche prevedute nell'art. 1325. Le quali consistono nell'irrilevanza di una successive desistenza dalla volontà favorevole al contratto, e quindi nella possibilità che la fattispecie contrattuale venga ad integrarsi ad opera dell'altra parte, per quanto l'obbligato possa avere materialmente revocato il consenso già prestato.
Il secondo effetto sembra possa scaturire dall'art. 1359, che reagisce contro l'ostacolo frapposto dalla parte al verificarsi della condizione, presumendo come avverato l'evento la cui realizzazione fu resa colposamente impossibile, e dall'art. 1059 che impone, al condomino il quale abbia già manifestato la sua volontà per la costituzione di una servitù attiva, di non creare impedimenti all'esercizio del diritto: la coincidenza del contenuto di codeste disposizioni fa intendere che esso assurge a principio generale e che quindi è suscettibile di governare anche ipotesi non espressamente previste. Si può parlare di violazione dell'obbligo di non impedire la formazione della fattispecie quando, ad esempio, si renda impossibile alla controparte di esercitare la facoltà di accettare (mediante violenza o raggiri, facendo ignorare alla controparte i successivi mutamenti di domicilio, residenza, o dimora, operando in maniera da farle negare o da farsi negare le autorizzazioni che possano essere necessarie, ecc.); si può parlare di violazione dell'obbligo di non impedire che la fattispecie produca i suoi effetti quando, ad esempio, si aliena o si distrugge la cosa che è oggetto della prestazione promessa, o si fa in modo che non venga ad esistenza la cosa futura che l'obbligato avrebbe dovuto prestare; e perciò nel caso di opzione è evidentemente convenuta l'indisponibilità (obbligatoria: art. 1379) del bene che è oggetto della prestazione promessa dall'obbligato (v., su ciò, anche, supra, sub art. 1327, n. 5).
Nella violazione di tali obblighi non deve riscontrarsi un'ipotesi di responsabilità per culpa in contrahendo, perché questa consiste nell'ignorare colposamente la mancanza degli elementi necessari per la produzione dell'effetto contrattuale o nel tacere colposamente all'altra parte la mancanza stessa (articoli 1337 e 1338); il che è diverso dalla fattispecie sopra considerata.
Sua natura giuridica
Si intende agevolmente che la facoltà di opzione è contenuto di un negozio a struttura contrattuale.
Nella qualifica di parte data dall'art. 1331 tanto all'obbligato quanto al favorito v'è il chiaro indice della partecipazione di quest'ultimo alla formazione del negozio, rimanendo così escluso che egli vi assuma un contegno semplicemente recettizio. Si noti l’identità di formulazione fra l’art. 1331 e gli articoli definitori dei singoli contratti, dove, come nell'art. 1331, si fa cenno di «una parte» e dell’«altra»; ma si noti, di più, che nell'art. 1331 si presuppone che le parti convengano l'opzione, in modo da esprimere senza ombra di dubbio che la volontà di entrambi i soggetti è necessaria per la produzione del negozio. E val la pena di rilevare ancora che, nel successivo art. 1334, i1 soggetto al quale gli atti unilaterali sono diretti viene designato «persona alla quale (gli atti) sono destinati», e non parte.
Da ciò la conseguenza che dall'art. 1331 esula la figura, così della proposta come della promessa unilaterale, alle quali è estranea la bilateralità strutturale. L'art. 1331 avvicina opzione e proposta quoad effectum non quoad naturam, come appare dal senso letterale delle sue enunciazioni; se si potesse parlare di proposta o di promessa unilaterale si dovrebbe questa scindere da una convenzione fra obbligato e favorito diretta a stabilire l'irrevocabilità della dichiarazione e l'indisponibilità del bene oggetto di questa, con che si spezzerebbe l'unità negoziale che deve senza meno ammettersi nel caso di opzione.
Il discutere poi, se nell'art. 1331 si indichi una promessa preliminare o una promessa definitiva sembra, in secondo luogo, inutile, essendosi visto che l'opzione può avere indifferentemente l'uno o l'altro contenuto.
Si è detto che il contratto con opzione è sospensivamente condizionato all'esercizio della facoltà di accettare la dichiarazione. Ma l'esercizio di questa facoltà non è altro che la prestazione del consenso necessario a costituire il contratto, integra cioè il contratto in uno dei suoi elementi mancanti: se mai attuerebbe una condicio iuris, non un evento condizionante, il quale, anche nella figura della condizione potestativa e «il compimento di un atto sia pure il più semplice» ad opera della parte dalla quale avrebbe dovuto dipendere il verificarsi della condizione, «come nell'esempio scolastico si Capitolium ascenderis», L'esercizio della facoltà d'opzione dipende dall'arbitrio del favorito; e l'arbitrio di una delle parti non dà luogo a condizione. La parte si determinerà all'esercizio della facoltà in relazione a circostanze che possano farglielo ritenere conveniente; e queste circostanze soltanto potrebbero costituire evento condizionante. Ma fino a quando esse non vengono dedotte espressamente, non potranno essere ritenute come vincolanti la determinazione della volontà, e quindi non subordinano il negozio. Il verificarsi dell'evento condizionante deve potersi controllare da entrambe le parti ed obiettivamente; perciò, mentre non sono ammissibili condizioni non espresse, il subordinare un negozio all'arbitrio della parte non vale altro che subordinarlo al suo consenso.
L'opzione, quindi, più che dar luogo a condizione, permette alla parte favorita di esprimere con maggiore ponderatezza la sua volontà favorevole al contratto, consentendole di ritardare la prestazione del suo consenso senza correre il rischio di vedere estinto o revocato il consenso dell'altra parte.
Da ciò la tendenza, preferibile, di ritenere il negozio con opzione un negozio pendente (precisamente un negozio in formazione), non un negozio condizionato. E questa tendenza riceve conferma nel testo dell'art. 1331, ove l'esercizio dell'opzione è chiamata accettazione, ed ove alla promessa dell'obbligo si dà valore giuridico di proposta.
L'esercizio dell'opzione perfeziona il contratto (preliminare o definitivo) o modifica il contratto e implica manifestazione ritardata del consenso; manifestazione ritardata in base ad una precisa convenzione anteriore, cioè a dire, legittimamente espressa oltre il tempo di regola destinato allo scambio delle dichiarazioni di consenso. Ultrattività, quindi, della dichiarazione di opzione e non retroattività.
Termine per l’opzione
Si è detto (supra, sub n. 2) che l'opzione implica indisponibilità del bene che è oggetto della promessa dell'obbligato.
Da ciò la necessità che l'opzione sia concessa per un tempo determinato e, in particolare, per un tempo che non possa ritenersi eccessivamente limitativo della liberà di commercio del bene stesso.
La sola circostanza dell’apposizione di un termine di opzione non breve non indurrebbe invalidità del negozio; soccorrerebbe infatti la valutazione imposta dall'art. 1379 che mira a conservare il vincolo convenzionale fino a quando non lo si possa rappresentare quale ostacolo alla circolazione dei beni.
La mancanza di un termine per l'accettazione non è indeterminatezza di durata del vincolo, cioè non spingerebbe verso la sua nullità; la situazione si ricollega alla previsione dell'art. 1183 (art. 1331, 2° comma), e il diritto di opzione si conserva fino al termine che potrà stabilire il giudice secondo le circostanze, osservato sempre i1 disposto dell'art. 1379.