Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano.(1)
Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.(1)(2)
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.(1)(2)
Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.
In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale, non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.
Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio.
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.
mercoledì 19/10/2022 - Lombardia
Il comportamento molesto e ostile nei confronti dei colleghi sarà sicuramente indicato tra le condotte sanzionabili a norma del CCNL di riferimento e/o del codice disciplinare.
Peraltro, alcuni tipi di condotte, a prescindere dal fatto che le stesse siano indicate nel codice disciplinare, possono comunque ledere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro e, pertanto, possono condurre ad un licenziamento per giusta causa.
Nel caso di specie, le condotte indicate potrebbero configurare un caso di stalking, soprattutto nel caso in cui venisse confermata ulteriore corrispondenza, anche con mezzi estranei al luogo di lavoro, che pare sia intervenuta leggendo tra le righe delle email citate nella contestazione disciplinare.
Lo stalking, se perpetrato ai danni di un collega, comporta il licenziamento per giusta causa, in quanto lede la credibilità professionale e il rapporto di fiducia con l’azienda. In merito, nella sentenza n.1890/20 della Cassazione i giudici hanno confermato il licenziamento in tronco di un dipendente colpevole di stalking. Nel caso in esame, il lavoratore aveva iniziato a perseguitare una collega dopo la rottura della loro relazione. Al suo comportamento molesto e minaccioso erano seguiti anche veri e propri atti diffamatori.
A seguito della condanna, il dipendente è stato licenziato nonostante gli atti persecutori siano stati commessi al di fuori dell’orario di lavoro. La Cassazione ha, infatti, confermato che “può essere giusta causa di licenziamento anche lo stalking commesso al di fuori dell’ambito lavorativo, quando la vittima è un collega e la condotta è così grave da ledere il vincolo di fiducia tra le parti”.
In linea con quanto espresso dalla Corte Suprema, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la liceità del licenziamento con la sentenza n.840/21. Nel caso di specie, un commissario di polizia, approfittando del sistema di videosorveglianza istallato nel luogo di lavoro, perseguitava una collega della quale si era invaghito. La donna accortasi del comportamento molesto dell’uomo lo aveva denunciato per stalking. Il Comune ha quindi licenziato il dipendente per giusta causa. La Corte d’Appello ha confermato la legittimità di quest’ultimo.
Nel caso di specie, dalle email contenute nella contestazione disciplinare risultano dei comportamenti che potrebbero rientrare nella figura dello stalking, anche se non si configurano di particolare gravità.
In più occasioni si è tentato un contatto con la collega che, evidentemente, non desiderava essere contattata e, pertanto, ha bloccato il numero di Whatsapp.
I toni utilizzati, risultano, peraltro offensivi (si descrive la collega quale “malvagia”, “cattiva”, “avida”) e minacciosi (“altrimenti mi rivolgerò al tuo capo supremo”).
Non ha alcuna importanza che il comportamento non abbia portato dei danni all’azienda. I comportamenti sono stati posti in essere in occasione del rapporto di lavoro, durante lo stesso, utilizzando mezzi aziendali (email aziendale) e coinvolgendo, peraltro, anche altri dipendenti a cui sono state inviate in copia alcune comunicazioni.
Dal quadro delineato non sembra vi sia spazio per impugnare l’eventuale sanzione disciplinare che verrà irrogata al termine del procedimento disciplinare.
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