Cassazione civile Sez. Unite sentenza n. 1521 del 23 gennaio 2013

(4 massime)

(massima n. 1)

Impugnati separatamente, dalla medesima società, il decreto di rigetto del reclamo, ex art. 183 legge fall., avverso il diniego di omologazione di un concordato preventivo da essa proposto e la sentenza di rigetto del reclamo, ex art. 18 legge fall., contro il provvedimento che, successivamente, concludendo un autonomo procedimento prefallimentare, ne abbia dichiarato il fallimento, l'indispensabile interesse al ricorso in tema di concordato presuppone l'esito positivo di quello contro la dichiarazione di fallimento, altrimenti risultando del tutto inutile l'eventuale accoglimento del primo ricorso, che non potrebbe produrre effetti su di una non più contestabile sentenza di fallimento.

(massima n. 2)

In tema di concordato preventivo, il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall'attestazione del professionista, mentre rimane riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti. Il menzionato controllo di legittimità si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo, e si attua verificandosene l'effettiva realizzabilità della causa concreta: quest'ultima, peraltro, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro.

(massima n. 3)

In tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l'art. 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l'altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l'esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all'esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell'istante.

(massima n. 4)

L'avvenuta espunzione dal testo dell'art. 160 legge fall., come riformulato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, applicabile "ratione temporis", dell'inciso, presente nel vigore del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, che prevedeva la possibilità per l'imprenditore di proporre il concordato preventivo "fino a che il suo fallimento non è dichiarato", ha determinato il superamento del principio di prevenzione che correlava le due procedure, posponendo la pronuncia di fallimento al previo esaurimento della soluzione concordata della crisi dell'impresa, senza peraltro che lo stesso, alla stregua dei principi generali vigenti in materia, possa oggi desumersi in via interpretativa. Ne deriva che, non ricorrendo un'ipotesi di pregiudizialità necessaria, il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggia come un fenomeno di consequenzialità (eventuale del fallimento, all'esito negativo della pronuncia di concordato) e di assorbimento (dei vizi del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo fallimento) che determina una mera esigenza di coordinamento fra i due procedimenti.

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