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Articolo 35 Legge equo canone

(L. 27 luglio 1978, n. 392)

[Aggiornato al 12/11/2014]

Limiti

Dispositivo dell'art. 35 Legge equo canone

Le disposizioni di cui all'articolo precedente non si applicano in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori nonché destinati all'esercizio di attività professionali, ad attività di carattere transitorio, ed agli immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici.

Spiegazione dell'art. 35 Legge equo canone

Tale disposizione si occupa dell’ambito di applicazione dell’indennità da perdita dell’avviamento, disciplinata dal precedente art. 34 della l. equo canone.
In particolare, l’art. 35 contempla i casi in cui il conduttore non ha diritto a percepire l’indennità da perdita dell’avviamento.
Una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 11896 del 24 novembre 1998, ha affermato che non spetta l’indennità nel caso in cui, come accaduto nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, l’immobile concesso in locazione venga utilizzato dal conduttore al fine di produrre prodotti artigianali finalizzati alla successiva vendita all’ingrosso. In un caso del genere, hanno dichiarato i giudici di legittimità, non sussistendo un “contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori”, non spettava nemmeno l’indennità da perdita dell’avviamento, poiché l’attività svolta dal conduttore aveva creato dei rapporti esclusivamente con operatori professionali. Questo non toglie, come affermato da giurisprudenza successiva, che possa essere concessa l’indennità nel caso in cui l’attività venga prestata a favore di “fruitori professionali” che, pur essendo imprenditori, destinano i beni acquistati all’esercizio della loro impresa e non, come invece fanno i grossisti, alla rivendita al pubblico.
La dottrina si è interrogata in merito al caso in cui l’immobile venga utilizzato principalmente come deposito merci e, marginalmente, anche come luogo a cui accede la clientela. In tal caso, la risposta più corretta sembra essere quella per cui non spetti l’indennità da perdita dell’avviamento, poiché l’attività commerciale deve caratterizzare l’immobile in maniera predominante, e non solamente marginale, costituendo un punto di riferimento per la clientela.
Discorso analogo vale per quegli immobili che vengono utilizzati dall’imprenditore non tanto per finalità di vendita diretta alla clientela, ma come mero luogo di esibizione dei prodotti, privo quindi di quella caratteristica della frequentazione diretta dei consumatori, che sola legittima la concedibilità dell’indennità da perdita dell’avviamento.
Allo stesso modo, l’indennità non spetta nemmeno nel caso in cui l’immobile venga usato per l’attività commerciale solo in via occasionale e non continuativa. La norma, infatti, tutela la nascita, l’espansione e la prosecuzione del tessuto commerciale venutosi a creare in una determinata zona, allorquando lo stesso favorisca la ricchezza e lo sviluppo economico di quel luogo.
Per quanto attiene poi alle attività svolte all’interno degli “immobili complementari”, si ritiene tendenzialmente che non spetti alcun tipo di indennità da perdita dell’avviamento. In casi del genere, infatti, la parte finale della disposizione in commento, estensibile in via analogica, stabilisce che l’indennità non spetta in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili “complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici”.
La norma esclude poi il diritto a ricevere l’indennità per la cessazione di contratti di locazione di immobili in cui venga esercitata una attività professionale. In tale ultimo caso, infatti, più che il luogo di esercizio dell’attività, conta la persona del professionista ed è quest’ultima a creare il punto di attrazione del pubblico degli utenti e dei consumatori. Ogniqualvolta prevalga l’elemento personale e professionale dell’imprenditore sulla organizzazione commerciale dell’attività svolta nell’immobile concesso in locazione, non sarà possibile accedere all’indennità da perdita dell’avviamento.
Infine, nel caso specifico delle locazioni stagionali, è bene ricordare che non spetta alcuna indennità al conduttore che perda il proprio avviamento, poiché il precedente art. 34 non richiama tale tipologia di locazione, facendo esclusivo riferimento a quelle disciplinate dai numeri 1) e 2) dell’art. 27 della l. equo canone.

Massime relative all'art. 35 Legge equo canone

Cass. civ. n. 18812/2015

Nel caso di locazione d’immobile ad uso diverso da quello abitativo, l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale compete al conduttore, ricorrendone gli altri presupposti, per il solo fatto che il locatore abbia assunto l’iniziativa di non proseguire la locazione, mentre risulta del tutto irrilevante la circostanza che il conduttore, successivamente alla disdetta o al recesso, abbia cessato di svolgere la sua attività ancorché prima della scadenza contrattuale.

Cass. civ. n. 4505/2001

In tema di indennità per la perdita dell’avviamento commerciale di cui all’art. 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392, esclusa, a norma dell’art. 35 della stessa legge, in relazione ai contratti di locazione di immobili nei quali venga esercitata un’attività professionale (avente un contenuto fiduciario, che prescinde dalla ubicazione dei locali nei quali l’attività medesima si svolge), nel caso di gestione di una casa di cura per anziani la sussistenza del diritto alla predetta indennità postula la prevalenza di un’attività organizzativa di natura strettamente imprenditoriale commerciale. Qualora, invece, prevalga un’opera definibile come professionale per la qualità e la quantità del personale impiegato e per il tipo delle prestazioni eseguite, deve escludersi la configurabilità del diritto alla indennità in questione.

Cass. civ. n. 10598/2000

Le disposizioni della legge c.d. sull’equo canone che attribuiscono al conduttore di immobile adibito per uso diverso da quello di abitazione (artt. 35-38-69 legge 27 luglio 1978, n. 392) il diritto ad una indennità per la perdita dell’avviamento commerciale in caso di vendita da parte del locatore, hanno uno scopo di tutela dell’avviamento inteso come clientela e si riferiscono, perciò, solo agli immobili che, adoperati dal conduttore come luogo aperto alla frequentazione diretta e strumentalmente negoziale della generalità dei destinatari finali dell’offerta di beni e di servizi, assumano la funzione di collettore di clientela e fattore locale di avviamento; ne consegue che l’indennità non spetta in caso di vendita di immobile adibito dal conduttore come locale di esposizione in cui il pubblico non accede, o accede solo se accompagnato, dopo essere in altro modo entrato in contatto con l’organizzazione commerciale del conduttore, se non risulti anche che, in concreto, tale locale è in grado di esercitare, di per sé, un richiamo sulla clientela.

Cass. civ. n. 1435/1999

In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l’immobile utilizzato a locale di esposizione, in tanto può determinare resistenza del diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento, in quanto si presta ad essere considerato come luogo aperto alla frequentazione diretta della generalità dei consumatori e, dunque, da sè solo in grado di esercitare un richiamo su tale generalità, in tal modo divenendo un collettore di clientela ed un fattore locale di avviamento, senza che possa darsi rilievo al modo dell’organizzazione dell’attività del conduttore e alla circostanza che questi abbia creato un vincolo di accessorietà funzionale tra l’immobile adibito a deposito ed esposizione e l’immobile destinato alla vendita (nel caso di specie la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto all’indennità per il mancato avviamento in relazione ad un locale adibito ad esposizione di mobili, sul rilievo che l’attività in questione era funzionale all’attività dell’impresa e suscettibile di influire sul volume degli affari).

Cass. civ. n. 11865/1998

L’art. 35 della legge n. 392 del 1978, nel riferirsi al requisito dei contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, postula che l’immobile sia adoperato come luogo aperto alla frequentazione diretta, senza intermediazione, e strumentalmente negoziale, della generalità (originariamente) indifferenziata dei destinatari dei prodotti o dei servizi offerti, intendendosi tali anche coloro che acquistano il bene per soddisfare bisogni della propria attività imprenditoriale o professionale ovvero per motivi promozionali o pubblicitari ad essa collegati, a nulla rilevando che i beni offerti in vendita riguardino una cerchia limitata di clienti e non la clientela occasionale.

Cass. civ. n. 1632/1998

In tema di indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, la sussistenza del requisito richiesto dall’art. 35 della legge 27 luglio 1978, n. 392 si ravvisa nell’esigenza che l’immobile locato sia utilizzato dal conduttore, nell’esercizio dell’impresa, come luogo aperto alla frequentazione diretta (senza intermediazione) e strumentalmente negoziale della generalità originariamente indifferenziata dei destinatari dell’offerta dei servizi commerciali. Nel relativo accertamento il giudice di merito deve fare riferimento ad alcuni elementi, quali la specializzazione dell’impresa, la particolarità della clientela e le modalità dei rapporti commerciali fra l’impresa e i clienti.

Cass. civ. n. 5408/1997

Se il conduttore ha reso unitario, conformemente agli accordi contrattuali, un immobile mediante il collegamento, anche strutturale, dei locali affittatigli - nella specie rendendoli intercomunicanti, sì da consentire il trasferimento di persone e merci dall’uno all’altro - l’indennità spettantegli per la perdita dell’avviamento commerciale (artt. 34 e 35 della legge 27 luglio 1978 n. 392) si calcola sull’intero canone, pur se è stato indicato, come criterio di computo, il valore dell’uso di ciascuno di tali locali.

Cass. civ. n. 5268/1997

Affinché, in caso di vendita dell’immobile locato ad uso diverso dall’abitazione, sorga in favore del conduttore il diritto di prelazione e di riscatto, occorre che l’immobile sia adibito a rapporti comportanti contatti con la collettività indeterminata dei fruitori finali di un servizio (così dovendo intendersi il riferimento contenuto nell’art. 35 della legge 27 luglio 1978, n. 392 al «pubblico degli utenti e dei consumatori») rispetto al quale abbia rilievo la ubicazione del luogo in cui esso è prestato. Il suddetto diritto non può configurarsi pertanto in favore dell’editore di una testata giornalistica con riguardo al locale in cui da un lato si verifichi la raccolta di notizie, comunicazioni, interviste e collaborazioni saltuarie con il giornale, dall’altro si sottoscrivano gli abbonamenti e gli annunci pubblicitari, poiché l’afflusso del pubblico per il primo di tali scopi non costituisce frequentazione strumentalmente negoziale ossia orientata alla fruizione di un servizio offerto dall’impresa, mentre l’accesso al suddetto locale per la sottoscrizione di abbonamenti al giornale o la sua utilizzazione quale veicolo pubblicitario è determinato, secondo un criterio di normalità, dalle particolari caratteristiche della testata rispetto alle quali la ubicazione degli uffici non assume alcun sostanziale rilievo.

Cass. civ. n. 4273/1997

L’art. 35 della legge sull’equo canone, il quale subordina il riconoscimento del diritto del conduttore all’indennità per la perdita dell’avviamento alla circostanza che l’attività svolta nell’immobile locato comporti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, prevede una particolare modalità dell’attività esercitata che deve essere in concreto verificata dal giudice di merito nei contratti locativi con destinazione non abitativa.

Cass. civ. n. 9881/1996

Per il riconoscimento del diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento - parallelo a quelli di prelazione e riscatto per l’applicabilità dei limiti di cui all’art. 35 della legge 27 luglio 1978 n. 392 - occorre l’esistenza dei necessari presupposti. Pertanto il conduttore non può ottenere l’applicazione del regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile se non sono decorsi tre mesi da quando il locatore ha avuto conoscenza - ancorché desumendolo dall’esercizio del diritto di prelazione - del mutamento da attività di vendita all’ingrosso in quella a diretto contatto con il pubblico dei consumatori finali del prodotto. Infatti ai sensi dell’art. 80 della legge 27 luglio 1978 n. 392 - così come modificato a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 18 febbraio 1988 n. 185 - soltanto dopo la scadenza di detto termine il locatore decade dal diritto di chiedere la risoluzione del contratto per arbitrario mutamento di destinazione dell’immobile.

Cass. civ. n. 5089/1996

Atteso che, secondo gli artt. 35 e 42 della legge n. 392 del 1978, per i contratti di locazione di immobile nei quali venga esercitata attività scolastica o attività professionale, non spetta, in caso di cessazione del rapporto, l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, il diritto a tale prestazione di norma non sussiste in relazione allo svolgimento di attività di insegnamento, che di per sè non dà luogo ad un’impresa. Tuttavia è valida l’opposta conclusione, ove sia accertato, nel caso concreto, che l’attività scolastica sia esercitata a fini di lucro e con struttura imprenditoriale. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso il diritto all’indennità di avviamento in relazione ad una scuola di danza in cui, nonostante la presenza di due collaboratrici, aveva netta prevalenza l’aspetto personale e professionale dell’attività del maestro titolare, in relazione anche alle particolari qualità del medesimo, alle quali, piuttosto che al tipo e all’ubicazione della struttura scolastica, era ricollegabile il pregio della scuola).

Cass. civ. n. 4644/1995

In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l’indennità per la perdita dell’avviamento, in ogni caso in cui cessi un rapporto di locazione relativo ad immobile nel quale è esercitata una delle attività di cui ai numeri 1 e 2 dell’art. 27 della L. 27 luglio 1978, n. 392, è sempre dovuta salvo che l’attività svolta, pur se di natura commerciale, escluda il diretto contatto con il pubblico degli utenti o dei consumatori, dovendosi intendere per tali anche coloro che acquistano il bene per realizzare con esso altri beni a loro volta oggetto di commercio ovvero per utilizzarlo in una loro attività artigianale o industriale diretta a fornire ad altri dei servizi, restandone esclusi coloro che acquistano il bene al solo fine di rivenderlo come tale.

Cass. civ. n. 8753/1994

In tema di locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il conduttore che chiede, in caso di recesso del locatore, la corresponsione dell’indennità di avviamento, ha l’onere di provare non solo di avere esercitato nell’immobile una delle attività per le quali la detta indennità è prevista, ma anche che l’attività stessa comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, mentre nessun dovere ha il giudice di promuovere di ufficio un siffatto accertamento.

Cass. civ. n. 6935/1993

Ai fini del riconoscimento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale ai sensi degli artt. 34 e 45 L. 27 luglio 1978 n. 392 il carattere transitorio dell’attività va individuato non tanto con riguardo alla natura intrinseca dell’attività svolta, ma piuttosto tenendo conto del particolare modo con cui si atteggia in concreto, come desumibile dalla volontà delle parti. (Nella specie, in base al principio surriportato la S.C. ha confermato la decisione di merito la quale aveva escluso il carattere transitorio dell’attività sul rilievo che le parti, pur avendo convenuto una durata del contratto di tre anni, e perciò inferiore a quella legale, avevano implicitamente evidenziato il convincimento che la stessa avesse una sua rilevante proiezione nel tempo).

Cass. civ. n. 11405/1992

In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il conduttore che, in seguito alla cessazione del rapporto, chieda il pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale non ha l’onere di provare che l’immobile era utilizzato per il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori se questa circostanza derivi dalla stessa destinazione contrattuale dell’immobile (nella specie, ristorante e locanda), gravando sul locatore che eccepisce la diversa destinazione effettiva l’onere di provare tale fatto impeditivo della pretesa del conduttore, ai sensi dell’art. 2697, comma secondo, c.c.

Cass. civ. n. 3551/1990

In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l’idennità di avviamento, ai sensi dell’art. 35 della L. n. 392/1978, applicabile anche nel regime transitorio per effetto del richiamo contenuto nell’art. 73 della medesima legge, spetta soltanto al condutore che, nell’esercizio dell’impresa abbia utilizzato l’immobile locato come luogo di incontro e di contatto con il pubblico degli utenti e dei consumatori e cioè con la generalità indeterminata dei destinatari finali dell’offerta dei beni o dei servizi. (Nell’affermare il suddetto principio la S. C. ha confermato la decisione di merito che aveva negato il diritto all’indennità ad una impresa di spedizioni sul rilievo che nell’immobile locato si erano avuti non contatti diretti con la generalità degli utenti bensì “sporadici accessi da parte di determinati clienti” “in relazione ai contratti più difficili ed importanti”).

Cass. civ. n. 4664/1989

In tema di locazioni destinate ad uso diverso da quello di abitazione, l’indennità di avviamento spetta, ai sensi dell’art. 35 della L. 27 luglio 1978, n. 392, per quelle attività che siano rivolte a consumatori finali, cioè a soggetti che acquistino beni per il consumo diretto (per i quali soltanto l’ubicazione dell’immobile costituisce, di regola, un fattore di scelta decisivo), cosicché deve escludersi che spetti l’indennità per un’attività di vendita «al banco» di prodotti ceduti all’ingrosso.

Cass. civ. n. 1304/1989

L’art. 35 della L. n. 392 del 1978, stabilendo che l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale spetta al conduttore quando l’immobile sia adibito allo svolgimento delle attività tutelate di cui al precedente art. 27 ove comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, postula che l’immobile sia adoperato come luogo aperto alla frequentazione diretta (senza intermediazione e strumentalmente negoziale) della generalità (originariamente) indifferenziata dei destinatari dei prodotti o dei servizi offerti, cosicché l’immobile stesso - inserito nell’organizzazione aziendale e, pertanto, funzionale alla produttività dell’impresa e suscettibile di influire nel volume degli affari - assuma anche il valore di un fattore di avviamento, la cui perdita deve essere indennizzata, a nulla rilevando che i beni offerti in vendita, per la loro natura strumentale, possano interessare in concreto soltanto un numero limitato di clienti per la loro attività lavorativa. (Nella specie, alla stregua del principio di cui alla massima, la S.C. ha cassato la pronuncia del giudice del merito che aveva escluso la sussistenza del requisito sopraindicato con riguardo ad un'impresa che, vendendo veicoli industriali, si rivolgeva esclusivamente ad una limitata clientela di piccoli e medi trasportatori per le esigenze dei loro traffici).

Trib. civ. Milano n. 4913/1984

L’art. 35 della L. n. 392/1978, richiamato dall’art. 41, escludendo dalla tutela precisata dagli artt. 34, 38 e 39 le attività professionali, intende riferirsi alle professioni intellettuali nel senso stretto, disciplinate dagli artt. 2229 ss. c.c.

Cass. civ. n. 1408/1983

In ipotesi di recesso del locatore da locazione di immobile destinato all’esercizio di attività commerciale, in base al combinato disposto degli artt. 29 e 73 della L. 27 luglio 1978 n. 392 (come modificato dalla L. 31 marzo 1979 n. 93), poiché, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 392 del 1978 (richiamato dall’art. 73 citato), l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale non spetta (fra l’altro) in caso di cessazione di rapporti locativi relativi ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività non comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, va disattesa la richiesta del conduttore di tale indennità, ove manchi la prova dell’avvenuto esercizio nell’immobile suindicato, da parte di quest’ultimo, di attività di vendita al minuto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 35 Legge equo canone

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. A. chiede
mercoledì 28/09/2022 - Lombardia
“Buongiorno sono titolare di una attività di bar/ristorazione. Nel giugno del 2023 mi scade il contratto 6+6, sarebbero 12 anni di attività. Ho ricevuto la raccomandata a giugno dai proprietari con la disdetta del contratto, non c'è stata mediazione perché loro vogliono vendere l'immobile e noi non siamo interessati. Noi avevamo messo in vendita la licenza ma in questo modo ci impossibilitano un eventuale vendita. Tenuto conto del fatto che abbiamo ristrutturato i locali a nostre spese. Vorrei sapere se possiamo rivaleggiare almeno per l'avviamento. Grazie”
Consulenza legale i 05/10/2022
L’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale è prevista dall’art. 34 della l. equo canone con riferimento ai contratti di locazione di cui all’art. 27 della medesima legge.
Va premesso, peraltro, che, nel nostro caso (in cui l’immobile è adibito a bar/ristorante), non si applicano le esclusioni previste dall’art. 35 della l. equo canone, ai sensi del quale il diritto all’indennità in questione non sussiste se il contratto di locazione ha per oggetto “immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori nonché destinati all'esercizio di attività professionali, ad attività di carattere transitorio, ed agli immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici”.
Tornando all’art. 34, esso stabilisce che l’indennità per la perdita dell’avviamento è pari a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto (21 per le attività alberghiere); essa spetta al conduttore se la cessazione del rapporto di locazione non è dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dalla legge fallimentare. In altri termini, il diritto all’indennità presuppone che a recedere sia stato il locatore (si veda Tribunale Reggio Calabria, Sez. II, 26/02/2020, n. 270: “ai fini dell'attribuzione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale [...] è sufficiente l'anticipata cessazione del rapporto a causa del recesso del locatore, non richiedendo la norma ulteriori condizioni e, quindi, restando irrilevante sia la circostanza che il conduttore estromesso abbia cessato ogni attività prima o dopo il rilascio dell'immobile, sia la carenza di prova di un effettivo danno o dell'esistenza in concreto dell'avviamento, sia, infine, la mancanza di un provvedimento giudiziale che disponga il rilascio”).
Sempre in materia di spettanza dell’indennità in questione, Tribunale Crotone, sentenza 30/05/2022, n. 486 ha precisato che presupposto per il suo riconoscimento “è l'esercizio da parte del conduttore di un'attività industriale, artigianale o commerciale. Detta indennità, inoltre, non costituisce un risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, ma ha natura giuridica diversa e costituisce un indennizzo per il disagio dovuto dal trasferimento della propria attività commerciale, mirando ad evitare al conduttore di immobile commerciale le difficoltà connesse all'individuazione di altri locali ove proseguire lo svolgimento della propria attività e quelle legate alla necessità di reperire nuova clientela. Non costituisce, quindi, un risarcimento dei danni per inadempimento ed è dovuta solo se la cessazione del rapporto di locazione non sia stata conseguenza del recesso del conduttore, ma della volontà del locatore di ottenere la cessazione del rapporto”.
Sempre l’art. 34 della L. n. 392/1978 prevede che il conduttore ha diritto a un'ulteriore indennità (di importo corrispondente a quelle rispettivamente previste dal primo comma), qualora l'immobile venga, da chiunque, adibito all'esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente, ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente.
Inoltre, viene stabilito che, nel caso in cui il locatore agisca per il rilascio dell’immobile, l'esecuzione del relativo provvedimento sia subordinata all'avvenuta corresponsione dell'indennità di cui al primo comma.
Nella fattispecie oggetto del quesito sembrano sussistere tutte le condizioni previste per il diritto all’indennità: l’immobile, infatti, è utilizzato per l’esercizio di una delle attività contemplate dagli artt. 34 e 35 della L. 392/1978 e il conduttore ha ricevuto la disdetta da parte del locatore.

P. Z. chiede
venerdì 17/12/2021 - Emilia-Romagna
“CASO

Io e mia sorella siamo proprietari (ciascuno al 50%) di un edificio che comprende, oltre a un appartamento e relative pertinenze, due unita immobiliari, classificate come C1, affittate a un’impresa di servizi elettrici come magazzino-ufficio. L’art 2 del contratto d’affitto recita: “Le unità immobiliari oggetto della presente scrittura vengono concesse in locazione al conduttore che dichiara di adibirle esclusivamente al solo uso di uffico-deposito con divieto di mutarne sia la destinazione d’uso dichiarato quanto il tipo di attività svolta senza la preventiva autorizzazione scritta del proprietario, pena la risoluzione immediata del contratto”. Inoltre, all’art 3, si legge: “Ai fini e per gli effetti dell’art. 34 e seguenti legge 392/78, il conduttore dichiara che la sua attività non rientra fra quelle per le quali spetta, nell’eventualità prevista dalla legge, l’indennità per la perdita di avviamento alla cessazione del contratto di locazione”.
Infine, fra le clausole firmate e approvate in specifico, all’art 11, è previsto che:“(…) il locatore potrà eseguire sull’immobile quelle riparazioni che si rendessero necessarie, anche se non abbiano carattere d’urgenza, senza dover corrispondere alcun indennizzo al conduttore, anche se questi per effetto di esse dovesse subire dei disagi per oltre venti giorni derogandosi così espressamente al disposto dell’art.1584 del C.C.”

Ora, a partire dallo scorso mese di agosto (2021), nell’edificio si sono evidenziate, in tempi molto brevi (una decina di giorni), crepe consistenti, dovute a uno slittamento a valle, improvviso e non prevedibile, del terreno su cui è costruito. La situazione è in evoluzione e il primo studio, condotto da un ingegnere appositamente incaricato, conclude con la necessità di ulteriori indagini geologiche e conseguente intervento finalizzato a ricostituire la statica dell’edificio. Nel frattempo, si ritiene prudenziale, in considerazione anche dell’evoluzione veloce e non prevedibile del fenomeno, lo sgombero dei locali, sia di quelli adibiti ad abitazione, sia di quelli affittati per uso commerciale.
Si è giunti a un accordo bonario con tutti gli interessati, tranne che con il conduttore di due locali ad uso non abitativo.

Il conduttore richiede un consistente risarcimento, oltre alla corresponsione, ai sensi dell’art. 34 della L 392/1978, dell’indennità di avviamento, sul presupposto che, nei locali affittati, vi sia esercitata “attività commerciale comportante diretti contatti con i clienti” (come si legge nella richiesta del legale dell’impresa).
Secondo noi non sussistono, nel caso specifico, i presupposti per riconoscere la corresponsione dell’indennità di avviamento.
Affinché il conduttore abbia diritto all’indennità di perdita di avviamento in caso di cessazione del rapporto locatizio è necessario che l’attività esercitata nei locali in locazione comporti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori. L’art. 35 della L 392/1978 recita, in proposito: “Le disposizioni di cui all'articolo precedente non si applicano in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori.”
Ora i locali sono stati affittati esclusivamente per essere adibiti all’uso di ufficio - deposito, con divieto di mutarne sia la destinazione d’uso quanto il tipo di attività svolta (ART 2 del contratto).
In proposito, inoltre, si ricorda, come riportato sopra, che “Ai fini e per gli effetti dell’art. 34 e seguenti legge 392/78 il conduttore dichiara che la sua attività non rientra fra quelle per le quali spetta, nell’eventualità prevista dalla legge, l’indennità per la perdita di avviamento alla cessazione del contratto di locazione” ( ART 3 del contratto).
A noi non risulta che i locali siano stati, in alcun periodo di durata del contratto, utilizzati in maniera diversa da quella convenuta, tanto è vero che l’ufficio è sempre chiuso (tranne in qualche raro momento della giornata, soprattutto nel primo pomeriggio o in orari serali), non è appeso alcun orario di apertura al pubblico e c’è una scritta che invita i corrieri a fare riferimento a un numero di cellulare.

Per quanto riguarda il risarcimento, questo viene richiesto per il disagio causato dall’inadempimento dell’obbligazione, da parte del locatore, di garantire il pacifico godimento della cosa locata. Tale risarcimento viene, altresì, richiesto insieme alla richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento del locatore.
Ora, se riconosciamo che ci si trova, per un periodo che si protrarrà probabilmente per diversi mesi, in una situazione in cui non è possibile “garantire il pacifico godimento del bene”, per l’esecuzione dei necessari interventi di ripristino, e riconosciamo, pertanto la legittimità della richiesta di risoluzione del contratto, ciò, di per sé, non implica riconoscere il diritto del conduttore al risarcimento del danno.
Nel caso specifico, l’inadempimento dell’obbligazione di garantire il pacifico godimento della cosa locata non comporta la responsabilità del locatore per danni, in quanto l’impossibilità di garantire l’utilizzo dei locali, fino al termine dei lavori di consolidamento, è dovuta a forza maggiore e alla durata oggettiva degli interventi necessari per ripristinare la statica dell’edificio, compromessa da un evento oggettivo imprevedibile e in rapido sviluppo, non dipendente dal locatore (franamento a valle del terreno su cui è sito l’edificio), applicandosi, pertanto, a nostro modo di vedere, la previsione dell’art. 1218 cod. civile. Infatti, ricorre, nel caso specifico, l’impossibilità di adempiere in tempi brevi, a causa di un evento oggettivo sopravvenuto, non imputabile al locatore.

Infine, il conduttore, tramite proprio avvocato, sostiene la nullità dell’art 11 del contratto d’affitto che recita: “(…) il locatore potrà eseguire sull’immobile quelle riparazioni che si rendessero necessarie, anche se non abbiano carattere d’urgenza, senza dover corrispondere alcun indennizzo al conduttore, anche se questi per effetto di esse dovesse subire dei disagi per oltre venti giorni derogandosi così espressamente al disposto dell’art.1584 del C.C.”. Questo, secondo il conduttore, sarebbe nullo ai sensi dell’art 79 L 392/1978.
Secondo la nostra lettura, le norme contenute nell’articolo 1584 del C.C. non hanno carattere imperativo e possono le parti derogarvi. Possono quindi i contraenti prolungare o ridurre il termine di tolleranza entro il quale il locatore può eseguire le riparazioni, possono escludere o limitare il diritto del conduttore alla riduzione del corrispettivo e così via. L’unica parte non derogabile ci sembra essere la legittimità della risoluzione contrattuale nel caso di totale e prolungata inutilizzabilità del bene da parte del conduttore.
La citazione, da parte del conduttore, dell’art 79 L 392/1978, che dovrebbe confermare la nullità dell’art. 11 del contratto di locazione, non ci sembra molto pertinente. L’art. 79 recita: “È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge.” Nel caso in questione, non ricorre né la volontà di limitare la durata legale del contratto (ma esclusivamente di creare le condizioni per effettuare riparazioni che si rendessero necessarie, senza dover corrispondere indennizzi), né, tanto meno, quella di aumentare il canone, in termini diversi da quanto previsto dalle norme. In ogni caso, “per il disposto dell'art. 79 L. 27 luglio 1978 n. 392, non è sufficiente, per la nullità di una clausola del contratto di locazione, che essa attribuisca un qualche vantaggio al locatore, ma è necessario che gli attribuisca un vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge medesima.” (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1993, n. 7317). La rinuncia preventiva all’indennizzo da parte del conduttore costituisce, sicuramente, un vantaggio per il locatore, ma rientra nella facoltà di negoziare condizioni in deroga a norme non imperative (non ci risulta che il vantaggio che viene attribuito al locatore nel caso specifico sia in contrasto con le disposizioni della legge 392/1978).

Comunque, il problema della presunta nullità dell’articolo 11 è relativo, perché, nel caso specifico, si tratta della necessità di procedere a uno sgombero, in via prudenziale, dei locali in vista di interventi di risanamento statico dell’edificio, resosi necessari per la tutela delle persone e delle cose, a seguito di eventi non prevedibili e non dipendenti dalla volontà del locatore.

L’art. 59 della L 392/1978 (Recesso del locatore) recita: “ Nei casi di cui all'articolo precedente il locatore può recedere in ogni momento dal contratto dandone comunicazione al conduttore mediante lettera raccomandata e con un preavviso di almeno sei mesi: (...) 3) quando l'immobile locato sia compreso in un edificio gravemente danneggiato che debba essere ricostruito o del quale debba essere assicurata la stabilità e la permanenza del conduttore impedisca di compiere gli indispensabili lavori”.
Nel caso specifico, inoltre, si aggiunge l’urgenza di intervenire in via prudenziale, dovuta a evento imprevedibile, non dipendente dalla volontà del locatore, che non rende possibile garantire la sicurezza di persone o cose nell’arco dei sei mesi di preavviso.

Tutto ciò premesso, si richiede:
1. il conduttore, nel caso descritto, ha diritto all’indennità di avviamento?
2. è legittima la previsione dell’art 11 del contratto per cui “(…) il locatore potrà eseguire sull’immobile quelle riparazioni che si rendessero necessarie, anche se non abbiano carattere d’urgenza, senza dover corrispondere alcun indennizzo al conduttore, anche se questi per effetto di esse dovesse subire dei disagi per oltre venti giorni derogandosi così espressamente al disposto dell’art.1584 del C.C.”
3. che tipo di risarcimento è lecito chiedere, da parte del conduttore, in caso di forza maggiore come quello descritto?”
Consulenza legale i 28/12/2021
In risposta alla prima domanda contenuta nel quesito si osserva quanto segue.
L’indennità di avviamento, come peraltro correttamente indicato anche nel quesito, non è dovuta quando nel locale condotto in locazione si svolgano attività che “non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori nonché destinati all’esercizio di attività professionali […]”.
Ciò è espressamente previsto nell’art. 35 della L.392/78.
Per quanto riguarda il concetto di “attività professionali”, la Corte di Cassazione con la sentenza n.13091/2017 ha ribadito che: “giurisprudenza costante ritiene che consolidato orientamento di legittimità secondo cui "per stabilire se l'attività svolta nell'immobile locato abbia natura imprenditoriale o professionale (...), occorre avere riguardo non alla qualifica (professionale o meno) delle persone che vi lavorano, ma alla prevalenza, nell'ambito delle attività ivi esercitate, dell'elemento imprenditoriale o di quello professionale" (Cass. n. 8558/2012), cosicchè anche l'attività del professionista può assumere natura commerciale quando l'organizzazione in forma di impresa sia assorbente rispetto a quella professionale”.

Ciò posto, nella presente vicenda, nel contratto sottoscritto dalle parti è indicato che l’immobile locato viene utilizzato esclusivamente per il solo uso di ufficio-deposito. Non solo. Ma è prevista anche una clausola risolutiva espressa in caso di mutazione della destinazione d’uso da parte del conduttore senza preventiva autorizzazione scritta da parte del locatore.
Tuttavia, nella missiva inviata dal legale del conduttore viene rivendicata l’indennità di avviamento in quanto nel locale verrebbe svolta “attività commerciale comportante diretti contatti con i clienti”.
Orbene, per espressa previsione dell’art. 80 della L.392/78 il locatore, nel momento in cui viene a conoscenza del fatto che il conduttore ha adibito l’immobile ad un uso diverso da quello pattuito (come è accaduto nella presente vicenda), ha tre mesi di tempo per chiedere la risoluzione del contratto; in difetto, “al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile”.
Come ha evidenziato la Cassazione con l’ordinanza n.13705 del 2017: “è l’inerzia del locatore, protrattasi per oltre tre mesi a fronte del mutamento della destinazione d’uso da parte del conduttore, ad integrare il fatto costitutivo del diritto all’indennita”.
A tal proposito, va precisato che la giurisprudenza di legittimità è piuttosto costante nel tempo.
Infatti, già nella pronuncia n.1598 del 1984 la Cassazione sottolineava che “anche quando il contratto originariamente preveda un uso del bene locato diverso da quelli previsti dalla legge n. 392 del 1978 (artt. 27 e 42), il successivo mutamento del pattuito uso in uno di quelli contemplati dalla legge stessa determina, nell’inerzia del locatore, il passaggio di regime giuridico sancito dall’art. 80 citato, e quindi la sua soggezione alla normativa corrispondente approntata dalla legge dell’equo canone.
E così anche nella sentenza n.6511 del 1996 leggiamo: “il conduttore di un immobile destinato a deposito che, in violazione degli accordi contrattuali, abbia intrapreso nell’immobile locato un’attività di vendita al pubblico, determina l’insorgenza di una situazione giuridica nuova, che comporta, fra l’altro, l’applicabilità della disciplina dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, la quale, pur non acquisendo prima della cessazione del rapporto la fisionomia di un diritto azionabile, altera in maniera rilevante l’originario equilibrio tra le rispettive obbligazioni, anche future, delle parti in danno del locatore.”

Alla luce di tale interpretazione giurisprudenziale, alla prima domanda contenuta nel quesito possiamo dunque rispondere quanto segue.
Se il locatore, appreso che il conduttore fa un uso diverso del bene locato rispetto a quello pattuito e che tale attività rientra tra quelle che hanno diritto all’indennità di avviamento, nel termine di tre mesi agisce in giudizio per chiedere la risoluzione contrattuale ai sensi dell’art. 80 della L.392/78 stante il mutamento della destinazione d’uso non comunicato, riteniamo che non sia dovuta alcuna indennità di avviamento.
Di contro, se il locatore sia rimasto inerte (nella presente vicenda non sappiamo quando sia stata ricevuta la missiva da parte del legale del conduttore) dal momento in cui è scaduto il termine di tre mesi “si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile” (Cass. n. 2745 del 1998).
Per cui in tal caso, nonostante la previsione contrattuale, l’indennità sarà dovuta.

Con riguardo invece alla domanda di cui al punto 2 si osserva quanto segue.
La previsione di cui all’art. 11 del contratto appare legittima in quanto si tratta di una deroga ad una norma (l’art. 1584 del codice civile) che non ha carattere imperativo.
Ciò significa che le parti contraenti possono stabilire di ridurre o prolungare il termine entro il quale il locatore può eseguire le riparazioni oppure, ad esempio, possono escludere o limitare il diritto del conduttore alla riduzione del corrispettivo ecc.ecc.
A ciò si aggiunga che tale previsione pattizia non appare rientrare tra le clausole vessatorie di cui all’art. 1341 c.c. (per quali occorre specifica approvazione) e pertanto non si ritiene nulla neanche sotto questo profilo.
Sul punto, si cita infatti questa massima della Cassazione (relativa ad un caso diverso, ma simile per certi versi) contenuta nella sentenza n. 10425/2002 secondo cui: “Non costituisce clausola vessatoria a norma dell'art. 1341 la clausola del contratto di locazione che esclude la corresponsione di un'indennità per i miglioramenti, atteso che la clausola in questione non è da ricomprendere tra quelle che prevedono una limitazione di responsabilità a favore di chi la ha predisposta, poichè non limita le conseguenze della colpa o dell'inadempimento, nè tra quelle che stabiliscono limitazioni alla facoltà di proporre eccezioni o di agire in giudizio per ottenere l'adempimento dell'altra parte, ma agisce sul diritto sostanziale escludendo l'indennità per i miglioramenti, previsti dall'art. 1592 c.c. con norma derogabile.”

In risposta alla seconda domanda possiamo dunque affermare che, appunto, la clausola in questione appare legittima e non affetta da nullità.

Con riguardo, infine, alla terza domanda si osserva quanto segue.
In primo luogo, contrariamente a quanto scritto nel quesito, qui non si tratterebbe di mancato pacifico godimento del bene.
Tale obbligo del locatore non riguarda il garantire l’utilizzo del bene ma fa piuttosto riferimento al fatto che il locatore è tenuto a tenere indenne il conduttore da molestie di diritto.
Come aveva infatti sottolineato la Suprema Corte nella ordinanza n.14731/2018: “La destinazione particolare dell'immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che attenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore”.
Dunque nella presente vicenda occorre piuttosto fare riferimento al -diverso- obbligo del locatore di mantenere il bene in stato da servire all'uso convenuto.
Chiarito ciò, sotto tale profilo riteniamo che si debba far riferimento a quanto previsto dall’art. 1583 del codice civile il quale dispone che “se nel corso della locazione la cosa abbisogna di riparazioni che non possono differirsi fino al termine del contratto, il conduttore deve tollerarle anche quando importano privazione del godimento di parte della cosa locata.
Sul punto, in caso privazione totale del godimento la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che "il conduttore, il cui godimento del bene risulti ridotto o escluso per fatti sopravvenuti, ha diritto al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità contrattuale, per l'inadempimento dell'obbligo di mantenere la cosa locata in condizioni da servire all'uso convenuto, ove quei fatti producano pregiudizi ulteriori e diversi rispetto alla diminuzione o perdita del godimento del bene locato, che egli specificamente dimostri " (cfr. Cass. n.1903/2018).

Dunque, in risposta alla terza domanda, il risarcimento che il conduttore potrebbe richiedere dovrebbe essere adeguatamente provato ed essere relativo a danni diversi ed ulteriori rispetto al mancato godimento in sé del bene: ciò anche in conformità alla giurisprudenza costante di legittimità che a partire dalla nota pronuncia a Sezioni Unite n.26972 del 2008, afferma che quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato.