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Articolo 4 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Regole per la determinazione della competenza

Dispositivo dell'art. 4 Codice di procedura penale

1. Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato [56 c.p.]. Non si tiene conto della continuazione [81 c.p.], della recidiva [99-101 c.p.] e delle circostanze del reato [59-70, 118-119 c.p.], fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale [63 c.p.].

Ratio Legis

L'insieme delle norme relative alla competenza hanno la funzione di suddividere il lavoro giudiziario tra i vari organi. Assicurano inoltre il rispetto del principio costituzionale della precostituzione per legge del giudice naturale così come previsto dall'art. 25 Cost.

Brocardi

Ratione materiae

Spiegazione dell'art. 4 Codice di procedura penale

Premesso rapidamente che i tre criteri su cui si fonda la competenza sono tre (competenza per materia, per territorio e per connessione), la norma in questione recepisce quanto quanto previsto dal legislatore in tema di competenza per materia, secondo il quale la suddivisione della competenza tiene conto sia del criterio qualitativo (la natura del reato) sia del criterio quantitativo (basato sulla pena edittale prevista per il singolo reato).

La norma in esame prevede pertanto che per determinare la competenza si debba tener conto della pena stabilita per ciascun reato consumato o tentato, senza dover tener conto invece dell'istituto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato.

Tuttavia, sempre ai fini della determinazione della competenza per materia, si deve tener conto delle circostanze speciali e ad effetto speciale (v. art. 63 c.p. per la spiegazione).

Massime relative all'art. 4 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 4419/2005

Integra una particolare ipotesi di competenza funzionale quella del giudice investito dell'applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 e segg. c.p.p., dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio immediato, e la violazione della relativa disciplina determina ai sensi degli artt. 178, comma primo, lett. a), e 179, comma primo, c.p.p. una nullità assoluta e insanabile, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo, e, quindi, anche nel giudizio di cassazione.

Cass. pen. n. 27019/2001

L'art. 589, comma 3, c.p. (morte e lesioni colpose in danno di più persone) non prevede un'autonoma figura di reato complesso, ma integra un'ipotesi di concorso formale di reati, nella quale l'unificazione è sancita unicamente quoad poenam, con la conseguenza che ciascun reato resta autonomo e distinto ai fini della determinazione del giudice competente per materia. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto la competenza del tribunale in composizione monocratica, sul rilievo che l'art. 33 bis c.p.p. richiama espressamente l'art. 4 dello stesso codice, a norma del quale, per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita per legge per ciascun reato consumato o tentato, e non a quella risultante dall'applicazione delle norme sulla continuazione e sul concorso formale di reati).

Cass. pen. n. 2712/1994

Qualora la modificazione di regole di competenza derivi, quale effetto diretto e immediato, da norma che disponga in tal senso, va applicato - sempre che non sia diversamente disposto da eventuali norme transitorie - il principio tempus regit actum, con criterio di immediatezza, e perciò indipendentemente dal tempus commissi delicti; quando invece la norma sopravvenuta disponga diverso o più grave trattamento sanzionatorio, trattandosi perciò di norma sostanziale priva di efficacia retroattiva, ed ancorché ne consegua, sempre in difetto di norme transitorie, una modificazione della competenza per materia quale effetto indiretto e secondario, quest'effetto potrà prodursi soltanto nei riguardi di reati soggetti all'aumento di pena e che siano, perciò, consumati posteriormente all'entrata in vigore della norma modificatrice, mentre fra quelli verificatisi anteriormente resta ovviamente applicabile la precedente sanzione, che coinvolge la regola di competenza all'epoca vigente, dunque sottratta al richiamato principio tempus regit actum, di tipica natura processuale, e perciò non invocabile in tali casi. (Fattispecie in tema di usura, entrata, a seguito dell'inasprimento sanzionatorio introdotto dal D.L. n. 306 del 1992, nell'ambito della competenza per materia del tribunale).

Cass. pen. n. 280/1994

In materia di reati di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, la L. 13 dicembre 1989 n. 401 è meno favorevole rispetto all'art. 718 c.p., essendo prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni (art. 4) a fronte della pena da tre mesi ad un anno di arresto e dell'ammenda non inferiore a lire quattrocentomila prevista dall'art. 718 c.p. Tale nuova legge ha riflessi sulla competenza, trattandosi di reati finanziari che appartengono, in quanto tali, alla cognizione del tribunale non essendo prevista la sola pena della multa o dell'ammenda (art. 10 L. 31 luglio 1984 n. 400); in tal caso peraltro si verte in ipotesi di successione di leggi penali regolata dall'art. 2 c.p.: ne consegue che, per i fatti previsti dall'art. 4, L. 13 dicembre 1989 n. 401, commessi prima dell'entrata in vigore della legge stessa, resta applicabile la regola generale (artt. 4 e 7 c.p.p.) della competenza del giudice che l'aveva al tempo del commesso reato, e cioè il pretore.

Cass. pen. n. 4351/1993

Il principio tempus regit actum, in mancanza di norma transitoria, è applicabile ogni qualvolta una norma di carattere processuale preveda lo spostamento di competenza da un giudice a un altro, sempre che nel frattempo non si sia già radicata presso un giudice la competenza, valendo in tal caso l'altro principio della perpetuatio iurisdictionis. (Nella specie, relativa all'entrata in vigore dell'art. 11 quinquies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, con il conseguente aumento di pena per il delitto di usura, determinativo di spostamento di competenza, la Suprema Corte ha rilevato che non si poneva un problema di «competenza» in regime intertemporale, tenuto conto del carattere sostanziale della norma e della sua conseguente applicabilità ai soli fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore)

Cass. pen. n. 1850/1993

In tema di contrabbando, anche dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, si deve tener conto della recidiva prevista dall'art. 296, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, ai fini dell'individuazione del giudice competente per materia.

Cass. pen. n. 907/1993

L'art. 4 c.p.p., nel prevedere la rilevanza, ai fini della determinazione della competenza, delle circostanze ad effetto speciale, si riferisce unicamente alle circostanze aggravanti e non anche a quelle attenuanti.

Cass. pen. n. 5206/1993

Attesa la peculiarità della recidiva in contrabbando prevista dall'art. 296, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (in base al quale essa è operante obbligatoriamente e comporta l'applicazione di una pena di specie diversa — reclusione — rispetto a quella prevista per il reato base), ed avuto riguardo al disposto di cui all'art. 210, D.L.G. 28 luglio 1989, n. 271 (att., coord. e trans. c.p.p.), secondo cui «continuano a osservarsi le disposizioni di leggi o decreti che regolano la competenza per materia o per territorio in deroga alla disciplina del codice», deve ritenersi che, in base all'art. 21, primo comma, n. 2, L. 7 gennaio 1929, n. 4, quale sostituito dall'art. 10, L. 31 luglio 1984, n. 400, la competenza a conoscere del reato di contrabbando aggravato ai sensi del citato art. 296, D.P.R. n. 43/1973 appartenga al tribunale e non al pretore, nulla rilevando in contrario il fatto che l'art. 4 c.p.p. escluda, di regola, la rilevanza della recidiva ai fini della determinazione della competenza.

Cass. pen. n. 3166/1992

Poiché la contestazione dell'accusa si sostanzia nella specifica indicazione del fatto che l'imputato o l'indagato è accusato di avere posto in essere, e non nella mera indicazione delle norme giuridiche, per loro natura generali e astratte, ai fini della determinazione della competenza per materia si deve far riferimento al primo, e non alla (eventualmente erronea) indicazione delle norme di diritto.

Cass. pen. n. 5308/1992

Nel vigente sistema processuale penale non è previsto alcun mezzo preventivo per regolare la competenza mediante l'intervento immediato della Corte di cassazione che può essere chiamata a pronunciare sulla competenza solo in esito a conflitto.

Cass. pen. n. 4136/1991

La formulazione dell'art. 296 della legge doganale prevede che la recidiva in contrabbando ha una connotazione autonoma rispetto a quella di cui all'art. 99 c.p. in quanto è obbligatoria e non facoltativa e va considerata come una particolare circostanza aggravante soggettiva siccome inerente alla persona del colpevole. Tale principio è valido ed operante anche nel vigore del nuovo codice di rito il cui art. 4 ripropone un'esclusione riferibile alla recidiva comune di cui all'art. 99 c.p. e non rileva sulla ripartizione della cognizione dei reati finanziari tra pretore e tribunale a norma dell'art. 21, L. n. 4/1929 come modificato dall'art. 10 L. n. 400/1984. (Fattispecie in tema di risoluzione di conflitto di competenza attribuita al tribunale cui spetta la cognizione dei reati finanziari puniti con la reclusione).

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In qualsiasi caso di “spostamento” della competenza investigativa, il Giudice del processo sarà sempre quello determinato a norma degli articoli 4 c.p.p.

Tale circostanza discende direttamente dall’art. 25 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Tale locuzione sta a significare, quindi, che le norme in tema di competenza del giudice non possono essere derogate in alcun modo, tantomeno laddove, per le più svariate ragioni, il Pubblico Ministero procedente sia diverso da quello presso il Tribunale competente.