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Articolo 269 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Chiamata di un terzo in causa

Dispositivo dell'art. 269 Codice di procedura civile

Alla chiamata di un terzo nel processo a norma dell'articolo 106(1), la parte provvede mediante citazione a comparire nell'udienza fissata dal giudice istruttore ai sensi del presente articolo, osservati i termini dell'articolo 163 bis(2).

Il convenuto che intenda chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'articolo 163 bis. Il giudice istruttore, nel termine previsto dall'articolo 171 bis, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza. Il decreto è comunicato dal cancelliere alle parti costituite. La citazione è notificata al terzo a cura del convenuto(3).

Ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, sia sorto l'interesse dell'attore a chiamare in causa un terzo, l'attore deve, a pena di decadenza, chiederne l'autorizzazione al giudice istruttore nella memoria di cui all'articolo 171 ter, primo comma, numero 1(4). Il giudice istruttore, se concede l'autorizzazione, fissa una nuova udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'articolo 163-bis. La citazione è notificata al terzo a cura dell'attore entro il termine perentorio stabilito dal giudice.

La parte che chiama in causa il terzo deve depositare la citazione notificata entro il termine previsto dall'articolo 165, e il terzo deve costituirsi a norma dell'articolo 166(5).

Nell'ipotesi prevista dal terzo comma restano ferme per le parti le preclusioni maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo e i termini indicati dall'articolo 171-ter decorrono nuovamente rispetto all'udienza fissata per la citazione del terzo(6).

Note

(1) L'art. 106 del c.p.c. menzionato nella norma conferisce alle parti la facoltà di chiamare nel processo un terzo al quale ritengano comune la causa o dal quale pretendano di essere garantita.
(2) Sia per l'attore che per il convenuto, la chiamata del terzo avviene mediante la notifica di un atto di citazione, che deve rispettare i termini previsti dall'art. 163 bis: devono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell'udienza di comparizione, se il luogo della notificazione si trova in Italia, aumentati a centoventi se l'atto va notificato all'estero.
(3) Il convenuto non deve chiedere l'autorizzazione alla chiamata del terzo: egli deve però effettuare la chiamata nella comparsa di risposta, costituendosi almeno sessanta (venti prima della Riforma Cartabia) giorni prima dell'udienza indicata nell'atto di citazione (art. 167 del c.p.c.) e chiedere al giudice il differimento della prima udienza (se non esplicita questa richiesta nella comparsa, decade dalla facoltà di chiamare il terzo).
(4) L'attore può chiamare in causa il terzo se è autorizzato a farlo dal giudice e solo a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta. Se questa è stata tempestivamente depositata, l'attore sarà tenuto a chiedere l'autorizzazione al giudice istruttore nella memoria di cui all'art. 171 ter, primo comma n. 1 (prima della Riforma Cartabia all'udienza di prima comparizione e trattazione). Nell'ipotesi, invece, in cui il convenuto sollevi le contestazioni che fanno sorgere per l'attore l'interesse alla chiamata in causa del terzo in un momento successivo, si deve ritenere che l'attore possa di conseguenza proporre la richiesta di autorizzazione oltre la prima udienza, senza incorrere in decadenze.
(5) Il terzo, quindi, deve costituirsi nel processo depositando una comparsa di risposta almeno venti giorni prima della nuova udienza fissata dal giudice: non ha facoltà di costituirsi anche in udienza, se non intende incorrere nelle decadenze di cui all'art. 167 del c.p.c..
(6) Il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia"), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto (con l'art. 35, comma 1), nel modificare i commi 2, 3 e 5 della presente disposizione, che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Spiegazione dell'art. 269 Codice di procedura civile

Dispone l’art. 106 del c.p.c. che ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa (chiamata per connessione) o dal quale pretende essere garantita (chiamata in garanzia).
La chiamata del terzo consiste nella sua citazione in giudizio, per mezzo della quale viene chiesto al terzo di comparire all'udienza fissata dal giudice istruttore entro i termini stabiliti dall'art. 163 bis del c.p.c. (ossia, termini liberi non minori di centoventi giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all'estero).

E’ precluso all'attore di chiamare in causa un terzo se non lo abbia citato ab initio, fatto salvo il caso in cui la necessità della chiamata in causa scaturisca dalle difese del convenuto ovvero nell’ipotesi di litisconsorzio necessario.
Il giudice istruttore, nel dare la propria autorizzazione, deve comunque verificare la sussistenza dell’interesse a chiamare il terzo.

Il convenuto, da parte sua, ha facoltà di chiamare in giudizio il terzo esclusivamente nel corso della fase introduttiva della causa e lo potrà fare in sede di comparsa di risposta, chiedendo nel contempo al giudice che venga fissata una nuova udienza.
Il giudice istruttore fissa con decreto una nuova udienza e ne fa dare comunicazione dal cancelliere alle parti, mentre la notifica al terzo è fatta a cura del convenuto stesso.

Occorre precisare che, diversamente da quanto disposto al comma 3, il giudice non è tenuto ad assegnare al convenuto un termine perentorio per effettuare la notifica dell’atto di chiamata al terzo; l'unico limite temporale che deve osservarsi è costituito dall'udienza fissata dal giudice e dal rispetto dei termini minimi a comparire per il terzo chiamato.

Pertanto, l’unico compito che ha il giudice è quello di verificare la sussistenza delle condizioni processuali richieste dalla legge, senza alcuna valutazione di opportunità, di fondatezza o di merito, ossia:
a) la consequenzialità della chiamata dell'attore rispetto alle difese del convenuto;
b) la tempestività dell'istanza del convenuto se è questi a richiedere la citazione del terzo in causa.

Qualora l'interesse per l'attore di chiamare in causa un terzo scaturisca dalla comparsa di risposta del convenuto, questi può farlo, chiedendo l'autorizzazione al giudice istruttore, ma entro e non oltre l’udienza di prima comparizione delle parti e trattazione di cui all’art. 183 del c.p.c..
In caso di mancato rispetto dei termini della prima udienza disponibile, l’attore decade dalla possibilità di chiamare in causa il terzo.

Nel concedere l'autorizzazione alla chiamata del terzo, il giudice fissa anche un'udienza ed il termine perentorio entro cui l'attore deve notificare la citazione al terzo.
La parte che chiama in causa il terzo deve depositare la citazione notificata entro dieci giorni dall'avvenuta notifica, mentre il terzo deve costituirsi almeno settanta giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione.
Se il terzo dovesse chiamare in causa un altro terzo, il rilascio dell'autorizzazione da parte del giudice non è soggetto ad alcuna condizione, dovendosi tener conto soltanto del requisito della tempestività della medesima richiesta; in tal caso, se l'autorizzazione è concessa in udienza, non occorre alcuna comunicazione, dovendosi fare applicazione di quanto disposto dall'art. 134.

Ai sensi del successivo art. 272 del c.p.c., le decisioni sulle questioni relative all'ammissibilità della chiamata in causa del terzo sono decise dal collegio; viene anche operato un rinvio al secondo comma dell'art. 187, comma 2, il che deve intendersi nel senso che, nelle cause riservate a decisione collegiale, le questioni attinenti all'intervento su istanza di parte possono essere sottoposte all'esame del collegio, se la loro risoluzione può portare alla definizione dell'intero processo.

La Riforma Cartabia ha modificato anche questa norma per conformarla alle nuove disposizioni dell’art. 171 bis del c.p.c., ove viene individuato e disciplinato un momento in cui, fuori udienza entro quindici giorni dalla scadenza del termine di cui all’art. 166 del c.p.c., il giudice possa verificare d'ufficio la regolare instaurazione del contraddittorio e pronunciare, quando occorre, i provvedimenti opportuni e tipizzati, fra i quali rientra anche la fissazione di nuova udienza al fine di consentire al convenuto di effettuare la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'art. 163 bis del c.p.c..

Massime relative all'art. 269 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 41383/2021

Nel caso di chiamata di terzo compiuta senza il rispetto delle modalità, stabilite a pena di decadenza dall'art. 269 commi 2 e 3, c.p.c., rispettivamente per il convenuto e per l'attore (nella specie, effettuata senza autorizzazione del giudice tramite l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo), il giudice di primo grado può rilevare d'ufficio la nullità della chiamata ma, in mancanza di tale rilievo, ove il chiamato si sia costituito senza eccepire la decadenza del chiamante, la rilevabilità officiosa del vizio, non dedotto come motivo di gravame, non si estende al grado successivo. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 02/05/2018).

Cass. civ. n. 3692/2020

In tema di chiamata in causa di un terzo su istanza di parte, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, è discrezionale il provvedimento del giudice di fissazione di una nuova udienza per consentire la citazione del terzo; ne consegue che, sebbene sia stata tempestivamente chiesta dal convenuto tale chiamata ex art. 269 c.p.c., in manleva o in regresso, il giudice può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del detto terzo. (Cassa con rinvio, TRIBUNALE NAPOLI, 15/01/2018).

Cass. civ. n. 23123/2019

Le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l'attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, salvo che l'iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria.

Cass. civ. n. 21706/2019

L'opponente a decreto ingiuntivo che intenda chiamare in causa un terzo non può direttamente citarlo per la prima udienza ma deve chiedere al giudice, nell'atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato in quanto, per effetto dell'opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l'opponente quella di convenuto; peraltro, il provvedimento con il quale il giudice autorizza o nega la chiamata in causa di un terzo ad istanza di parte, ove non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali che, come tali, non possono formare oggetto di appello né di ricorso per cassazione. (Cassa con rinvio, TRIBUNALE TORRE ANNUNZIATA, 23/04/2018).

Cass. civ. n. 30601/2018

Qualora il convenuto in un giudizio di risarcimento dei danni, chiami in causa un terzo indicandolo come soggetto (cor)responsabile della pretesa fatta valere dall'attore e chieda di essere manlevato in caso di accoglimento della pretesa attorea, senza porre in dubbio la propria legittimazione passiva, si versa in una ipotesi di chiamata in garanzia, nella quale non opera la regola della automatica estensione della domanda al terzo chiamato, atteso che la posizione assunta dal terzo nel giudizio non contrasta, ma anzi coesiste, con quella del convenuto rispetto all'azione risarcitoria, salvo che l'attore danneggiato proponga nei confronti del chiamato (quale coobbligato solidale) una nuova autonoma domanda di condanna. (Nella fattispecie, la S.C., in applicazione del principio di cui in massima, ha confermato la decisione di merito, che aveva considerato non operante la regola della automatica estensione al terzo chiamato della domanda risarcitoria principale relativamente ad un'ipotesi in cui l'Azienda Ospedaliera convenuta aveva chiamato in causa il proprio dipendente medico-chirurgo, limitandosi a svolgere nei suoi confronti domanda di rivalsa condizionata all'accoglimento della pretesa attorea e senza che l'attore avesse proposto in via autonoma una domanda di condanna nei confronti del chiamato). (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 26/11/2016).

Cass. civ. n. 21462/2016

In materia di chiamata in causa ad istanza di parte, qualora sia stata proposta dal convenuto, a tale scopo, tempestiva richiesta di differimento della prima udienza di trattazione, l'eventuale provvedimento di rigetto può essere revocato (anche implicitamente) dallo stesso giudice, o da altro avanti al quale la causa sia stata riassunta a seguito di declinatoria di competenza ad opera del primo, sempreché ciò avvenga anteriormente all'esaurimento della fase della prima udienza di trattazione.

Cass. civ. n. 2492/2016

In tema di spese giudiziali sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta rigettata la domanda principale, il relativo onere va posto a carico della parte soccombente che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, in applicazione del principio di causalità, e ciò anche se l'attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo.

Cass. civ. n. 9570/2015

In tema di chiamata in causa di un terzo su istanza di parte, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, è discrezionale il provvedimento del giudice di fissazione di una nuova udienza per consentire la citazione del terzo: conseguentemente, sebbene sia stata tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa del terzo ex art. 269 cod. proc. civ., in manleva o in regresso, il giudice può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo. (Cassa con rinvio, Trib. Cremona, 19/04/2011).

Cass. civ. n. 801/2015

Ai fini della determinazione della ragionevole durata del processo, il periodo occorso per la chiamata in causa di un terzo in garanzia non può essere automaticamente escluso dal relativo calcolo, ma potrà essere considerato quale circostanza da valutare sotto il profilo del criterio della "complessità", di cui all'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, e, quindi, consentire una deroga generale ai parametri di durata indicati dalla CEDU, giustificandone l'incremento, in quanto non addebitabile interamente alla parte che ne ha fatto richiesta. (Cassa con rinvio, App. Firenze, 21/02/2013).

Cass. civ. n. 12009/2014

In tema di chiamata in garanzia, il terzo chiamato - che assume la posizione di convenuto rispetto alla domanda proposta nei suoi riguardi ex art. 269 cod. proc. civ. - ove contesti la competenza territoriale del giudice adìto, ha l'onere di farlo, prioritariamente, secondo i criteri ordinari e solo in via gradata sotto il profilo dell'art. 32 cod. proc. civ., ovvero assumendo che non si verte in ipotesi di garanzia propria. Ne segue che, qualora la domanda oggetto della chiamata sia regolata secondo i criteri ordinari di competenza territoriale dal foro generale e dai fori concorrenti dell'art. 25 cod. proc. civ., l'eccezione deve riguardare - a seconda che il terzo sia persona fisica o soggetto collettivo - non solo il foro generale di cui agli artt. 18 e 19 cod. proc. civ. (e in base a tutti i criteri da essi previsti), ma anche quelli concorrenti, pena l'irritualità dell'eccezione proposta, a prescindere dalla ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 32 cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 10579/2013

Il terzo, chiamato in causa su istanza di parte, non può eccepire l'irritualità della stessa per mancata osservanza delle prescrizioni stabilite dall'art. 269, secondo comma, cod. proc. civ., essendo al riguardo carente di interesse, atteso che il suo interesse a far valere questioni relative al rapporto processuale originario è correlato esclusivamente alla correttezza della decisione in merito o in rito su di esso e non anche alla stessa ritualità della chiamata in giudizio.

In base al disposto dell'art. 269, secondo comma, cod. proc. civ., il convenuto che intenda chiamare in giudizio un terzo ha l'onere di inserire nella comparsa di risposta sia la formulazione della chiamata che l'istanza di spostamento della prima udienza, sicché incorre nella decadenza prevista dalla medesima di disposizione anche quando provveda solo al primo di tali adempimenti, ma non al secondo.

Cass. civ. n. 4309/2010

In tema di chiamata in causa di un terzo su istanza di parte, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 c.p.c., è discrezionale il provvedimento del giudice di fissazione di una nuova udienza per consentire la citazione del terzo, chiesta tempestivamente dal convenuto ai sensi dell'art. 269 c.p.c., come modificato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353; conseguentemente, qualora sia stata chiesta dal convenuto la chiamata in causa del terzo, in manleva o in regresso, il giudice può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la propria scelta sulla base di esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

Cass. civ. n. 10682/2008

La chiamata in causa del terzo ad istanza dell'attore non può essere chiesta, né autorizzata, dopo la prima udienza, nemmeno nell'ipotesi in cui l'interesse alla chiamata sia sorto successivamente a tale momento. La violazione del termine in esame è rilevabile d'ufficio e non è sanata dalla costituzione del terzo chiamato, a meno che quest'ultimo non accetti il contraddittorio nello stato in cui si trova la causa (fattispecie anteriore alle modifiche apportate all'art. 269 c.p.c. dalla legge n. 353 del 1990 ).

Cass. civ. n. 12490/2007

Il convenuto per poter legittimamente formulare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 167, comma terzo, e 269 c.p.c., l'istanza di chiamata in causa di un terzo deve necessariamente costituirsi tempestivamente, ovvero nel rispetto del termine fissato dall'art. 166 dello stesso codice di rito, di modo che in caso di tardività della costituzione deve conseguire la declaratoria di inammissibilità della predetta richiesta. Ai fini dell'osservanza di detto termine, stante l'esplicita previsione contenuta nello stesso art. 166 c.p.c., per il suo computo a ritroso deve aversi riguardo (in via esclusiva) all'udienza indicata nell'atto di citazione e non (anche) a quella eventualmente successiva, cui la causa sia stata rinviata d'ufficio, ai sensi dell'art. 168 bis, comma quarto, c.p.c., in ragione del calendario delle udienze del giudice designato.

Cass. civ. n. 984/2006

La chiamata del terzo disposta, ex art. 106 c.p.c., ad istanza di parte è rimessa alla esclusiva valutazione discrezionale del giudice del merito, sicché l'esercizio del relativo potere non può formare oggetto d'impugnazione né, tantomeno, è sindacabile nel giudizio di appello e in quello di legittimità

Cass. civ. n. 776/2004

La parte che non abbia provveduto alla chiamata del terzo in giudizio nelle forme e nei termini fissati dall'art. 269, comma I c.p.c. non può denunciare, in sede di gravame (appello o cassazione), la mancata concessione di un termine per effettuare detta chiamata ex art. 269, comma II, c.p.c., ovvero il mancato esercizio del potere di ordinare l'intervento di detto terzo a norma del precedente art. 107, vertendosi in tema di prerogative esclusive e discrezionali del giudice di primo grado.

Cass. civ. n. 3156/2002

Il concetto di «prima udienza» ex art. 269 c.p.c., agli effetti della chiamata del terzo, deve essere inteso in senso non meramente cronologico, bensì sostanziale, come indicativo della fase in cui si abbia una effettiva trattazione e cioè esercizio di attività di istruttoria oppure la risoluzione di questioni insorte fra le parti, senza, quindi, che la preclusione per tale chiamata possa verificarsi, qualora, esaurite le attività preparatorie attinenti alla comparizione e costituzione delle parti, si siano avute udienze di mero rinvio, ma non anche espletamento, sia pure in parte, di attività istruttoria o decisoria, a pregiudizio definitivo del terzo chiamato.

Cass. civ. n. 15370/2000

Ai fini della chiamata in causa di un terzo il difensore non necessita di una apposita procura in aggiunta all'altra già ottenuta per iniziare la lite.

La previsione della decadenza dalla possibilità di chiamare in causa un terzo se il convenuto non ne manifesti l'intenzione nella comparsa di risposta, di cui all'art. 167 c.p.c., non è applicabile nel procedimento davanti al giudice di pace.

Cass. civ. n. 6092/2000

La chiamata in causa di un terzo non può essere autorizzata dal giudice dopo la prima udienza, neanche se l'interesse della parte ad ottenere la partecipazione del detto terzo nel giudizio sia sorto nel corso dello svolgimento del processo ed a seguito della difesa avversaria e dell'istruttoria espletata.

Cass. civ. n. 1206/1999

La parte che, in ottemperanza all'ordine del giudice di integrare il contraddittorio con il litisconsorte necessario, cita il terzo, deve, a pena di estinzione del giudizio, rispettare il termine previsto dall'art. 163 bis c.p.c., senza che rilevino, in senso impeditivo della sussistenza di quest'onere, né la mancata indicazione nell'ordinanza del termine per la notificazione, né la circostanza che la data dell'udienza di comparizione sia fissata a data più breve del termine dilatorio per comparire.

Cass. civ. n. 12233/1998

È nulla la chiamata in causa del terzo, contro il quale sia proposta una domanda di garanzia impropria, ove il procuratore del chiamante sia sfornito di procura ad hoc. Tuttavia tale procura deve considerarsi implicitamente conferita, ove la volontà di chiamare il terzo sia chiaramente manifestata nella comparsa di risposta, e la procura alle liti sia apposta in margine od in calce alla stessa.

Cass. civ. n. 512/1995

Nel caso di chiamata per garanzia impropria, come in ogni altro caso nel quale non sia imposta dalla necessità di integrare il contraddittorio, la chiamata in causa del terzo autorizzata dal giudice ai sensi dell'art. 269 c.p.c., a seguito dell'istanza tempestivamente proposta alla prima udienza di effettiva trattazione, resta nella libera disponibilità della parte che la ha richiesta, sulla quale ricade pertanto l'onere di osservare il termine di comparizione per il terzo chiamato. Ne consegue che qualora il giudice abbia concesso per tale chiamata (esplicitamente o attraverso la semplice indicazione dell'udienza di comparizione del terzo) un termine insufficiente a consentire il rispetto dei termini di comparizione, la parte interessata può chiedere per la rinnovazione dell'atto un termine più congruo, sempre suscettibile di proroga, ed ove a ciò non provveda non può dolersi, in sede di gravame, della declaratoria di nullità dell'atto di chiamata in causa per inosservanza del termine.

Cass. civ. n. 2238/1990

La parte costituita in giudizio può proporre domanda di garanzia nei confronti di un'altra parte, anch'essa costituita, mediante la comunicazione di una comparsa nelle forme previste dall'art. 170 c.p.c., non essendo necessario, perché sia rispettato il principio del contraddittorio, la notificazione di un atto di citazione, atteso che la comunicazione della comparsa è idonea a consentire al destinatario della domanda di interloquire sulla stessa e di apprestare le sue difese.

Cass. civ. n. 3815/1986

In appello non è ammissibile l'intervento coatto, né a istanza di parte né iussu iudicis, ancorché sia stato sollecitato al riguardo il potere discrezionale del giudice di primo grado.

In forza del principio della conversione dei motivi di nullità della sentenza in motivi di gravame, nel giudizio di appello l'aspetto rescissorio ha la prevalenza su quello rescindente con la conseguenza che, salvo nei casi previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c., il giudice d'appello deve esercitare i suoi poteri di riesame della controversia e non può, quindi, rimettere la causa al primo giudice per la concessione del termine previsto dalla norma dell'art. 269 c.p.c. al fine della chiamata di terzo.

Cass. civ. n. 7341/1983

Nel caso di chiamata di un terzo in causa (ad integrazione del contraddittorio) il termine di dieci giorni entro il quale, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., deve essere depositata la citazione integrativa, ha natura ordinatoria e se non rispettato non comporta l'improcedibilità della domanda nei confronti del chiamato.

Cass. civ. n. 3441/1980

Il termine (di dieci giorni dalla notificazione) stabilito dall'ultimo comma dell'art. 269 c.p.c. per il deposito dell'atto di citazione del terzo chiamato in causa ha, a differenza di quello previsto per la costituzione dell'attore, natura ordinatoria, anche nel caso in cui il terzo sia chiamato ad integrazione del contraddittorio e, pertanto, la sua inosservanza non incide sulla regolarità del rapporto processuale. (Nella specie, alla stregua del principio suesposto, la Suprema Corte ha rigettato la censura secondo cui il mancato deposito, nel termine sopra indicato, dell'atto d'integrazione del contraddittorio nel giudizio di secondo grado avrebbe comportato l'improcedibilità dell'appello).

Cass. civ. n. 4680/1978

La tardività della chiamata in causa del terzo, per violazione dei termini fissati dall'art. 269 c.p.c., è rilevabile anche d'ufficio, atteso che l'indicata norma, diretta ad assicurare il contemporaneo instaurarsi del processo nei confronti di tutti i soggetti che vi partecipano, ha carattere inderogabile. Questo principio non osta a che la costituzione in giudizio del terzo, tardivamente chiamato, possa avere valore di intervento volontario, consentito fino a che la causa non venga rimessa al collegio (art. 268 c.p.c.), ma tale effetto postula che il terzo medesimo accetti il contraddittorio, aderendo allo stato in cui la controversia si trova, e, pertanto, non può verificarsi ove il terzo medesimo eccepisca in via principale l'irritualità della sua chiamata, e solo in via subordinata si difenda nel merito. Le disposizioni dettate dai primi due commi dell'art. 269 c.p.c., sulle modalità ed i termini della chiamata in causa di un terzo, non sono suscettibili di deroga, neppure quando l'interesse alla chiamata del terzo sia sorto dopo la prima udienza, o per effetto della posizione assunta dalla difesa avversaria.

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Giovanni chiede
sabato 03/03/2012 - Sicilia
“Che tipo di interesse "giustifica" la chiamata in causa del terzo da parte del convenuto? In particolare, il convenuto può chiamare in causa il terzo, quando ritenga di non essere realmente titolare passivo del rapporto sostanziale dedotto in giudizio? nella fattispecie, un Comune è chiamato a risarcire i danni provocati da una buca della strada; in realtà, il danno al pedone è stato provocato dalla caduta in un canale di irrigazione gestito da un consorzio irriguo.”
Consulenza legale i 06/03/2012

Il convenuto può avere interesse a che venga accertato, nel medesimo giudizio, che egli non è responsabile perchè, ad esempio, il fatto a lui addebitato deve essere imputato ad un altro soggetto, unico responsabile dell'illecito oggetto di causa. L'interesse del convenuto può essere fatto valere con la chiamata in causa del terzo, indicato come unico responsabile. In questo caso, qualora il convenuto, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva chiami un terzo indicandolo come il vero legittimato, si verifica l'estensione automatica della domanda al terzo medesimo, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza incorrere nel vizio di extrapetizione (sul punto si veda Cass. Civ. 2007/13165). In questo caso si avrà un ampliamento della controversia originaria, sia in senso oggettivo - perchè la nuova obbligazione dedotta dal convenuto viene ad inserirsi nel tema della controversia, in via alternativa con quella che l'attore ha assunto a carico del convenuto - sia in senso soggettivo, perchè il terzo chiamato in causa diventa un'altra parte di quella controversia e viene a trovarsi con il convenuto in una situazione tipica di litisconsorzio alternativo.


Avv. D.A. chiede
venerdì 10/06/2011 - Calabria

“A seguito della mia costituzione, l'attore ha chiesto di essere autorizzato a chiamare un terzo in causa ed ha fissato il termine di 40 giorni, decorrenti dalla data dell'udienza di comparizione, per la notifica dell'atto di citazione al terzo. Tale notifica e' stata fatta oltre il termine perentorio dei 40 giorni ed il terzo non si e' costituito. Per cui in un primo momento il giudice ha dichiarato l'attore decaduto ma, concessi termini per note, ha affermato di volere revocare la decadenza perche ritiene che quel termine fissato per la notifica non fosse perentorio. Puo' farlo?”

Consulenza legale i 23/06/2011

Secondo il terzo comma dell’art. 269 del c.p.c. ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta, sia sorto l’interesse dell’attore a chiamare in causa un terzo, egli, a pena di decadenza deve chiederne l’autorizzazione al Giudice istruttore nella prima udienza. Se il Giudice concede l’autorizzazione fissa una nuova udienza per consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini di cui all’art. 163 bis del c.p.c., cioè tra la nuova udienza e l’ultimo giorno utile per la notifica della citazione al terzo devono intercorrere almeno 90 giorni. La citazione deve essere notificata al terzo a cura dell’attore entro il termine stabilito dal giudice che è espressamente definito perentorio dalla legge.

Qualora l’attore non abbia perfezionato la notifica nel rispetto di tale termine egli è senz’altro decaduto dal potere di chiamare in causa il terzo, salvo potersi applicare ai nuovi processi l'art. 153 del c.p.c. come novellato dalla L. n. 69/2009 che ammette la prova liberatoria per un’eventuale rimessione in termini anche nonostante la perentorietà del termine spirato, se la parte dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile. Il giudice, allora, dovrebbe provvedere a norma dell'art. 294 del c.p.c., secondo e terzo comma.