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Articolo 137 Codice dell'ambiente

(D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Sanzioni penali

Dispositivo dell'art. 137 Codice dell'ambiente

1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29 quattuordecies, comma 1, Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro.

2. Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è dell'arresto da tre mesi a tre anni e dell'ammenda da 5.000 euro a 52.000 euro.

3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5 o di cui all'articolo 29 quattuordecies, comma 3, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell'autorizzazione, o le altre prescrizioni dell'autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l'arresto fino a due anni.

4. Chiunque violi le prescrizioni concernenti l'installazione e la gestione dei controlli in automatico o l'obbligo di conservazione dei risultati degli stessi di cui all'articolo 131 è punito con la pena di cui al comma 3.

5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorità competente a norma dell'articolo 107, comma 1, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro.

6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell'effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.

7. Al gestore del servizio idrico integrato che non ottempera all'obbligo di comunicazione di cui all'articolo 110, comma 3, o non osserva le prescrizioni o i divieti di cui all'articolo 110, comma 5, si applica la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi e con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

8. Il titolare di uno scarico che non consente l'accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all'articolo 101, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la pena dell'arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 689 del 1981 e degli articoli 55 e 354 del codice di procedura penale.

9. Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell'articolo 113, comma 3, è punito con le sanzioni di cui all'articolo 137, comma 1.

10. Chiunque non ottempera al provvedimento adottato dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 84, comma 4, ovvero dell'articolo 85, comma 2, è punito con l'ammenda da millecinquecento euro a quindicimila euro.

11. Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104 è punito con l'arresto sino a tre anni.

12. Chiunque non osservi le prescrizioni regionali assunte a norma dell'articolo 88, commi 1 e 2, dirette ad assicurare il raggiungimento o il ripristino degli obiettivi di qualità delle acque designate ai sensi dell'articolo 87, oppure non ottemperi ai provvedimenti adottati dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 87, comma 3, è punito con l'arresto sino a due anni o con l'ammenda da quattromila euro a quarantamila euro.

13. Si applica sempre la pena dell'arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall'Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purché in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell'autorità competente.

14. Chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonché di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'articolo 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste, oppure non ottemperi al divieto o all'ordine di sospensione dell'attività impartito a norma di detto articolo, è punito con l'ammenda da euro millecinquecento a euro diecimila o con l'arresto fino ad un anno. La stessa pena si applica a chiunque effettui l'utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente.

Massime relative all'art. 137 Codice dell'ambiente

Cass. pen. n. 16044/2019

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, lo scarico senza autorizzazione di acque reflue provenienti da attività casearia integra il reato previsto dall'art. 137 D.Lgs. 4 marzo 2006, n. 152, in quanto detti reflui non sono assimilabili alle acque domestiche di cui all'art. 101, comma 7, del medesimo D.Lgs., non rientrando tale attività, né in quella di mero allevamento del bestiame, prevista dalla lettera b) di tale ultima disposizione, né in quelle a quest'ultima accessorie, disciplinate dalla lettera c) della medesima norma. Gli scarichi provenienti dall'attività casearia restano soggetti alla disciplina generale sugli scarichi, in quanto si tratta di un'attività del tutto diversa da quella dell'allevamento di bestiame, perché concernente la lavorazione successiva di uno dei prodotti dell'allevamento medesimo, fra le quali può essere ricompresa, in linea di principio, anche l'attività di trasformazione casearia di uno dei possibili prodotti dell'allevamento del bestiame. A tale assimilazione, tuttavia, il legislatore pone una ulteriore delimitazione la quale, richiamando un rapporto di stretta connessione funzionale, considera la sola trasformazione e valorizzazione del prodotto, effettuata, però, utilizzando materia prima lavorata che deve pervenire in misura prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni di cui l'impresa disponga a qualsiasi titolo.

Cass. pen. n. 11518/2019

L'apertura o, comunque, l'effettuazione di uno scarico di acque reflue richiede il preventivo rilascio di una formale, espressa autorizzazione rilasciata dalle competenti autorità sulla base dei criteri e nelle forme indicate dalla legge e non ammette equipollenti. In tema di inquinamento idrico, la finalità dell'autorizzazione di cui all'art. 124 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non è soltanto quella di permettere l'apertura e l'effettuazione dello scarico, ma anche di porre l'amministrazione competente nelle condizioni di verificare la sussistenza delle condizioni di legge per il rilascio del titolo abilitativo ed effettuare ogni successiva attività di controllo e prevenzione, con la conseguenza che l'apertura o l'effettuazione di uno scarico in assenza dell'autorizzazione denota una effettiva offensività della condotta, in quanto determina una evidente lesione dell'interesse protetto dal precetto penale.

Cass. pen. n. 56094/2018

Alla luce della definizione di "scarico" di cui all'art. 74, comma 1, lett. ff), D.Lgs. n. 152/2006, per configurare il reato di scarico abusivo di reflui è irrilevante la momentanea sospensione dell'attività produttiva, ma occorre accertare l'esistenza di un sistema stabile di collettamento che deve collegare senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali (nella specie, la Cassazione ha ritenuto che non poteva ritenersi provato lo scarico di acque reflue industriali provenienti da un'attività di produzione di mosti e vini basandosi solo sulla mera giacenza di vino nei silos, dopo che era terminata la vendemmia, mancando la prova del sistema stabile di collettamento tra ciclo produttivo e corpo recettore).

Cass. pen. n. 56670/2018

In materia di inquinamento delle acque, anche se la metodica normale per accertare il reato di superamento dei limiti tabellari è quella del campionamento medio, la normativa non stabilisce un criterio legale di valutazione della prova, in quanto è consentito all'organo di controllo procedere con modalità diverse di campionamento qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze (nella specie, il prelievo delle acque eseguito con metodo istantaneo era stato necessario a causa dell'irrespirabilità dell'aria all'interno delle abitazioni in conseguenza dello scarico e comunque si era articolato in quattro distinti prelievi effettuati in momenti diversi e pertanto è stato ritenuto affidabile).

Cass. pen. n. 6260/2018

Le acque meteoriche di dilavamento sono costituite dalle sole acque che, cadendo al suolo per effetto di precipitazioni atmosferiche, si depositano su un suolo impermeabilizzato, dilavando le superfici e attingendo indirettamente i corpi recettori, senza subire contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti. Da questa premessa discende la coerente esclusione dell'incidenza in materia della competenza regionale fissata dall'art. 113, D.Lgs. n. 152/2006 avendo tale competenza ad oggetto, per espresso dettato normativo, soltanto le acque meteoriche di dilavamento, le acque di prima pioggia e le acque di lavaggio di aree esterne. In tema di tutela penale dall'inquinamento, le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, comma 1, lett. h), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

Cass. pen. n. 7042/2018

I fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti da cava non rientrano nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti solo quando rimangono all'interno del ciclo produttivo dell'estrazione e della connessa pulitura, mentre, quando si dia luogo ad una loro successiva e diversa attività di lavorazione, devono considerarsi rifiuti sottoposti alla disciplina generale circa il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso la deroga alla disciplina generale sui rifiuti per il caso di reflui liquidi provenienti da un impianto di lavorazione di inerti di cava dispersi in modo diffuso ed incontrollato nel terreno circostante gli impianti).

Cass. pen. n. 49693/2018

Premesso che le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, perché, altrimenti, vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006, ricorre il reato di cui all'art. 137, comma 11, D.Lgs. n. 152/2006 in caso di scarico sul suolo di acque reflue industriali, intese come tali le acque meteoriche e di dilavamento dei piazzali che, in conseguenza dello stoccaggio abusivo sui piazzali di rifiuti speciali pericolosi e non, privi di copertura ed esposti agli agenti atmosferici, finivano per riversare sul suolo i componenti inquinanti della produzione.

Cass. pen. n. 51006/2018

Alla luce della nozione di acque reflue industriali definita dall'art. 74, comma 1, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006, rientrano in tale accezione le acque reflue provenienti dalle operazioni di lavaggio di capannoni adibiti in forma stabile ad allevamento di animali.

Cass. pen. n. 38946/2017

In tema di inquinamento idrico l'assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue industriali alle acque reflue domestiche è subordinata alla dimostrazione della esistenza delle specifiche condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie. (Fattispecie di scarichi di reflui provenienti da attività di cantina di un'azienda vinicola). (Rigetta, Trib. Pordenone, 1 dicembre 2016).

Cass. pen. n. 38866/2017

L'attività di ricovero e custodia cani per conto terzi è un'attività di servizio diversa dall'allevamento, che, secondo la comune nozione, è l'attività di custodire, far crescere ed opportunamente riprodurre animali in cattività, totale o parziale, per scopi produttivi o commerciali e perciò il refluo prodotto (costituito da deiezioni animali, residui di attività di toelettatura e di cura sanitaria) non può essere qualificato tra le acque reflue domestiche. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, integra il reato previsto dall'art. 137 D.Lgs. 4 marzo 2006, n. 152 lo scarico senza autorizzazione di acque reflue provenienti da attività di ricovero e custodia di animali per conto terzi, trattandosi di attività diversa da quella di mero allevamento del bestiame i cui reflui, invece, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilati alle acque domestiche, ai sensi dell'art. 101, comma 7, D.Lgs. n. 152 del 2006. (Dichiara inammissibile, App. Milano, 23 settembre 2016).

Cass. pen. n. 36662/2017

In caso di scarico abusivo (impianto di autolavaggio), il fatto che l'autorizzazione sia stata ottenuta successivamente al controllo non scrimina la condotta precedente, ma rende lecita soltanto quella successiva al rilascio dell'autorizzazione.

Cass. pen. n. 31261/2017

Attesa la natura personale dell'autorizzazione allo scarico dei reflui, deve escludersi che, in caso di mutamento della titolarità dell'impresa da cui promana lo scarico, possa considerarsi automaticamente autorizzato il soggetto subentrante essendo invece necessario il rilascio di una "nuova" autorizzazione allo scarico dei medesimi reflui.

Cass. pen. n. 24118/2017

Per aversi "scarico", penalmente rilevante, è necessaria una fisica "immissione" del refluo in un corpo ricettore. In tema di inquinamento idrico, ai fini della integrazione del reato di cui agli artt. 124, comma primo, e 137, comma primo, del D.Lgs. n. 152 del 2006, costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse in un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, dovendosi escludere dalla nozione di scarico contenuta nella lett. ff) dell'art. 74, comma primo, dello stesso decreto il solo rilascio di reflui che non comporti alcun contatto fisico tra il refluo e tale corpo ricettore. (Fattispecie di immissione nelle fognature di acqua di condensa derivante dalla produzione di aria compressa). (Annulla in parte con rinvio, App. Milano, 15 settembre 2015).

Cass. pen. n. 12163/2017

Premesso che l'art. 113 del D.Lgs. n. 152/2006 demanda alla normativa regionale la disciplina delle acque meteoriche di dilavamento, per quanto attiene alle sanzioni, l'art. 133, comma 9, D.Lgs. n. 152/2006 sanziona in via amministrativa chiunque non ottemperi alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell'art. 113, comma 1, lett. b), ossia la violazione delle prescrizioni o delle autorizzazioni disposte in sede regionale e l'art. 137, comma 9, sanziona penalmente, con le pene di cui al comma 1, chiunque non ottemperi alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell'art. 113, comma 3, concernente i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione.

Cass. pen. n. 5239/2016

In materia di tutela delle acque dall'inquinamento, non configura il reato di scarico di acque reflue industriali di cui all'art. 137 del D.Lgs. n. 152 del 2006 uno sversamento, non ragionevolmente prevedibile, provocato da negligenza del soggetto agente, non potendo pretendersi, in tale caso, la presentazione da parte di quest'ultimo di una regolare richiesta di autorizzazione. (In motivazione la Corte ha precisato che una diversa soluzione interpretativa finirebbe con il configurare il reato in termini di mera responsabilità oggettiva). (Annulla con rinvio, Trib. Vicenza, 4 novembre 2015).

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