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Articolo 235 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Disconoscimento di paternità

[ABROGATO]

Dispositivo dell'art. 235 Codice Civile

Articolo abrogato dall'art. 106, comma 1, lett. a), d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.

[L'azione per il disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita solo nei casi seguenti:

  1. 1) se i coniugi non hanno coabitato (3) nel periodo compreso fra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita;
  2. 2) se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare;
  3. 3) se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio.

In tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità.

La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.

L'azione di disconoscimento può essere esercitata anche dalla madre o dal figlio che ha raggiunto la maggiore età [244 4] in tutti i casi in cui può essere esercitata dal padre.]

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

137 Sono stati raggruppati in unica disposizione (art. 235 del c.c.), i vari casi possibili di disconoscimento di paternità, Comprendendovi anche quello dell'adulterio della moglie, accompagnato dal celamento della gravidanza e della nascita, che il progetto definitivo contemplava in un articolo a parte, mettendo però in chiaro che l'adulterio e il celamento devono essere corroborati da altri fatti probanti. Riguardo alla prova, non è sembrata necessaria una norma apposita per affermare che il disconoscimento può aver luogo con qualsiasi mezzo di prova. E' chiaro infatti che, nel silenzio della legge, ogni mezzo di prova deve ritenersi ammissibile. Nel riunire i vari casi di disconoscimento si è resa riferibile a tutti la norma, secondo la quale la sola dichiazione della madre non basta a escludere la paternità. Nel progetto definitivo tale norma era enunciata soltanto in relazione all'ipotesi dell'adulterio della moglie accompagnato dal celamento della nascita del figlio. Ma, riesaminata la questione, si è considerato che, sebbene la norma abbia maggiore rilevanza pratica nella ipotesi anzidetta, tuttavia essa deve poter valere in ogni altra ipotesi di disconoscimento, in quanto costituisce applicazione del principio generale, che limita il potere dispositivo della volontà privata nell'accertamento dello stato di filiazione legittima.

Massime relative all'art. 235 Codice Civile

Cass. civ. n. 14879/2017

Il genitore può rinunziare all'azione di disconoscimento della paternità che abbia promosso ma, vertendosi in materia di diritti indisponibili, in relazione ai quali non è ipotizzabile rinuncia o transazione, l'azione può essere successivamente riproposta, dallo stesso genitore e pure dal figlio che abbia raggiunto la maggiore età.

Cass. civ. n. 7965/2017

In tema di azione di disconoscimento di paternità, incombe sul preteso padre, che fonda la domanda sulla propria impotenza di generare, fornire la prova che tale impotenza è durata per tutto il periodo corrispondente a quello del concepimento.

Cass. civ. n. 26767/2016

In tema di disconoscimento di paternità, il quadro normativo (artt. 30 Cost., 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della UE, e 244 c.c.) e giurisprudenziale attuale non comporta la prevalenza del “favor veritatis” sul “favor minoris”, ma impone un bilanciamento fra il diritto all'identità personale legato all’affermazione della verità biologica – anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell'elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini – e l'interesse alla certezza degli “status” ed alla stabilità dei rapporti familiari, nell'ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all'identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell'interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all'esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che, nell’accogliere l’azione di disconoscimento di paternità proposta dal curatore speciale di un minore di quattordici anni, aveva ritenuto l’irrilevanza dell’accertamento in concreto del superiore interesse di quest’ultimo, nonostante fossero stati accertati i rischi derivanti dallo sradicamento affettivo conseguente al disconoscimento e l’infermità psichica della madre da tempo trasferitasi in Nigeria, con conseguente necessità di dichiarare il minore adottabile).

Cass. civ. n. 13217/2014

In tema di azione di disconoscimento di paternità trova applicazione, ai fini della individuazione del "thema probandum", il principio di non contestazione, dovendosi ritenere tale condotta idonea ad escludere, in via immediata, i fatti non contestati dal novero di quelli bisognosi di prova, mentre resta solo indiretta, ed eventuale, la disposizione giuridica della situazione dedotta in giudizio, che si realizza attraverso la preclusione della mancata opponibilità della dimostrazione dei fatti allegati dalla controparte. L'interesse pubblico posto a base della situazione giuridica esclude, tuttavia, che il giudice possa ritenersi vincolato a considerare sussistenti (o meno) determinati fatti in virtù delle sole dichiarazioni od ammissioni delle parti, restandone rimessa la loro valutazione al suo prudente apprezzamento, (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, muovendo dall'assunto che a fondamento dell'esperita azione era stata fatta valere la "impotentia generandi" del padre anagrafico, aveva valorizzato, ai fini del relativo accertamento, la mancata contestazione di tale circostanza, evidenziando l'incompatibilità logica tra la negazione della stessa e l'assunto difensivo della odierna ricorrente, secondo cui il concepimento del figlio minore era stato frutto di inseminazione artificiale eterologa).

Cass. civ. n. 17773/2013

Le azioni rivolte all'accertamento della genitorialità biologica anche in contrasto con quella legittima, individuate dal legislatore nel disconoscimento della paternità e nella dichiarazione giudiziale di paternità (e maternità) presentano caratteristiche oggettive e soggettive diverse, che ne conformano anche i requisiti probatori, sicché non vi è perfetta coincidenza dei medesimi nelle due azioni, e sebbene i mezzi di prova univocamente indicativi della discendenza biologica abbiano crescente rilevanza. Il "favor veritatis" nell'azione giudiziale di paternità e maternità tutela il diritto alla genitorialità ed alla identità personale di chi è stato privato per effetto del mancato riconoscimento; nell'altra azione, al contrario, l'esito positivo dell'accertamento della mancata corrispondenza tra filiazione biologica e filiazione legittima, determina la privazione sopravvenuta dello "status" di figlio legittimo "ex patre" per cause estranee alla sfera di volontà e responsabilità del soggetto destinato a subire gli effetti dell'azione.

Cass. civ. n. 11644/2012

In tema di disconoscimento di paternità, la disciplina contenuta nell'art. 235 c.c. è applicabile anche a filiazioni scaturite da fecondazione artificiale, tenuto conto che il quadro normativo, a seguito dell'introduzione della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per come formulata e interpretabile alla luce del principio del "favor veritatis", si è arricchito di una nuova ipotesi di disconoscimento, che si aggiunge a quelle previste dalla citata disposizione codicistica; pertanto, stante l'identità della "ratio" e per evidenti ragioni sistematiche, è applicabile anche il termine di decadenza previsto dal successivo art. 244 c.c., che decorre dal momento in cui sia acquisita la certezza del ricorso a tale metodo di procreazione.

Cass. civ. n. 9380/2012

In tema di disconoscimento della paternità, l'onere di provare la tempestiva conoscenza della causa d'incapacità procreativa nel termine decadenziale, previsto dall'art. 235, n. 3, c.c., non può essere sostituito dal riscontro diagnostico dell'esistenza dell'impotenza generativa eseguito nell'anno antecedente l'azione, poiché tale riscontro riguarda i presupposti del fondamento dell'incompatibilità genetica tra padre e figlio legittimo e non la tempestiva conoscenza del presupposto legittimante.

Cass. civ. n. 430/2012

La sentenza che accolga la domanda di disconoscimento della paternità, in quanto pronunciata nei confronti del P.M. e di tutti gli altri contraddittori necessari, assume autorità di cosa giudicata "erga omnes", essendo inerente allo "status" della persona; pertanto, nè colui che è indicato come padre naturale, nè i suoi eredi, sono legittimati passivi nel relativo giudizio e la sentenza che accolga la domanda di disconoscimento è a loro opponibile, anche se non hanno partecipato al relativo giudizio.

Cass. civ. n. 15089/2008

In tema di disconoscimento della paternità, ove l'azione sia promossa per l'impotenza del marito, l'esperimento della prova ematico-genetica non è subordinato all'esito positivo della prova dell'impotenza, anche solo di generare, in tal senso deponendo sia una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 235, primo comma, n. 2, c.c., imposta dalla dichiarazione d'illegittimità costituzionale del n. 3 dello stesso articolo, nella parte in cui subordinava l'esame delle prove tecniche alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie (cfr. Corte cost., sent. N. 266 del 2006), sia l'alto grado di affidabilità ormai raggiunto dalla prova ematico-genetica, e, per converso, la difficoltà della prova dell'impotenza.

Cass. civ. n. 15088/2008

In tema di disconoscimento della paternità, ove l'azione sia promossa per celamento della gravidanza, l'esperimento della prova ematologica e genetica non è subordinato all'esito positivo della prova della predetta circostanza, in tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 235, primo comma, n. 2, c.c., imposta dalla dichiarazione d'illegittimità costituzionale del n. 3 dello stesso articolo, nella parte in cui subordinava l'esame delle prove tecniche alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie (cfr. Corte cost., sent. n. 266 del 2006), nonché il rilievo che tale fattispecie si pone come ipotesi parallela all'adulterio, in quanto l'anomalia del comportamento della moglie consente di dubitare, secondo l'id quod plerumque accidit che il figlio sia stato generato dal presunto padre.

Cass. civ. n. 8356/2007

In tema di disconoscimento della paternità, a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 235, primo comma, numero 3), c.c. (Corte cost., sentenza n. 266 del 2006), è possibile dare ingresso alle prove genetiche e a quelle ematologiche, rivolte ad acclarare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, indipendentemente dalla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie.

Cass. civ. n. 4175/2007

A seguito della sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2006, n. 266, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 235, secondo comma c.c. nella parte in cui subordinava l'esame delle prove ematologiche alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie, il giudice di merito deve procedere agli accertamenti genetici anche in mancanza di prova dell'adulterio, traendo argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. dall'eventuale rifiuto di una parte di sottoporsi al prelievo. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte d'appello, che aveva respinto la domanda di disconoscimento in mancanza di prova dell'adulterio e dato il rifiuto della madre di sottoporre se e il figlio ad accertamenti, tenuto conto del mutato quadro normativo e della raggiunta maggiore età da parte del figlio, in condizione attualmente di autodeterminarsi in ordine alle prove genetiche).

Cass. civ. n. 7747/2004

In tema di disconoscimento della paternità del figlio concepito durante il matrimonio, fondato sull'adulterio della moglie, la prova di tale adulterio nel periodo del concepimento consente in ogni caso — nonostante l'eventuale prosecuzione, in detto periodo, della convivenza e dei rapporti intimi con il coniuge — di superare la presunzione legale di paternità del marito mediante la prova del contrario, ossia dimostrando, ai sensi dell'art. 235, primo comma, n. 3, secondo periodo, c.c., che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità; ne consegue che, raggiunta la prova dell'adulterio, gli altri elementi di prova acquisiti al giudizio, tra cui il rifiuto di sottoporsi alle indagini per la ricerca delle compatibilità emato-genetiche, debbono essere valutati dal giudice di merito al fine di escludere o confermare la paternità, e ciò a prescindere dal fatto che, per un lungo periodo di tempo, comprendente l'epoca di concepimento del figlio, la donna, pur intrattenendo rapporti sessuali con altro uomo, abbia continuato a convivere con il marito e ad avere rapporti intimi con il medesimo.

Cass. civ. n. 6011/2003

La pronuncia che accolga la domanda di disconoscimento di paternità non elide, per ciò stesso per il solo fatto di attenere allo status delle persone tutte le già eventualmente intervenute pronunce giurisdizionali presupponenti quella condizione di ?stato? acclarata poi come inesistente, ormai munite dell'efficacia del giudicato. Da ciò consegue che, di fronte ad una pregressa pronuncia di separazione personale passata in giudicato, la quale abbia fissato, a carico del supposto padre l'obbligo di corrispondere un assegno alla moglie per il mantenimento del minore, la eliminazione del suddetto obbligo non potrà che passare attraverso la tipica via di attivazione rappresentata dalla procedura prevista dall'art. 155 c.c. e dall'art. 710 c.p.c.. E tuttavia, la peculiarità del quadro sotteso dalla pronuncia che affermi il difetto di paternità non può che comportare una retroattività del tutto peculiare della pronuncia di revisione, la quale produrrà pertanto i suoi effetti fin dalla data del passaggio in giudicato della pronuncia ex art. 235 c.c..

Cass. civ. n. 3793/2002

Nell'ipotesi di nascita per fecondazione naturale, la paternità è attribuita come conseguenza giuridica del concepimento, sicché è esclusivamente decisivo l'elemento biologico e, non occorrendo anche una cosciente volontà di procreare, nessuna rilevanza può attribuirsi al «disvolere» del presunto padre, una diversa interpretazione ponendosi in contrasto con l'art. 30 Cost., fondato sul principio della responsabilità che necessariamente accompagna ogni comportamento potenzialmente procreativo.

Cass. civ. n. 2315/1999

In tema di fecondazione assistita eterologa, il marito che ha validamente concordato o comunque manifestato il proprio preventivo consenso alla fecondazione assistita della moglie con seme di donatore ignoto non ha azione per il disconoscimento della paternità del bambino concepito e partorito in esito a tale inseminazione.

Cass. civ. n. 8087/1998

L'azione di disconoscimento della paternità verte in materia di diritti indisponibili, in relazione ai quali non è ammesso alcun tipo di negoziazione o di rinunzia. Nel consegue la inammissibilità, nel relativo giudizio, dell'interrogatorio formale della moglie, diretto a dimostrare unicamente l'insussistenza del rapporto di paternità biologica, per l'impossibilità di attribuire valore confessorio alle eventuali dichiarazioni della moglie stessa. Tale impossibilità, sancita in via generale dall'art. 2733, secondo comma, c.c. — il quale esclude che la confessione giudiziale faccia prova contro colui che l'ha resa se verta su fatti relativi a diritti non disponibili — è riaffermata in relazione all'azione di disconoscimento della paternità dal secondo comma dell'art. 235 c.c., ai sensi del quale la dichiarazione della madre non vale ad escludere la paternità.

La scelta del legislatore ordinario di consentire il disconoscimento della paternità soltanto alle condizioni poste dagli artt. 235 e 244 c.c. non suscita dubbi di legittimità costituzionale ed anzi costituisce espressione del potere demandatogli dall'art. 30, quarto comma, della Costituzione — in base al quale la legge detta le norme e i limiti perla ricerca della paternità — di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella biologica, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest'ultima, in presenza dello status di figlio legittimo attribuito dall'art. 231 c.c. al figlio concepito durante il matrimonio.

Cass. civ. n. 8420/1994

In tema di azione di disconoscimento di paternità, mentre nei casi previsti ai numeri 1 e 2 dell'art. 235 c.c. (mancanza di coabitazione dei coniugi ed impotenza del marito) la prova di detti fatti può essere da sola sufficiente ad escludere il rapporto di paternità, la prova, invece, dei fatti integranti l'ipotesi di cui al numero 3 (adulterio o celamento della gravidanza o della nascita), pur essendo fortemente indicativa della fondatezza dell'azione, non è mai di per sé sufficiente per l'accoglimento della domanda di disconoscimento, la quale resta subordinata alla dimostrazione di altri fatti o circostanze inconciliabili con la paternità, quali le caratteristiche genetiche o ematologiche.

Cass. civ. n. 3899/1986

La prova ematologica — anche se idonea, a causa dei progressi scientifici, a fornire validi el¬menti di valutazione non solo per escludere ma anche per affermare il rapporto biologico di paternità — è pur sempre soggetta alla regola dell'apprezzamento della sua necessità da parte del giudice del merito rispetto alle altre fonti probatorie eventualmente già acquisite e, pertanto, correttamente il giudice non ammette quando vi siano altre prove ritenute sufficienti a giustificare la decisione adottata.

Cass. civ. n. 498/1986

In tema di disconoscimento della paternità del figlio concepito durante il matrimonio, per effetto della L. 19 maggio 1975, n. 151, per quanto riguarda l'ipotesi della mancata coabitazione, la nuova formulazione dell'art. 235, n. 1, c.c. ha sostituito la nozione di fisica impossibilità di coabitare per causa di allontanamento od altro fatto con quella più generica ed ampia di «non coabitazione»: nozione — quest'ultima — che (al di là del significato testuale delle parole usate ed alla luce della ratio legis, da identificarsi nella presunzione che la coabitazione tra i coniugi comporti naturalmente il mantenimento dei rapporti sessuali) va intesa come comprensiva delle ipotesi in cui i coniugi — pur avendo abitato nello stesso alloggio o vissuto nella stessa città o avuto comunque possibilità di visita o d'incontro — si siano trovati insieme in circostanze di tempo e di luogo e in condizioni personali e soggettive tali da rendere improbabile che essi abbiano potuto avere rapporti intimi. Dal che consegue che, quando l'attore abbia dimostrato la «non coabitazione», nel senso precisato, la parte convenuta deve, essa provare, fornendo idonei elementi presuntivi il ripristino anche temporaneo della coabitazione ovvero, che eventuali incontri occasionali o saltuari — sul piano di una ragionevole probabilità (e non di una mera possibilità) — siano sfociati in rapporti intimi.

Cass. civ. n. 3094/1985

Nel giudizio di disconoscimento della paternità, è valutabile, come elemento indiziario di convincimento, non solo il rifiuto della parte di sottoporsi alla disposta prova genetica ed ematologica (il quale è assimilabile al rifiuto di ottemperare all'ordine di ispezione corporale di cui all'art. 118, secondo comma c.p.c.), ma anche la sistematica opposizione avverso l'istanza di ammissione di detta prova, riconducibile nell'ambito del comportamento processuale di cui all'art. 116, secondo comma c.p.c.

Cass. civ. n. 4783/1984

In tema di azione di disconoscimento di paternità incombe sul preteso padre che fonda la domanda sulla propria impotenza di generare fornire la prova che tale impotenza è durata per tutto il periodo corrispondente a quello del concepimento.

Cass. civ. n. 541/1984

Qualora l'azione di disconoscimento della paternità venga fondata sul difetto di coabitazione dei coniugi, intesa come convivenza coniugale, nel periodo compreso fra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita (art. 235, primo comma n. 1 c.c.), la prova contraria deve riguardare l'esistenza in quel periodo di rapporti sessuali fra i coniugi medesimi, deducibili dal ripristino, anche temporaneo, della convivenza, o da incontri occasionali. Nell'indagine diretta a stabilire il fondamento dell'azione di disconoscimento della paternità, il giudice del merito à tenuto ad accogliere la richiesta delle prove genetiche od ematologiche nei casi di ammissibilità dell'azione medesima contemplati dall'art. 235, primo comma n. 3 (nuovo testo) c.c. (adulterio, occultamento della gravidanza ed occultamento della nascita), non anche nel diverso caso di azione esperita in base al n. 1 di detta norma (mancanza di coabitazione dei coniugi), nel quale l'accoglimento di quella richiesta è rimesso all'apprezzamento delle circostanze da parte del giudice medesimo, non censurabile in sede di legittimità se correttamente motivato.

Cass. civ. n. 2782/1978

La sentenza che accoglie l’azione di disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio, avendo natura di pronuncia di accertamento, travolge, con effetti ex tunc ed erga omnes, lo stato di figlio legittimo del disconosciuto. Ne consegue che l’atto con il quale quest’ultimo sia stato in precedenza riconosciuto da altri come figlio naturale (nella specie, testamento olografo), se originariamente privo di effetti, perché inidoneo a contrastare il più favorevole stato di figlio legittimo (art. 253 c.c.), viene ad acquistare piena operatività a seguito della retroattiva caducazione di tale stato per il passaggio in giudicato della predetta sentenza.

Cass. civ. n. 251/1978

L’azione di disconoscimento della paternità del figlio adulterino, nella disciplina introdotta con la L. 19 maggio 1975, n. 151, non osta a che il figlio medesimo, perduto lo status di legittimo, possa essere riconosciuto come figlio naturale dalla moglie, anche in un momento successivo alla nascita ed in costanza di matrimonio, e conseguentemente assumere il cognome della madre, salvo il caso in cui venga contemporaneamente riconosciuto anche dal padre naturale.

Cass. civ. n. 2468/1975

Nell’azione di disconoscimento della paternità, prevista dall’art. 235, primo comma, n. 3 c.c., se incombe all’attore di dimostrare l’adulterio della moglie ed il celamento della gravidanza e della nascita, nonché ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità, non può negarsi ai convenuti (nella specie la madre) di fornire la prova contraria sulle medesime circostanze.

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