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Articolo 900 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Specie di finestre

Dispositivo dell'art. 900 Codice Civile

Le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci, quando danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino(1); vedute o prospetti, quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente(2).

Note

(1) Le luci possono essere regolari o irregolari, a seconda che siano o meno conformi a quanto stabilito dall'art. 901 del c.c..
Per l'apertura della luce non occorre il rispetto di alcuna distanza dal fondo vicino.
(2) L'apertura di una veduta richiede il rispetto delle distanze stabilite dagli artt. 905 e 906 e comporta il rispetto delle distanze previste dall'art. 907.

Ratio Legis

Non sono positivizzate dal codice civile aperture sul fondo diverse da quelle contemplate dall'art. 900; un'apertura che non possa essere considerata come veduta è una luce irregolare ai sensi dell'art. 902.

Brocardi

Inspectio
Iura luminum
Lumen
Perspectio
Prospectus

Spiegazione dell'art. 900 Codice Civile

Terminologia. Distinzione delle finestre secondo il vecchio codice in luci e vedute

Il vecchio codice, seguendo il codice francese, distingueva le finestre che servono al passaggio della luce da quelle che servono anche al passaggio dell'aria e alla veduta. Designava le prime (art. 584) col nome di luci (cod. francese fours) o finestre con inferriate ed invetriate fisse (cod. francese, fenetres a ter maille et verre dormant); designava le altre (artt. 587, 588) col nome di vedute, distinguendole in vedute dirette (cod. francese vues droites), laterali ed oblique (cod. francese vues par cote ou obliques.)

Nel diritto preesistente le luci ricevettero diverse denominazioni tendenti tutte a determinare lo scopo limitato a cui servono le luci in confronto delle vedute. Zenone le chiamò fenestrae luciferae, gli Statuti di Firenze fenestrae pro lumine reddendo, le Consuetudini napoletane fenestrae pro lumine tantum ingrediendo, da cui la denominazione volgare di lumi ingredienti, usata nelle provincie meridionali. Sono state chiamate anche finestre di tolleranza, perché le legislazioni anteriori, che ne permettevano l'apertura verso il fondo del vicino, senza prescrivere alcuna distanza, davano poi facoltà al vicino di chiuderle fabbricando sul proprio fondo. La denominazione di finestre di tolleranza è ancora oggi molto comune tanto nella dottrina quanto nella giurisprudenza.

Le vedute o prospetti corrispondono invece alle fenestrae prospectivae di Zenone e alle fenestrae pro aspectu habendo delle Consuetudini napoletane, mentre il codice Albertino le chiamava finestre prospicienti.


Innovazione del Codice alla funzione delle luci

Una importante innovazione è stata introdotta dal nuovo codice (art. 900) con l'allargare la funzione delle luci, oltre che al passaggio della luce, anche al passaggio dell'aria. Ciò si è ottenuto sostituendo al requisito dell'invetriata fissa quello della grata fissa in metallo a maglie non maggiori di tre centimetri quadrati (art. 901 n. 1) che permette anche il passaggio dell'aria.

L'innovazione è stata giustificata dal Ministro Guardasigilli nella sua Relazione osservando che: « (nel vecchio codice) la difesa del fondo del vicino da eventuali immissioni o indiscrezioni era spinta fino a inibire il passaggio dell'aria attraverso le finestre lucifere. Con maggiore comprensione delle necessità della convivenza sociale e soprattutto delle esigenze igieniche, il nuovo codice (art. 901 del c.c.) abolisce l'onerosa prescrizione del telaio a invetriata fissa, sostituendola con l'altra di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati ».


Distinzione delle vedute in dirette, laterali e oblique

A differenza del vecchio codice, l'articolo contiene una definizione testuale sia della veduta in genere, sia delle varie specie di vedute: dirette, laterali ed oblique.

Veduta è la finestra che permette di affacciarsi e di guardare sul fondo del vicino. Essa poi si distingue in diretta, laterale ed obliqua, a seconda che permetta di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente.
La distinzione delle tre specie di vedute fu oggetto di vivaci discussioni sotto la vigenza del vecchio codice, e fu discussa, soprattutto, l'ammissibilità del contemporaneo esercizio delle tre specie di vedute, da una stessa finestra sopra un medesimo fondo. Tale possibilità era ammessa sotto il vecchio codice ed ora è testualmente ammessa dall'art. 907 del nuovo. Trattandosi di una questione non semplicemente teorica perché, come vedremo in seguito (art. 907 n. 3), ha notevoli applicazioni pratiche, è necessario soffermarsi sulla medesima, anche per mettere bene in evidenza l'argomento che a favore della tesi indicata può ricavarsi dal nuovo codice.

Prendiamo le mosse da una sentenza della Cassazione in cui è accolta la tesi contraria. Vi è stabilito: « Veduta diretta sul fondo del vicino si ha quando questo è situato, interamente o no, di fronte alla finestra; e veduta obliqua quella che si ha quando fondo vicino non è in linea di fronte alla finestra, ma in linea obliqua; veduta laterale quando è di fianco alla medesima. Quando il fondo vicino sta, in tutto o in parte, di fronte alla finestra, la veduta è diretta non solo se il confine del fondo vicino è parallelo al muro della finestra, ma anche se l'uno con l'altro formano un angolo minore del retto; se invece formano triangolo retto od un angolo ottuso si avrà una veduta obliqua; se, infine, formano un angolo di 180 gradi si avrà una veduta laterale. Si può avere più di una veduta di fronte soltanto nel caso che le finestre siano su due o più lati, diversamente orientati, uno per es. di fronte e uno ad angolo ottuso col muro di confine (vedute dirette le une, oblique le altre) ».

L'art. 907 secondo comma dispone: « Se la veduta (diretta) forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita ». Dunque, il nuovo codice consacra testualmente il nostro concetto secondo cui da una stessa finestra possono esercitarsi contemporaneamente più specie di vedute sul medesimo fondo, e in particolare una veduta diretta e una veduta obliqua. Tale possibilità era stata argomentata – sotto il vecchio codice - dalla disposizione dell' art. 588 capov. in cui era prevista l'ipotesi che la veduta laterale ed obliqua sul fondo del vicino formasse nello stesso tempo una veduta diretta sulla via pubblica: ma si trattava di due vedute diverse, da una stessa finestra, su due fondi diversi. Il nuovo codice prevede invece la duplicità di veduta da una stessa finestra, su di medesimo fondo.

Pertanto, se dalla stessa finestra si esercitano sullo stesso fondo nello stesso tempo una veduta diretta e una veduta obliqua, la distinzione tra le due specie di vedute non può che essere determinata dalla perpendicolare agli stipiti della finestra.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

426 I1 nuovo codice accoglie la distinzione tradizionale delle finestre in luci e vedute (art. 900 del c.c.). Sensibilmente attenuato è il rigoroso regime stabilito per le finestre lucifere dal codice del 1865 (art. 584), il quale consentiva bensì al proprietario del muro contiguo al fondo altrui di aprire luci di qualsiasi dimensione, ma gli imponeva di munirle di una grata di ferro, le cui maglie non avessero un'apertura maggiore di un decimetro, e di un telaio a invetriata fissa. In tal modo la difesa del fondo del vicino da eventuali immissioni o indiscrezioni era spinta fino a inibire il passaggio dell'aria attraverso le finestre lucifere. Con maggiore comprensione delle necessità della convivenza sociale e soprattutto delle esigenze igieniche, il nuovo codice (art. 901 del c.c.) abolisce l'onerosa prescrizione del telaio a invetriata fissa, sostituendola con l'altra di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati. Fa obbligo inoltre di munire le finestre lucifere di un'inferriata, ma, senza stabilire l'apertura massima delle maglie, si limita a prescrivere che l'inferriata deve essere idonea, per le sue caratteristiche, a garantire la sicurezza del vicino. Come nel codice precedente, l'apertura delle luci è subordinata all'osservanza di un'altezza minima, tanto dal pavimento o dal suolo che si vuole illuminare, quanto dal suolo del fondo vicino; senonché il nuovo codice, informandosi anche in questo punto al principio di socialità, esclude l'obbligo dell'osservanza dell'altezza minima dal suolo del fondo vicino, quando si tratta di dare luce e aria a un locale che si trovi in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare la prescrizione della legge. Si favorisce così la particolare situazione dei locali seminterrati, che nella moderna tecnica edilizia hanno assunto un notevole sviluppo. Ma anche per altro verso si facilita (art. 903 del c.c.) l'apertura delle finestre lucifere. Il codice del 1865 (art. 586) esigeva per l'apertura di esse il consenso del vicino non solo nel caso in cui si volesse aprirle in un muro comune, ma anche nel caso in cui si volesse aprirle nella sopraelevazione di un muro comune alla quale il vicino non avesse contribuito. Quest'ultima limitazione è sembrata eccessiva, in quanto la parte sopraedificata del muro comune resta di proprietà esclusiva di chi l'ha costruita fino a quando il vicino non ne abbia chiesto e ottenuto la comunione. Né la soluzione accolta dal nuovo codice può pregiudicare gli interessi del vicino, poiché questi conserva la facoltà di rendere comune anche la parte sopraedificata e di chiudere le luci in essa aperte, appoggiandovi il suo edificio (art. 904 del c.c.). E' codificato il principio, già affermato dalla giurisprudenza, che un'apertura, la quale non abbia i caratteri di veduta o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e di guardare sul fondo vicino, è considerata come luce, è quindi soggetta al regime relativo, anche se non sono state osservate le prescrizioni stabilite dalla legge (grata fissa, inferriata). Il vicino può sempre chiudere tale finestra, acquistando la comunione del muro e appoggiandovi la propria fabbrica. Egli ha inoltre il diritto di esigere che l'apertura sia resa conforme alle prescrizioni dettate dalla legge per le finestre lucifere (art. 902 del c.c.).

Massime relative all'art. 900 Codice Civile

Cass. civ. n. 34824/2021

In tema di aperture sul fondo del vicino, non ammettendo la legge l'esistenza di un "tertium genus" oltre alle luci ed alle vedute, va valutata quale luce e, pertanto, sottoposta alle relative prescrizioni legali, anche in difetto dei requisiti a tale scopo prescritti dalla legge, l'apertura che sia priva del carattere di veduta o prospetto. In tal caso, dunque, il proprietario del fondo vicino può sempre pretenderne la regolarizzazione, tenuto conto che il possesso di luci irregolari, sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può condurre all'acquisto, per usucapione della corrispondente servitù.

Cass. civ. n. 21615/2021

I presupposti, la "ratio" e la disciplina sulle distanze per l'apertura di vedute, da un lato e di luci, dall'altro, sono differenti: mentre nel primo caso si intende essenzialmente tutelare il proprietario dall'indiscrezione del vicino, impedendo a quest'ultimo di creare aperture a distanza inferiore a quella di un metro e mezzo, la cui inosservanza può essere eliminata solo con l'arretramento o la chiusura della veduta, nel secondo, diversamente, si regolamenta il diritto a praticare sul proprio fabbricato delle aperture verso il fondo del vicino, finalizzate solo ad attingere luce ed aria, stabilendo i requisiti di altezza e di sicurezza cui è condizionata la limitazione del diritto del vicino medesimo, il cui rispetto può ottenersi in qualunque tempo dal proprietario del fondo confinante, attraverso la semplice regolarizzazione delle aperture create in loro violazione. Ne consegue che, ove venga proposta una domanda di riduzione alla distanza legale di una servitù di veduta, diretta ed indiretta, sul proprio fondo, costituisce domanda nuova, come tale inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la regolarizzazione di una luce irregolare, atteso che il suo accoglimento imporrebbe l'esecuzione di opere non ricomprese nel "petitum" originario. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 23/05/2016).

Cass. civ. n. 3043/2020

Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. "inspectio et prospectio in alienum", vale a dire le possibilità di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente", siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. Ne consegue che l'assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio costituisce elemento decisivo per escludere che l'opera abbia i caratteri della veduta o del prospetto, anche se essa sia di normale accessibilità e praticabilità da parte del proprietario, laddove la praticabilità può valere invece ai fini della qualificazione della situazione come luce irregolare. Per escludere anche questa seconda configurazione giuridica è necessario accertare, avuto riguardo all'attuale consistenza e destinazione dell'opera, oggettivamente considerata, ed alle sue possibili e prevedibili utilizzazioni da parte del proprietario, se e quali limitazioni, ancorché diverse e minori di quelle derivanti da un'apertura avente i caratteri della veduta o del prospetto, possano discenderne a carico della libertà del fondo vicino altrui. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO).

Cass. civ. n. 346/2017

Affinché sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della "inspectio", anche quello della "prospectio" sul fondo del vicino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e laterale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale, secondo un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto congruamente motivata la sentenza di merito, che aveva escluso la natura di veduta relativamente ad una finestra posta a mt. 1,56 dal piano di calpestio e munita di sbarre orizzontali infisse in un muro alto mt. 1,80 e spesso cm. 30, non potendo la stessa costituire un comodo affaccio).

Cass. civ. n. 3924/2016

La veduta si distingue dalla luce giacché implica, in aggiunta alla "inspectio", la "prospectio", ossia la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino, sicché un'apertura munita di inferriata (nella specie, realizzata a filo con il muro perimetrale dell'edificio) che impedisca l'esercizio di tale visione mobile e globale sul fondo alieno va qualificata luce.

Cass. civ. n. 22887/2013

L'elemento che caratterizza la veduta rispetto alla luce è la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l'utilizzo di mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi è prevista dall'art. 900 c.c. in aggiunta a quella di guardare, sicché, in date condizioni, la mancanza di quest'ultimo requisito non esclude la configurabilità della veduta, quando attraverso l'apertura sia comunque possibile la completa visuale sul fondo del vicino mediante la semplice "inspectio".

Cass. civ. n. 13217/2013

In tema di limitazioni legali della proprietà, per la configurabilità di una veduta non è necessario che l'opera, da cui questa è esercitata, sia destinata esclusivamente o prioritariamente all'affaccio sul fondo del vicino, se, per ubicazione, consistenza e caratteristiche, il giudice del merito accerti l'oggettiva idoneità della stessa all'"inspicere" ed al "prospicere in alienum". (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza che aveva qualificato come vedute le finestre realizzate sulla parete di un pianerottolo del vano scala in posizione sfalsata rispetto ai piani abitativi, trattandosi pur sempre di apertura con maniglia interna, idonea all'affaccio).

Cass. civ. n. 18910/2012

Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c. conseguentemente soggetta alla regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. "inspectio et prospectio in alienum", vale a dire le possibilità di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente", siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva respinto la richiesta di arretramento del parapetto di un terrazzo risultato essere alto soltanto novanta centimetri, altezza corrispondente a quella non del "petto" ma del "basso ventre" di una persona di ordinaria statura e, quindi, insufficiente per garantire un affaccio sicuro).

Cass. civ. n. 9047/2012

A norma dell'art. 900 c.c., perché un' "apertura" possa qualificarsi come "veduta" occorre che essa sia destinata, per sua normale e prevalente funzione, a guardare e ad affacciarsi verso il fondo del vicino, come accade per le finestre, i balconi, le terrazze e simili. Ne consegue che tale qualifica non spetta ad una botola, la quale non sia stabilmente collegata, mediante una scala o altro manufatto, con il sottostante terrazzo, e la cui destinazione naturale risulti, dunque, non quella di "inspicere", quanto quella di consentire l'accesso, occasionalmente e quando necessario, alla copertura del medesimo terrazzo.

Cass. civ. n. 8009/2012

Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della "inspectio", anche quello della "prospectio" sul fondo del vicino, dovendo detta apertura non soltanto consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale. Ne consegue che non può attribuirsi natura di veduta a finestre, poste all'altezza di un metro e cinquantacinque centimetri dal pavimento ed aperte in un muro dello spessore di trenta centimetri, non consentendo esse a persona di media statura una comoda "prospectio", ovvero di guardare e sporgere comodamente il capo verso il fondo limitrofo, senza che abbia rilievo la possibilità di affacciarsi stando in punta di piedi, in quanto una simile posizione comporta uno sforzo naturale sostenibile solo per un periodo di tempo minimo e determina una situazione di instabile equilibrio.

Cass. civ. n. 8752/2006

La panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto che può trovare tutela nella servitù altius non tollendi, non anche nella servitù di veduta, che garantisce il diritto affatto diverso di guardare e di affacciarsi sul fondo vicino.

Cass. civ. n. 17207/2005

Poichè, ai sensi dell'art. 900 c.c., per veduta deve intendersi l'apertura che consenta di esercitare in modo permanente la inspectio e la prospectio direttamente sul fondo del vicino, non può essere considerata tale una finestra aperta nel muro interno di un fabbricato che affacci verso un ambiente dello stesso proprietario, anche se — attraversando detto ambiente — si possa poi raggiungere altra apertura ricavata nel medesimo edificio sul muro esterno di confine verso il vicino, qualora le aperture esistenti nel muro interno, arretrato per tutta la sua estensione, non consentano dal loro davanzale la inspectio e la prospectio dirette sul fondo del vicino, dal quale siano separate per la presenza del muro esterno, che si frappone da ostacolo, e ciò indipendentemente dal fatto che detto muro abbia un'apertura dal quale possa esercitarsi la veduta e che questa sia raggiungibile agevolmente dalle aperture praticate nel muro interno.

Cass. civ. n. 18637/2003

Tenuto conto che requisiti per l'esistenza di una veduta sono non soltanto la inspectio ma la prospectio, la possibilità di affacciarsi sul fondo del vicino deve essere determinata con riferimento a una persona di altezza normale e non di statura media, posto che il concetto di statura media, essendo indicativo di un unico valore numerico, intermedio fra un minimo e un massimo, non si identifica con quello di altezza normale che comprende una serie di valori di diversa entità matematica entro suddetti limiti. (La Corte, nel formulare il principio surrichiamato, ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di appello che, confermando la decisione di primo grado, avevano considerato illegittimo l'abbassamento dell'altezza del parapetto di un muro — da un metro e ventisette centimetri a un metro — operato dai convenuti in quanto lo stesso consentiva l'esercizio di una inesistente servitù di vendita sul fondo degli attori).

Cass. civ. n. 27/2000

In tema di vedute insistenti sull'altrui proprietà, deve intendersi per «fondo del vicino» (art. 900 c.c.) qualunque parte, anche minima o marginale (e, pertanto, anche un semplice muro di cinta) del fondo stesso, tale da poter consentire una inspectio o prospectio da una qualsiasi apertura esistente nel fabbricato della proprietà limitrofa dalla quale sia possibile affacciarsi.

Cass. civ. n. 13751/1999

Per la sussistenza di una veduta è necessario che l'apertura abbia una normale e permanente destinazione alla vista e all'affaccio sul fondo altrui, veduta che non deve subire limitazioni nemmeno a piombo sicché la visione, a carico del vicino, sia mobile e globale. Ne deriva che la costruzione di un manufatto a livello sino al confine, comporta il venir meno delle caratteristiche proprie delle vedute in alienum giacché queste non affacciano più sul fondo del vicino ma sul proprio, con la conseguenza che i rapporti fra le costruzioni finitime restano regolati dalle norme sulle distanze tra le costruzioni.

Cass. civ. n. 7745/1999

Un'apertura munita di inferriata può essere considerata veduta anziché luce solo se permetta di affacciarsi e di guardare oltreché di fronte anche obliquamente o lateralmente, come nel caso in cui abbia maglie così larghe da consentire di esporre il capo in ogni direzione ovvero non sia aderente alla superficie esterna del muro, ma se ne distacchi tanto da consentire di sporgere il capo oltre tale muro.

Cass. civ. n. 10615/1996

Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale.

Cass. civ. n. 8626/1987

Alla stregua dell'art. 900 c.c., la comodità (o quanto meno la non disagevolezza) della inspectio e della prospectio (elementi costitutivi essenziali della veduta) va accertata con riferimento al fondo dal quale la veduta è esercitata e non già al fondo oggetto della veduta stessa.

Cass. civ. n. 854/1986

Al fine di configurare una veduta da terrazze, lastrici solari e simili, è necessario che queste opere, oggettivamente considerate, abbiano quale destinazione normale e permanente, anche se non esclusiva, quella di rendere possibile l'affacciarsi sull'altrui fondo vicino, così da determinarne il permanente assoggettamento al peso della veduta; e non occorre che tali opere siano sorte per l'esclusivo scopo dell'esercizio della veduta, essendo sufficiente che esse, per l'ubicazione, la consistenza e la struttura, abbiano oggettivamente la detta idoneità. Un lastrico solare in tanto può ritenersi destinato all'esercizio di una servitù di veduta nel fondo vicino in quanto il mezzo predisposto per l'accesso a tale manufatto possa essere usato, senza pericolo per la propria incolumità, anche da soggetti che non dispongano di particolari attitudini o di specifica esperienza e non si avvalgano di particolari accorgimenti o cautele. (Nella specie, è stata esclusa la configurabilità della veduta in considerazione del fatto che per accedere al lastrico occorreva servirsi di una scala di legno a pioli e passare, dopo l'attraversamento di un solaio, per una porticina alta m. 1,40 e larga cm. 90).

Cass. civ. n. 6406/1984

L'esistenza di un'opera muraria munita di parapetti e di muretti dai quali sia obiettivamente possibile guardare e affacciarsi comodamente verso il fondo del vicino, ancorché trattisi di opera che abbia pure funzione divisoria, è sufficiente a integrare una veduta e il possesso della relativa servitù, senza che occorra anche l'esercizio effettivo dell'affaccio, essendo la continuità dell'esercizio della veduta normalmente assorbito nella situazione oggettiva dei luoghi.

Cass. civ. n. 6820/1983

Può essere qualificata veduta e prospetto una finestra che consente non soltanto una comoda inspectio sul fondo vicino senza l'impiego di mezzi artificiali, ma anche una comoda perspectio e cioè la possibilità di affacciarsi con lo sporgere il capo, possibilità, che, in astratto, può anche non essere impedita dall'esistenza di un'inferriata, purché in relazione all'ampiezza delle maglie di questa possa essere in concreto stabilita la possibilità di affaccio con la possibilità di protendere il capo.

Cass. civ. n. 2084/1982

L'assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio posta a distanza inferiore a quella legale, che sia di normale accessibilità e praticabilità da parte del proprietario, costituisce elemento decisivo per escludere che l'opera abbia i caratteri della veduta o del prospetto, non anche per escludere che essa costituisca luce irregolare, in ordine alla quale il vicino ha sempre il diritto di esigere l'adeguamento ai requisiti stabiliti per le luci. Per escludere anche questa seconda configurazione giuridica è necessario accertare, avuto riguardo all'attuale consistenza e destinazione dell'opera, oggettivamente considerata, ed alle sue possibili e prevedibili utilizzazioni da parte del proprietario, se e quali limitazioni, ancorché diverse e minori di quelle derivanti da un'apertura avente carattere della veduta o del prospetto, possano discenderne a carico della libertà del fondo vicino altrui.

Cass. civ. n. 5904/1981

Perché un'apertura possa considerarsi veduta, non basta la mera possibilità di una ispectio e di una prospectio sul fondo del vicino, ma è altresì necessario che la possibilità di guardare nel fondo medesimo e di sporgere il capo e vedere nelle diverse direzioni senza l'uso di mezzi artificiali possano aver luogo con comodità e sicurezza, in modo da rivelare che tale è la destinazione normale e permanente dell'opera, individuata alla stregua di elementi obiettivi di carattere strutturale e funzionale: consegue che le terrazze ed i lastrici solari possono configurare vedute a carico del fondo vicino solo se muniti di solidi ripari, come ringhiera o parapetto, tali da permettere di sporgere la testa senza pericolo verso detto fondo, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha ritenuto correttamente esclusi dal giudice del merito i caratteri della veduta in un terrazzo con parapetto avente un'altezza variabile dai sessanta ai sessantacinque centimetri ed uno spessore di quaranta centimetri e, quindi, inidoneo a consentire un affaccio agevole e sicuro).

Cass. civ. n. 3564/1977

Il giudice del merito può escludere l'esistenza di una veduta in considerazione delle sole dimensioni, di altezza e di spessore (nella specie, rispettivamente, di metri 1,26 e cm. 50), del parapetto di una terrazza, in base alle quali risulti che manca la possibilità, per una persona di media statura, di sporgersi, senza l'uso di mezzi artificiali, da quella sul fondo del vicino.

Cass. civ. n. 2097/1977

L'art. 900 c.c. — che definisce vedute, o prospetti, quelle aperture che permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente — non fissa un comportamento rigidamente tipico per l'atto di affacciarsi ipotizzato, sicché è rimesso al giudice, nei casi concreti, di verificare se, tra le possibilità che l'opera specifica consente all'osservatore di media altezza, rientri o meno alcuna qualificabile come affaccio, o prospetto, verso il fondo del vicino, tenuto conto sia delle caratteristiche strutturali dell'opera che delle posizioni rispettive degli immobili interessati. «Affacciarsi», nell'uso corrente che può presumersi recepito dal legislatore nella definizione delle vedute (art. 900 c.c.), è il porsi l'osservatore di media altezza, comodamente, senza pericolo e senza l'ausilio di alcun mezzo artificiale, col petto, protetto dall'opera, a livello superiore a quello massimo dell'opera stessa nel punto di osservazione, in modo da poter sporgere oltre tale livello il capo e vedere, anche obliquamente e lateralmente, l'immobile altrui e, nello stesso tempo, da poter esser visto dall'esterno. Lo spessore del parapetto e le sporgenze del muro su cui esso insiste non sono di per sé situazioni necessariamente escludenti la veduta allorché impediscono all'osservatore affacciato di estendere lo sguardo fino ai piedi del muro medesimo. Ricorrendo siffatte situazioni, soccorre il criterio della destinazione normale e permanente dell'opera, in rapporto alla struttura e conformazione di essa nonché alla situazione dei luoghi, criterio la cui applicazione è rimesso al prudente e motivato giudizio di merito.

Cass. civ. n. 2116/1976

Le vedute che si esercitano da balconi (come da sporti) sono diverse secondo le varie posizioni con cui è possibile guardare sul fondo vicino altrui, di guisa che si ha veduta diretta nell'ipotesi in cui da uno dei lati del balcone sia possibile affacciarsi e guardare frontalmente su quel fondo, e si ha veduta obliqua, autonoma rispetto alla prima, quando, sul fondo stesso, sia possibile una veduta di tale tipo da altra posizione sul medesimo balcone.

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Paolo R. chiede
martedì 15/02/2022 - Sardegna
“Un fabbricato edificato negli anni 60’ è attiguo ad un’area edificabile. Alla sua sommità è presente una terrazza a livello dalla quale, tramite un “parapetto” alto 95 cm e profondo 30 cm, vi è l’incerta possibilità di poter esercitare una veduta sul fondo limitrofo, ovvero sull’ area edificabile. (Immagine A)
Tale incertezza è dovuta al fatto che nella parte interna del parapetto, sul lato della terrazza, è stata installata una mensola in legno, profonda e alta 30 cm dal pavimento, che funge da piano d’appoggio per dei vasi contenenti diverse tipologie di arbusti alimentati mediante un impianto a goccia fissato sul parapetto, il tutto sull’intero perimetro della terrazza. (Immagine B)
Per ciò che riguarda l’aspetto cronologico dell’eventuale veduta, tramite le prime immagini disponibili di Google Maps, è possibile affermare che dal 2008 esisteva quell’insieme di arbusti e piante, alto circa 1,80 Mt dal pavimento, a ridosso del parapetto. (Immagine C)
Tale situazione, sempre a testimonianza delle immagini di Google Maps, si protrae sino al 2014 quando il proprietario della terrazza installa, in aggiunta alla mensola, una struttura verticale in legno grigliato alta circa 2,20 Mt dal pavimento (Immagine D) che viene mantenuta dallo stesso sino alla fine del 2021.
Al fine di poter comprendere con maggior facilità lo stato dei luoghi si allega un ultimo documento. (immagine E)

La mia domanda è:
- Considerata la conformazione della veduta, ovvero lo spessore del parapetto di 30 cm, (a cui va a sommarsi la profondità dei 30 cm della mensola) gli arbusti alti 1,80 mt dal pavimento, esiste la possibilità che gli stessi abbiano eventualmente interrotto il possesso del godimento inficiando sulla comodità d’esercizio della veduta ?
- L’altezza dei 95 cm del parapetto, anche in considerazione del suo spessore totale di 60 cm dovuto alla mensola, permette al proprietario della terrazza di esercitare la veduta in totale sicurezza ?
- In base al tempo trascorso dal 1960 al 2008, nonché all’assenza della documentazione fotografica dal 1960 al 2008, e viceversa alla sua presenza dal 2008 ad oggi, il proprietario della terrazza che probabilità ha di aver acquisito, per usucapione, la servitù di veduta ?”
Consulenza legale i 16/02/2022
Prima di rispondere alle domande contenute nel quesito, occorre puntualizzare il quadro normativo di riferimento.
Come indicato dall’art. 900 c.c., le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci e vedute.
Queste ultime permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente.
Come ha evidenziato la Corte di Cassazione con varie sentenze tra cui la n.346/2017: “Affinché sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della "inspectio", anche quello della "prospectio" sul fondo del vicino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e laterale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale”.
La sentenza n. 3043/2020 ha poi ulteriormente chiarito che “per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. "inspectio et prospectio in alienum", vale a dire le possibilità di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente", siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza.
Ciò posto, il successivo art. 907 del codice civile fissa ulteriori regole relativamente alla distanza delle costruzioni dalle vedute specificando espressamente che:
1) quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri;
2) se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita;
3) se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.

Fatta questa breve premessa in punto di diritto, passando allo specifico della situazione concreta si osserva quanto segue.

Nella presente vicenda, il parapetto è alto 95 cm e profondo 30 cm. Ciò significa che per un adulto è possibile “affacciarsi” per vedere il fondo limitrofo (cioè l’area edificabile).
La successiva aggiunta della mensola per le piante può aver reso più difficoltoso l’affaccio ma sicuramente non la impedito.
Tuttavia, però, si tratta di un affaccio non proprio “sicuro” vista l’esigua altezza, pur essendo profondo 30 cm.
Sul punto, infatti, la Suprema Corte con una sentenza del 2012 (la n.18910) aveva escluso la possibilità di un diritto di servitù di veduta per un terrazzo con parapetto alto 90 cm. Aveva infatti osservato la Corte: “La sola considerazione, basata su un dato di oggettiva inconfutabilità, che tale altezza corrisponda, più o meno, a quella del "basso ventre" di una persona di ordinaria statura (da intendersi, come già è stato precisato da questa Corte, compresa tra i limiti minimi e massimi che normalmente si registrano nell'ambito della popolazione, e non necessariamente coincidente con la media di tali valori: v. sent. nn. 76267/93, 3285/87) così da non consentire l'adeguata protezione del "petto" della stessa nell'eventuale affaccio (che comporterebbe intuibili e pericolosi sbilanciamenti in avanti dell'osservatore), risulta di per sé sola sufficiente ad escludere il requisito della sicurezza, a prescindere dalla rilevanza o meno dell'esiguità dello spessore del muretto in questione, manufatto che per la sua ridotta elevazione rispetto al pavimento neppure può definirsi un "parapetto".
Tale principio è stato ribadito anche nella più recente ordinanza di Cassazione n. 13156/2021.

Quanto alla griglia di legno, pur non essendo un manufatto chiuso come un muro impedisce, in effetti, di affacciarsi e permette soltanto la cd. “inspectio” e cioè la veduta frontale. Tale griglia risulta essere stata tolta, come leggiamo nel quesito, nel 2021.

Alla luce di quanto precede, in risposta alle domande contenute nel quesito possiamo affermare che:
1) Gli arbusti, pur ostruendo in parte la vista, non impediscono né la inspectio né la prospectio. A parere di chi scrive, dunque, essi non hanno interrotto il possesso ai fini dell’acquisto per usucapione della servitù di veduta;

2) Il vero problema è l’altezza esigua del parapetto: vista l’interpretazione dell’art. 900 c.c. data dalla Suprema Corte sopra riportata (che ha escluso il rispetto delle norme sulle distanza se il parapetto è alto meno di un metro) ciò potrebbe essere di impedimento all’acquisto per usucapione di un diritto di veduta sul fondo confinante.

3) Conseguentemente, vista l’altezza esigua del parapetto, le possibilità di un acquisto per usucapione del diritto di veduta non sono molte.
E ciò, lo si ripete, non tanto per la presenza degli arbusti e della griglia (quest'ultima ad oggi non presente) ma quanto soprattutto per l’altezza del parapetto.
Quindi è ragionevole supporre che un giudice di merito, seguendo l’interpretazione del giudice di legittimità, escluda appunto tale diritto.

Alberto G. chiede
martedì 25/08/2020 - Abruzzo
“Garage condominiale, fatto di posti auto di proprietà esclusiva. Un condomino accumula materiale nel suo giardino adiacente al muro perimetrale fino ad occludere i finestroni che danno luce ed aerazione. Richiesto intervento dell’amministratore, ma senza risultato. Quali sono i passi corretti per costringere a rimuovere gli ingombri?
Se necessario posso fornire documentazione fotografica.”
Consulenza legale i 30/08/2020
Il codice civile riconosce il diritto del proprietario del fondo a godere delle luci e dell’area dell’ambiente circostante al fine di garantire una maggiore areazione e illuminazione degli ambienti circostanti. Tale tutela viene prevista negli artt. 900 e ss. del c.c. L’art 900 c.c. definisce le luci come una particolare apertura sul fondo del vicino il quale consente di dare passaggio alla luce e all’aria, ma non permette l’affaccio sul fondo stesso.
È ovvio che nel momento in cui il codice civile riconosce al proprietario del fondo il diritto a costruire un varco sul muro di sua proprietà che permette il passaggio di luce e aria, impone al vicino di non porre in essere opere che possano ostruire o impedirne del tutto il passaggio. Il ragionamento che si è appena fatto, può tranquillamente essere applicato anche nel contesto condominiale nel momento in cui la luce viene realizzata su una parte comune dell’edificio, per assicurare luce e area o alle altre parti comuni o anche a parti in proprietà esclusiva. In altre parole, se esiste un finestrone che assicura il passaggio di luce e aria a beneficio dei posti auto in proprietà esclusiva, il condomino non può sul suo giardino privato ammassare materiale in modo tale da impedire od ostruirne il passaggio.

Proprio perché i finestroni sono costruiti su una parte condominiale, tutti i condomini che sono proprietari di un posto auto nel garage condominiale traggono beneficio dal passaggio di luce e aria da essi garantiti e quindi dovrebbe essere l’amministratore di condominio a prendere in carico la vicenda inviando una lettera con la quale diffidare il proprietario del giardino e richiedere la rimozione dei materiali. Se a seguito della missiva non si ottiene un risultato soddisfacente lo stesso amministratore dovrebbe convocare l’assemblea condominiale, affinché i proprietari possano valutare l’opportunità di nominare un legale per intraprendere le opportune azioni legali. In particolare con la nomina di un avvocato il condominio potrebbe ottenere, vuoi attraverso un ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. o attraverso un ricorso ex art 702 bis c.p.c., un provvedimento giudiziario, anche in termini relativamente celeri compatibilmente al periodo di emergenza sanitaria che stiamo vivendo, con il quale costringere il proprietario del giardino a rimuovere l’ammasso di materiale che ostruisce il passaggio di luce e aria.

È anche giusto dire che, visto la natura della controversia, prima di coinvolgere l’autorità giudiziaria il legale dovrà instaurare un tentativo di mediazione, obbligatorio per la fattispecie in esame, nel quale, sperando nel buon senso della controparte, si potrà tentare di addivenire ad un accordo evitando di buttare tempo e denaro in un contenzioso giudiziario.
Se a fronte di un preciso sollecito da parte dei condomini, l’amministratore omettesse di attivarsi a tutela delle ragioni condominiali, venendo meno ad un preciso dovere del suo ufficio, legittimati ad agire in sua sostituzione sarebbero anche i singoli proprietari dei posti auto all’intero del garage che beneficiano del passaggio di luce e aria garantito dai finestroni.


Anonimo chiede
mercoledì 17/10/2018 - Lazio
“Sono proprietaria di un appartamento con giardino all'interno di un condominio. Il mio giardino confina su tre lati con i giardini di proprietà di altri condomini. Tempo fa ho proposto a tutti loro di sistemare i muri di confine ormai vecchi di 60 anni (muretti alti circa 80 cm, in tufo, materiale cancerogeno, con al di sopra una rete di circa un metro su cui c'erano delle piante). Nessuno dei vicini ha voluto partecipare alle spese di sistemazione dei muretti e della rete, quindi, dopo aver richiesto i permessi edilizi al municipio tramite geometra, ho costruito dei muri all'interno del mio confine attaccati ai muretti preesistenti ma più alti. I vicini mi hanno inviato tramite il loro legale una diffida in cui mi viene intimato di abbattere i muri perché, a detta loro, levano aria e luce alle loro proprietà. Il regolamento condominiale recita che "non si possono in alcun modo alterare le recinzioni tra i giardini". Premetto che avevo richiesto l'autorizzazione, ahimè solo verbale, all'amministratore di condominio, che me l'ha accordata come ha già fatto con altri condomini che hanno realizzato la stessa opera nel loro confine.
Nel mio caso, avendo i regolari permessi e non avendo alterato le recinzioni esistenti ma avendoci costruito mura attaccate all'interno della mia proprietà, cosa rischio? Se ho rispettato i regolamenti edilizi ma eventualmente non quelli condominiali, che sono comunque interpretabili, in cosa posso incorrere? Nel caso in cui i vicini mi facciano causa rischio che i muri vengano abbattuti? Grazie in anticipo”
Consulenza legale i 21/10/2018
Preliminarmente è opportuno precisare che il fatto che il nuovo muro di recinzione sia stato costruito rispettando le norme urbanistiche ed edilizie vigenti e, quindi, ottenendo tutti i permessi amministrativi necessari, non è una garanzia della totale liceità dell’opera. Non sempre, infatti, il piano civilistico e amministrativo coincidono, pertanto è possibile che la nostra costruzione seppur regolare dal punto di vista urbanistico, possa ledere la normativa condominiale o i diritti dei nostri vicini in materia di distanze tra le costruzioni.

Per dare una risposta al quesito proposto è opportuno analizzare brevemente la disciplina delle luci e delle vedute. Il codice civile disciplina due fattispecie di aperture sul fondo del vicino: la luce e la veduta, entrambe previste all’art'900 del c.c. L’apertura che dà passaggio alla luce e all'aria, ma non permette di affacciarsi sul fondo del vicino è detta luce; la veduta o prospetto permette, viceversa, di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente i fondi altrui.

Le norme del codice civile e la giurisprudenza prevedono particolari caratteristiche per le luci e le vedute, ma per non annoiare troppo chi ci legge, ci sia consentita una esemplificazione: classico ed efficace esempio di luce è la finestrella che si trova nei pianerottoli delle scale di ogni condominio; la veduta è ciò che possiamo godere affacciandoci dal balcone del nostro appartamento.

Seppur non espressamente previsto dalle norme del codice civile, giurisprudenza (ovvero sentenze di giudici) oramai consolidata riconosce anche il c.d. diritto di panorama, definito come: il diritto di ciascuno di godere dello spazio, della luce e, per quando possibile, del verde nella prossimità della propria abitazione. Non avendo tale diritto espresso riconoscimento nel nostro ordinamento, la giurisprudenza riconduce la sua tutela nella stessa normativa delle luci e le vedute agli artt. 900 e ss. del c.c.

Secondo Cass. Civ., Sez II, n. 8572 del 12.04.2006 la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto, e riconduce il diritto di panorama nelle servitù altius non tollendi, ovvero nelle servitù di non costruire oltre una certa altezza. Tale servitù rientrano nelle tipologie di servitù non apparenti, nelle quali rientrano tutte le tipologie di servitù che per il loro esercizio non richiedono la costruzione di opere particolari.

Il fatto che il diritto di panorama possa considerarsi, conseguentemente, come una servitù non apparente ha una conseguenza pratica estremamente rilevante per il caso di specie, in quanto essa, secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante, non può essere acquisita per usucapione (si veda Cass. Civ., Sez.II, del 14.04.00 n. 4816).
Sulla base anche dell’esame delle immagini fotografiche fornite a corredo, e di quanto si è sopra tentato di illustrare, non pare che le lamentele dei vicini di casa dell’autore del quesito possano trovare fondamento concreto in quanto:
1) Il nuovo muretto costruito, non pare ad una altezza tale da poter pregiudicare il diritto di godere della vista circostante;
2) non pare che i vicini di casa possano aver acquisito per usucapione un diritto di paesaggio.
Rinviando sul punto anche al tecnico che ha supportato l’autore del quesito nella realizzazione del muretto, pare che la nuova opera possa, invece, considerarsi una costruzione in aderenza al preesistente muro di confine in tufo e, pertanto, perfettamente lecito ai sensi dell’art. 877 del c.c.

Per concludere, riteniamo sia opportuna una breve riflessione sulla disposizione del regolamento condominiale che fa divieto di alterare i confini dei giardini.
Il regolamento condominiale è chiamato per sua natura a disciplinare l’uso degli spazi e dei servizi comuni condominiali, non potendo andare ad intromettersi su aspetti che riguardano le parti dell’edificio in proprietà esclusiva. La vicenda descritta nel quesito, invece, pare che coinvolga i confini di giardini pertinenziali alle unità abitative in proprietà esclusiva e, pertanto, essa riguarda solo i proprietari dei singoli appartamenti. Per conseguenza il regolamento di condominio non può avere sul punto alcun valore vincolante e sanzionatorio.
L’unico modo in cui il regolamento condominiale e gli organi del condominio possano intromettersi nella vicenda che, lo si ribadisce, pare del tutto ascritta ad interessi non condominiali, è il fatto che la vecchia recinzione in tufo abbia un particolare valore da un punto di vista del decoro architettonico dell’intero edificio; ma non si hanno sufficienti elementi per esprimere un giudizio compiuto su tale aspetto.
Chiaramente il fatto che si ritenga,sulla base degli elementi forniti, che le lamentele avanzate dal vicino siano poco solide, non significa che ad una prima semplice lettera di un legale con richiesta di rimozione del muretto, non possa poi seguire un atto di citazione, con conseguente necessità di difendersi davanti al giudice competente (con relative spese). Sulla base però di quanto sopra detto, si ritiene che l'autore del quesito abbia buone argomentazioni di difesa per resistere adeguatamente al contenzioso ed evitare una condanna alla rimozione del nuovo muretto di confine.



Sandro D. chiede
mercoledì 13/07/2016 - Sardegna
“Buongiorno, il mio quesito riguarda una finestra in affaccio ad una proprietà privata.
Nel 2004 ho acquistato una proprietà, un appartamento al primo piano e sottostante ad esso un passo carrabile più cortile attiguo . Tutte le aperture al fondo da parte di uno stabile confinante al momento del rogito furono chiuse come pattuito, mentre due finestre nel piano superiore appartenenti ad altro proprietario in quanto beneficiario di eredità era rimasto disabitato, ed inutilizzato sino alla sua vendita per più di due anni , il nuovo proprietario mi chiese la possibilità di fare piccoli interventi per infiltrazione nella facciata in confine con il cortile di mia proprietà , nell’ occasione gli chiesi di chiudere le sue finestre per una questione di privacy, mi firmò una dichiarazione dove si impegnava a chiuderle. Ad oggi dopo tante richieste verbali una finestra è perennemente aperta, ed oltre ad affacciarsi sul cortile è a due metri da le mie finestre con affaccio diretto al mio appartamento ,essendo le proprietà affiancate ad angolo interno di 90°. Ora chiedo posso obbligarlo a chiudere / murare la finestra visto che avendo acquistato successivamente sapeva di avere le finestre in affaccio su altra proprietà?
Grazie
Saluti.”
Consulenza legale i 26/07/2016
Il nostro codice civile sancisce la differenza tra luci e vedute nell’art. 900: si tratta di luci quando danno solo un passaggio di luce e aria, senza possibilità di affacciarsi sul fondo del vicino; si tratta di vedute o prospetti quando invece consentono di affacciarsi sul fondo del vicino. In altre parole, la differenza risiede nell’esistenza o meno della inspectio e della prospectio (così ex multis C. Cass., 21/5/2012 n. 8009).

Nel caso di specie, le aperture sono palesemente delle “vedute”, per le quali l’art. 905 c.c. prevede una distanza di un metro e mezzo dal fondo del vicino. Pare pertanto che la distanza legale sia rispettata, posto che viene riportata la distanza di “due metri dalle finestre” di proprietà del vicino.

Ciononostante, l’obbligo di chiudere le aperture del fondo venne sancito già al momento del rogito notarile nel 2004 (sarebbe opportuno sapere se con apposita postilla nell’atto pubblico di compravendita o se con scrittura privata autenticata dal notaio rogante, o se con altre modalità). È stata altresì firmata una dichiarazione con cui il vicino si impegnava a chiudere le vedute che si affacciano sul fondo di proprietà.

Due sono le soluzioni:
  1. Nel caso in cui l’obbligo di chiudere tutte le aperture del fondo vicino (ivi comprese le vedute di cui si occupa) fosse contenuto nell’atto pubblico di compravendita, o comunque in una scrittura privata autenticata dal notaio medesimo, tale atto, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., costituisce titolo esecutivo: vale a dire, con l’ausilio di un legale, è ben possibile notificare al vicino un precetto con cui gli si intima di chiudere le vedute. Per il caso del mancato ripristino dello stato dei luoghi, sarà poi possibile iniziare una esecuzione in forma specifica;
  2. Nel caso in cui tale obbligo sia sancito da altro atto, la sola dichiarazione firmata dal proprietario vicino non costituisce titolo esecutivo, e si renderà dunque necessario intraprendere una normale azione di cognizione mediante notifica di atto di citazione con competenza radicata nel circondario del Tribunale ove ha sede l’immobile.
In ogni caso, soprattutto in materia di turbative del possesso e della proprietà, è sempre opportuno tentare una soluzione stragiudiziale della controversia, posto che sia l’esecuzione sia il normale processo di cognizione comportano costi e tempi non indifferenti.

Pertanto, nell’uno e nell’altro caso è bene far scrivere una lettera dal proprio legale al fine di trovare una soluzione bonaria della controversia (anche ad esempio prevedendo l’adozione di specifici accorgimenti che consentano una tutela della privacy del proprio fondo, sì come auspicato dalla giurisprudenza di legittimità: C. Cass., 27/6/2011 n. 14194).

Michele P. chiede
venerdì 12/03/2021 - Emilia-Romagna
“Buonasera,
ho recentemente acquistato un immobile situato al piano terra, con annesso cavedio/cortile di proprietà. Uno dei lati perimetrali di quest’area esterna è costituito dalla facciata di un edificio contiguo di tre piani (piano rialzato, primo e secondo), il quale ha due finestre per piano che si affacciano sulla mia proprietà. In particolare, con gli inquilini del piano rialzato si creano alcune situazioni borderline: ad esempio stendono i loro panni su corde poste davanti alle loro finestre, lungo tutto il muro, quindi di fatto ci troviamo i loro abiti sulla nostra area, che arrivano a volte a pochi centimetri dal terreno [allegherò foto via e-mail per chiarire meglio il quadro].

Sperando di aver illustrato la situazione in modo completo, la mia domanda è: come è normata una situazione vicinanza così particolare? Quali sono i limiti entro i quali devono stare gli inquilini della casa contigua e quali sono, invece, i nostri se volessimo, ad esempio, alzare un divisorio nel nostro cortile per “schermare” le loro finestre (es. una siepe o pannelli tipo parete leggera)?
Per completezza, vi informo che agli atti non risulta alcuna servitù su questa nostra area.”
Consulenza legale i 18/03/2021
Visionate le foto dei luoghi che ci sono state trasmesse, si osserva quanto segue.
Anche se non indicata in nessun atto, di fatto lo stendere i panni all’interno della Sua proprietà costituisce una servitù di stillicidio.
Tuttavia, tale tipo di servitù rientra in quelle non apparenti di cui all’art. 1061 c.c. le quali non si possono acquistare per usucapione o per “destinazione del padre di famiglia” se non vi sono appunto opere “visibili e permanenti destinate al loro esercizio” (il cd. requisito dell’apparenza). In merito a quest’ultimo aspetto, la Cassazione con sentenza n.16961/2009 ha infatti evidenziato che esso "si configura come presenza di segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, dovendo le opere naturali o artificiali rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria e senza l'animus utendi iure servitutis, ma di un onere preciso a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto di una determinata servitù".
Più nello specifico, proprio con riguardo ad un caso simile (anche se relativo a panni stesi su un balcone) la Cassazione con sentenza n.14547/2012 ha evidenziato che “la semplice presenza dei supporti metallici (o zanche) infissi dall'originario unico proprietario nel muro perimetrale, ai lati delle finestre sovrastanti, non lasciava chiaramente intendere che si volesse assoggettare l'immobile inferiore allo sgocciolamento del bucato bagnato; e che, pertanto (‘acquirente) al momento dell'acquisto del suo appartamento, non aveva alcuna ragione di ritenere che l'immobile acquistato fosse gravato da servitù di stillicidio. “
Ciò significa che appunto dei semplici supporti metallici infissi al muro (come nel caso in esame) potrebbero non essere sufficienti ai fini di un acquisto per usucapione. Usiamo il condizionale in quanto, come ha osservato la Suprema Corte anche nella predetta sentenza, “ L'accertamento dell'apparenza della servitù, al fine di stabilire se questa possa essere acquistata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, costituisce una "quaestio facti" rimessa alla valutazione del giudice del merito”.

Fermo quanto precede, sarebbe opportuno verificare anche se vi sia un divieto di stendere i panni nel regolamento condominiale (dalle foto, lo stabile ci sembra un condominio anche se i panni sono stesi all’interno di una proprietà esclusiva).

Ciò posto, suggeriamo di procedere nel modo seguente.
Pur ritenendo che non vi sia il requisito dell’apparenza ai fini dell’acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, per scrupolo sarebbe comunque opportuno prima di tutto verificare - se possibile - da quanto tempo sussiste la situazione relativa ai panni stesi descritta nel quesito.
Se il periodo è comunque inferiore al ventennio, in ogni caso la controparte non potrebbe nemmeno vantare un acquisto per usucapione della servitù di stillicidio.
Appurato ciò, suggeriamo di controllare anche il regolamento condominiale (se esiste) in merito a quanto ivi previsto circa lo stillicidio dei panni.
Fatte le predette verifiche, dovreste invitare i proprietari dell’appartamento contiguo a non stendere i panni all’interno della vostra proprietà non essendovi alcun diritto di servitù in tal senso.
Naturalmente, laddove la diffida informale (o formale tramite atto scritto) non dovesse sortire alcun effetto, non resterebbe che una causa civile tramite la cd. actio negatoria servitutis di cui all’art. 949 del codice civile.

Per quanto riguarda invece la possibilità o meno di innalzare “un divisorio” nel vostro cortile “per “schermare” le loro finestre (es. una siepe o pannelli tipo parete leggera)”, si osserva quanto segue.
Le finestre che vediamo nelle foto, sono vere e proprie vedute (art. 900 c.c.) che comportano un diritto di “inspectio”e “prospectio”.
Qualsiasi “schermatura” andrebbe ad occludere il diritto di affaccio, considerata anche la conformazione del cortile.
Per come appare lo stato dei luoghi, possiamo ipotizzare che quelle finestre furono create al momento della costruzione dell’edificio.
Se così fosse, sarebbe stata creata all’epoca una vera e propria servitù di vedutaper destinazione del padre di famiglia” (art. 1062 c.c.).
Come ha ribadito la Suprema Corte con l’ordinanza 7783/2020: “una servitù può essere acquistata per destinazione del padre di famiglia quando vi siano segni concretantisi in opere - artificiali o naturali - di natura permanente, obiettivamente destinate all'esercizio di essa e che rivelino, in maniera non equivoca, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente”.
Addirittura nel caso oggetto della pronuncia la Corte ha ritenuto che perfino “l'esistenza di aperture nel muro, sebbene prive della intelaiatura, ma che rivelino, in modo palese, la specifica e normale funzione di consentire l'esercizio della veduta sul fondo del vicino deve considerarsi sufficiente a creare de facto quella situazione che occorre per dar vita alla costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia”.

Quindi, se la situazione è questa da noi ipotizzata, la risposta alla domanda deve intendersi negativa nel senso che non può essere collocata alcuna schermatura che limiti il diritto di veduta del vicino.
Laddove invece quest’ultimo abbia aperto arbitrariamente le finestre, occorrerebbe verificare quando ciò sia stato fatto per valutare l’azione migliore da intraprendere (actio negatoria servitutis se ciò sia avvenuto entro il ventennio oppure una azione possessoria laddove l’opera sia stata eseguita entro un anno).

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