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Articolo 899 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Comunione di alberi

Dispositivo dell'art. 899 Codice Civile

Gli alberi sorgenti nella siepe comune sono comuni.

Gli alberi sorgenti sulla linea di confine si presumono comuni, salvo titolo o prova in contrario.

Gli alberi che servono di limite o che si trovano nella siepe comune non possono essere tagliati, se non di comune consenso o dopo che l'autorità giudiziaria abbia riconosciuto la necessità o la convenienza del taglio.

Ratio Legis

L'articolo differenzia l'ipotesi di alberi nella siepe comune, relativamente ai quali non è possibile la prova contraria della presunzione di comunione, e quella di alberi sul confine, relativamente i quali sussiste una presunzione iuris tantum di comunione, contrariamente a quanto stabilito dall' art. 934.

Spiegazione dell'art. 899 Codice Civile

Alberi sorgenti nella siepe comune

Il nuovo codice concorda con il vecchio (art. 569) nel sancire la comunione degli alberi che sorgono nella siepe comune. Ne differisce, però, perché mentre il vecchio codice (art. 569, comma 1) attribuiva a ciascuno dei condomini il diritto di chiederne l'atterramento, la medesima disposizione non è stata ripetuta nel nuovo codice. Anzi, all'art. 899 ult. capov. ha esplicitamente previsto che gli alberi che si trovano nella siepe comune non possono essere tagliati se non di comune consenso o dopo che l'autorità giudiziaria ha riconosciuto la necessità o la convenienza del taglio.


Alberi sorgenti sulla linea di confine. Presunzione di comunione pro indiviso e a parti uguali

La legge fa anche l'ipotesi di alberi sorgenti sulla linea di con­fine tra due proprietà, e li presume comuni, salvo titolo o prova in contrario (art. 899, comma 2). Abbiamo dunque, anche qui, una presunzione legale di proprietà, giustificata dal fatto dell'esistenza dell'albero sul confine. Anche in mancanza della esplicita disposizione dell'art. 899 si sarebbe potuti arrivare alla stessa conseguenza, in base all'altra presunzione legale posta dall'art. 934 , secondo cui qualunque piantagione esistente sopra il suolo si presume che sia stata fatta dal proprietario a sue spese e che gli appartenga.

Il confronto dei due articoli è interessante per risolvere la questione che si fa intorno alla natura della comunione di questi alberi sorgenti sulla linea di confine, e sulla quota che ciascuno dei due comproprietari può vantare sui medesimi.

La disposizione di cui all’art. 934 è conseguenza attenuata del principio dell'accessione del diritto romano: attenuata nel senso che pone una semplice presunzione legale di proprietà laddove il diritto romano non ammetteva prova in contrario. Si riporta la decisione delle fonti, secondo cui « arbor quae in confinio nata est, item lapis qui per utrumque fundum extenditur, quandiu cohaeretundo, e regione cuiusque finium, utriusque sunt: nec in communi dividundo iudicium veniunt. Sed aut cum lapis exemptus, aut arbor eruta, vel succisa est, communis pro indiviso fiet, et veniet in communi dividundo iudicium ». Se dunque si volesse argomentare, per la comunione degli alberi sorgenti sulla linea di confine, dalla semplice disposizione dell'art. 934, si dovrebbe giungere alla conseguenza di una presunzione di comunione pro diviso, e regime cuiusque finium: la quota sarebbe determinata dalla linea di confine.

Diversa è, invece, la conseguenza a cui si deve arrivare in base alla disposizione dell'art. 899: essa pone in generale la presunzione di comunione degli alberi sorgenti sulla linea di confine, presunzione di comunione pro indiviso, e in parti uguali. La presunzione, infatti, non si fonda sul principio di accessione da cui muove l'art. 934, ma sui criteri di grande probabilità che giustificano la presunzione di comunione dei muri, dei fossi e delle siepi, che dividono due proprietà limitrofe: probabilità fondata in questo caso dell'art. 899 sul fatto che, salvo la prova di una servitù in contrario, non sarebbe altrimenti spiegabile l'esistenza di un albero a distanza minore della legale (art. 894 del c.c.).

Tra le due diverse presunzioni legali è chiaro che, nella materia di cui si tratta, debba avere prevalenza quella dell'art. 899, che deve considerarsi come specifica, in confronto a quella che si sarebbe potuta ricavare dall'art. 934. Quindi la comunione degli alberi sorgenti sul confine deve ritenersi pro indiviso, e le quote uguali fino a prova contraria.

Questa, che è la chiara conseguenza della contrapposizione tra la presunzione legale nascente dall'art. 934 e l'altra posta dall'art. 899, è stata spesso fraintesa nella dottrina. Cosi, per esempio, quanto alla quota ammette il criterio romanistico fondato sul principio di accessione, che attribuisce la proprietà dell'albero e regione cuiusque finium. Non si esclude che questo possa risultare dalla prova contraria, ma fino a prova in contrario, ammessa la comunione pro indiviso, si deve presumere l'uguaglianza di quota. Anche la dottrina ha fatto confusione, affermando che se il tronco dell'albero non occupa con mirabile simmetria le due parti dei due fondi, bisogna ritenere una comunione ineguale, o pro regime, o pro diviso. Altra parte della dottrina, poi, vorrebbe addirittura pretendere in ogni caso l'uguaglianza di quota, non ammettendo che possa provarsi il contrario.

Quanto ai diritti e agli obblighi derivanti dalla comunione degli alberi sorgenti sulla linea di confine, si applicano le regole generali sulla comunione, cui si rinvia.


Alberi che servono di limite

Dopo gli alberi sorgenti nella siepe comune, di cui al primo comma dell'art. 899, e quelli sorgenti sulla linea di confine di cui al secondo comma, l'art. 899 parla al terzo comma degli alberi che servono di limite. Per essi prevede un'unica disposizione: non si possono tagliare se non di comune consenso o dopo che l'autorità giudiziaria ha riconosciuto la necessità o la convenienza del taglio.

Può sorgere il dubbio se questi « alberi che servono di limite » di cui al terzo comma dell'art. 899 siano quegli stessi, e nella stessa condizione giuridica, di cui al secondo comma (« alberi sorgenti sulla linea di confine »). A favore della tesi affermativa sta la considerazione che, se servono di limite, devono necessariamente trovarsi sulla linea di confine e quindi nella condizione giuridica di cui all'art. 899, comma 2, di essere presunti alberi comuni. Ma la ragione di dubitare nasce da ciò: che per questi alberi, appunto per la funzione speciale a cui servono, parrebbe doversi negare la prova contraria ammessa dall'art. 899 ed ammettere una presunzione iuris et de iure di comunione. Infatti, ammettendo la possibilità di provarne l'esclusiva proprietà in favore di uno dei due confinanti, non si capirebbe più come egli non abbia poi il diritto di poterli tagliare se non col consenso dell'altro confinante, come invece richiede l'art. 899, terzo comma.

Noi crediamo che non sia sempre necessario ammettere la comunione dell'albero per giustificare il servizio reciproco di limite a cui l'albero destinato: anche chi non è comproprietario potrebbe, infatti, acquistare a titolo di servitù questo diritto sull'albero al confine, di esclusiva proprietà del vicino. Il che non toglierebbe al proprietario dell'albero di goderne da proprietario esclusivo quanto ai frutti, con la sola limitazione di non poterlo tagliare senza il consenso dell'altro confinante.

Di conseguenza si ritiene che gli alberi che servono di confine, di cui all'ultimo capoverso dell'art. 899, rientrino sotto la categoria generale degli alberi sorgenti sulla linea di confine tra due proprietà, di cui parla il secondo comma dell'articolo. Con questa particolarità: di avere la specifica funzione di servire di limite nell'interesse di entrambi i confinanti. Il che importa, anche quando non siano comuni, il divieto imposto al proprietario di tagliarli senza il consenso del vicino.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

425 La disciplina di queste materie si conclude con un gruppo di norme (art. 897 del c.c., art. 898 del c.c. e art. 899 del c.c.), le quali, in conformità dei criteri seguiti dal codice del 1865 (articoli 565 - 569), stabiliscono presunzioni di comunione e di proprietà esclusiva dei fossi e delle siepi interposti tra i fondi e degli alberi sorgenti, sul confine.

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Consulenze legali
relative all'articolo 899 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Aninimo chiede
domenica 06/08/2023
“Buongiorno!
Cortesemente si espone quanto segue:
I fabbricati A,B,C, di remota costruzione, autonomi e distinti, ( c.d. supercondominio ) non rientranti nell' obbligo dell'amministratore, hanno in comune il viale D, ai sensi dell'art 1117 ss cc. la cui destinazione d' uso principale e quella di dare luce, aria, passaggio, con sbocco sulla strada comunale.
Circa 25 anni fà, addossato al fabbricato C, è nata spontanea una pianta di gelso, che il proprietario di detto fabbricato, ai sensi dell' art 1102 a ritenuto di coltivare, traendo da esso del legname ( Vedasi schema allegato )
Detta pianta, considerato il passaggio ordinario ( auto moto furgoni ecc.) non ha mai dato problemi di transito, ed è stata sempre considerata di proprietà del titolare del fabbricato D, stante il fatto che non essendo terzo rispetto agli altri comproprietari non è stato applicato il dispositivo dell' art . 934 cc. ( c.d. accessione )
Orbene ora si presenta il fatto che il proprietario del fabbricato B intende ristrutturare radicalmente lo stesso, ma il passaggio di macchine d' opera ( scavatori, camion, autobetoniere ecc. ) e reso difficoltoso, se non impossibile dalla pianta di gelso posta sul viale, divenuta nel tempo consistente.
Interpellato il proprietario di detta pianta si è reso disponibile a potarla, ma non a estirparla, semplificando solo in parte il problema, eccependo di aver acquisito per usucapione la posizione della stessa sul viale, e quindi il proprietario del fabbricato B deve comportarsi di conseguenza.
Chi ha ragione ?

Consulenza legale i 08/08/2023
È necessario effettuare alcune precisazioni.
Innanzitutto in virtù del principio della accessione espresso dagli artt. 899 e 934 del c.c. l’albero che sorge sul fondo comune pro indiviso tra più soggetti deve considerarsi rientrante anch’esso nella comunione. L’acquisto comune si realizza automaticamente per il semplice fatto che il vegetale è sorto sul fondo comune, senza che sia necessaria una manifestazione di volontà da parte degli altri proprietari.
Uno dei modi per sostenere che l’albero sia di esclusiva proprietà di un unico soggetto (in questo caso C), potrebbe essere quello di sostenere che egli lo abbia usucapito ai sensi degli artt. 1158 e ss. del c.c., ma nel caso specifico non può certo dirsi che tale ipotesi si sia concretizzata.
La giurisprudenza (tra le tante,Cass. Civ.Sez.II, n.20039 del 06.10.2016) ha precisato che è possibile per un singolo partecipante alla comunione usucapire un bene comune, ma per farlo non è sufficiente dimostrare che gli altri comproprietari si siano astenuti dall’utilizzare il cespite; è necessario invece che colui che sostiene di aver usucapito dimostri di aver sottratto in maniera pacifica e non clandestina il bene agli altri comproprietari, manifestando quindi la volontà di possederlo in maniera esclusiva; inoltre tale sottrazione si deve protrarre per un periodo utile prestabilito dalla legge, che è solitamente pari a venti anni.

In altre parole, affinché C possa considerarsi unico proprietario dell’albero di gelso sarebbe stato necessario che egli avesse recintato tale albero annettendolo alla sua proprietà ed escludendo quindi gli altri due soggetti A e B dalla sola semplice possibilità di poter usufruire della sua utilità, ma questo non pare si sia in alcun modo concretizzato. C, con i suoi comportamenti non ha fatto altro che utilizzare l’albero in maniera più intensa rispetto agli altri due proprietari, usufruendo maggiormente della sua utilità, impossessandosi dei suoi frutti naturali (il legname) e sobbarcandosi gli oneri della sua manutenzione. Si badi, C non ha in alcun modo tenuto un comportamento scorretto nei confronti degli altri comproprietari: egli si è infatti mosso perfettamente nei limiti delle facoltà a lui riconosciute dall’ art. 1102 del c.c. e tratteggiate anche dalla giurisprudenza, ma comunque non può considerarsi esclusivo proprietario del gelso per usucapione: il vegetale quindi rimane in comunione tra i tre proprietari dei fabbricati.

Posta la natura comune dell’albero, non è possibile procedere alla sua estirpazione senza il consenso unanime di tutti e tre i proprietari. Come infatti ha precisato la giurisprudenza, (Cass.Civ. n.24396/05; Corte di Appello di Roma n.478 del 06.02.08), l’estirpazione di un albero comune costituisce un atto di dismissione del bene e quindi un atto di scioglimento della comunione insistente su quel determinato cespite: per tale motivo la rimozione o comunque l'estirpazione dell’albero di proprietà comune a più persone presuppone il consenso di tutti i partecipanti alla comunione.
In altre parole, seppur il gelso non può considerarsi un bene in proprietà esclusiva di C, non si potrà procedere alla rimozione del vegetale senza raccogliere anche il consenso di tutti i proprietari e quindi anche dello stesso C, il quale ben difficilmente sarà propenso a concederlo.


Alessandro A. chiede
lunedì 19/11/2012 - Emilia-Romagna
“Sono proprietario di un pescheto confinante con un bosco secolare di querce di altrui proprietà.
Le querce, benchè piantate distanti dal confine, sovrastano il pescheto a causa dei lunghi rami. Uno di questi rami a causa della neve, ma soprattutto della inesistente manutenzione del bosco, è caduto sul pescheto rompendo i pali di sostegno del pescheto oltre a tubazioni irrigue, fili metallici e tiranti. Posso chiedere il risarcimento dei danni subiti anche e soprattutto in forza della mancata manutenzione del bosco?
Grazie fin d'ora.”
Consulenza legale i 19/11/2012

Nel caso in cui l'albero del vicino abbia cagionato dei danni come quelli descritti nel quesito si potrà sicuramente chiederne il relativo risarcimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 2043 e 2051 c.c. Il primo articolo pone il divieto del neminem laedere, mentre il secondo disciplina l'ipotesi del danno cagionato da cose in custodia, che impone a colui che ha la disponibilità giuridica e materiale della cosa, ovvero il potere di fatto sulla stessa e di conseguenza il potere di intervento, di risarcire il danno cagionato dalla cosa a meno che non provi di che l'evento lesivo derivi dal caso fortuito.

Inoltre, in tale ambito è bene ricordare che l'art. 896 del c.c. regola i diritti del confinante in relazione agli alberi che invadono la sua proprietà, prevedendo che il proprietario di un terreno possa, in qualunque tempo, costringere il vicino a recidere i rami di un albero che si protendono sul suo fondo, nonché recidere egli stesso le radici, indipendentemente dal fatto che siano o meno piantati a distanza legale.


Giovanna chiede
domenica 18/09/2011 - Veneto

“Mio padre possiede un fondo comune con altre due persone. Di fronte alla sua e alle altre abitazioni sono state piantate, di comune accordo da oltre 20 anni, delle piante di noci. Ora, queste piante hanno raggiunto l'altezza di 15 m. superando abbondantemente il tetto della casa, naturalmente le fronde impediscono, specialmente d'estate, l'entrata della luce naturale e quella del sole nella nostra casa. Ci piacerebbe sapere se è possibile tagliare solo la pianta di fronte alla nostra abitazione. In attesa di una cortese risposta, ringrazio.”

Consulenza legale i 11/10/2011

Nel caso di specie, trattandosi di alberi piantati in un fondo di proprietà comune tra tre persone (verosimilmente piantati anche a spese comuni), come tali sono soggetti alla disciplina dell' accessione(art. 934 del c.c.) e la proprietà sui medesimi spetta a tutti i comproprietari secondo le quote di proprietà di ciascuno sul bene principale (terreno).

Si dovrà fare poi riferimento all’art. 1105 del c.c. per le questioni relative all'amministrazione del bene.


Anonimo chiede
giovedì 07/09/2023
“Buonasera.
Desidero sapere a chi spetta la potatura della rosa rampicante e del pino argentato nel giardino comune.

Gli appartamenti in questione hanno cambiato diversi proprietari. Il pino argentato è stato piantato, dai primi proprietari dell'appartamento, dopo la costruzione dell'edificio ,nel giardino comune di fronte e quasi attaccato, al portico di proprietà esclusiva e all'ingresso dell'appartamento stesso per motivi di riservatezza. (Dopo avere ereditato, la figlia ha venduto ed ora c'è un nuovo proprietario.)

La rosa rampicante, sulla facciata esterna dei balconi e del portico, dalla seconda proprietaria dell'appartamento sovrastante quello interessato dal pino argentato per mascherare le infiltrazioni d'acqua provenienti dal balcone, oltretutto rimuovendo una piotta dal giardino, La signora è deceduta e ora vi è un nuovo proprietario, il terzo.

Sappiamo che se un condomino mette del verde ne è proprietario e si deve occupare della manutenzione ma in questo caso visto che chi ha piantato il pino e la rosa non ci sono più chiedo come si pone la questione.

Potrei inviare foto esplicative, in ogni caso gli appartamenti sono quelli a pian terreno e primo piano, a destra di fronte al cancelletto d'ingresso.

Distinti saluti.

Consulenza legale i 20/09/2023
L’autore del quesito parte da un presupposto del tutto errato: non è assolutamente vero che se un condomino decide di piantare un vegetale nel giardino comune questo diventa di proprietà di colui che ha assunto tale iniziativa, il quale assume su di sé anche l’obbligo esclusivo di prendersene cura: semmai, per le norme del codice civile sussiste il principio esattamente inverso.

In virtù del principio della accessione espresso dagli artt. 899 e 934 del c.c. il vegetale che sorge sul giardino comune pro indiviso tra più soggetti deve considerarsi rientrante anch’esso nella comunione: pertanto il pino argentato e la rosa rampicante devono considerarsi dei comunissimi beni condominiali ai sensi dell’art. 1117 del c.c., al pari dello stesso giardino in cui hanno radicato.
Tra l’altro, l’acquisto alla proprietà condominiale dei due vegetali si realizza automaticamente per il semplice fatto che essi sono stati seminati sul fondo comune, senza che sia necessaria una manifestazione di volontà da parte degli altri proprietari.

Si precisa che l’iniziativa del singolo condomino di seminare dei vegetali sul giardino comune per poi prendersene personalmente cura non è un comportamento illegittimo: esso, al contrario, è una chiara esternazione della facoltà del singolo partecipante alla comunione di fare uso della cosa comune (in questo caso il giardino), facoltà espressamente riconosciuta dall’ art. 1102 del c.c. : tuttavia, ciò non toglie che una volta radicatisi i due vegetali divengano di proprietà comune con tutto ciò che ne consegue da un punto di vista giuridico.

In particolare è fondamentale che il condominio si assuma l’onere della corretta manutenzione del pino argentato, il quale, a quanto viene riferito, paia versi in cattive condizioni: se infatti, a seguito di tale situazione l’albero dovesse rovinare a terra causando danni a cose e persone di essi ne risponderebbe il condominio ai sensi dell’ art. 2051 del c.c.

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