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Articolo 36 Testo unico sul pubblico impiego (TUPI)

(D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile

Dispositivo dell'art. 36 TUPI

1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35.
2. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l'applicazione nelle amministrazioni pubbliche. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare i contratti di cui al primo periodo del presente comma soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall'articolo 35. I contratti di lavoro subordinato a tempo determinato possono essere stipulati nel rispetto degli articoli 19 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, escluso il diritto di precedenza che si applica al solo personale reclutato secondo le procedure di cui all'articolo 35, comma 1, lettera b), del presente decreto. I contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato sono disciplinati dagli articoli 30 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo, sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. E' consentita l'applicazione dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato.

2-bis. I rinvii operati dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ai contratti collettivi devono intendersi riferiti, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, ai contratti collettivi nazionali stipulati dall'ARAN.

3. Al fine di combattere gli abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile, sulla base di apposite istruzioni fornite con direttiva del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, le amministrazioni redigono, dandone informazione alle organizzazioni sindacali tramite invio all'Osservatorio paritetico presso l'Aran, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate, con l'indicazione dei dati identificativi dei titolari del rapporto nel rispetto della normativa vigente in tema di protezione dei dati personali, da trasmettere, entro il 31 gennaio di ciascun anno, ai nuclei di valutazione e agli organismi indipendenti di valutazione di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonché alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica che redige una relazione annuale al Parlamento.

4. Le amministrazioni pubbliche comunicano, nell'ambito del rapporto di cui al precedente comma 3, anche le informazioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili.

5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell'articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.

5-bis. [Le disposizioni previste dall'articolo 5, commi 4-quater, 4-quinquies e 4-sexies del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si applicano esclusivamente al personale reclutato secondo le procedure di cui all'articolo 35, comma 1, lettera b), del presente decreto.](1)

5-ter. [Le disposizioni previste dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si applicano alle pubbliche amministrazioni, fermi restando per tutti i settori l'obbligo di rispettare il comma 1, la facoltà di ricorrere ai contratti di lavoro a tempo determinato esclusivamente per rispondere alle esigenze di cui al comma 2 e il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.](1)

5-quater. I contratti di lavoro posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell'articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarità nell'utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato.

5-quinquies. Il presente articolo, fatto salvo il comma 5, non si applica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), a tempo determinato presso le istituzioni scolastiche ed educative statali e degli enti locali, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. Per gli enti di ricerca pubblici di cui agli articoli 1, comma 1, e 19, comma 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218, rimane fermo quanto stabilito dal medesimo decreto.

Note

(1) Comma abrogato dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75.

Massime relative all'art. 36 TUPI

Corte cost. n. 174/2019

Il divieto di retroattività della legge si erge a fondamentale valore di civiltà giuridica, soprattutto nella materia penale (art. 25 Cost). In altri ambiti dell'ordinamento il legislatore è libero di emanare disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, ma la retroattività deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata. I limiti posti alle leggi con efficacia retroattiva si correlano alla salvaguardia dei principi costituzionali dell'eguaglianza e della ragionevolezza, alla tutela del legittimo affidamento, alla coerenza e alla certezza dell'ordinamento giuridico, al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

In riferimento agli artt. 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018), il quale impedisce di valutare, ai fini della liquidazione dell'indennità di buonuscita, il servizio «prestato con rapporto a tempo determinato di diritto privato»; tale disposizione, infatti, è essenzialmente volta a regolare fattispecie pregresse con efficacia retroattiva.

Corte cost. n. 248/2018

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 e dell'art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevate, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 4, 24, 35, primo comma, 97, quarto comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione alla clausola 4, punto 1, e alla clausola 5, punti 1 e 2, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEP sul lavoro a tempo determinato, e all'art. 4, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione Europea, nella parte in cui non consentono la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato per il personale sanitario, qualora i contratti a termine superino i trentasei mesi di servizio anche non continuativo con mansioni equivalenti presso la stessa azienda sanitaria.

Cass. civ. n. 16363/2015

In caso di illegittima apposizione del termine ad un contratto di lavoro nel settore pubblico, preclusa la conversione in un rapporto a tempo indeterminato, il lavoratore ha diritto al risarcimento dei danni subiti. In merito al criterio da utilizzare per la loro determinazione, sussiste, tuttavia, un contrasto giurisprudenziale, che rende necessario un pronunciamento delle Sezioni Unite.

Cass. civ. n. 4685/2015

Qualora sia dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro di un dipendente di ente pubblico economico sottoposto a tutela o vigilanza della Regione Sicilia, ai sensi della legge reg. Sicilia 19 agosto 1999, n. 18 (applicabile "ratione temporis", prima dell'entrata in vigore della legge reg. Sicilia 5 novembre 2004, n. 15), l'instaurazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato non è condizionata dall'obbligo di espletare un pubblico concorso o procedure selettive.

Cass. civ. n. 9603/2011

L'art. 32, co. 5, della legge n. 183 del 2010 (c.d. collegato lavoro) è applicabile retroattivamente a fattispecie maturate prima della sua entrata in vigore (ai sensi del co. 7 della medesima disposizione) solo in quanto la nuova disciplina sia pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso ed attenga alle questioni censurate con l'impugnazione, che deve aver avuto riguardo pertanto alle conseguenze patrimoniali dell'accertata nullità del termine.

Cass. civ. n. 1778/2011

In materia di pubblico impiego privatizzato, i processi di stabilizzazione - tendenzialmente volti ad eliminare il precariato creatosi per assunzioni in violazione dell'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 - sono effettuati nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale del fabbisogno e sono suscettibili di derogare alle normali procedure di reclutamento limitatamente al carattere - riservato e non aperto - dell'assunzione, ma non anche alla necessità del possesso del titolo di studio ove previsto per la specifica qualifica, né al preventivo svolgimento di procedure selettive, che, ad eccezione del personale assunto obbligatoriamente o mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento, sono necessarie nell'ipotesi in cui la stabilizzazione riguardi dipendenti che non abbiano già sostenuto "procedure selettive di tipo concorsuale''. Ne consegue che l'amministrazione, nel caso in cui il personale da stabilizzare abbia già superato procedure concorsuali, non deve bandire alcun concorso ma solo dare avviso dell'avvio della relativa procedura e della possibilità per gli interessati di presentare la domanda, mentre, ove manchi tale presupposto e il numero dei posti oggetto della stabilizzazione sia inferiore a quello dei soggetti aventi i requisiti richiesti, può fare ricorso ad una selezione per individuare il personale da assumere, restando devolute le relative controversie alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Cass. civ. n. 65/2011

L'applicazione retroattiva dell'art. 32, co. 5, della legge n. 183 del 2010 trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria conseguente alla impugnazione del termine illegittimamente apposto al contratto di lavoro, rilevando che l'impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine non impedisce la formazione del giudicato sul capo di domanda relativo al relativo risarcimento del danno.

Cass. civ. n. 14350/2010

In materia di pubblico impiego, un rapporto di lavoro a tempo determinato non è suscettibile di conversione in uno a tempo indeterminato, stante il divieto posto dall'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001, il cui disposto è stato ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 98 del 2003) e non è stato modificato dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, contenente la regolamentazione dell'intera disciplina del lavoro a tempo determinato. Ne consegue che, in caso di violazione di norme poste a tutela dei diritti del lavoratore, in capo a quest'ultimo, essendogli precluso il diritto alla trasformazione del rapporto, residua soltanto la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Cass. civ. n. 9555/2010

Il rapporto fra l'INAIL ed i portieri addetti alla vigilanza e custodia di edifici di proprietà dell'istituto, pur essendo di pubblico impiego, è disciplinato, nel suo contenuto, da un contratto collettivo di natura privatistica che lo sottrae all'operatività della disciplina pubblicistica, di cui all'art. 36 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 22, comma 8, del D.Lgs. n. 80 del 1998, che esclude, in caso di violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime, in quanto la natura dell'ente datore di lavoro non può ritenersi circostanza autonomamente sufficiente per escludere la conversione di contratti a tempo determinato, con termini nulli, in contratto a tempo indeterminato.

Cass. civ. n. 23202/2009

In tema di lavori socialmente utili, la P.A., mentre agisce nell'esercizio della propria discrezionalità e con poteri autoritativi in ordine alla scelta del progetto ed all'individuazione delle professionalità occorrenti, è viceversa vincolata ai criteri predeterminati dalla legge ovvero, mediante procedure selettive non concorsuali, dagli organi deputati (nella specie, una commissione costituita presso la Sezione circoscrizionale del lavoro) a fissare parametri previsti per il collocamento presso le P.A. ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. n. 165 del 2001, sicché la posizione del privato che contesti la violazione di tali criteri obbiettivi e predeterminati (come, nella specie, la mancata attribuzione della detrazione per figli a carico) è di diritto soggettivo e la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, senza trascurare che per l'assunzione opera anche l'art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che devolve al giudice ordinario le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, nelle quali rientrano le assunzioni operate con le modalità previste dall'art. 35 cit.

C. giust. UE n. 378/2009

La clausola 5, n. 1, lett. a), dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, figurante nell'allegato alla direttiva 1999/70, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa si oppone a che una normativa nazionale venga applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in un modo tale che il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi nel settore pubblico sia considerato giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola per la sola ragione che detti contratti sono fondati su disposizioni di legge che ne consentono il rinnovo per soddisfare talune esigenze provvisorie, mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durevoli. Per contro, la medesima clausola non si applica nel caso di un primo o unico contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato. L'attuazione dell'accordo quadro ad opera di una normativa nazionale non può comportare la riduzione della tutela in precedenza applicabile nell'ordinamento giuridico interno ai lavoratori a tempo determinato ad un livello inferiore rispetto a quello determinato dalle disposizioni di tutela minima previste dall'accordo quadro medesimo. In particolare, la clausola 5, n. 1, dell'accordo quadro impone che detta normativa preveda, per quanto riguarda l'utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, misure effettive e vincolanti di prevenzione di un siffatto utilizzo abusivo, nonché sanzioni aventi un carattere sufficientemente efficace e dissuasivo da garantire la piena effettività di tali misure preventive. Spetta quindi al giudice del rinvio verificare che i suddetti requisiti siano soddisfatti.

Cass. civ. n. 5217/2009

Nel regime anteriore al D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, le federazioni sportive nazionali presentavano un duplice aspetto, l'uno di natura pubblicistica, riconducibile all'esercizio delle funzioni pubbliche proprie del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), l'altro di natura privatistica, attinente alle attività proprie delle federazioni medesime; in coerenza con tale natura, il rapporto di lavoro del dipendente della Federazione, che svolga mansioni di carattere (non tecnico, ma) amministrativo presso la struttura centrale dell'organizzazione, ha natura pubblicistica, essendo i caratteri di detta attività esattamente identici a quelli propri dei lavoratori legati al CONI da rapporto di pubblico impiego e comandati o distaccati presso le federazioni sportive (che del CONI costituiscono organi), ai sensi dell'art. 14, terzo comma, della legge 23 marzo 1981, n. 91. Ne consegue che la costituzione di fatto di tale rapporto è in violazione delle norme imperative che presiedono alla costituzione dei rapporti di lavoro pubblici, derivandone l'inapplicabilità della tutela legale relativa ai licenziamenti illegittimi.

Cass. civ. n. 12964/2008

A seguito dell'entrata in vigore del D.L. n. 9 del 1993, convertito con modificazioni nella legge n. 67 del 1993, le forme di assunzione alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni vengono tipizzate nelle tre forme del concorso pubblico, dell'avviamento dal collocamento e delle assunzioni obbligatorie, con nullità dei rapporti di lavoro diversamente costituiti e mero diritto del lavoratore al risarcimento del danno; ne deriva che non è applicabile alle pubbliche amministrazioni, le quali affidino in appalto l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'imprenditore, il disposto dell'art. 1 della legge n. 1369 del 1960, che prevede, per il caso di violazione del divieto di interposizione di manodopera, la costituzione del rapporto di lavoro con l'interponente.

Cass. civ. n. 11161/2008

L'art. 36, comma 8, del D.Lgs. n. 29 del 1993 (ora trasfuso nell'art. 36, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001), secondo il quale la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni (nella specie, una azienda AUSL) non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si riferisce a tutte le assunzioni avvenute al di fuori di una procedura concorsuale, operando anche nei confronti dei soggetti che siano risultati solamente idonei in una procedura selettiva ed abbiano, successivamente, stipulato con la P.A. un contratto di lavoro a tempo determinato fuori dei casi consentiti dalla contrattazione collettiva, dovendosi ritenere che l'osservanza del principio sancito dall'art. 97 Cost. sia garantito solo dalla circostanza che l'aspirante abbia vinto il concorso. Né tale disciplina viola - come affermato dalla sentenza n. 89 del 2003 della Corte Costituzionale - alcun precetto costituzionale in quanto il principio dell'accesso mediante concorso rende palese la non omogeneità del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto di lavoro alle dipendenze di datori privati e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare, alla violazione delle norme imperative, conseguenze solo risarcitorie e patrimoniali (in luogo della conversione del rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati); né contrasta, infine, con il canone di ragionevolezza, avendo la stessa norma costituzionale individuato nel concorso, quale strumento di selezione del personale, lo strumento più idoneo a garantire, in linea di principio, l'imparzialità e l'efficienza della pubblica amministrazione.

Cass. civ. n. 2277/2008

In tema di lavori socialmente utili la P.A., mentre agisce nell'esercizio della propria discrezionalità e con poteri autoritativi in ordine alla scelta del progetto ed all'individuazione delle professionalità occorrenti, è viceversa vincolata ai criteri predeterminati dalla legge nella scelta dei singoli lavoratori, anche quando deve eccezionalmente procedere alla assunzione (ai sensi dell'art. 78, comma 6, della legge n. 388 del 2000) o alla stabilizzazione degli stessi, dovendo applicare le graduatorie delle liste di collocamento. Conseguentemente, la posizione del privato che contesti la violazione di tali criteri è di diritto soggettivo e la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, senza trascurare che per l'assunzione opera anche l'art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che devolve al giudice ordinario le controversie concernenti l'"assunzione al lavoro", nelle quali rientrano le assunzioni tramite le liste di collocamento (art. 35 dello stesso D.Lgs.).

C. giust. UE n. 180/2006

L'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev'essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un'altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.

Cass. civ. n. 18276/2006

In tema di assunzioni temporanee alle dipendenze di pubbliche amministrazioni con inserimento nell'organizzazione pubblicistica, anche per i rapporti di lavoro di diritto privato da esse instaurati trovano applicazione le discipline specifiche che escludono la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, (come è stato di recente ribadito in sede di disciplina generale dall'art. 36 del D.Lgs n. 165 del 2001), senza che trovi applicazione la legge n. 230 del 1962, atteso che l'art. 97 della Costituzione, che pone la regola dell'accesso al lavoro nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, ha riguardo non già alla natura giuridica del rapporto ma a quella dei soggetti, salvo che una fonte normativa non disponga diversamente in casi eccezionali, con il limite della non manifesta irragionevolezza della discrezionalità del legislatore.

C. giust. UE n. 212/2006

L'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che, qualora l'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato non preveda nel settore considerato altra misura effettiva per evitare e, se del caso, sanzionare l'utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, il detto accordo quadro osta all'applicazione di una normativa nazionale che vieta in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato che, di fatto, hanno avuto il fine di soddisfare «fabbisogni permanenti e durevoli» del datore di lavoro e che devono essere considerati abusivi.

Cass. civ. n. 14381/2002

In caso di illegittima apposizione del termine al contratto, la disdetta del datore di lavoro non è equiparabile a licenziamento, in quanto in tale ipotesi le prestazioni cessano in ragione dell'esecuzione che le parti danno ad una clausola nulla; conseguentemente non trova applicazione l'art. 18 SL ed il lavoratore ha diritto alle retribuzioni successive alla cessazione solo qualora provveda ad offrire la prestazione, essendo a tal fine insufficiente la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro.

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Consulenze legali
relative all'articolo 36 TUPI

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L. B. chiede
giovedì 15/02/2024
“Il 6 giugno 2019 ho vinto un concorso presso Veneto Strade S.p.a. La graduatoria pubblicata valida per 36 mesi e per cui sono stato inserito, era per la pianura e per la sola provincia di Venezia. Questo perché come pubblicato nell'avviso di selezione, bisognava avere dimora o residenza in prossimità del centro di raccolta o meglio posto di lavoro, non più di 30 minuti di percorrenza (io risiedo nella provincia di Venezia).
Poiché la graduatoria è ancora in corso di validità, nonostante io avessi optato per la zona di Venezia ed avendo esaurito la graduatoria medesima relativa alle zone di attuale interesse, l'ufficio del personale mi interpella riguardo ad una mia eventuale disponibilità per le province di Rovigo, Verona, prima di attivare ulteriori selezioni. Io rifiuto perché la mia domanda é stata fatta per Venezia.
Posso impugnare ed eventualmente fare ricorso al Tribunale per l'esclusione? Tenete presente che in quell'anno 2022 è stato fatto un nuovo bando per la stessa mansione ma a contratto determinato?
Cordialmente”
Consulenza legale i 25/02/2024
L’articolo 36 comma 2 del d.lgs. 165/2001 prevede che: “Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo, sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. È consentita l’applicazione dell’articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato”.

Tuttavia, la società Veneto Strade è una società partecipata e il d. Lgs. 165/2001 non è applicabile alla stessa.

Infatti, secondo la giurisprudenza, la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società, che resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (Cass. s.u. 1° dicembre 2016, n. 24591; Cass. s.u. 27 marzo 2017, n. 7759 Cass. S.U., 11 novembre 2019, n. 29078).

Peraltro, per quel che concerne la disciplina applicabile ai rapporti di lavoro, il quadro normativo di riferimento è rappresentato, in materia, dal D.Lgs. n. 175 del 2016, che all’art. 1, co. 3, dispone che “per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”.

Con specifico riferimento al rapporto di lavoro è previsto che “salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi” (art. 19, comma 1).

Una delle questioni in materia di reclutamento nelle società a partecipazione pubblica è l’indagine sulla natura giuridica delle procedure selettive. Più precisamente è necessario stabilire se le stesse siano da qualificarsi come pubbliche e quindi attuative dei principi di cui all’art. 97 Cost.

Il legislatore del 2016 non impone alle società partecipate l’adozione delle procedure selettive del settore pubblico, ma rinvia ai principi di trasparenza, imparzialità, pubblicità e a quelli previsti dall’art. 35 T.U. sul pubblico impiego, che però devono essere recepiti in provvedimenti, di natura privatistica, della stessa società controllata.

Si tratta, quindi, di procedure selettive che delle regole sul reclutamento nel settore pubblico mutuano soltanto i principi al fine di rendere le stesse «idonee a contemperare esigenze di pubblicità e trasparenza che assicurino la scelta sulla base del merito, con quelle di economicità ed efficacia delle selezioni».

Si sottolinea, peraltro che, nel bando di concorso, vi è anche una clausola di salvaguardia, secondo la quale l’avviso non vincola in alcun modo la Società a sottoscrivere i contratti a tempo indeterminato e con la quale la società si riserva la facoltà di modificare, prorogare, sospendere o riaprire i termini, nonché revocare l’avviso per ragioni di carattere organizzativo a suo insindacabile giudizio.

In conclusione, per impugnare l’esclusione sarebbe necessario sostenere che l’art. 36, comma 2, del D. Lgs. 165/2001 sia applicabile all’avviso in parola, in quanto principio che la società avrebbe dovuto recepire nei propri regolamenti. Non si rinvengono precedenti che possano confermare tale tesi.


Donato G. chiede
mercoledì 02/06/2021 - Emilia-Romagna
“Salve, sono stato assunto da (omissis) filiale di Castel Maggiore con contratto di somministrazione dal 10/04 fino al 30/6 e lavoro presso l'Azienda Sanitaria Locale 31 di Ferrara come collaboratore tecnico autista.
Al momento mi è stata proposta una proroga fino al 31/12/2021
Vorrei sapere se esiste la possibilità di essere stabilizzati ovvero assunti direttamente a tempo indeterminato (concorso pubblico, chiamata diretta, ecc.) ed eventualmente quali condizioni occorre aver maturato (36 mesi obbligatori).
Ho letto pareri discordanti riguardo la legge Madia e vorrei un parere autorevole.”
Consulenza legale i 08/06/2021
L’art. 20, c. 9, D. Lgs. 75/2017 (c.d. Decreto Madia) espressamente esclude i contratti di somministrazione dal novero dei rapporti flessibili oggetto di stabilizzazione ai sensi dello stesso articolo.

Tuttavia, vi sono state alcune sentenze (a fronte – si precisa – di altre che hanno confermato il dettato normativo) che hanno aperto la possibilità di stabilizzazione anche ai lavoratori somministrati.

In particolare, l’ordinanza cautelare del Tribunale di Napoli n. 16958 del 5 luglio 2019 relativa al ricorso di una infermiera ex art.700 c.p.c. che ha impugnato la delibera con cui l’azienda dei Colli ha indetto avviso pubblico interno riservato a personale, dirigenziale e non, in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 20 comma 1 D.lgs. 75/2017”, attivando la procedura di stabilizzazione contemplata per il superamento del precariato.

In questo caso la concorrente non è stata inserito nell’elenco degli oltre 300 aventi diritto a partecipare al bando in quanto una parte degli anni di lavoro maturati erano computati come lavoro somministrato.

Nell’arco temporale di quasi tredici anni (dal Gennaio 2006 e sino al Luglio 2018), la ricorrente, per il tramite di reiterati contratti di somministrazione, è stata stabilmente inserita nell’organigramma dell’azienda dei Colli, e ha svolto prestazioni lavorative sotto la direzione gerarchica dei capi sala e dei medici, secondo un orario di lavoro ripartito in due turni (08;00-14;00 e 14;00-20;00), con previsione di turnazione notturna, e per una media complessiva di circa 38 ore settimanali. La stabilizzazione avverrebbe ai sensi dell’articolo 20, comma I, d.lgs. 75/2017. La ricorrente ha lamentato invece la sussistenza del fumus boni iuris, la violazione delle norme di cui all’articolo 20 d.lgs. 75 del 2017 e all'articolo 1, comma 543, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Il ricorso è stato interamente accettato con una ordinanza di sospensiva della circolare regionale e della delibera dell’azienda che da essa discende per la presenza di un danno irreparabile e immediato consistente nella impossibilità di partecipare al bando.

Il ragionamento del giudice del lavoro parte dall’articolo 20 del Dlgs 75 del 2017 “Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”. Il comma 1 recita che “Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l'amministrazione che procede all'assunzione; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all'assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell'amministrazione che procede all'assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”.

Da considerare c’è anche il comma 10 dello stesso articolo 20 che stabilisce che “continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 543, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (la cui efficacia è prorogata al 31 dicembre 2018 per l'indizione delle procedure concorsuali straordinarie, al 31 dicembre 2019 per la loro conclusione, e al 31 ottobre 2018 per la stipula di nuovi contratti di lavoro flessibile”.

L’articolo 1, comma 543, della legge 208/2015 in questione stabilisce che gli enti del Servizio sanitario nazionale possono indire, entro il 31 dicembre 2016, e concludere, entro il 31 dicembre 2017 (con le successive proroghe) procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, necessario a far fronte alle eventuali esigenze di assunzioni emerse in relazione alle valutazioni operate nel piano di fabbisogno del personale secondo quanto previsto dal comma 541.

Nell'ambito delle medesime procedure concorsuali, gli enti del Servizio sanitario nazionale possono riservare i posti disponibili, nella misura massima del 50 per cento, al personale medico, tecnico-professionale e infermieristico in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, che abbia maturato alla data di pubblicazione del bando “almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni con contratti a tempo determinato, con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o con altre forme di rapporto di lavoro flessibile con i medesimi enti”.

Ora sebbene la nota della Regione Campania del 13.07.2018 che, nel fornire “prime indicazioni in merito all’applicazione delle disposizioni in materia di stabilizzazione del personale precario per il triennio 2018-2020”, precisi che “sono esclusi dal processo di stabilizzazione .... i contratti di somministrazione presso le Pubbliche amministrazioni...” il giudice richiama la circolare n. 3/2017, emanata dopo la Legge Madia, che chiarisce alcuni punti riguardanti la stabilizzazione del personale medico, tecnico e infermieristico del Ssn che chiarisce che per procedere alla stabilizzazione del personale del Ssn si deve applicare anche il comma 543 della Legge 208/2015. Tale comma, a sua volta, prevede requisiti per accedere ai concorsi riservati al 50% dei precari in parte diversi dai requisiti pronunciati dalla Legge Madia. Nello specifico, i requisiti temporali per maturare le 36 mensilità necessarie per ottenere la riserva vengono maturati al momento dell’indizione del bando di concorso, e non al 31/12/2017, termine fissato dalla Legge Madia.

Inoltre, tra i contratti di lavoro flessibili che possono ottenere la riserva vi sono tutti i rapporti di lavoro instaurati con la pubblica amministrazione sulla base dell’art. 36 del D.lgs 165/2001, quindi anche i lavoratori in somministrazione. Tali affermazioni - è scritto nell’ordinanza - "sono state fatte dall’ufficio legislativo del ministro della Salute a seguito di un interpello fatto dal consigliere regionale della Regione Campania, per richiedere chiarimenti sul comma 543”.

In particolare i giudici accertano e dichiarano l’illegittimità della nota regionale del 13.07.2018 della Direzione Generale per la tutela della salute, della correlata delibera dell’Azienda dei Colli nella parte in cui viene ritenuto non valutabile, ai fini del “requisito della maturazione al 31 dicembre del 2017, di almeno tre anni di servizio, (previsto dall’articolo 20 d.lgs. 75 del 2017 e dall’articolo 1 comma 543 della Legge n. 208 del 2015) il servizio prestato dalla nelle forme del lavoro somministrato. La ricorrente è stata inserita dunque (per ora) nell’elenco degli aventi titolo alla stabilizzazione del rapporto di lavoro.

Diverse critiche sono state mosse all’ordinanza in parola.

Innanzitutto, l’ordinanza omette del tutto di menzionare il disposto dell’art. 20 c. 9 dlgs 75/2017 (c. d. decreto madia), che espressamente esclude i contratti di somministrazione dal novero dei rapporti flessibili oggetto di stabilizzazione ai sensi dello stesso articolo; limitazione che invece l’ordinanza menziona solo indirettamente in riferimento alla nota regionale che ha motivato l’esclusione in forza della precitata norma.

A fronte del dato testuale di tale esclusione non sembra pertanto assumere particolare rilievo giuridico ed argomentativo la circostanza che i rapporti di somministrazione sarebbero comunque inclusi nel novero delle fattispecie di lavoro flessibile previste dall’art. 36 D. Lgs 165/2001, come dedotto nella nota del ministero della sanità, posta a fondamento dell’avviso espresso dal giudice del lavoro.

Difatti tale previsione del t.u.p.i pone una disciplina limitativa del ricorso ai rapporti cd flessibili, che ben può coesistere con la successiva norma eccezionale dell’art. 20 dlgs 75/2017, che, volta alla stabilizzazione dei rapporti di precariato già stipulati ed in corso, espressamente esclude quelli di somministrazione da tale sanatoria.

Peraltro, la normativa eccezionale e derogatoria dell’articolo 20 non può essere integrata nel suo ambito applicativo per effetto dell’interpretazione contra legem operata da una mera missiva ministeriale, priva di alcuna valenza normativa e derogatoria.

Tale effetto estensivo è poi a maggior ragione escluso se si considera che dall’analisi complessiva del testo della stessa circolare si evince peraltro che la previsione di proroga dei termini per le procedure speciali di stabilizzazione nei servizi sanitari ex art. 1 c. 543 legge 208/2015 è comunque ritenuta testualmente inapplicabile ai rapporti di somministrazione dal capoverso 2.3.1 di tale atto, in totale (e peraltro obbligata) conformità con la esclusione recata dall’art. 20.

Nonostante la precarietà dell’interpretazione fornita dal Tribunale di Napoli, l’ordinanza n. 2738 del 22.05.2020 del Consiglio di Stato ha nuovamente affermato che anche i lavoratori che hanno prestato servizio presso una Pubblica Amministrazione in virtù di contratti di somministrazione, se in possesso dell’anzianità richiesta, hanno diritto ad accedere alle procedure di stabilizzazione.

In particolare, in quest’ultimo caso I lavoratori, dopo aver prestato servizio presso l’Azienda Sanitaria Locale in virtù di contratti di somministrazione, impugnavano giudizialmente la loro esclusione dalla procedura di stabilizzazione indetta per la medesima ASL.

Il TAR aveva rigettato la predetta domanda presentata in via cautelare dai prestatori, non ritenendo che la somministrazione potesse essere equiparata alle altre forme di lavoro flessibile (lavoro a termine, collaborazioni coordinate, rapporti convenzionali) che danno diritto alla stabilizzazione.

Il Consiglio di Stato ha affermato, preliminarmente, che, ai sensi dell’art. 1, comma 543, della L. 208/2015, anche il lavoro prestato mediante contratti di somministrazione deve essere ricompreso tra le forme di lavoro flessibile che consentono, al personale precario in possesso di determinati requisiti di servizio, di essere stabilizzato tramite procedure concorsuali riservate.

Conseguentemente, i Giudici hanno dichiarato la sussistenza, nel caso di specie, del fumus boni iuris e del danno grave ed irreparabile (c.d. periculum in mora).

Su tali presupposti, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso dei lavoratori, affermando il loro diritto ad essere ricompresi nella procedura di stabilizzazione presso la ASL ove avevano prestato servizio in somministrazione.

In conclusione, sebbene il dato normativo escluda testualmente l’applicazione delle norme sulla stabilizzazione ai lavoratori somministrati, le pronunce richiamate aprono uno spiraglio nel caso in cui gli stessi abbiano maturato i requisiti richiesti (almeno 36 mesi, anche non continuativi, negli ultimi 8 anni).

Nel caso di specie, in caso di attivazione della procedura di stabilizzazione ed esclusione dalla stessa del lavoratore somministrato, si potrà quindi tentare il ricorso al giudice, tenendo presente le perplessità rilevate e la conseguente aleatorietà del giudizio.