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Diritto penale -

La non punibilitą dei reati contro l’amministrazione della giustizia ex art. 384 c.p.

AUTORE:
ANNO ACCADEMICO: 2012
TIPOLOGIA: Laurea liv. I
ATENEO: Universitą degli Studi di Palermo
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
L’oggetto della presente tesi è costituito dall’art. 384 c.p., che prevede due diverse cause di non punibilità: l’ipotesi del primo comma si fonda sulla “inesigibilità” di un comportamento diverso da parte del soggetto che, costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, commetta alcuno tra una serie determinata di reati contro l’amministrazione della giustizia; si tratta dei reati di omessa denuncia o referto (artt. 361-365 c.p.), di rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366 c.p.), di autocalunnia (art. 369 c.p.), di false informazioni al pubblico ministero (art. 371 bis c.p.), di false dichiarazioni al difensore (art. 371-ter), di falsa testimonianza, perizia o interpretazione (artt. 372-373 c.p.), di frode processuale (art. 374 c.p.) o di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.). L’ipotesi del secondo comma, prevede, invece, la non punibilità di chi commetta i reati di false informazioni al pubblico ministero, false dichiarazioni al difensore, falsa testimonianza e falsa perizia o interpretazione, se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o non avrebbe dovuto essere assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete, ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione.
A tali ipotesi l’art. 21 della legge n. 63 del 2001 ha aggiunto quella relativa alla non punibilità del soggetto che “non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere”. Si tratta di due cause di non punibilità di diversa natura e struttura. Mentre la prima si fonda sul principio del “nemo tenetur se detegere” e sulla incoercibilità dello stato di necessità e degli affetti familiari, la seconda, invece, configura un caso di “difetto di tipicità” del fatto per mancanza di uno dei presupposti dei reati richiamati dal legislatore: si tratta di reati propri, che in tanto sussistono in quanto il soggetto agente sia legittimamente richiesto di fornire informazioni, assunto come testimone, perito, consulente tecnico, interprete o sia stato avvertito della facoltà di astenersi e proprio tale legittimità viene esclusa nei casi tipizzati dalla norma. La non punibilità, dunque, dipende, in un caso dalla particolare motivazione che ha spinto il soggetto a commettere uno dei delitti delineati nell’art. 384 primo comma, del c.p. nell’altro dal difetto di corrispondenza tra la fattispecie astratta e quella concreta.
Il concetto di non punibilità, sia pure non interpretandolo in senso stretto, presuppone l’esistenza di un fatto che sia riconducibile, quantomeno in astratto, ad una fattispecie incriminatrice, ma che poi, per motivi attinenti alla struttura del reato o ad una mera opportunità, non sia punito dall’ordinamento. Ciò avviene soltanto nel primo comma dell’art. 384 del c.p., in quanto nel secondo non viene descritto un fatto di reato scriminato dal diritto, ma viene stabilito un vero e proprio limite alle norme incriminatrici richiamate. La causa di non punibilità prevista nel secondo comma deve essere ricondotta ad un momento antecedente rispetto al configurarsi del fatto di reato, in quanto non vi può essere alcuna informazione al pubblico ministero, testimonianza, perizia, consulenza tecnica o interpretazione, che possa essere qualificata falsa, quando non sia stata assunta nelle forme prescritte dalle norme di procedura. Rinviando a queste per un quadro completo dei limiti di punibilità degli artt. 371 bis, 371 ter, 372, 373 del c.p., in questa sede si cercherà di analizzare in maniera approfondita l’art. 384 c.p., allo scopo di avere un’idea sufficientemente definita della sua reale portata.

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