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Detta disposizione contiene la disciplina procedimentale comune agli “eventi” che conducono alla esclusione dell’operatore economico; come ci si accinge a chiarire, sono stati indicati gli oneri di comunicazione degli eventi idonei a condurre alla esclusione in capo agli operatori economici ed è stato disciplinato il c.d. “self- cleaning” (l’applicazione di detto istituto, armonicamente alla disciplina comunitaria, è stata dilatata rispetto alla previsione vigente).
Più in particolare, è utile precisare, partitamente, quanto di seguito.
Il comma 1 contempla il principio generale che “regola” tutte le cause di esclusione, e ripropone, immutata, la disposizione di cui al comma 6 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016.
I commi da 2 a 6 prevedono la “nuova” versione allargata del self cleaning aderente alla direttiva 24/2014 UE: conformemente all’incipit del paragrafo 6 dell’art. 57 della direttiva (“Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4”) nella parte in cui non richiama il paragrafo 2, restano fuori dal perimetro applicativo dell’istituto le violazioni fiscali e previdenziali di cui al comma 6 dell’art. 94 e al comma 2 dell’art. 95 (in passato entrambe contenute nel al comma 4 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016).
Alla luce della modifica introdotta, il self cleaning può riguardare anche eventi verificatisi nel corso della procedura e dopo la presentazione dell’offerta (si rammenta in proposito che le Linee Guida ANAC n. 6, capo 6.2., finora applicate, così recitano: “L’adozione delle misure di self-cleaning deve essere intervenuta entro il termine fissato per la presentazione delle offerte o, nel caso di attestazione, entro la data di sottoscrizione del contratto con la SOA. Nel DGUE o nel contratto di attestazione l’operatore economico deve indicare le specifiche misure adottate.”);
È stato ivi previsto l’onere dell’operatore economico di comunicare tempestivamente il verificarsi della causa di esclusione e delle misure adottate (con riferimento a queste ultime: salvo che ciò sia impossibile, ad esempio perché ha avuto notizia della causa di esclusione stessa in epoca assai prossima alla scadenza del termine di presentazione dell’offerta).
È stata inoltre inserita una disposizione di chiusura che mira ad evitare che la conclusione della procedura possa essere ritardata a cagione dell’adozione delle misure da parte dell’operatore economico (“in nessun caso l’aggiudicazione può subire dilazioni a cagione dell’adozione delle misure”).
Il contraddittorio è garantito dall’obbligo incombente in capo alla stazione appaltante di comunicare, ai sensi del comma 6, all’operatore economico se le misure proposte siano state ritenute insufficienti od intempestive.
Il comma 7 dell’articolo ripropone, immutato, il testo del comma 9 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016, in quanto fedele trasposizione dell’art. 57, par. 6, ultimo alinea della direttiva (“un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto o di aggiudicazione delle concessioni non è autorizzato ad avvalersi della possibilità prevista a norma del presente paragrafo nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza negli Stati membri in cui la sentenza è effettiva.”).
Il comma 8 contiene, immutato, il testo del comma 10 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016: trattandosi di pena accessoria irrogata a seguito di sentenza di condanna penale, lo stesso è stato mantenuto immutato, in quanto – è forse superfluo evidenziarlo- la durata massima quinquennale dell’esclusione obbligatoria prevista dalla direttiva si riferisce alla fissazione del termine di esclusione reso sentenza (“se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1”) ma non interseca la legislazione penale che prevede fattispecie di incapacità perpetua o ultraquinquennale.
Il comma 9 contiene, immutato, nella prima parte, il testo del comma 10 bis dell’art. 80 del decreto legislativo. n. 50 del 2016; la seconda parte del predetto comma 10 bis (“nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia commesso”) è stata soppressa in quanto riguardava le cause non automatiche di esclusione (comma 5 dell’art. 80) in ordine alle quali si è integralmente riformulata la relativa previsione nel successivo comma 10 dell’articolo.
Il predetto comma 10 fissa le decorrenze iniziali del termine triennale (quest’ultimo così determinato in conformità al paragrafo 7 dell’art. 57 della direttiva n. 24/2014) per le cause non automatiche di esclusione; la previsione, sebbene le ricomprenda tutte, si rivela particolarmente utile per quelle di cui alla lett. a) e alla lett. e) del comma 1 dell’art. 95 concernenti eventi e fattispecie non afferenti alla gara in corso di svolgimento (mentre per quelle di cui alle lettere b), c), e d) del medesimo comma 1 dell’art. 95 che riguardano la singola gara, sebbene si sia voluto specificare il concetto per escludere margini di incertezza, sembra evidente che non si ponga la necessità di stabilire alcun termine di decorrenza iniziale o di durata).
In generale - e in aderenza al testo della direttiva - si è ivi stabilito che il periodo triennale di “possibile” rilevanza decorra dalla commissione della condotta.
Laddove invece la situazione escludente discenda dalla avvenuta emissione di un provvedimento sanzionatorio irrogato dall’AGCM o da altra autorità di settore, esso decorre dalla data del provvedimento sanzionatorio.
In particolare, quanto a quelle enucleanti la possibile commissione di un grave illecito professionale discendente da fatto di reato, si è stabilito che:
a) per le ipotesi di grave illecito professionale discendenti dalla (asserita) commissione di un fatto penalmente rilevante, l’inizio della decorrenza del periodo triennale coincida con il provvedimento del pubblico ministero di esercizio dell’azione penale (art. 405, comma 1, c.p.p.) ovvero, ove a questo cronologicamente antecedente, con la data della emissione di una misura cautelare di natura personale (artt. 281-286 c.p.p.; artt. 288-290 c.p.p.) o reale (art. 321 c.p.p.,);
b) le ragioni di tale scelta espressa al comma 10, lett. c), n. 1 dell’art. 96 riposano in una quadruplice considerazione:
I) laddove la possibile sussistenza di una causa di esclusione coincida con un fatto di rilievo penale tra quelli annoverati nel comma 1 dell’art. 94 “doppiato” dal comma 4, lett. g), dell’art. 98, ovvero ai sensi dell’ art. 98 comma 4 lett. h), sembra corretto prevedere che il minimum ontologico valutabile dalla stazione appaltante non possa prescindere da un atto giudiziale che abbia ritenuto che la notitia criminis sia insuscettibile di immediata archiviazione o che, (anche in un momento precedente rispetto a tale valutazione) ricorra una consistenza indiziaria grave precisa e concordante (art. 273 c.p.p.) tale da aver condotto all’emissione di una misura cautelare personale, restrittiva o interdittiva, ovvero, quantomeno, sussista un consistente fumus tale da aver condotto alla emissione della misura cautelare reale ex art. 321 c.p.p. (Cassazione penale, sez. VI, 23 novembre 2017, n. 18183);
II) in occasione della emissione di tali atti ha luogo la discovery delle fonti di prova che - seppur non integrale, ciò dipendendo dalle scelte investigative poste in essere dall’organo d’accusa (arg. ex art. 291, comma 1, c.p.p.; cfr. Cassazione penale, sez. I, 14 settembre 2016, n. 46228) - fa sì che il soggetto destinatario del provvedimento venga reso edotto del materiale probatorio sul quale detti atti si fondano: ciò implica che detto materiale probatorio non sia più coperto da segreto, e che il soggetto nel cui interesse viene bandita la gara (art. 98, comma 2) possa valutarlo nell’ambito della propria discrezionalità;
III) per altro verso, laddove prima dell’emissione di tali atti venisse divulgata la notizia della pendenza di un procedimento penale a carico di taluno per dette fattispecie di reato, il soggetto nel cui interesse viene bandita la gara non potrebbe in alcun modo accedere agli atti di indagine (art. 329 c.p.p.) e, pertanto, in alcun modo potrebbe esercitare la propria responsabile discrezionalità valutativa; in carenza dell’avvenuto esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero ovvero, laddove antecedente, dell’emissione di una misura cautelare personale, restrittiva o interdittiva ovvero di una misura cautelare reale (art. 321 c.p.p.), nessun fatto ( ad es articoli giornalistici, trasmissioni televisive, ecc.) è suscettibile di valutazione al fine di ritenere la sussistenza di un grave illecito professionale: tali fatti, quindi, possono rilevare quale veicolo di conoscenza pubblica di un provvedimento reso dal pubblico ministero o dal Giudice, che, in quanto esistente, ed in quanto comportante una totale o parziale “discovery” delle fonti d’accusa, costituirà (unitamente agli atti ad esso sottesi) l’unico elemento valutabile dall’ amministrazione;
IV) si rammenta, peraltro, in proposito, il disposto dell’art. 129 disp. att. c.p.p. (recante “Informazioni sul procedimento penale”) che, nell’ultima parte del comma terzo aggiuntovi dall’ art. 7 della l. 27 maggio 2015, n. 69, così dispone “Quando esercita l'azione penale per i delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353-bis del codice penale, il pubblico ministero informa il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, dando notizia dell'imputazione”: il testo proposto sembra coerente anche con tale ultima disposizione;
c) tale opzione si pone nel solco di una giurisprudenza condivisibile (ancora di recente: Consiglio di Stato, sez. IV, 7 ottobre 2022, n. 8611 e Corte di giustizia, sez. IV, 24 ottobre 2018, in causa C-124/2017) rapportata al paragrafo 7 dell’art. 57 della direttiva (“se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al paragrafo 4”) e sembra giustificata, nel caso in esame, laddove si consideri che la tempistica processuale italiana assai spesso non consente di pervenire ad una condanna definitiva entro tre anni dalla commissione del fatto. In simile ipotesi, prevedere che il dies a quo della causa escludente decorra dalla commissione del fatto condurrebbe ad una irrilevanza de facto di condotte gravi; ad esempio, nei casi corrispondenti a quelli contemplati dal comma 1 dell’art. 94 che comportano esclusione automatica (laddove sono annoverati reati molto gravi) sarebbe di fatto impossibile valutare medio tempore la fattispecie come causa non obbligatoria di esclusione ove la decorrenza del periodo triennale fosse coincidente con la commissione del fatto penalmente rilevante.
d) a tale proposito, si rammenta che l’ANAC, nel proprio Atto di segnalazione n. 3 del 27 luglio 2022 (delibera n. 370 del 27 luglio 2022) ai capi 2.1. e 2.2.5. e 2.2.6. aveva proprio segnalato la necessità di un chiarimento su tale delicata questione.
e) va da sé che, laddove taluno di detti provvedimenti abbia trovato successiva smentita processuale (ad esempio, a fronte delle richiesta ex art. 416 c.p.p. il Gup non emetta il decreto ex art. 429 c.p.p., ma disponga il proscioglimento ex art. 425 c.p.p., ovvero nelle altre ipotesi di esercizio dell’azione penale sopravvenga una sentenza di assoluzione, oppure la misura cautelare personale o reale disposta dal Gip sia stata successivamente revocata od annullata a causa dell’originaria assenza o del sopravvenuto venir meno del quadro indiziario) viene meno il “fatto valutabile” in chiave di giudizio sulla possibile sussistenza di un grave illecito professionale;
f) gli atti di cui al comma 10, lett. c), n. 1 “segnano” la decorrenza iniziale del triennio valutabile ai fini della possibile esclusione; la decorrenza è unica per ciascuna gara ed in relazione alla valutazione resa da ciascun soggetto nel cui interesse è bandita la gara (cfr. comma 7, lett. g) ed h) dell’art. 98 disciplinante l’illecito professionale); salvo quanto si è detto appena in precedenza, nel fluire del procedimento (e poi eventualmente del processo) penale, possono sopravvenire ulteriori atti (ad esempio una sentenza di condanna non definitiva); in tali casi la decorrenza del triennio non muta, ed è sempre fissata con riguardo al “primo” atto (sotto il profilo cronologico) tra quelli indicati al comma 10. lett. c), n. 1 dell’articolo proposto; ciò che muta in questi casi è il compendio dimostrativo che il soggetto nel cui interesse è bandita la gara avrà a disposizione per valutare la fattispecie; ma ciò non incide sulla decorrenza iniziale dell’arco temporale triennale (come peraltro più approfonditamente chiarito nella relazione di accompagnamento all’art. 98 descrittivo dell’illecito professionale).
I commi 11 e 12 dell’articolo, rispettivamente:
a) presidiano (comma 11) l’esigenza di “unicità” e “immodificabilità del termine triennale, chiarendo che l’impugnazione dei provvedimenti indicati non incide sul dies a quo di decorrenza del medesimo;
b) onerano l’operatore a produrre alla stazione appaltante i provvedimenti indicati al comma 10 (ed eventualmente, eventuali atti sui quali i medesimi si fondano) e chiariscono che, in ipotesi di eventuale inosservanza a tale (elementare) onere collaborativo da parte dell’operatore economico, il termine triennale non decorra se non dalla data in cui la stazione appaltante ne entri in possesso;
c) in sintesi, quindi, ai sensi dell’art. 10, lett. c), n. 1 dell’art. 96, i tre anni devono essere conteggiati dalla data del primo provvedimento del pubblico ministero o del provvedimento cautelare o reale del giudice penale nel caso in cui la causa di esclusione non automatica si fondi su uno dei fatti penalmente rilevanti tra quelli annoverati nell’art. 98, comma 4, lett. g) ed h); il “fatto”, in ipotesi di sanzione antitrust o di altra Autorità di regolazione, è il provvedimento, quindi il triennio decorre da quella data (Corte di giustizia 24 ottobre 2018, in causa C-124/17, consid. 39).
Le esigenze di rispetto della legalità sottese alle predette disposizioni hanno fatto premio sulla contrastante tesi
- pur prospettata durante i lavori della commissione - che avrebbe preferito che sempre (tranne che nel caso di sanzione antitrust), nel caso di esclusioni non automatiche da fatto di reato, il periodo triennale di possibile esclusione decorresse dal compimento del fatto.
Il comma 13 riproduce, immutato, il comma 11 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016.
Il comma 14, ribadisce ed estende al tutte le fattispecie di cui agli artt. 94 e 95 l’onere di comunicazione che già è contenuto al comma 12 con riferimento all’illecito professionale (e per il vero già ritraibile dalle disposizioni relative al c.d. “self- cleaning”) e chiarisce che l’omissione di tale comunicazione o la non veridicità della medesima, pur non costituendo di per sé causa di esclusione, può rilevare ai sensi della valutazione sulla sussistenza di una condotta integrante illecito professionale; viene quindi resa esplicita l’irrilevanza della mera omissione od inesattezza della medesima quale autonoma causa escludente.
Il comma 15 ripropone, modificato in parte, il comma 12 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016: è stato soppresso il riferimento alla colpa grave finora contenuto nella citata, vigente disposizione: è stato pertanto disposto che la falsità rilevi soltanto se dolosa e se grave e rilevante (cfr. giurisprudenza penale sul c.d. “falso innocuo”): nel testo il termine “colpa grave” è stato, tuttavia, “mantenuto” indicandolo tra parentesi, sembrando opportuno demandare al Governo la delicata scelta se reintrodurre, o no, il detto richiamo nell’articolato: ove il Governo non ritenga di reintrodurre il riferimento alla colpa grave, si potrebbe eventualmente valutare se espungere il riferimento alla “negligenza” allo stato contenuto all’art. 98, comma 4, lett. b), come meglio si chiarirà nella apposita relazione concernente la norma in ultimo citata.
Sembra, infine, utile segnalare che:
a) il comma 13 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016 (laddove si prevedeva che con successive Linee Guida ANAC, venissero specificati in relazione all’illecito professionale, i mezzi di prova valutabili dalle stazioni appaltanti) è stato soppresso in considerazione della circostanza che, con l’art. 98 che tipizza l’illecito professionale, si è a ciò provveduto: nel rinviare alla specifica relazione su detto art. 98 per una più puntuale disamina, sembra utile osservare - con più specifico riferimento agli illeciti professionali “riferibili” a condotte integranti reato - che la tipizzazione degli elementi valutabili dal soggetto nel cui interesse è bandita la gara costituisce una rilevante novità della disciplina complessiva e - fermo restando che l’endemico margine di discrezionalità spettante a ciascun soggetto nel cui interesse è bandita la gara potrà condurre a valutazioni difformi pur a fronte del medesimo fatto e del medesimo compendio probatorio - dovrebbe essere utile ad attenuare l’impatto del contenzioso ed a riducendo i margini di incertezza;
b) la ratio della mancata riproposizione del comma 14 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016 è la invece seguente: come è noto, alcuna previsione corrispondente in materia di subappalto è contenuta nella direttiva n. 24/2014. La tematica è particolarmente delicata per evidenti ragioni di tutela della trasparenza degli affidamenti ed è parimenti noto il dibattito nazionale che, a tratti, ha addirittura messo in dubbio la stessa sopravvivenza dell’istituto.
Dopo approfondita discussione la Commissione ha suggerito di conservare nel codice, inalterata, detta previsione (in particolare è stata considerata non meritevole di positiva delibazione -, stante la particolare “sensibilità” della materia del subappalto- sia la radicale ipotesi di sopprimere detto comma, sia quella di restringerne la portata facendo riferimento alle sole cause di esclusione “automatica”).
Si è ritenuto, tuttavia, che la “sede” propria della predetta disposizione andasse diversamente individuata posto che, tecnicamente, non ricorrerebbe una vera e propria causa di “esclusione” dell’operatore economico; il principio ivi contenuto si rinviene al comma 4, lett. b), dello specifico articolo (119) “dedicato” al subappalto.