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Articolo 137 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Risoluzione del concordato

Dispositivo dell'art. 137 Legge fallimentare

(1) Se le garanzie promesse non vengono costituite o se il proponente non adempie regolarmente gli obblighi derivanti dal concordato, ciascun creditore può chiederne la risoluzione (2).

Si applicano le disposizioni dell'articolo 15 in quanto compatibili.

Al procedimento è chiamato a partecipare anche l'eventuale garante.

La sentenza che risolve il concordato (3) riapre la procedura di fallimento ed è provvisoriamente esecutiva.

La sentenza è reclamabile ai sensi dell'articolo 18.

Il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto nel concordato.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti dal proponente o da uno o più creditori con liberazione immediata del debitore (4).

Non possono proporre istanza di risoluzione i creditori del fallito verso cui il terzo, ai sensi dell'articolo 124, non abbia assunto responsabilità per effetto del concordato.

Note

(1) Articolo modificato dal d.lgs. 5/2006 e poi così sostituito con d.lgs. 169/2007.
(2) Secondo la giurisprudenza se il concordato fallimentare risulta già adempiuto, la risoluzione non si può più chiedere.
Va sottolineato che la riforma del 2006-07 ha circoscritto il diritto a chiedere la risoluzione del concordato ai soli creditori, in modo da escludere qualsiasi provvedimento assunto d'ufficio.
(3) La risoluzione può pronunciarsi da parte del tribunale solo dopo aver accertato l'inesecuzione del concordato: l'autorità giudiziaria non può compiere altre valutazioni di merito.
(4) Devono tenersi distinti i due casi:
- se l'assunzione del concordato è avvenuta con liberazione del fallito, l'inadempienza del terzo assuntore non può essere causa di risoluzione del concordato;
- se, invece, il fallito non è stato liberato, si avrà una ipotesi di accollo cumulativo (art. 1273 del c.c.) e non di novazione (art. 1235 del c.c.).
Ovviamente, l'assuntore che non adempie è sempre responsabile per i danni che cagiona ai creditori.

Rel. ill. riforma fall. 2007

(Relazione Illustrativa al decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169)

9 L’articolo 9 del decreto legislativo reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo VIII della legge fallimentare.
Il comma 10 sostituisce l’art. 137 del r.d.
Il comma primo del nuovo art. 137 riserva ai soli creditori la legittimazione a chiedere al risoluzione del concordato: la modifica è coerente con l’impostazione di fondo della disciplina del concordato accolta dalla riforma e con la scelta di abolire, in linea di principio, l’iniziativa officiosa del tribunale.
Il comma secondo richiama le disposizioni dell’art. 15, in quanto compatibili, onde omologare il procedimento allo schema uniforme del rito camerale.
Il comma terzo prevede, come già il precedente testo, la partecipazione necessaria del garante al procedimento.
Il comma quarto prevede che la pronuncia con cui si risolve il concordato e si riapre il fallimento ha forma di sentenza, analogamente a quanto si prevede per la pronuncia con cui si dichiara il fallimento e per quella con cui lo si riapre a norma dell’art. 121.
I commi quinto, sesto, settimo e ottavo riproducono sostanzialmente i corrispondenti attuali commi terzo, quarto, quinto e sesto, salvo le necessarie variazioni di carattere formale.

Massime relative all'art. 137 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 2672/2012

La dichiarazione di risoluzione del concordato fallimentare, che sia stato omologato anteriormente alla modifica dell'art. 137 legge fall., quale introdotta dal D.L.vo n. 169 del 2007 ed entrata in vigore il 1 gennaio 2008, è assoggettata alle nuove disposizioni, in quanto l'art. 22 del cit. D.L.vo, per il quale la novella si applica alle procedure di concordato fallimentare aperte dopo la sua entrata in vigore, va inteso siccome riferito al procedimento che viene definito con il provvedimento di omologazione e non anche all'autonoma fase della risoluzione, per la quale dunque vige l'ordinario principio del "tempus regit actum"; ne consegue che la relativa iniziativa può essere assunta solo da un creditore e non d'ufficio da parte del tribunale. (Principio affermato dalla S.C. che, affermando l'illegittimità della dichiarazione di risoluzione del concordato fallimentare, per carenza di legittimazione del curatore, ha formulato tale rilievo d'ufficio, avendo l'impugnazione nel merito della pronuncia di primo grado precluso la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione "ad causam").

Cass. civ. n. 13900/2003

In tema di fallimento, il combinato disposto degli artt. 124, comma secondo e 137 legge fall. va interpretato nel senso che l'obbligatorietà della convocazione in camera di consiglio, in ipotesi di risoluzione del concordato fallimentare, si estende anche al soggetto che, come patto di concordato, abbia prestato fideiussione a favore dell'assuntore, venendosi quegli a trovare, ai fini dell'(in) adempimento, nella stessa posizione nella quale si trova il garante rispetto al fallito.

Cass. civ. n. 3499/2003

Soltanto il provvedimento che risolve il concordato fallimentare è una sentenza, impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., mentre, in caso di rigetto della richiesta di risoluzione del concordato, il tribunale deve pronunciarsi con decreto, reclamabile alla Corte d'appello ex art. 739 c.p.c.; ne consegue che ove il giudice erroneamente pronunci il rigetto con “sentenza”, il mezzo di impugnazione contro la stessa esperibile non è il ricorso straordinario per cassazione (il quale, se proposto, deve essere dichiarato inammissibile), dovendo escludersi che, in relazione al detto provvedimento, possa parlarsi di definitività (di assenza, cioè, di ogni rimedio nell'ambito processuale) dell'ordimamento processuale.

Cass. civ. n. 9528/2000

In tema di risoluzione del concordato fallimentare, l'art. 137 L. fall., prevedente che, prima della relativa pronuncia, il debitore e i suoi fideiussori compaiono dinanzi al tribunale, non va inteso nel senso che sia richiesta necessariamente la previa comparizione dinanzi al Tribunale nella sua composizione collegiale, essendo sufficiente che il debitore e i fideiussori siano previamente invitati a comparire dinanzi al giudice delegato.

Cass. civ. n. 10095/1996

Il decreto con cui il tribunale rigetti l'istanza del creditore tendente alla risoluzione del concordato fallimentare (o di quello preventivo) non è impugnabile con ricorso per cassazione, a norma dell'art. 111 della Costituzione, trattandosi di provvedimento che non decide in via definitiva e diretta su un diritto soggettivo del creditore, il quale, oltre a beneficiare dell'eventuale modifica o revoca del decreto, ha la possibilità di riproporre l'istanza di risoluzione, ovvero di formulare autonome domande di condanna nei confronti del fallito tornato in bonis, del garante del concordato o dell'assuntore dello stesso.

Cass. civ. n. 157/1996

Nel giudizio di risoluzione del concordato fallimentare per inadempimento degli obblighi concordatari, il tribunale non ha altro compito né altro potere che quello di accertare se il concordato sia stato eseguito, o meno, nei termini e con le modalità stabiliti nella sentenza di omologazione, senza alcun margine di discrezionalità in ordine alla valutazione della gravità o all'imputabilità dell'inadempimento.

Cass. civ. n. 9118/1987

La disposizione dell'art. 137 della legge fallimentare secondo cui la risoluzione del concordato non può essere pronunciata trascorso un anno dalla scadenza dell'ultimo pagamento, deve essere interpretata nel senso che per l'osservanza del menzionato termine di decadenza, deve aversi riguardo unicamente alla pronuncia del provvedimento di risoluzione, con la conseguenza che questo non può essere adottato dopo la sua scadenza, ancorché la relativa domanda sia stata anteriormente proposta.

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