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Articolo 444 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 04/04/2024]

Commercio di sostanze alimentari nocive

Dispositivo dell'art. 444 Codice Penale

Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo(1) sostanze destinate all'alimentazione, non contraffatte né adulterate(2), ma pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 51.

La pena è diminuita se la qualità nociva delle sostanze è nota alla persona che le acquista o le riceve(3).

Note

(1) Rispetto al porre in commercio, la distribuzione si pone come condotta residuale, intendendosi per tale la la consegna delle sostanze alimentari nocive al pubblico, al di fuori però di operazioni commerciali in senso stretto.
(2) Si tratta di tutte quelle sostanze destinate all'alimentazione, di conseguenza vi rientra anche l'acqua, caratterizzate dalla genuinità. Ciò significa che non sono state modificate nella loro essenza o create con un composizione diversa, ma semplicemente per ragioni di conservazione si sono guastate, decomposte o rovinate. Non vi rientrano però i medicinali, ai quali si applicano gli artt. 441 e 443.
(3) Si ritiene necessaria per l'applicazione di tale circostanza attenuante speciale della mera consapevolezza della pericolosità in capo al soggetto che le acquista o riceve, non richiedendosi dunque la natura non fraudolenta dell condotta.

Ratio Legis

La disposizione in esame tutela la salute pubblica, considerata quale insieme di condizioni di igiene e sicurezza della vita e dell'integrità fisica o salute della collettività, messa in pericolo dalla diffusione di bene e alimenti nocivi.

Spiegazione dell'art. 444 Codice Penale

Essendo questa una norma di complemento, gli alimenti di cui trattasi sono per lo più sostanze avariate o alterate o comunque diventate pericolose per fatto spontaneo di natura. Non può tuttavia escludersi che la causa dipenda dall'intervento dell'uomo.

Dato l'inserimento esplicito del pericolo per la salute pubblica tra gli elementi tipici della fattispecie si evince che trattasi di reato di pericolo concreto, anche se negli anni c'è chi ha ipotizzato che il reato sarebbe configurabile anche nel caso di commercializzazione di alimenti prodotti o conservati in condizioni difformi da quanto prescritto dalle varie leggi disciplinanti le soglie di idoneità normativa, sempre che la ratio del divieto sia ispirata a valutazioni igienico-sanitarie, asserendo che in simili ipotesi sia il legislatore stesso a presumere l'esistenza del pericolo.

La lesione del bene giuridico tutelato deve quindi manifestarsi come pericolo concreto proveniente dall'alimento. Si può quindi asserire che tale norma copra quella “zona grigia” lasciata dai precedenti articoli, qui rappresentata da qualsiasi sostanza destinata all'alimentazione umana, incluse le acque alimentari. Manca infatti un esplicito riferimento, come nell'art. 440, alle “acque”, ciò non toglie che possano essere agevolmente incluse, come del resto ha confermato la Suprema Corte, precisando che la differenza sostanziale tra il reato di cui all'art. 440 e quello di cui all'art. 444 risiede solamente nell'attività posta in essere dall'agente, e non anche nella natura delle sostanze prese in considerazione dalla due disposizioni.

Delineando ulteriormente i confini applicativi, la giurisprudenza e propensa ad includere nel novero solo le sostanze “pronte all'uso” e non quelle che abbisognano di uno speciale trattamento, come pure quelle che, adulterate o contraffatte in precedenza, non siano state ab origine pericolose per la salute pubblica, ma lo siano diventate sono in seguito per essersi guastate, corrotte e decomposte.

Il pericolo per la salute consiste in una immediata nocività dell'alimento, vale a dire nella sua concreta ed effettiva idoneità di produrre effetti patologici, con esiti potenzialmente letali, o comunque gravi e inoltre si e affermato che tale potenzialità nociva deve essere già esistente al momento della vendita o della detenzione per la vendita, a nulla rilevando che essa si manifesti in un momento successivo.

È stato di recente precisato che la presente disposizione e norma penale in bianco, rivestita di contenuti in base a norme extrapenali integratrici del precetto penale, le quali possono essere emanate anche da autorità amministrative o sovranazionali, che dettano disposizioni regolatrici o impongono divieti anche in base ad accertamenti tecnici relativi a situazioni storiche determinate, di modo che, dato il carattere temporaneo di efficacia di dette norme, la punibilità della condotta non dipende dal momento in cui viene emessa la decisione, bensì dal momento in cui avviene l'accertamento in concreto, escludendo in tal guisa il principio di applicabilità della legge più favorevole.

L'elemento psicologico e rappresentato dalla coscienza e volontà di detenere per il commercio, porre in commercio o distribuire per il consumo sostanze destinate all'alimentazione, con la consapevolezza di tale destinazione, nonché del pericolo derivante dalla consumazione del prodotto; non e richiesta la certezza relativa alla dannosità dell'alimento, mentre per contro l'ipotesi colposa e disciplinata dall'art. 452.

Sempre in relazione all'elemento psicologico, può destare qualche dubbio la necessita che il commerciante debba essere in grado di apprezzare la pericolosità derivante dalle condizioni in cui versa il prodotto. A rigore, non si può ammettere che versi in dolo colui che ignora la pericolosità della propria condotta (a meno che non si accetti la configurabilità dell'art. 444 anche come reato di pericolo astratto). Si può ad esempio immaginare che il venditore sia benissimo a conoscenza che il prodotto contenga una certa sostanza e che questa, in base alle conoscenze scientifiche del momento, non risulti inizialmente nociva, ma solo in seguito.

L'oggettività materiale del reato e sicuramente perfezionata, ma lo stesso non può dirsi per l'elemento psicologico. E in casi come questo che dovrà tenersi conto delle specifiche conoscenze tecnico-scientifiche che possono pretendersi dai vari soggetti operanti nel settore alimentare, venendo in gioco la figura del dolo eventuale, o piuttosto della colpa aggravata, concetti che serviranno a determinare il livello di rappresentazione del pericolo all'interno della psiche del soggetto agente.

Pare corretto ritenere che il dolo eventuale giochi un ruolo non privo di importanza, soprattutto in relazione alle diverse figure di reato previste a tutela della pubblica incolumità. Sembra lapalissiano che l'elemento psicologico concernente il dolo eventuale sarà giudicato diversamente in fattispecie connotate da fraudolenza, come quella di cui all'art. 440, dovendosi dare il giusto peso al fatto di chi deliberatamente interviene in maniera fraudolenta sull'alimento, accettando conseguentemente tutti i rischi connessi alla propria condotta.

In ultima analisi, il secondo comma dell'art. 444 prevede una attenuazione della pena nel caso in cui l'acquirente sia a conoscenza della nocività della sostanza. Sinceramente non si comprende appieno la ratio di tale comma, in quanto il bene giuridico oggetto di tutela e l'incolumità pubblica e non solamente la salute del singolo consumatore. Quest'ultimo non può quindi disporne tramite la sua acquiescenza.

Massime relative all'art. 444 Codice Penale

Cass. pen. n. 3457/2014

Il reato di commercio di sostanze alimentari nocive è reato di pericolo per la cui sussistenza è necessario che gli alimenti abbiano, in concreto, la capacità di arrecare danno alla salute, la quale non necessariamente deve essere accertata tramite indagini peritali.

Cass. pen. n. 17979/2013

In tema di reati contro l'incolumità pubblica, tra l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 440 c.p. (adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari) e quella di cui all'art. 444 c.p. (commercio di sostanze alimentari nocive) la differenza sostanziale non risiede nella natura delle sostanze prese in considerazione, bensì nell'attività posta in essere dal soggetto agente, considerato che l'elemento materiale della prima ipotesi è costituito dall'opera di corruzione o adulterazione delle sostanze alimentari destinate all'alimentazione o al commercio, mentre l'elemento oggettivo della seconda consiste nella detenzione per il commercio o nella distribuzione per il consumo di sostanze che non siano state contraffatte o adulterate ma che siano, comunque, pericolose per il consumatore, di guisa che il carattere nocivo della sostanza non dipende in quest'ultima ipotesi da una "immutatio" tra quelle descritte nella prima ipotesi (alterazione, corruzione, adulterazione), ma da altre cause, quali ad esempio il cattivo stato di conservazione la provenienza delle carni da animali malati. Ne consegue che, pur costituendo entrambe le fattispecie criminose delitti di pericolo concreto che richiedono l'accertamento in concreto dello stato di pericolo - ancorché la sostanza pericolosa non abbia causato danno - trattasi di ipotesi non compatibili nel senso che esse possono ricorrere solo in via alternativa.

Cass. pen. n. 11500/2011

L'integrazione della fattispecie criminosa di commercio di sostanze alimentari nocive richiede che le sostanze destinate all'alimentazione siano già potenzialmente e concretamente nocive al momento della vendita o della detenzione per la vendita, a nulla rilevando, invece, che lo diventino in un secondo momento per cause successive ed estranee alla volontà del reo. (Nella specie si trattava di carne di agnello posta in vendita nei banchi di un supermercato, debitamente confezionata con cellophane, la prova del cui ammaloramento all'atto della vendita era incerta).

Cass. pen. n. 26518/2008

È configurabile il concorso tra il reato di messa in commercio di sostanze alimentari nocive e quello di messa abusiva in commercio di sostanze dopanti, in quanto si tratta di fattispecie poste a tutela di beni giuridici diversi.

Tra le sostanze alimentari nocive di cui l'art. 444 c.p. vieta la messa in circolazione rientrano i cosiddetti integratori alimentari, mentre sono escluse da tale nozione le sostanze medicinali.

Cass. pen. n. 19107/2006

La fattispecie di cui all'art. 444 c.p. è norma penale in bianco, rivestita di contenuti in base a norme extrapenali integratrici del precetto penale, che possono essere emanate anche da autorità amministrative o sovranazionali, le quali dettano disposizioni regolatrici od impongono divieti anche in base ad accertamenti scientifici relativi a situazioni storiche determinate; dal carattere eccezionale e dall'efficacia temporanea di tali disposizioni consegue che la punibilità della condotta non dipende dal momento in cui viene emessa la decisione, ma dal momento in cui avviene l'accertamento, con esclusione dell'applicabilità del principio di retroattività della legge più favorevole. (Nel caso di specie, le disposizioni di un D.M. integratrici del precetto prevedevano il divieto di commercializzazione di carne di bovino adulto, in base ad accertamenti che avevano indicato come pericolose per la salute determinate condizioni di età dell'animale, legate a fatti contingenti; vincoli poi superati dal Regolamento comunitario n. 1974 del 2005).

Cass. pen. n. 7032/2000

Allorché nella condotta tenuta siano ritenuti sussistenti gli estremi della pericolosità per la salute pubblica, è esclusa l'applicabilità degli artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962, restando le relative contravvenzioni assorbite nei delitti previsti dagli artt. 444 e 452 c.p.

Corte cost. n. 291/1998

È costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 60 della L. 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui esclude che le sanzioni sostitutive si applichino al reato di cui all'art. 444 c.p.

Cass. pen. n. 1430/1997

In tema di delitti contro l'incolumità pubblica, nel caso di importazione nel territorio della Repubblica di prodotti alimentari nocivi, deve ritenersi sussistente la responsabilità penale dell'importatore, in relazione al reato di cui agli artt. 444 e 452 c.p. (colposa messa in commercio di sostanze alimentari nocive). Ed invero, l'art. 12 della legge 30 aprile 1962, n. 283 — stabilendo che «è vietata l'introduzione nel territorio della Repubblica di qualsiasi sostanza destinata all'alimentazione non rispondente ai requisiti prescritti dalla presente legge» — parifica gli obblighi, posti a carico degli importatori, a quelli di coloro che producono prodotti alimentari sul territorio nazionale. Siffatta responsabilità risulta precisata nel regolamento di esecuzione della legge citata, che all'art. 72 del D.P.R. 26 marzo 1980, n. 327 (come sostituito dall'art. 11 del D.P.R. 8 maggio 1985, n. 254) dispone che «gli importatori di sostanze alimentari sono responsabili della natura, del tipo, della quantità, della omogeneità, dell'origine dei prodotti presentati all'importazione nonché della rispondenza dei requisiti igienico-sanitari previsti dalle vigenti disposizioni in materia di sostanze alimentari». Deve quindi ritenersi che, a carico dell'importatore, sia posta una responsabilità molto più specifica di quella del commerciante al dettaglio, dovendo egli accertare la rispondenza della normativa sanitaria dei prodotti con controlli, non soltanto formali ed esterni, ma tali da garantire la qualità del prodotto anche se importato in confezioni originali.

Cass. pen. n. 1367/1996

In tema di commercio di sostanze alimentari nocive, il rapporto fra gli artt. 444 e 452 c.p. e il decreto del Ministro della Sanità 9 dicembre 1993, che fissa il limite massimo di mercurio tollerabile nei prodotti ittici, va risolto alla luce del principio secondo cui norme penali in bianco sono quelle che, contenendo già un precetto e una sanzione, rinviano a un atto normativo di grado inferiore o a un provvedimento della pubblica amministrazione o a legge extrapenale, la specificazione o integrazione del contenuto del precetto. (Fattispecie in cui l'imputato aveva posto in commercio pesce smeriglio ritenuto nocivo per la salute pubblica in quanto avente concentrazione di mercurio superiore a quella prevista dal citato decreto ministeriale).

In tema di commercio di sostanze alimentari nocive, la differenza fra i delitti di cui agli artt. 444 e 452 c.p., da una parte, e la contravvenzione prevista dall'art. 5, lett. d), L. 30 aprile 1962, n. 283, dall'altra, sta nel fatto che i primi puniscono le condotte in essi descritte, relative a sostanze destinate alla alimentazione non contraffatte né alterate, mentre la seconda attiene alla disciplina igienica e alla composizione nutritiva delle sostanze utilizzate per preparare alimenti e bevande, e, per questo, ha carattere sussidiario rispetto agli altri, dai quali viene assorbita allorquando dette sostanze abbiano reale attitudine a recare nocumento alla salute pubblica a seguito della loro contraffazione o alterazione.

L'elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 444 c.p. è costituito dal dolo generico, ravvisabile nella volontarietà del commercio di sostanze alimentari nocive, conoscendone la loro pericolosità per la salute pubblica. Trattasi di dolo che può essere anche eventuale, quando l'autore del fatto abbia accettato il rischio che le sostanze dannose messe in commercio vengano effettivamente destinate all'alimentazione umana.

Cass. pen. n. 9823/1995

Il reato di cui all'art. 21 comma 1 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, ipotizzabile a carico di chi fornisce al consumo umano acque non potabili, ha natura sussidiaria rispetto ad altri reati più gravi eventualmente configurabili, integrando un aspetto sanzionatorio residuale posto a tutela dei requisiti dell'acqua destinata al consumo umano. Poiché la nozione di non potabilità dell'acqua non va confusa con quella di nocività dell'acqua, ne consegue che, qualora ricorrano gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 444 c.p. — commercio di sostanze alimentari nocive — l'applicazione di tale ultima norma non può ritenersi esclusa in base al principio di specialità: e ciò, non solo perché trattasi di ipotesi delittuosa più grave rispetto a quella contravvenzionale di cui al citato D.P.R. n. 236 del 1988, ma anche perché le due norme sono preordinate ad assolvere una funzione legale diversa, essendo la prima diretta alla tutela del bene giuridico della salute pubblica, e la seconda a garantire la qualità dell'acqua anche sotto il profilo della potabilità.

Cass. pen. n. 11395/1993

In materia di delitti di comune pericolo mediante frode, deve escludersi ogni rilievo della distinzione tra alimenti e sostanze destinate all'alimentazione. Infatti, mentre l'art. 440 c.p., sotto la rubrica «adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari, fa indistintamente riferimento alle “sostanze destinate all'alimentazione” (primo comma) e alle “sostanze alimentari” (secondo comma), l'art. 444 dello stesso codice, sotto la rubrica “commercio di sostanze alimentari nocive”, si riferisce nel suo testo alle “sostanze destinate all'alimentazione” senza in alcun modo menzionare le sostanze alimentari». (Riferimento ad un'ipotetica somministrazione a bovini da stalla di sostanze stilbeniche e di sostanze ad azione tireostatica).

Cass. pen. n. 6930/1992

Il delitto di cui all'art. 444 c.p. va inquadrato nella categoria dei reati di pericolo concreto, nel senso che le sostanze alimentari abbiano idoneità ad esporre effettivamente a pericolo la salute pubblica; la pericolosità degli alimenti, cioè la possibilità che da essi derivi pregiudizio al bene tutelato dalla norma, non può, dunque, essere valutata astrattamente come situazione meramente ipotetica, sibbene deve essere fatta sulla base di accertamento tramite gli strumenti probatori adeguati alle singole sostanze alimentari collegate a sospetto.

In tema di commercio di sostanze alimentari nocive, l'accertamento della loro pericolosità, benché spesso abbia bisogno di indagini peritali, può tuttavia compiersi da parte del giudice ricorrendo a qualsiasi mezzo di prova e alle nozioni di comune esperienza, senza che occorra la certezza che il nocumento abbia realmente a verificarsi e bastando, sotto il profilo psicologico, la volontà del commercio di sostanze alimentari nocive e la consapevolezza del pericolo che può essere arrecato. (Nella specie era stata rilevata la presenza di salmonelle di tipo b in campioni di carne ma il giudice di merito aveva dubitato della sussistenza del pericolo per la salute pubblica sul rilievo che mancava l'analisi della carica microbica contenuta nella carne, ritenendo che la pericolosità dipendesse da quest'ultima; la Cassazione, nell'affermare il principio di cui in massima, ha annullato con rinvio la relativa sentenza osservando che la stessa non aveva considerato la presenza degli agenti patogeni rappresentati dalle salmonelle e la eventualità della loro nocività per l'organismo umano, indipendentemente dalla carica microbica, precisando inoltre che patogeno è ciò che ha in sé capacità di generare fenomeni morbosi indipendentemente dalla sua entità, ossia dalla sua virulenza, giacché il concetto di patogeno è pur sempre relativo, essendo esso determinato da più fattori eziologici che si condizionano a vicenda).

Cass. pen. n. 118/1990

La detenzione di carne avariata nel frigorifero destinato alla conservazione delle sostanze in commercio integra di per sé l'ipotesi del delitto di commercio di sostanze alimentari nocive, di cui all'art. 444 c.p., essendo necessario e sufficiente per l'imputabilità di tale reato la consapevolezza del detentore che le sostanze sono pericolose.

Cass. pen. n. 16492/1989

Il reato di cui all'art. 444 c.p. rientra nella categoria dei reati di pericolo, per cui è sufficiente l'esposizione a pericolo del bene tutelato. Non è richiesta quindi la sussistenza di atti effettivi di commercio della merce nociva, destinata all'alimentazione essendo sufficiente la detenzione per il commercio di tale merce. Ne deriva che non è necessaria l'esposizione della merce sui banchi di vendita, basta che questa sia detenuta in qualsiasi luogo connesso con l'attività commerciale e quindi anche nella ghiacciaia o frigorifero.

Cass. pen. n. 6583/1989

L'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 444 c.p. (commercio di sostanze alimentari nocive) configura un reato di pericolo, per la sussistenza del quale occorre che le sostanze di cui si vuole far commercio abbiano attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica. Tale attitudine, tuttavia, non può consistere in un pericolo meramente ipotetico, essendo necessario un pericolo concreto il quale deve essere oggetto di specifico accertamento che, per quanto non abbisognevole di indagini peritali — potendo il giudice compierlo ricorrendo a qualsiasi mezzo di prova e alle nozioni di comune esperienza — non può, però, ritenersi eseguito con il semplice richiamo all'inosservanza di precetti e regole dettati per la commerciabilità di alcune sostanze alimentari. (Fattispecie in tema di messa in commercio di carne priva del bollo sanitario).

Cass. pen. n. 1729/1989

Ai fini della sussistenza del dolo è sufficiente la volontarietà del commercio di sostanze alimentari nocive e la consapevolezza del pericolo che può essere arrecato, non essendo anche richiesta la certezza della dannosità del prodotto.

Cass. pen. n. 3778/1987

Il delitto di cui all'art. 444 c.p. va inquadrato nella categoria dei reati di pericolo concreto nel senso che per la sussistenza dell'ipotesi criminosa è necessario che le sostanze alimentari abbiano idoneità ad esporre effettivamente a pericolo la salute pubblica, pur se non occorre che il nocumento abbia realmente a verificarsi. Pertanto, la pericolosità degli alimenti, e cioè la possibilità che da essi derivi pregiudizio al bene tutelato dalla norma, non può essere valutata astrattamente come situazione meramente ipotetica, ma deve essere resa oggetto di accertamento tramite gli strumenti probatori adeguati e pertinenti alle sostanze allegate a sospetto.

Cass. pen. n. 6224/1986

Il delitto previsto dall'art. 444 c.p. è un reato di mero pericolo, ma non di pericolo presunto, per cui la sua sussistenza va accertata caso per caso. Ne consegue che nel caso di raccolta di molluschi in acque non ancora classificate e quindi da considerarsi precluse alla libera raccolta degli stessi e dei lamellibranchi, ai fini del più grave reato previsto dal codice penale rispetto alla violazione dell'art. 4, settimo comma della L. del 1977, n. 192, occorre un accertamento specifico della pericolosità dei prodotti raccolti.

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F. B. chiede
mercoledì 31/08/2022 - Puglia
“Buongiorno.
Avrei bisogno di una consulenza relativa alla possibilità di prescrizione in ordine ai reati degli articoli 113, 444, 452 c.p.
In particolare mi è stata riconosciuta, in qualità di responsabile delle procedure HACCP, la colpa "dovuta a mancata o insufficiente valutazione dei rischi derivanti dall'individuazione del relativo pericolo di contaminazione superficiale da Salmonella, utilizzando uova fresche, in modo pericoloso per la salute pubblica, per la produzione di maionese e salse a base di maionese da impiegare per la composizione di preparazioni gastronomiche presenti a menù, così procurando sindrome da tossinfezione acuta sugli avventori e agli alimentaristi del ristorante che vi avevano cosumato dei pasti...".Il reato è stato commesso tra il 1 e il 5 Novembre 2017.
Per dovere di cronaca è giusto che vi dica che mi ritrovo imputato solo ed esclusivamente per aver messo una firma, ai tempi, sul verbale di ispezione dei Nas, ma che tuttavia non ero nè responsabile HACCP nè tantomeno alimentarista ma un semplice addetto di cassa di un ristorante, che in assenza dei dovuti responsabili nel momento dell'ispezione è stato solo testimone. Il procuratore che ha seguito le indagini quindi in maniera molto superficiale (secondo me non ha aperto nemmeno il fascicolo dove i Nas stessi dichiaravano che al momento dell'ispezione il sign. X rappresentava un semplice testimone dell'avvenuta ispezione ma che non risultava essere nè responsabile legale del ristorante ,nè tantomeno responsabile Haccp).
Da qui nacque subito la mia volontà a che il processo partisse immediatamente, ma purtroppo dall'Agosto 2019, momento in cui ho ricevuto l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, con relativa imputazione, ad oggi, non è ancora partito nulla.
Da allora ho fatto pressioni al mio avvocato affinché venga sollecitato l'avviamento in quanto ho la certezza provata della mia totale estraneità ai fatti, ma causa covid e nota lentezza della macchina giudiziaria è ancora tutto fermo.
Il mio avvocato, non so per quale motivo, mi ha sempre sconsigliato di sollecitare il tribunale e quindi visto il tempo già trascorso mi ha detto che sarebbe più ragionevole attendere la prescrizione del reato. Tutto ciò avrei potuto avvallarlo se mi avesse quantomeno detto a grandi linee qual è il termine di prescrizione per i reati a me ascritti, ma purtroppo a questa domanda non ho mai ricevuto una risposta.
In più questo carico pendente più di una volta è stato di ostacolo alla mia vita professionale.
Pertanto, alla luce di quello che vi ho raccontato, trascorsi già quasi 5 anni dal fatto in questione, quanto tempo mancherebbe ad una possibile prescrizione dei reati?

Grazie”
Consulenza legale i 03/09/2022
Cominciamo col calcolo dei termini di prescrizione.

In primo luogo, va detto che l’ art. 113 del c.p. non è una fattispecie di reato ma si limita a disciplinare la fattispecie della cooperazione colposa nel delitto. Pertanto, non sorge un problema di prescrizione.

Per quanto riguarda, invece, l’ art. 444 del c.p. lo stesso ha ha un termine massimo di prescrizione di 7 anni e mezzo, cui eventualmente andranno aggiunti ipotetici periodi di sospensione.

Anche l’ art. 452 del c.p., dal canto suo, non costituisce una fattispecie autonoma di reato, limitandosi a rendere possibile l’imputazione colposa di alcuni delitti contro la pubblica incolumità che, altrimenti, sarebbero stati punibili solo a titolo di dolo (diritto penale)

Stando così le cose, nel caso di specie la prescrizione dovrebbe decorrere intorno alla metà del 2025.

Possiamo, inoltre, fare alcune valutazioni di massima sul caso di specie.

Da un lato, a fronte del decorso di un lasso temporale così lungo dalla commissione del fatto, la strategia di attendere che la giustizia faccia il suo corso, così evitando di sollecitare l’accusa e sperando nel decorso della prescrizione, è sicuramente ragionevole e intelligente.
Ciò soprattutto nel periodo storico attuale, in cui più di un Tribunale ha difficoltà a celebrare i processi a causa della mancanza di magistrati.

D’altra parte, se davvero, nel caso di specie, non sussistono profili di rilevanza penale e, anzi, l’innocenza dell’imputato è così eclatante (cosa che sembra evincersi, seppur succintamente, dalla breve narrazione dei fatti nella richiesta di parere), va detto che la vicenda processuale avrebbe potuto vedere la fine attraverso il deposito, a seguito dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, si una memoria ai sensi dell’ art. 415 bis del c.p.p..
Attraverso la stessa, invero, si sarebbe potuta sollecitare l’attenzione del magistrato inquirente sul singolo soggetto imputato, la cui estraneità è potuta sfuggire a seguito di una valutazione sommaria del fascicolo processuale.