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Articolo 133 bis Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Condizioni economiche e patrimoniali del reo; valutazione agli effetti della pena pecuniaria

Dispositivo dell'art. 133 bis Codice Penale

Nella determinazione dell'ammontare della multa o dell'ammenda il giudice deve tener conto, oltre che dei criteri indicati dall'articolo precedente, anche delle condizioni economiche e patrimoniali del reo(1).

Il giudice può aumentare la multa o l'ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o diminuirle sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche e patrimoniali del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa(2)(3).

Note

(1) La norma, introdotta dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, pone, come criterio ulteriore da considerare nella commisurazione della pena pecuniaria, oltre agli indici normativi della gravità del reato e della capacità a delinquere previsti dall'art. 133 del c.p.,le condizioni economiche del reo.
(2) Per quanto riguarda l'aumento, si tratta sempre di una decisione rientrante in quelle adottabili discrezionalmente dal giudice, mentre in caso di riduzione della pena pecuniaria, possibilità garantita dopo l'intervento legislativo del 1981, il soggetto che la richiede deve allegare una documentazione atta ad attestare la propri condizione economica.
(3) Tale disposizione è stata modificata dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia").

Ratio Legis

La funzione propria della disposizione in esame si rinviene nella considerazione imprescindibile delle condizioni economiche in relazione alla commisurazione di pene pecuniarie.

Spiegazione dell'art. 133 bis Codice Penale

Ad ulteriore complemento dell'art. 132 relativo al potere discrezionale del giudice in merito alla determinazione della pena, cui già si associa l'elenco dei parametri di valutazione di cui all'art. 133, qui il legislatore specifica che, solo per quanto riguarda la quantificazione delle pene della multa e dell'ammenda, il giudice deve tener conto anche delle condizioni economiche del reo.

Tali condizioni non possono dunque rilevare ai fini della determinazione delle pene di natura detentiva, in quanto ciò si porrebbe in insanabile contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3.

Tuttavia, per quanto riguarda le pene pecuniarie, la valutazione delle condizioni economiche del reo non è da ritenersi in contrasto con il principio di cui sopra, anzi, sarebbe irragionevole condannare il soggetto abbiente ed il soggetto non abbiente alla stessa pena pecuniaria, dato che nei confronti del colpevole agiato non vi sarebbe quasi alcun effetto deterrente né punitivo.

Allo stesso modo, sanzionare con un pena pecuniaria troppo elevata il soggetto non abbiente non solo potrebbe rivelarsi come una misura più afflittiva della pena detentiva stessa, ma potrebbe altresì indurlo a commettere altri reati al fine di pagare la multa o l'ammenda.

Per tali motivi si prevede al secondo comma che il giudice possa aumentare la pena pecuniaria fino al triplo o diminuirla fino ad un terzo quando ritenga che la misura massima sia inefficace o che quella minima sia eccessivamente gravosa date le condizioni economiche del reo.

In questi il giudice, va precisato, può addirittura spingersi oltre il limiti massimi previsti dagli artt. 24 e 26 rispettivamente per la multa e per l'ammenda.

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
La commisurazione della pena pecuniaria alle effettive condizioni economiche e patrimoniali del condannato è presupposto essenziale dell’applicazione della pena giusta, in quanto proporzionata alle reali capacità del condannato e funzionale agli obiettivi di prevenzione speciale. Il giudice di cognizione è chiamato a un compito di importanza ancor più fondamentale in un sistema che irrigidisce la disciplina della conversione della pena pecuniaria, estendendola al caso dell’insolvenza.


La base di calcolo della durata delle pene limitative della libertà personale, applicate in caso di conversione della pena pecuniaria, dipende anche e proprio dall’ammontare della pena pecuniaria, sulla base dei criteri di cui all’art. 133 bis c.p. Di qui, anche per eventuali esigenze di proporzione, che dalla pena pecuniaria possono estendersi a pene da conversione più afflittive, la necessità di una attenta commisurazione e individualizzazione del trattamento sanzionatorio, sorretta da adeguata motivazione (spesso nella prassi ridotta a clausole di stile) e corroborata dall’acquisizione di elementi di prova.


Non va dimenticato, infatti, che ai sensi dell’art. 187, co. 1 c.p.p. sono oggetto di prova anche i fatti che si riferiscono alla determinazione della pena.
In dottrina e in giurisprudenza è risultata dubbia la rilevanza del patrimonio, rispetto alle condizioni economiche del reo. È allora opportuno, anche per esigenze di coerenza sistematica con la disciplina dell’insolvibilità ex artt. 71 e 103 l. n. 689/1981, dare espresso rilievo nell’art. 133 bis c.p., accanto alle condizioni economiche e reddituali, a quelle patrimoniali, allargando così la valutazione del giudice al complesso dell’intera posizione patrimoniale dell’imputato (ad es., beni mobili e immobili).

Massime relative all'art. 133 bis Codice Penale

Cass. pen. n. 56297/2017

L'eccessiva gravosità della sanzione pecuniaria rispetto alle capacità economiche del soggetto, quale presupposto dell'applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 133-bis cod. pen., deve comportare una vera e propria impossibilità, o quantomeno un'estrema difficoltà, di soddisfare la pena che la faccia apparire meritevole di riduzione.

Cass. pen. n. 45482/2004

Ai fini della determinazione della pena pecuniaria (art. 133 bis c.p.) con il possibile aumento fino al triplo o diminuzione fino ad un terzo, le condizioni economiche del reo non hanno natura di circostanze aggravanti ex art. 101 legge n. 689 del 1981, e pertanto non debbono essere contestate preventivamente, con la conseguenza che le parti processuali hanno l'onere di provare le proprie deduzioni sulle condizioni patrimoniali e il giudice ha il dovere di motivare il proprio convincimento.

Cass. pen. n. 2558/2000

Per ottenere la riduzione della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 133 bis c.p. è necessario che l'imputato alleghi l'indispensabile documentazione atta a chiarire la sua posizione economica.

Cass. pen. n. 11836/1997

In tema di valutazione delle condizioni economiche del reo ai fini della determinazione della pena pecuniaria (art. 133 bis c.p.), il giudice ha l'onere innanzitutto di individuare la pena base e quindi di procedere alle correzioni necessarie per renderla efficace o meno gravosa, giustificando l'esercizio di tale potere con una motivazione ancorata a dati oggettivi e con giudizio ponderato sulla situazione economica del soggetto interessato, che deve consistere non già in generiche affermazioni sulla professione da lui svolta, dalla quale far presuntivamente discendere la sussistenza delle condizioni agiate, bensì nella valutazione di un insieme di elementi dai quali dedurre la sussistenza di una condizione economica superiore allo standard medio di un determinato periodo. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato la determinazione della pena pecuniaria irrogata al consigliere delegato di una società ed al direttore di uno stabilimento, condannati per inquinamento atmosferico, fondata sulla generica considerazione della professione esercitata, senza che venisse indicato alcun diverso elemento concreto di riferimento).

Cass. pen. n. 9575/1996

Ai fini dell'applicabilità dell'art. 133 bis c.p. circa le condizioni economiche del reo — aumento fino al triplo e/o diminuzione fino ad un terzo della pena pecuniaria — le dette condizioni non debbono essere previamente contestate all'imputato come «circostanza», poiché, a seguito della modifica apportata dall'art. 101 legge 24 novembre 1981, n. 689, agli artt. 24 e 26 c.p., le condizioni economiche del reo sono state eliminate dal titolo II del codice penale ed inserite nell'art. 133 bis stesso codice fra i criteri di applicazione della pena. Tale diversa collocazione ha comportato l'eliminazione del carattere di «circostanza» di dette condizioni economiche e la configurazione di esse come parametro di riferimento ai fini della determinazione della pena. Pertanto l'imputato, tratto a giudizio per rispondere di un reato punibile con pena — solo o anche — pecuniaria, deve svolgere ogni difesa anche in relazione al possibile aumento fino al triplo del massimo della pena edittale, mentre alla accusa spetta l'onere di fornire prova della particolarmente elevata consistenza patrimoniale del reo ed al giudice l'obbligo di svolgere un ponderato e completo apprezzamento della detta situazione economico-patrimoniale, dando adeguata e congrua motivazione delle scelte al riguardo operate nonché degli elementi sui quali ha fondato il proprio convincimento. (Fattispecie relativa ad annullamento con rinvio di sentenza di condanna, a pene quantificate nel massimo edittale ed aumentate del triplo, corredata da motivazione inadeguata e insoddisfacente).

Cass. pen. n. 5484/1994

Poiché la circostanza attenuante prevista dall'art. 133 bis c.p. può trovare applicazione solo in caso di manifesta sproporzione per eccessiva gravosità della sanzione pecuniaria rispetto alle capacità economiche del soggetto, tale eccessiva gravosità deve comportare una vera e propria impossibilità, o quantomeno un'estrema difficoltà, a soddisfare la pena pecuniaria inflitta, che faccia apparire questa meritevole di riduzione.

Cass. pen. n. 4066/1994

In tema di impugnazioni, il semplice riferimento, nell'atto di appello, all'art. 133 bis c.p., senza indicazioni né generiche né specifiche degli elementi dai quali il giudice dell'appello dovrebbe desumere che la pena pecuniaria inflitta dal primo giudice sia eccessivamente gravosa, non obbliga il giudice di appello all'esame del motivo e tale omesso esame non costituisce vizio che comporti annullamento in sede di legittimità.

La norma di cui all'art. 133 bis c.p., diretta ad adeguare la commisurazione della pena pecuniaria alle condizioni economiche dell'imputato, non esime la parte impugnante dall'osservanza delle regole che sono proprie dell'impugnazione proposta, tra cui quella di esporre, a pena di inammissibilità, in modo specifico le ragioni di fatto e di diritto che sono alla base della doglianza. (Nella specie la Corte ha ritenuto che il riferimento alla qualità di tossicodipendente, contenuto nell'atto di appello, non appare di per sé rilevante ai fini dell'applicazione dell'attenuante di cui all'art. 133 bis c.p.).

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