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Articolo 48 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 25/08/2024]

Errore determinato dall'altrui inganno

Dispositivo dell'art. 48 Codice Penale

Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche se l'errore sul fatto che costituisce il reato è determinato dall'altrui inganno(1); ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l'ha determinata a commetterlo.

Note

(1) Tale articolo richiama la disciplina dell'art. 47 del c.p. relativamente al caso in cui un soggetto sia caduto in errore per opera dell'altrui inganno. Anche in tali casi viene quindi esclusa la colpevolezza dell'agente e risponderà quindi solo l'autore cd mediato, cioè colui che volontariamente l'abbia indotto in errore, salvo che il suo errore non sia incolpevole. In quest'ultimo caso, ferma la non configurabilità del dolo, sarà il soggetto chiamato a rispondere del reato a titolo di colpa.

Ratio Legis

La ratio della norma si coglie nella necessità di tutelare il soggetto vittima di un inganno, che quindi non potrà essere chiamato a rispondere, salvo che non si tratti di errore dipeso da colpa.

Spiegazione dell'art. 48 Codice Penale

La norma in oggetto equipara la disciplina l'errore determinato dall'altrui inganno a quella prevista per l'errore sul fatto (art. 47) cui pertanto si rimanda.
In questo caso l'errore sul fatto che costituisce il reato è causato da un soggetto terzo, il quale dolosamente approfitta della buona fede dell'esecutore materiale.

Lo strumento tramite il quale si attua l'inganno può esser sia una menzogna, sia il mero silenzio, ma solo quando in capo all'ingannatore sussista un obbligo di informazione.

La seconda parte della norma sancisce la responsabilità del soggetto che trae in inganno per il fatto commesso dall'ingannato, salva l'ipotesi in cui l'errore in cui è incorso l'autore materiale sia dipeso da colpa ed il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo. In quest'ultimo caso l'autore risponderà per colpa, mentre l'ingannatore per dolo.

Non manca tuttavia chi afferma che colui che ha determinato l'altro in errore possa rispondere anche per colpa, qualora quest'ultimo elemento sia da ravvisare in un'errata informazione dei fatti costituenti reato. In questo caso entrambi risponderanno per colpa, sempre che il fatto sia previsto come delitto colposo.

Massime relative all'art. 48 Codice Penale

Cass. pen. n. 3030/2022

Integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico, mediante induzione in errore del pubblico ufficiale, la falsa dichiarazione resa dal paziente al medico circa l'esistenza di sintomi patologici.

Cass. pen. n. 1957/2020

È configurabile il concorso nel reato di induzione ad accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, nella forma aggravata di cui agli artt. 48 e 615-ter, comma secondo, n. 1, cod. pen., del terzo estraneo all'azione esecutiva che istighi l'autore mediato ad indurre in errore il pubblico ufficiale, inconsapevole autore immediato, alla materiale intromissione ingiustificata nel sistema informatico al fine di acquisire notizie riservate.

Cass. pen. n. 31835/2020

In tema di reati di falso, integra il delitto previsto dagli artt. 48 e 479 cod. pen. la condotta di colui che denunci falsamente la morte di un soggetto, inducendo in errore l'ufficiale dello stato civile che procede alla trascrizione dell'avvenuto decesso nell'apposito registro comunale, in quanto l'atto di morte è atto pubblico fidefacente in ordine allo stato civile della persona cui si riferisce e costituisce prova legale del contenuto dell'iscrizione, mentre si configura il diverso reato di cui agli artt. 48 e 480 cod. pen. nella successiva condotta di induzione del pubblico ufficiale al rilascio del certificato di morte, perché atto meramente riproduttivo di quanto risultante dai pubblici registri.

Cass. pen. n. 31851/2020

In tema di misure cautelari reali, è legittimo il sequestro preventivo dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di noleggio di vetture con conducente (N.C.C.) per il reato di falso ideologico per induzione del pubblico funzionario che l'abbia rilasciata (artt. 48 e 480 cod. pen.) ove non sia veritiera l'attestazione del richiedente di disporre dell'effettiva sede operativa e di almeno una rimessa nel territorio dell'ente autorizzante, avendo egli inteso operare sin dall'inizio in un diverso ambito territoriale.

Cass. pen. n. 14382/2019

Non integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, né quello di falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale la condotta di chi dichiari falsamente in un atto notarile di compravendita di un bene immobile che lo stesso non è sottoposto a sequestro, in quanto l'atto nel quale la dichiarazione è trasfusa non è destinato a provare la verità del fatto attestato, in assenza di una norma giuridica che obblighi il privato a dichiarare il vero e ricolleghi specifici effetti all'atto-documento in cui la dichiarazione del predetto è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente.

Cass. pen. n. 36730/2018

In tema di concorso di persone nel reato, l'assoluzione per difetto dell'elemento soggettivo in capo al concorrente "intraneo" nel reato proprio non esclude di per sé la responsabilità del concorrente "estraneo", che resta punibile nei casi di autoria mediata di cui all'art. 48 cod. pen. e in tutti gli altri casi in cui la carenza dell'elemento soggettivo riguardi solo il concorrente "intraneo" e non sia quindi estensibile. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la sentenza di merito che aveva riconosciuto la responsabilità per il reato di cui all'art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, del geometra che aveva redatto i disegni di un progetto di ristrutturazione edilizia, presentando scientemente una DIA anziché di domanda di concessione edilizia, concorrendo così alla realizzazione di un abuso edilizio in area sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale, per quanto l'art. 29 dello stesso d.P.R. preveda come autori del reato soltanto il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore ed il direttore dei lavori).

Cass. pen. n. 10762/2018

Risponde di peculato mediante induzione in errore, ex artt. 48 - 314 cod. pen., e non di truffa aggravata, il pubblico ufficiale, preposto all'organo competente all'istruttoria della pratica ed alla predisposizione del provvedimento finale, che, inducendo in errore il consiglio di amministrazione di un ente sulla legittimità della delibera di spesa, ne ottiene l'approvazione con conseguente erogazione a taluni dipendenti di compensi di importo superiore a quello dovuto.

Cass. pen. n. 8096/2011

Integra il reato di falso per induzione, anche a seguito dell'abrogazione del reato previsto dall'art. 2, comma quarto, D.L. 29 dicembre 1983, n. 746 (recante "Disposizioni urgenti in materia di imposta sul valore aggiunto", conv. con modd. in L. 27 febbraio 1984, n. 17), l'esibizione ad un funzionario doganale di una dichiarazione d'intento non veritiera, sì da indurlo a formare una bolletta doganale ideologicamente falsa.

Cass. pen. n. 15481/2004

Non ricorre la fattispecie del così detto «concorso anomalo» di cui all'art. 116 c.p., bensì quella prevista all'art. 48 c.p. nel caso in cui si accerti che i concorrenti non abbiano avuto ab origine un accordo criminoso comune - inteso come convergenza delle volontà dei soggetti in concorso - ed il reato sia stato realizzato in conformità della reale intenzione di un concorrente dissimulata all'altro. (Nella specie, la Corte ha escluso la responsabilità a titolo di concorso ai sensi dell'art 116 c.p. nel reato di traffico di stupefacenti, nel comportamento di un soggetto che, avendo offerto la propria collaborazione per l'importazione in Italia di merci in violazione di disposizioni doganali, quali diamanti e pelli di rettile, aveva invece trasportato cocaina per errore determinato dall'inganno dell'altro concorrente).

Cass. pen. n. 537/1998

In materia di reato commesso in conseguenza di altrui inganno (art. 48 c.p.), l'idoneità dell'azione dell'autore “mediato” va valutata necessariamente in rapporto alle qualità ed alle capacità dell'autore “immediato”, con la conseguenza che qualora questo sia un pubblico ufficiale occorre in particolare tenere conto del grado di preparazione che la sua qualifica richiede e dei doveri di controllo che gli incombono. Pertanto, quando alla luce di siffatti dati le prospettazioni del privato non valgono ad alterare la realtà fattuale, deve escludersi induzione mediante errore, da parte di tale soggetto nei confronti di quello pubblico, alla commissione del reato. (Fattispecie in tema di false dichiarazioni rese dal privato per ottenere una licenza edilizia, dichiarazioni che la Corte non ha ritenuto sufficienti per la configurazione del reato, alla luce dei doveri di esame e di controllo del funzionario pubblico).

Cass. pen. n. 6389/1996

Al fine di affermare la responsabilità del cosiddetto autore mediato ai sensi dell'art. 48 c.p., occorre avere riguardo all'atteggiamento psichico di quest'ultimo non soltanto circa la sussistenza del dolo del reato commesso dall'ingannato (nel senso che chi trae in inganno deve agire con previsione e volontà che l'altrui condotta integri il fatto punibile che si intende realizzare), ma anche con riferimento ad ogni altra finalità che attraverso la condotta strumentale dell'autore immediato si persegua e della quale è necessario valutare la rilevante incidenza in ordine alla qualificazione o alla sussistenza stessa del reato in questione. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che quando un soggetto detenuto determini con l'inganno altri ad introdurre nello stabilimento carcerario sostanze stupefacenti al fine di farne uso personale, detta finalità dell'autore mediato assuma valore di esclusione della punibilità qualora il giudice ne accerti la sussistenza).

Cass. pen. n. 4411/1996

La responsabilità dell'autore mediato ex art. 48 c.p. si configura anche in relazione ai reati cosiddetti propri in cui la qualifica del soggetto attivo è presupposto o elemento costitutivo della fattispecie criminosa. Pertanto risponde di peculato anche l'estraneo che, traendo in inganno il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, si appropri per tramite di questi di una cosa dagli stessi posseduta per ragioni del loro ufficio.

Cass. pen. n. 607/1996

In tema di errore determinato dall'altrui inganno, ad integrare la responsabilità ex art. 48 c.p. è necessario e sufficiente che venga posta in essere una condotta causalmente e consapevolmente correlata all'induzione in errore di chi dovrà commettere il fatto costituente reato.

Cass. pen. n. 4842/1995

Il fatto della persona che, incaricata dal sostituto d'imposta del versamento delle ritenute erariali operate sulle retribuzioni dei dipendenti, ne ometta il versamento al fisco, integra, ai sensi dell'art. 48 c.p., il reato proprio previsto dall'art. 2, comma secondo, L. 7 agosto 1982, n. 516, con esclusione, peraltro, stante l'impossibilità di distinguere ontologicamente e cronologicamente tale condotta dall'interversione del possesso, del tutto coincidente, della configurabilità del concorso del reato di appropriazione indebita.

Cass. pen. n. 10159/1990

L'inganno da cui deriva la responsabilità ex art. 48 c.p. (errore determinato dall'altrui inganno) può consistere, in qualunque artificio o altro comportamento atto a sorprendere l'altrui buona fede, attraverso il quale l'autore mediato induca in errore l'autore immediato del delitto. (Nella specie era stata taciuta a provveditore agli studi, da parte di funzionario del Ministero della P.I., una situazione di incompatibilità, rispetto all'Ufficio di presidente di commissione di esame, in cui si trovava un professore il cui nominativo era stato suggerito al provveditore dal funzionario medesimo e che implicava la strumentalizzazione ad interesse privato della predetta nomina).

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Consulenze legali
relative all'articolo 48 Codice Penale

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Francesco G. chiede
martedì 11/11/2014 - Calabria
“Desidero conoscere se ci sono gli elementi giuridici per presentare querela nei confronti di un cittadino che mi ha tratto inganno, telefonandomi, di raggiungerlo nella sede comunale della mia Città, adducendo che ci sono degli amici. Appena sono arrivato, trovo un signore che mi rivolge delle domande sulla mia attività politica e professionale. Non sapendo chi fosse, e non avendo nulla da nascondere, ho risposto a tutte le domande. Alla fine delle domande, questo sconosciuto signore, mi ha fatto presente che si tratta dell'inviato di Mediaset Canale 5. Ho capito, poi, che si trattava di un'intervista. Poichè sono caduto in errore per opera dell'altrui inganno a raggiungere la sede comunale, da parte di questo signore, mio compaesano, che si è manifestato "amico", chiedo se ci sono gli elementi per produrre querela nei suoi confronti, ai sensi dell'art. 48 codice penale.”
Consulenza legale i 17/11/2014
L'art. 48 del codice penale non prevede una fattispecie di reato, tant'è che tale articolo è inserito nel libro primo del codice penale, che tratta del reato in generale e non dei singoli specifici reati (delitti o contravvenzioni).
La norma ha lo scopo di rendere applicabili le disposizioni in tema di errore al caso in cui l'errore sul fatto che costituisce reato sia determinato dall'altrui inganno; in tale ipotesi, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l'ha determinata a commetterlo.
Quindi, nella vicenda descritta nel quesito, questo articolo non trova alcuna applicazione.

Si può cercare, però, di inquadrare il comportamento dell'"amico" come figura delittuosa o come illecito di tipo civile.

Dal punto di vista penalistico, la prima figura che viene alla mente è quella della truffa (art. 640 del c.p., reato commesso da chi, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno). Tuttavia, non sembrano essersi realizzati tutti gli elementi della fattispecie: l'errore della vittima, infatti, deve portare conseguenzialmente al profitto dell'agente e al danno dell'offeso, i quali devono essere strettamente legati tra loro. Mentre il danno deve avere necessariamente carattere patrimoniale, il profitto può avere anche natura morale o affettiva, in grado così di avvantaggiare l'agente o un terzo. Il danno cagionato a colui che ha "subito" l'intervista non appare come un danno patrimoniale, casomai di immagine o di lesione della reputazione, pertanto la truffa - anche provando che l'"amico" abbia avuto un qualche vantaggio dalla cosa - dovrebbe essere esclusa.

Non si ravvisa nemmeno ipotesi di ingiuria (art. 594 del c.p.), in quanto manca una offesa alla persona dell'intervistato da parte del presunto amico, il quale lo ha semplicemente ingannato circa il reale scopo dell'incontro, senza per questo denigrarlo in modo palese.

Tutt'al più, se l'intervista fosse divulgata, si potrebbero valutare gli estremi del reato di diffamazione a mezzo stampa (artt. 595 e 596 bis c.p.), se il contenuto dell'intervista stessa offenda l'altrui reputazione e il reato non sia escluso dal corretto esercizio del diritto di cronaca da parte della testata giornalistica (la divulgazione di una notizia lesiva della reputazione può essere considerata lecita e come tale rientrante nel diritto di cronaca quando vi sia un interesse pubblico alla conoscenza del fatto, e vi sia correttezza formale dell'esposizione che non travalichi lo scopo informativo). Il reato di diffamazione, però, non sarebbe commesso dall'amico, ma dal giornalista che ha fatto l'intervista. Resta fermo che la persona può diffidare il giornalista dal rendere pubblica l'intervista "carpita" con l'inganno.

Dal punto di vista civilistico, si può solo abbozzare l'idea di un illecito, naturalmente extracontrattuale ex art. 2043 del c.c., laddove l'intervistato possa provare di aver subito un danno grave ed ingiusto. Sotto questo profilo, sarebbe necessario sapere quali siano state le conseguenze dell'intervista, per giudicare se vi sia stato o meno un pregiudizio risarcibile.

C. V. chiede
martedì 08/11/2022 - Lombardia
“Persona fisica ( A) viene denunciata per insolvenza fraudolenta da persona giuridica (B).
(A) viene condannato penalmente con rimando al civile per quantificare il danno.
(A) viene condannato al risarcimento e sottoscrive recentissimamente un transazione con (B) pagando la 1° rata.
(A) ora nel riordinare le carte si accorge che in entrambi i procedimenti (penale/civile) la persona giuridica (B) ha presentato documenti non corrispondenti agli originali con cancellazione delle date degli ordini e relativi riferimenti alle date di pagamento.
Nessuno mai aveva notato ciò in entrambi i procedimenti.
La persona fisica (A) ora vorrebbe presentare un esposto (con facoltà di querela se la magistratura dovesse aprire un procedimento su (B) Con quali RIFERIMENTI DI LEGGE o Sentenze di cassazione dovrebbe esplicitare A su questo esposto?
Grazie
Saluti”
Consulenza legale i 09/11/2022
Per rispondere al quesito occorre prima di tutto fare un po’ di chiarezza sul concetto di denuncia, querela e esposto.

Va rilevato in primo luogo che la denuncia e la querela sono, in buona sostanza, due istanze punitive attraverso le quali un determinato soggetto chiede al Pubblico Ministero di procedere per determinati reati rispetto ai quali il soggetto medesimo è persona offesa o danneggiata.

La differenza è che:
- la querela va fatta per reati procedibili solo – appunto – a querela di parte. Se questa manca il magistrato nulla può fare;
- la denuncia può esser fatta per reati procedibili d’ufficio e per i quali, quindi, il PM non ha assoluta necessità, per procedere, dell’istanza punitiva della persona offesa.

L’esposto è altro.
L’esposto è una semplice segnalazione che viene fatta da un determinato soggetto per porre al vaglio dell’autorità giudiziaria un determinato fatto, onde verificare se è stato commesso un determinato reato.
L’esposto ha una efficacia persuasiva molto limitata e viene non di rado ignorato.

Ora, dal parere sembra evincersi che l’intenzione del soggetto condannato sia non tanto quella di allertare l’autorità giudiziaria su una determinata situazione, quanto proprio quella di sottoporre al vaglio del PM un fatto che si ritiene essere reato.
Ciò che va depositato, dunque, è una denuncia-querela, non già un esposto.
Si noti, a tal riguardo, che la differenza sembra sottile in teoria, ma è di non poco conto nella pratica allorché la denuncia-querela ha una forma e una ritualità molto diversa dall’esposto.

Fermo quanto su detto, occorre capire se, nel caso di specie, vi sono i presupposti per depositare un atto del genere. In poche parole occorre capire se il deposito di documenti “falsi” nel corso di una causa civile o penale è sussumibile nell’alveo di una fattispecie penale.

Il tema è, a dire il vero, estremamente complesso ed è stato oggetto di diverse sentenze della Cassazione.
In estrema sintesi, secondo la giurisprudenza di legittimità il deposito di atti falsi nel corso del giudizio civile o penale può effettivamente avere rilevanza penale configurandosi, nello specifico, la fattispecie di falso ideologico per induzione, di cui al combinato disposto dell’ art. 48 del c.p. e dell’ art. 479 del c.p..
Tuttavia, secondo le argomentazioni della Suprema Corte, il deposito di un atto falso ha rilievo penale solo laddove lo stesso sia stato determinante o comunque estremamente rilevante ai fini della decisione del giudice e, dunque, dell’emanazione della sentenza.
In questi casi, in buona sostanza, è la sentenza stessa ad essere falsa e di tale falsità, essendo indotta dalle produzioni documentali viziate, risponde – ovviamente – non già il giudice ma il soggetto che ha determinato il giudice predetto a commetterla, ovvero il soggetto “colpevole” dei depositi non autentici.
Una delle primissime sentenze ad aver statuito quanto su detto è Corte di Cassazione Sezione 5 Penale Sentenza del 9 febbraio 2010, n. 5353, cui sono seguite numerose sentenze conformi.

Si noti, tuttavia, che il tema del falso per induzione è estremamente complesso e delicato e, pertanto, prima di fare riferimento all’autorità giudiziaria si consiglia un confronto con un avvocato penalista competente che, scandagliati bene i fatti, li sappia correttamente inquadrare in diritto.