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Articolo 884 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Appoggio e immissione di travi e catene nel muro comune

Dispositivo dell'art. 884 Codice Civile

Il comproprietario di un muro comune può fabbricare appoggiandovi(1) le sue costruzioni e può immettervi travi, purché le mantenga a distanza di cinque centimetri dalla superficie opposta, salvo il diritto dell'altro comproprietario di fare accorciare la trave fino alla metà del muro, nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, aprirvi un incavo o appoggiarvi un camino. Il comproprietario può anche attraversare il muro comune con chiavi e catene di rinforzo, mantenendo la stessa distanza. Egli è tenuto in ogni caso a riparare i danni causati dalle opere compiute.

Non può fare incavi nel muro comune, né eseguirvi altra opera che ne comprometta la stabilità o che in altro modo lo danneggi.

Note

(1) Dato che un immobile si appoggia ad un muro se questo ne regge il peso e ne garantisce la solidità, è chiaro che quest'ultima deve essere condizione per realizzare le opere che si sono programmate.

Ratio Legis

La disposizione regola le forme di utilizzo di un muro comune, e deroga ai principi di cui gli artt. 1102-1108. Essa consiste nel fatto che chi desidera svolgere le attività delineate dall'articolo in esame non deve chiedere il consenso all'altro titolare del muro.

Brocardi

Servitus tigni immittendi

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

421 Un secondo gruppo di norme (articoli 880-885) riguarda le presunzioni di appartenenza dei muri divisori e il regime dei muri comuni. In conformità del codice del 1865 (articoli 546-547), il nuovo codice (art. 880 del c.c. e art. 881 del c.c.) stabilisce due presunzioni, suscettibili di prova contraria: da un lato, la presunzione di comunione così per il muro che serve di divisione tra edifici (presunzione che, in caso di altezze ineguali degli edifici, è limitata al punto in cui uno di questi comincia ad essere più alto), come per il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi; dall'altro lato, la presunzione di proprietà esclusiva del muro divisorio tra campi, cortili, giardini od orti, sulla base della posizione del piovente esistente nel muro e, ove questo manchi, di altri segni particolarmente qualificati. Circa i diritti e gli obblighi di ciascun condomino rispetto al muro comune, non ho apportato innovazioni rilevanti (art. 882 del c.c., art. 883 del c.c. e art. 884 del c.c.). Una disposizione integrativa ho però introdotta in tema d'innalzamento del muro comune. Come per il codice del 1865 (art. 554), il comproprietario che vuole eseguire la sopraelevazione, quando occorre aumentare lo spessore del muro per renderlo atto a sostenere il nuovo peso, deve costruire sul suolo proprio per il maggiore spessore che si renda necessario. Senonché può darsi che esigenze tecniche impongano di costruire sul suolo del vicino: in tal caso si autorizza la costruzione sul fondo finitimo per una doverosa tutela dell'interesse pubblico all'incremento edilizio. Il muro così ingrossato, resta di proprietà comune, ma il vicino ha diritto di conseguire il valore della metà del suolo occupato per il maggior spessore (art. 885 del c.c.).

Massime relative all'art. 884 Codice Civile

Cass. civ. n. 17388/2004

In tema di distanze legali fra proprietà, deve intendersi per costruzione in appoggio — secondo una nozione desunta dalla leggi fisiche — quella che scarica il peso degli elementi di cui si compone sul muro del vicino che in tal modo ne assicura la staticità necessaria.

Cass. civ. n. 5152/1977

Non può essere ravvisata una costruzione in appoggio, qualora tra i due muri vicini esista un'intercapedine di cinque centimetri, ricoperta con lamiera per evitare le infiltrazioni di acqua piovana, salvo che sia accertata l'interdipendenza delle due strutture murarie per l'eventuale «ammorsamento» dei solai di copertura ed il ridotto spessore del nuovo muro in corrispondenza della più consistente struttura preesistente.

Cass. civ. n. 3177/1974

È in appoggio la costruzione che scarica sul muro del vicino il peso degli elementi strutturali costitutivi di essa, mentre è in aderenza quella che è posta in semplice e totale combaciamento con il muro del vicino, rispetto al quale ha piena autonomia, strutturale e funzionale, con la conseguenza dell'indipendenza del regime giuridico delle due proprietà contigue, si che il perimento o la demolizione dell'una possano verificarsi senza che l'integrità dell'altra ne sia compromessa. Ciò premesso, deve ritenersi in appoggio anche la costruzione che gravi col suo peso sulle fondazioni della fabbrica del vicino.

Cass. civ. n. 2362/1970

Il comproprietario del muro comune non può praticare incavi che oltrepassino la metà dello spessore del muro.

Cass. civ. n. 538/1970

A norma dell'art. 884 c.c. — che va applicato per intero non per parti separate, in quanto l'ultimo comma stabilisce le condizioni di illiceità, richieste, fra l'altro, per le aperture di incavi nel muro comune previste nel primo comma — il comproprietario, senza l'adempimento di alcuna preventiva formalità, può legittimamente praticare nel muro comune gli incavi che non riescano di danno o di pericolo per essi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 884 Codice Civile

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A. D. chiede
martedì 05/12/2023
“Buongiorno, il mio confinante ha costruito all'interno della sua proprietà una tettoia chiusa tipo veranda, come da foto, dove prima c'era un rudere che ha demolito (probabilmente una vecchia stalla). Ha appoggiato un lato della tettoia sul muro di confine comune, esattamente a metà e la tettoia eccede in altezza per circa due metri rispetto al muro di confine su cui poggia. A me, che sono il confinante, non ha chiesto alcun consenso e a suo dire la tettoia è in regola però non mi ha mostrato alcun documento che attesti ciò.
Pertanto le domande sono: il confinante, prima di costruire una tettoia in appoggio sul muro di confine comune, deve chiedere il consenso all'altro confinante in questo caso io? Come posso verificare che la tettoia sia in regola e non abusiva? So che potrei fare le dovute verifiche rivolgendomi al comune, ma per il momento non vorrei seguire questa strada. Pertanto vorrei anche sapere se esiste un altro modo per capire come stanno le cose.
Rimanendo in attesa di un gentile riscontro porgo cordiali saluti.

P.S. Nella planimetria allegata, la mia proprietà è compresa nella particella 299, la proprietà del confinante in questione è compresa nelle particelle 267 e 706. La tettoia è stata costruita nella particella 706 nella zona che ho contrassegnato in rosso, nella parte contrassegnata in blu vi è un vecchio locale di sgombero non presente, tra l'altro, sulla planimetria.”
Consulenza legale i 18/12/2023
Innanzitutto è necessario premettere che per affrontare in maniera corretta questo parere sarebbe necessario un confronto serrato con un tecnico edile: infatti, solo tale figura professionale può confermare se nel caso specifico sono state rispettate la normativa codicistica che disciplina le distanze nelle costruzioni e la comproprietà del muro di confine.

Solo con l’intervento del tecnico, il legale potrà quindi capire se vi sono gli estremi per poter pretendere dalla controparte l’abbattimento o la riduzione della tettoia, ed eventualmente radicare possibili contenziosi con la controparte. Senza questo confronto le considerazioni che in questa sede si potranno fare da un punto di vista squisitamente civilistico sono purtroppo generiche e poco risolutive.

Innanzitutto il vicino pare non dovesse richiedere alcuna autorizzazione per costruire la sua tettoia in appoggio sul muro comune: l’art. 884 del c.c. prevede il diritto del comproprietario del muro di confine di fabbricare in appoggio la sua costruzione e di immettere travi sul muro comune. Il diritto previsto dalla norma in commento non è condizionato da una qualche autorizzazione da parte dell’altro confinante. Ovviamente, come precisa il successivo 2° comma dell’art. 884 del c.c., la costruzione in appoggio non può andare a compromettere la stabilità e comunque danneggiare il muro di confine, ad ogni modo non pare che ciò si sia verificato nel caso specifico.

Fermo restando quanto dispone l’art. 884 del c.c., è anche vero che la tettoia deve rispettare le distanze nelle costruzioni prevista dall’ art. 873 del c.c. e dagli altri regolamenti locali, ed è proprio sotto questo aspetto che a parere di chi scrive sarebbe interessante effettuare un approfondimento con un tecnico edile, in quanto si ha il sospetto che tale distanza non sia stata rispettata nel caso specifico. Se tale sospetto fosse confermato, allora sì, che il vicino avrebbe dovuto richiederle una autorizzazione per costruire la tettoia in deroga alle distanze legali, autorizzazione che sarebbe stata poi necessario formalizzare in un rogito notarile da trascrivere presso i Registri Immobiliari. Ovviamente in mancanza di tale autorizzazione la costruzione di tale tettoia non sarebbe legittima da un punto di vista civilistico e sulla base delle norme che disciplinano i rapporti di vicinato e se ne potrebbe pretendere l’abbattimento o la riduzione anche nell’ambito di un ipotetico contenzioso.

Per quanto riguarda, invece, le verifiche circa l'abusività o meno dell'opera, non vi è altra strada per chiarire se essa sia stata autorizzata o meno, che rivolgersi al Comune. In particolare, è possibile formulare un'istanza di accesso agli atti con oggetto il titolo edilizio che ha consentito la realizzazione della tettoia e, nel caso questo sia assente, sollecitare l'intervento sanzionatorio dell'amministrazione.
In ogni caso, va chiarito che, anche se è presente un titolo abilitativo, non è preclusa la eventuale contestazione della violazione delle norme codicistiche sulle distanze, trattandosi di norme che operano su un piano diverso.
Infatti, l'eventuale rilascio di un titolo da parte delComune non è sufficiente a "sanare" il mancato rispetto delle norme a tutela del diritto di proprietà dei vicini.


Davide P. chiede
lunedì 05/10/2020 - Piemonte
“Buongiorno, io ed il mio vicino stiamo discutendo dove passa il confine sul muro che ci separa interno. Abbiamo comprato una cascina composta da parte abitativa più alta (io) e parte che erano le stalle costruite in aderenza alla parete della casa. Io avevo anche una porta che dava accesso alla parte stalle e fienile sovrastate. Io sono andato abitare già qualche anno fa' ed ora lui sta facendo lavori di ristrutturazione che porteranno la parte a stalla in nuova abitazione. Staticamente la parete di discussione risulta essere la stessa da terra fino al mio tetto (più alto), al piano terreno è massiccio di pietra al piano primo vi sono pilastri e pareti fini da 12 cm, con il lato esterno sempre a filo con quello del piano terreno massicci (era una facciata esterna di casa). Ora lui vuole utilizzare per fare i suoi nuovi solai fino a metà del muro del piano terreno (80cm) in questo modo mi entrerà nella camera di mio figlio al piano primo, camera esistente invariata da quando l'abbiamo acquistata. Lui di fa forza sul fatto che ha firmato in acquisto dalla vecchia proprietà le planimetrie catastali ove hanno segnato in linea tratteggiata un ipotesi di confine e ritiene che sia provante. Io ritengo che essendo la parte abitativa costruita con una sua unicità e funzionalità le pareti gli appartengono e lui potrà appoggiarsi o usare si fino a metà (se non mi abbatte la casa!) ma solo nelle parti strutturali che lui sta usando. Dalla sua parte vi è una volta che scarica sul muro massiccio del piano terreno , poi ora è solo un sottotetto che ha dei travi che scaricano su pilastri (per me comuni) fino a dove finisce il suo tetto, poi la parte superiore è mia. Vi ringrazio di un vostro parere.”
Consulenza legale i 08/10/2020
Ciò che si intuisce leggendo il quesito è che una cascina, originariamente appartenente ad unico proprietario, risulta composta da alcuni locali a piano terra destinati a stalle e da altri locali al piano superiore destinati ad abitazione.
Per effetto di successivi atti di vendita, la parte a piano terra delle stalle è stata acquistata da un proprietario, mentre la parte alta dell’abitazione da altro proprietario, ossia chi pone il quesito.
Le due porzioni di quell’unico immobile hanno mantenuto in comune un muro, che dal piano terra giunge al piano superiore, il quale si presenta di spessore e consistenza maggiore nella parte a piano terra delle stalle, e più sottile nella parte abitativa (di appena 12 cm).
Adesso è intenzione del proprietario del piano terra di effettuare dei lavori, che comporteranno una trasformazione dei locali adibiti a stalle in abitazione, lavori che richiederanno degli interventi strutturali sul muro rimasto comune.

Delineata per grandi linee la fattispecie, vediamo quali sono le norme del codice civile che possono trovare applicazione.
Intanto, la prima norma a cui occorre fare riferimento è l’art. 880 del c.c., il quale disciplina il regime proprietario di un muro divisorio tra edifici di altezze diverse, stabilendo che tale muro si presume comune fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto.
Ciò che da questa norma si ricava, dunque, è che mentre il muro massiccio a piano terreno deve presumersi comune tra i due proprietari della cascina, quello più sottile, che costituisce la parete esterna del primo piano, è di proprietà esclusiva di colui a cui appartiene quel piano.
Occorre precisare che la presunzione prevista dall’art. 880 c.c. non può operare se tra i due edifici in aderenza manchi un muro divisorio unico e se i diversi edifici si appoggiano ciascuno ad un proprio autonomo muro, separato dall'altro mediante un'intercapedine (così Cass. N. 23/1966).

Inoltre, detta presunzione di comunione può essere esclusa da un valido titolo di acquisto della proprietà da cui risulti il contrario; ad esempio, occorre che nell’atto di compravendita del proprietario del piano terra sia stato specificato che quel muro è di sua proprietà esclusiva, mentre non possono assumere alcuna rilevanza probatoria le sole planimetrie catastali.
Infatti, dati e documenti catastali hanno essenzialmente natura tecnica e sono preordinati all’assolvimento di funzioni tributarie; la stessa giurisprudenza ha in diverse occasioni rimarcato l’impossibilità di far discendere la prova della pregressa consistenza di un immobile dalle sole risultanze catastali (Cons. di Stato Sez. IV n. 425/2017, Cons. di Stato Sez. IV n. 4208/2014).

Individuato il regime proprietario del muro, passiamo adesso ad analizzare gli interventi edilizi che si vogliono realizzare, i quali sembra che debbano riguardare la parte di muro comune, ossia quello massiccio a piano terra; si tratta, a questo punto, di cercare di capire in che modo ed in che misura ciascuno dei comproprietari può utilizzare il muro.
A tale scopo l’attenzione va rivolta al successivo art. 884 c.c., il quale consente a ciascuno di coloro che hanno la comproprietà di un muro di:
  1. realizzare una nuova fabbrica appoggiandovi la costruzione;
  2. immettervi travi, purchè vengano mantenute ad una distanza massima di 5 cm. dalla superficie opposta (cioè dal lato dell’altro comproprietario);
  3. realizzarvi degli incavi o altre opere similari, purchè non ne compromettano in alcun modo la stabilità o lo danneggino.
Per qualunque tipo di opera, comunque, il limite da rispettare è quello di mantenersi ad una distanza dalla superficie opposta che non vada oltre i cinque centimetri, con obbligo, per colui il quale realizza le opere, di riparare a proprie spese ogni danno che al comproprietario ne può derivare.

Pertanto, se il muro del piano terra ha uno spessore di circa 20 cm, il vicino potrà realizzare le nuove opere utilizzando quel muro per un massimo di 15 cm.
Ciò che occorre avere ben chiaro è che, in casi come quello in esame, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro, ma con il muro comune in tutta la sua estensione e ampiezza (così Cass. N. 340/1980).

Si ritiene possa essere utile evidenziare che l'elencazione dei poteri attribuiti al proprietario del muro comune è tassativa e non già esemplificativa, il che comporta, ad esempio, che non è consentito immettere nel muro comune elementi diversi dalle travi (così Cass. N. 723/1968).
Peraltro, la stessa facoltà di immissione di travi subisce delle limitazioni per l'esercizio del pari diritto del vicino, il quale deve intendersi legittimato ad accorciare la trave fino alla metà del muro qualora abbia necessità di collocare una trave nello stesso posto o di aprirvi un incavo.

Altra facoltà espressamente riconosciuta al comproprietario del muro, derivante dalla lettura combinata dei commi 2 e 3 dell’art. 884 c.c., è quella di aprirvi degli incavi, dovendosi intendere vietati soltanto quegli incavi che compromettano la stabilità del muro o lo danneggino.
Ebbene, se è proprio questo ciò che vuole fare il proprietario delle stalle, è bene sapere che l'incavo non potrà mai superare la metà del muro, e ciò al fine di consentire all'altro proprietario un'analoga utilizzazione dell'altra metà.

Se rispetta i criteri e le regole sopra evidenziate, dunque, qualunque opera del vicino sul muro comune sarà da ritenere lecita e consentita.


Mossuto L. chiede
domenica 20/05/2018 - Lazio
“Vorrei sapere se l'art. 884 cc è applicabile anche per le costruzioni abusive”
Consulenza legale i 29/05/2018
Il quesito formulato presenta una certa difficoltà, non tanto per la soluzione prospettabile, quanto per il fatto che non esistono precedenti giurisprudenziali su cui fare affidamento, quantomeno in merito al particolare rapporto intercorrente tra gli abusi edilizi e l'articolo 884 c.c..

Per dirimere la questione è dunque necessario richiamare la giurisprudenza relativa alle distanze tra costruzioni, che, unitamente alla disposizione concernente l'appoggio di costruzioni sul muro comune, tutela sia i proprietari di edifici confinanti che, più in generale, l'interesse urbanistico alla corretta gestione del territorio e dello jus aedificandi.

Così, mentre sino ad un recente passato si affermava quasi pacificamente che, proprio per il fatto che il rispetto delle distanze legali (e delle norme attigue, come l'articolo 884 c.c.) fosse atto a tutelare anche esigenze di interesse pubblico, igiene, sicurezza, estetica ecc., l'eventuale presenza di abusi edilizi non impediva l'invocazione, da parte del proprietario dell'opera abusiva, del rispetto delle distanze legali, oggi tale orientamento appare ribaltato.

Difatti, come ha recentemente statuito il Consiglio di Stato (sent. n. 3968/2015), ”l'abuso edilizio, allorquando occorra valutare la domanda del confinante di edificare sul proprio suolo, non può essere, di per sé, rilevante ed incidente sulla posizione giuridica di chi abbia diritto ad edificare”.

Nel caso specifico, il proprietario di un terreno aveva costruito un immobile, ma il proprietario confinante aveva impugnato il titolo abilitativo, sostenendo che erano state violate le distanze tra costruzioni. Il proprietario della nuova costruzione aveva invece eccepito che il ricorrente avesse costruito una veranda abusiva.

Il Tar aveva tuttavia dato ragione al ricorrente, affermando che l'obbligo di rispettare le distanze legali sussisteva anche in presenza di opere abusive, in quanto, come prima accennato, l'eventuale presenza di abusi edilizi non comprometteva l'invocazione (da parte del proprietario dell'opera abusiva) del rispetto delle distanze legali, dato che queste sono atte a tutelare l'interesse pubblico.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza suindicata, ha invece ribaltato l'orientamento tradizionale, giungendo ad affermare che è più importante tutelare i diritti di chi costruisca rispettando la normativa urbanistica ed edilizia, piuttosto che le pretese di chi abbia realizzato un manufatto illegittimo.

Tale orientamento pare potersi applicare anche alla fattispecie di cui al presente quesito, dato che il proprietario di una costruzione non abusiva sarebbe altrimenti obbligato a tollerare una modifica (anche se lieve) al proprio diritto da parte di un soggetto che, per contro, ha edificato in maniera abusiva.

Nel caso dunque in cui venga accertata l'abusività della costruzione posta in appoggio sul muro comune, è legittimo opporsi, non sussistendo in tal caso alcun interesse degno di tutela giuridica in capo al proprietario della costruzione abusiva.


R. D. L. chiede
giovedì 29/06/2023
“Egr. Avvocati,
sono proprietario di un fabbricato a due elevazioni fuori terra risalente all'anno 1910 circa, pervenutomi per successione e confinante a Nord, Sud ed Est con altra ditta e ad Ovest con strada provinciale.
Il Fabbricato è stato costruito secondo il modus operandi del tempo con muri portanti laterali in pietrame dello spessore di circa 50/55 cm, ricadenti tutti nella mia proprietà.
Il confinante ha recentemente venduto il fabbricato a confine lato Nord, fabbricato ad una elevazione fuori terra, quest'ultima costruzione anch’essa datata, risulta per la tipologia di costruzione risalente ad un’epoca successiva alla mia.

Il nuovo proprietario ha iniziato lavori di ristrutturazione e solo a seguito di ciò scopro che all’epoca essendoci già il mio muro lato nord, non ne realizzano uno ex novo, ma utilizzano direttamente il mio, appoggiandosi ad esso, conficcando delle travi in legno per sostenere un solaio sottotetto e il tetto stesso, sfruttando pertanto il muro nord della mia proprietà come se fosse in comune, operazione realizzata internamente all’edificio dalla ditta confinante all' epoca della costruzione e quindi sconosciuta da tutti.

In fase di ristrutturazione, il nuovo proprietario confinante, ha tagliato le travi in legno che erano conficcate nel mio muro,
ha praticato dei nuovi incavi e ha inserito delle travi in acciaio per ricostruire il nuovo solaio e il nuovo tetto.
Lui ha fatto tutto ciò sostenendo che nella piantina catastale risulterebbe muro in mezzeria in comune e non di mia esclusiva proprietà. Faccio notare che nei rogiti sia mio che suo non si attribuisce la proprietà del muro né al sottoscritto e né al confinante. Unica indicazione la piantina allegata al rogito ed estratta dal Catasto Fabbricati.

Alla luce di quanto esposto mi son chiesto e chiedo a voi se questa operazione è legittima.
Il confinante può invocare una servitù di appoggio al muro visto che le travi di legno esistevano già e sostituirle con travi in acciaio modificando l'intera struttura preesistente e realizzandone un'altra ex nuova? Trattasi a mio modesto avviso di una modifica alla servitù anche se fosse esistente, in quanto si sono praticati dei fori, incavi in un muro che se anche in subordine fosse in comune (comunione forzosa) trattasi di un bene indiviso e pertanto necessario di autorizzazione a procedere del comproprietario e cioè del sottoscritto.

Preciso inoltre che i fabbricati trovasi in zona sismica 2 e io credo che i fabbricati anche a seguito di ristrutturazione dovrebbero essere liberi di oscillare. Pertanto avevo suggerito la realizzazione di un giunto che ovviamente ha un costo e che il proprietario confinante non intende affrontare.

Che diritti ha il confinante su questo muro? Devo permettere la variazione della servitù (se esistesse) da travi in legno in travi in acciaio su un muro di mia proprietà? Si deve ritenere questo muro di divisione in comune? nonostante trovasi per intero nella mia particella e ciò si evince non da una piantina catastale ma da una attenta perizia tecnica dallo stato dei luoghi, in forza della quale sto procedendo ad una correzione di confine e quindi di planimetria presso l’Agenzia del Territorio competente.

Grazie mille
Rosario D. L.”
Consulenza legale i 14/07/2023
La questione sottoposta necessita di affrontare diverse questioni giuridiche.
Innanzitutto si rileva come dalla descrizione dello stato dei luoghi non si possa con certezza stabilire se il muro in cui sono state innestate le travi di legno all’epoca della costruzione dell’edificio adiacente, sia o meno posto sul confine tra i due terreni.
Sembra infatti che ci sia una discrepanza tra i titoli di proprietà e quanto risulta dalla piantina catastale.
Poiché il catasto non ha valore probatorio, quello su cui bisogna fare affidamento per verificare i confini precisi e le proprietà, sono i titoli di acquisto e le piantine allegate ad essi.
Correttamente, il proprietario dell’immobile che subisce l’immissione delle travi, sta tentando di allineare il catasto con il proprio titolo e lo stato di fatto.
La posizione del muro e il suo essere o meno in comproprietà tra i due confinanti, rileva al fine di individuare quale norma sia applicabile.
L’art. 884 c.c. stabilisce che in caso di muro comune il comproprietario può fabbricare appoggiando il muro e immettendo le travi purché rimangano a 5 cm dalla superficie opposta.
L’art. 876 c.c. si applica invece quando il muro non è in comproprietà ma è posto sul confine. In questo caso la legge prevede una deroga dell’art. 874 del c.c. sulla comunione forzosa del muro sul confine che rimane di unica proprietà ma fa sorgere il diritto al pagamento di un’indennità da parte del vicino.
Se invece il muro non è in comproprietà e non è posto sul confine, è ritenuto pacificamente che non possa sorgere il diritto di innesto.
L’immissione di travi nel muro altrui si ritiene si configuri come un atto illecito.
Se il caso in oggetto rientra in una delle due fattispecie previste dall’art. 884 c.c. e 876 c.c., bisogna individuare se il diritto di innesto costituisce una servitù usucapibile.
A tal fine è necessario inquadrare brevemente la disciplina delle servitù.
Le servitù non apparenti esercitate senza l’uso di opere visibili e permanenti non si possono usucapire ai sensi dell’art. 1061 del c.c..
Nel caso di specie non si può con certezza affermare che il confinante abbia costituito di fatto una servitù tramite opere visibili.
Il proprietario del muro che subisce l’innesto, infatti, sostiene di non essersi mai reso conto che ci fossero delle travi nel proprio muro.
Una prima problematica riguarda, quindi, la possibilità di avere usucapito il diritto di servitù.
Si segnala che la dottrina ha ritenuto che l’art. 874 c.c. dia vita ad una “servitù necessaria” ma senza dire nulla sull’apparenza o meno della stessa e quindi sulla sua possibilità di essere usucapita.
Si ritiene che solo con un’analisi tecnica dello stato dei luoghi si possa valutare correttamente quale sia la disciplina applicabile, l’apparenza o meno della servitù e se sia stato usucapito il diritto.
In ogni caso, qualora fosse stato acquisito il diritto di servitù per usucapione, si rileva che cambiare i pali e i buchi in cui immetterli, costituisca un esercizio del diritto non conforme al possesso (art. 1065 del c.c.) e un aggravamento per il fondo servente (art. 1067 del c.c.).
In questo caso quindi il proprietario del muro avrebbe il diritto di contestare l’intervento del vicino, eventualmente con un’azione possessoria da svolgersi entro un anno dallo spoglio (art. 1168 del c.c.) o turbativa (art. 1170 del c.c.) del proprio possesso.
L’ultima questione riguarda il fatto che le costruzioni si trovino in zona sismica.
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che gli art. 874 c.c., 876 c.c. e 884 c.c., non si applichino alle zone soggette alle prescrizioni antisismiche (Cass. civ. n. 3425/2006, Cass civ. n. 2731/2002).
In questo caso ogni costruzione contigua deve costituire un organismo a sé stante con l’adozione di giunti o altri accorgimenti idonei a consentire la libera e indipendente oscillazione degli edifici.
È necessario quindi individuare se la località in cui sorgono gli immobili sia soggetta alla normativa antisismica e cosa preveda per gli innesti negli edifici.
Per quanto sin qui detto, a parere dello scrivente, il vicino non ha il diritto di innestare delle nuove travi nel muro del proprio confinante.
Infatti, se anche avesse in precedenza usucapito il diritto di servitù (circostanza facilmente contestabile con la non apparenza delle opere e quindi non usucapibilità della servitù), avrebbe ora posto in atto delle opere che modificano l’esercizio del diritto reale rispetto al possesso precedente oltretutto compiendo un’attività vietata perché rischiosa per le normative antisismiche.


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