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Articolo 2385 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Cessazione degli amministratori

Dispositivo dell'art. 2385 Codice Civile

L'amministratore che rinunzia all'ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d'amministrazione [2380 bis] e al presidente del collegio sindacale [2398]. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori.

La cessazione degli amministratori per scadenza del termine [2383] ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito.

La cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale [2188, 2194, 2626].

Ratio Legis

La norma in commento è applicabile, oltre agli amministratori delle società organizzate secondo il modello tradizionale, anche ai componenti del consiglio di gestione nel modello dualistico (2409 undecies) e a quelli del consiglio di amministrazione nel modello monistico (2409 noviesdecies).

Brocardi

Simul stabunt aut simul cadent

Spiegazione dell'art. 2385 Codice Civile

La norma in commento riguarda gli amministratori ma può essere applicata anche ai liquidatori.
Il legislatore sancisce il principio della continuità dell'organo gestorio e dispone la prorogatio della funzione amministrativa per il periodo compreso tra il termine naturale del mandato e l'accettazione dell'incarico da parte degli amministratori che seguono. Gli amministratori scaduti conservano i poteri anteriori alla scadenza.
Le dimissioni ("dichiarazione di rinuncia") degli amministratori richiedono la forma scritta. Tale dichiarazione ha natura unilaterale recettizia.
Destinatario delle dimissioni è il presidente del c.d.a. In mancanza del presidente, la rinuncia deve essere indirizzata a ciascun amministratore.
La rinuncia si perfeziona e diviene irrevocabile quando giunge a conoscenza dei destinatari.
La rinuncia può essere non motivata e non obbliga il dimissionario a indennizzare la società.

Continua a sussistere la prassi delle c.d. dimissioni in bianco, cioè quelle che talvolta accompagnano l'accettazione della carica di amministratore. Tale prassi non contravviene alle norme di ordine pubblico e risulta lecita.

Altre cause di cessazione sono:
- la morte dell'amministratore, che rimane soggetta alla disciplina pubblicitaria prevista per le altre cause e non consente la successione nel rapporto gestorio degli eredi;
- l'estinzione della società;
- particolari clausole previste dallo statuto, come la clausola simul stabunt simul cadent (v. 2386);
- la liquidazione.

Non è causa di cessazione degli amministratori il fallimento della società, che anzi richiede il compimento di atti proprio da parte degli amministratori.

La cessazione dalla carica degli amministratori è soggetta a iscrizione nel Registro delle imprese con effetto dichiarativo. A far iscrivere la cessazione è tenuto il collegio sindacale, non i singoli amministratori.

Massime relative all'art. 2385 Codice Civile

Cass. civ. n. 24214/2019

In tema di associazioni non riconosciute, gli organi legittimati ad esprimere la volontà dell'ente permangono in carica, in applicazione analogica dell'art. 2385 c.c. e salvo che sia diversamente stabilito dallo statuto o dall'assemblea, fino alla sostituzione dei loro componenti, dovendosi presumere che tale "perpetuatio" sia conforme all'interesse dei membri di dette associazioni perché volta a consentire il normale funzionamento delle stesse. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il soggetto al quale era stato conferito il potere di agire in giudizio in nome di un'associazione sindacale non decadesse automaticamente dall'incarico allo scadere del periodo per il quale era stato nominato, in assenza di norme statutarie o delibere assembleari che disponessero in maniera differente).

Cass. civ. n. 21563/2008

I poteri di rappresentanza dell'amministratore di società di capitale cessano per effetto di un valido atto di rinuncia, senza che si renda a tal fine necessaria, salvo specifico patto, la sussistenza di una giusta causa o l'accettazione di quell'atto da parte dei soci. L'art. 2385 cod. civ., infatti, a differenza dell'art. 2383, dettato per l'ipotesi di revoca dell'amministratore, non contempla fra i presupposti della rinuncia l'esistenza di una giusta causa e tale esclusione non prospetta nessuna violazione grave di principi generali, né alcuna ingiustificata carenza di tutela per la società, il cui interesse alla continuità dell'attività gestoria può facilmente essere soddisfatto con l'immediata sostituzione dell'amministratore; sicché deve escludersi la necessità di far ricorso all'applicazione analogica dell'art. 1720 cod.civ.

Cass. civ. n. 25944/2007

In tema di rimozione delle cause di ineleggibilità alla carica di consigliere regionale da parte di un amministratore con funzioni di rappresentanza di ente o di azienda dipendente dalla Regione, non si applica l'art. 2385 c.c., il quale prescrive la comunicazione delle dimissioni anche al presidente del collegio sindacale, in quanto la norma è dettata per le dimissioni degli amministratori di società di diritto privato e non è perciò riferibile anche all'ipotesi di dimissioni rese da amministratore di un ente pubblico.

Cass. civ. n. 8912/2003

In tema di cessazione degli amministratori di società, il secondo comma dell'art. 2385 c.c. non è norma limitativa delle loro attribuzioni nel periodo di proroga; deve pertanto escludersi che i compiti di gestione di detti amministratori siano circoscritti, in tale periodo, agli atti di ordinaria amministrazione.

Cass. civ. n. 8612/1997

Il principio di diritto secondo il quale al componente del consiglio di amministrazione di una società va riconosciuta la facoltà di permanenza in carica, nonostante la scadenza del suo mandato, fino a quando non siano stati sostituiti tutti gli altri componenti del consiglio medesimo non è rinvenibile in alcuna delle norme stabilite dall'ordinamento in tema di società e, in particolare, né nell'art. 2385, secondo comma c.c. (che ha soltanto lo scopo di assicurare la contestualità tra cessazione e sostituzione, ma non consente di far permanere in carica il precedente amministratore, nonostante la sua sostituzione), né nel successivo art. 2386 (che disciplina la sola ipotesi della sostituzione degli amministratori di nomina assembleare, nel caso che alcuni di essi vengano a mancare nel corso del mandato e, cioè, anteriormente alla cessazione naturale del loro incarico), costituendo, per converso, la clausola simul stabunt, simul cadunt una evidente deroga, in subiecta materia, alle disposizioni legislative, la liceità della quale si riconnette direttamente al principio della libertà di manifestazione della autonomia privata che non contrasti con norme imperative, ma la cui validità risulta inderogabilmente condizionata alla esistenza di una esplicita previsione statutaria.

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relative all'articolo 2385 Codice Civile

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V.F. chiede
domenica 19/09/2021 - Sardegna
“Buongiorno,
sono amministratore unico della S.R.L. di famiglia e socio con mio padre e mia sorella.
Vorrei sapere se posso dimettermi temporaneamente dalla carica.
In questi casi devo nominare immediatamente un sostituto o puo' essere vacante l'incarico?
In ogni caso se nei termini previsti (mi dite quali tempi) non comunico niente all'Agenzia delle Entrate e alla Camera di Commercio posso revocare le dimissioni temporanee chiudendo il cerchio con un nulla di fatto?
Grazie
Cordiali saluti

Consulenza legale i 24/09/2021
Ai sensi dell’art. 2385 del c.c., l'amministratore può rinunciare alla carica in qualsiasi momento dandone comunicazione scritta al consiglio di amministrazione e al presidente del collegio sindacale a mezzo raccomandata a/r o PEC.
L’amministratore di una s.r.l., infatti, non è vincolato da un contratto di lavoro e può, in qualsiasi momento, rinunciare al proprio incarico.

Nel caso di amministratore unico, quale quello esposto, pur ferma la possibilità di rinunciare alla carica in qualsiasi momento, questi dovrà inviare la comunicazione scritta alla società, comunicando la volontà di dimettersi.
Successivamente alle sue dimissioni, l’amministratore unico avrà il compito di convocare l’assemblea dei soci con ordine del giorno le dimissioni dell’amministratore e l’eventuale nomina del nuovo organo amministrativo.
In tale sede verrà presentata ai soci la lettera raccomandata A/R nella quale si comunicano e si motivano le dimissioni, e verrà discussa dall’assemblea dei soci.

L’aspetto che, in presenza di un amministratore unico, si discosta dal caso generale affrontato dalla norma relativo alle dimissioni di un membro del consiglio di amministrazione concerne l’efficacia delle dimissioni, che è diversa nel caso in cui la società abbia un amministratore unico o un consiglio di amministrazione.

La condizione da rispettare sempre è quella di garantire la continuità della gestione aziendale.
In linea generale, la rinunzia per dimissioni ha effetto solo a partire dal momento in cui l’organo amministrativo sia stato ricostituito per effetto dell’accettazione dei nuovi amministratori (cd. prorogatio o prorogatio officii).
Il rispetto del comune principio di buona fede, così come l’esigenza di evitare richieste risarcitorie da parte dell’azienda, possono imporre al consigliere di amministrazione di mantenere la carica fino alla nomina di un nuovo amministratore in sua sostituzione, o comunque per quel termine che potrà ritenersi congruo per la sua sostituzione.

La cessazione dell’amministratore unico, dovendo avere effetto solo nel momento in cui l’organo amministrativo è stato ricostituito, può acquisire efficacia immediata esclusivamente nell’eventualità in cui, all’assemblea appositamente convocata, venga contestualmente nominato un nuovo amministratore.

Tanto premesso, venendo a rispondere alla prima domanda posta, il ruolo di amministratore unico non può essere vacante: l’amministratore uscente dovrà rimanere in carica fino alla nomina del nuovo amministratore.

Una volta che le dimissioni diventano effettive, l’amministratore uscente dovrà consegnare la documentazione al nuovo amministratore.
Infine, la modifica dovrà essere comunicata all’Agenzia delle Entrate, alla Camera di Commercio e a tutti gli enti presso cui l’amministratore era accreditato.
Ai sensi del combinato disposto dell'art. 2383 del c.c., comma 4, e dell'art. 2385 del c.c., comma 3, la cessazione dell’amministratore e la contestuale o successiva nomina dell’amministratore unico devono essere iscritte dal nuovo amministratore nel registro delle imprese entro 30 giorni; nonché in seguito all’Agenzia delle Entrate e a tutti gli organi ed enti con i quali aveva rapporti.

Il momento dell’iscrizione, inoltre, determina altresì il momento in cui l'evento societario diviene opponibile ai terzi di buona fede.
L’art. 2193 del c.c., infatti, dispone che i fatti dei quali legge richiede l’iscrizione, come la cessazione e la nomina degli amministratori, non possono essere opposti ai terzi in buona fede, salvo che non si provi che questi ne erano a conoscenza.
Di conseguenza, gli effetti verso l’esterno, ossia verso i terzi, si perfezionano solo con l’iscrizione della sostituzione degli amministratori nel Registro delle Imprese.
Ciò significa che fino a quel momento i terzi possono e devono continuare ad operare con l’amministratore dimissionario, in quanto, senza la modifica presso la camera di commercio, sarà sempre lui ad apparire all’esterno come amministratore della società.

Considerato quanto esposto, le Sue dimissioni non avrebbero efficacia fino alla nomina del nuovo amministratore, poiché deve essere garantita la continuità della gestione aziendale.
Potrebbe revocarle prima della nomina del nuovo amministratore, ma in tal caso non cesserebbe mai dalla carica, in quanto il ruolo di amministratore unico non può essere vacante.
Se, invece, intendesse nominare contestualmente un nuovo amministratore, non avrebbe più la possibilità di revocare le Sue dimissioni, salvo che in seguito non venga nuovamente nominato in carica.
In quest’ultimo caso, comunque, se anche non doveste procedere alle dovute comunicazioni e iscrizioni (alle quali sarebbe obbligato il nuovo amministratore) nei confronti dei terzi in buona fede risulterebbe comunque Lei l’amministratore della società, con tutte le implicazioni che ne discendono, non soltanto da un punto di vista operativo, ma anche relativamente ai profili di responsabilità, salvo eventuale prova contraria o della conoscenza della circostanza da parte di tali soggetti.

PAOLO L. chiede
mercoledì 06/05/2020 - Emilia-Romagna
“Per un ente del terzo settore, con personalità giuridica, classificato come ODV iscritto, in attesa di migrare nell'istituendo RUNTS, nel registro regionale del volontariato si verifica la scadenza del triennio del consiglio direttivo in data 20 aprile 2020. Tale termine non è legato alla data di approvazione del bilancio.

Il periodo emergenziale stabilito dal Governo Italiano a seguito della pandemia "covid-19" scade in data 31 luglio, tuttavia è stato previsto solo lo slittamento del termine di approvazione dei bilanci di detti enti al 31 ottobre 2020, ma nessuno slittamento oltre al 29 giugno risulta applicabile per altri tipi di assemblee. A parere dello scrivente risulta applicabile, comunque, l'art. 2385 cc (La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito), in quanto nulla si specifica al riguardo nello statuto dell'associazione.

L'associazione in questione è impossibilitata a svolgere le assemblee in audio/video conferenza in quanto a ciò non organizzata. E' quindi corretto procedere alla nomina del nuovo consiglio direttivo in occasione dell'assemblea di approvazione del bilancio (prevista per settembre) utilizzando quindi l'istituto della "prorogatio" ?

Cordiali saluti.
paolo lacalamita”
Consulenza legale i 09/05/2020
Come correttamente esposto nel quesito formulato, anche alle associazioni è applicabile l’art. 2385 del c.c., alla cui lettura si rimanda.

La prorogatio della carica dell’organo gestorio, infatti, per il caso di intervenuta cessazione dell’incarico del vecchio organo gestorio permette di evitare che la società (o l’associazione nel caso di specie) resti priva dell’organo deputato a deliberare la volontà della società e/o associazione.

Tale applicazione analogica del disposto di cui all’art. 2385 c.c. anche all’associazione è fornita anche dalla Suprema Corte, che, in una recente sentenza, per il caso di associazioni non riconosciute (e a maggior ragione anche per quelle riconosciute), ha statuito quanto segue: “Deve per contro ritenersi, valorizzando un principio già espresso da Cass. n. 583 del 1967 e riaffermato, in tempi più recenti, da Cass. n. 1476 del 2007, che nelle associazioni non riconosciute, in mancanza di norme più dettagliate o di una diversa volontà espressa dagli associati, e possibile fare ricorso, in via analogica, alle disposizioni che regolano casi simili in materia di associazioni riconosciute o di società, compatibilmente con la struttura di ogni singolo rapporto (principio richiamato nella sentenza del 2007 a proposito della fusione d due associazioni professionali). Per le associazioni non riconosciute come per le società, quindi, in applicazione dell'art. 2385 c.c., salvo diversa volontà dell'ente fissata dallo statuto o espressa dall'assemblea degli associati, gli organi legittimati ad esprimere la volontà dell'ente permangono in carica finché le persone che li incarnano non sono sostituite da altre, sulla base di una presunzione di conformità di una siffatta "perpetuatio" all'interesse ed alla volontà degli associati, in quanto volta a consentire il normale funzionamento della associazione. L’operatività degli organi delle associazioni non riconosciute in regime di prorogatio è già stata affermata da questa Corte in riferimento alla fase di scioglimento dell'associazione non riconosciuta (v. Cass. n. 5738 del 2009), per la quale si e affermato tra l'altro che non e necessario, in relazione a questa ipotesi, procedere alla applicazione analogica delle norme dettate per le associazioni riconosciute (e non e necessario, quindi procedere alla richiesta di nomina di un liquidatore), in quanto l'associazione non riconosciuta può procedere alle attività di liquidazione tramite i suoi stessi rappresentanti legali in carica alla data dello scioglimento, operanti in regime di proroga dei loro poteri. Il medesimo principio deve ritenersi regoli la vita ordinaria della associazione, per consentire la realizzazione delle esigenze di continuità nelle sue attività istituzionali” (Cass., civ. sez. II, del 30 settembre 2019, n. 24214)


Alla luce di quanto sopra, può pertanto ritenersi applicabile l’art. 2385 c.c. anche agli enti del terzo settore.

Giovanni D. chiede
domenica 24/09/2017 - Lazio
“Buongiorno.
Sono consigliere di una Srl e intendo rassegnare le dimissioni soltanto da consigliere mantenendo le quote. Le mie dimissioni non comprometterebbero l'attuale Cda in quanto possiedo il 10% della Srl , mentre gli altri tre soci ne detengono il 90%.
Quali azioni devo intraprendere?
Rimanere in possesso delle quote crea un conflitto di interessi considerando che andrei a lavorare in una società che opera nello stesso settore?
Grazie”
Consulenza legale i 03/10/2017
Prima di rispondere al quesito posto, si ritiene utile precisare che l’incarico a cui si vuole rinunciare è quello di consigliere di un Consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata, organo amministrativo di tipo collegiale della società.

Per fare ciò non occorre ordinariamente intraprendere alcuna particolare azione, in quanto l’amministratore di una società a responsabilità limitata non è vincolato da un contratto di lavoro e può, in qualsiasi momento, rinunciare al proprio incarico.

Il riferimento normativo si rinviene nell’art. 2385 c.c., rubricato proprio “Cessazione degli amministratori”.

Dal testo di tale norma si ricava che la volontà di rinunciare va manifestata con una formale lettera di dimissioni, la quale può esser fatta pervenire alla società in qualsiasi momento, anche qualora si fosse investiti della carica di amministratore non a tempo indeterminato, bensì con un termine fisso di scadenza (in tal caso ciò che si richiede è una adeguata motivazione).

Ovviamente il rispetto del comune principio di buona fede, così come l’esigenza di evitare richieste risarcitorie da parte dell’azienda, possono imporre al consigliere di amministrazione di mantenere la carica fino alla nomina di un nuovo amministratore in sua sostituzione, o comunque per quel termine che potrà ritenersi congruo per la sua sostituzione.
A tal fine si reputa sufficiente indicare nella lettera di dimissioni il termine dal quale la comunicazione dovrà ritenersi valida ed efficace, dichiarandosi che fino a tale data si rimarrà in carica per l’espletamento della normale amministrazione.

Nel caso come quello in esame, in cui l’organo amministrativo risulta composto da un consiglio di amministrazione, la suddetta lettera di dimissioni andrà notificata al Consiglio di amministrazione, il quale sarà così posto in condizione di convocare l’assemblea dei soci oppure nominare un nuovo amministratore, a seconda di quanto previsto dallo statuto sociale.

Ricevuta tale formale comunicazione, l’assemblea dei soci, e/o il consiglio di amministrazione, a seconda dei casi, potrà:
  1. accettare le dimissioni, con la conseguenza che l’amministratore potrà considerarsi immediatamente libero da ogni obbligo. Una volta accettate le dimissioni, si dovranno restituire tutti i documenti ed i beni pertinenti alla società in proprio possesso, redigendo di ciò apposito verbale per conservarne la prova.
  2. accettare le dimissioni, ma contestualmente deliberare un differente termine di decorrenza della loro efficacia, richiedendosi all’amministratore uscente di rimanere in carica fino a tale data.
  3. se infine la società non dovesse preoccuparsi di disporre la nomina di un nuovo amministratore in tempi ragionevoli, e la rinuncia dovesse far venir meno la maggioranza del Consiglio di amministrazione, con conseguente sua impossibilità di funzionamento, si renderà necessario fare istanza al Tribunale per la nomina di un amministratore giudiziale, che possa sostituire l’amministratore dimissionario (ovviamente trattasi di una ipotesi che presuppone già dei problemi all’interno del gruppo dei soci o gestionali dell’azienda).

Relativamente al secondo quesito, ossia quello di un eventuale conflitto di interessi che potrebbe insorgere per lo svolgimento di attività lavorativa presso altra società operante nello stesso settore di quella in cui si mantiene la qualità di socio, va detto che al riguardo non sussiste alcun ostacolo giuridico.
Infatti, in tal senso può chiaramente argomentarsi dal contenuto dell’art. 2390 c.c., norma che pone un divieto di concorrenza soltanto per coloro che rivestono la qualifica di amministratori di una società di capitali e che a loro volta contestualmente:
  1. assumano la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti
  2. esercitino un'attività concorrente per conto proprio o di terzi
  3. rivestano la posizione di amministratori o direttori generali in società concorrenti.
L’ipotesi che ci interessa, dunque, sarebbe quella prevista sub lettera b), ossia di svolgimento di una attività concorrente per conto di terzi (l’altra società), ma in questo caso non si ricade nel divieto poiché si rivestirebbe la semplice qualità di socio in una delle società e quella di lavoratore nell’altra.
Ovviamente, quanto sopra detto deve anche trovare conferma nello statuto societario, il quale potrebbe dettare una diversa disciplina e richiedere, ad esempio, anche per tale ipotesi, la preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea.

Si sottolinea infine che, sempre in forza della norma sopra richiamata, le conseguenze della violazione di tale divieto sono la revoca dall’ufficio di amministratore ed una responsabilità per eventuali danni, di cui comunque dovrà essere fornita adeguata prova.