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Articolo 2259 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Revoca della facoltà di amministrare

Dispositivo dell'art. 2259 Codice Civile

La revoca dell'amministratore nominato con il contratto sociale non ha effetto se non ricorre una giusta causa [2252].

L'amministratore nominato con atto separato è revocabile secondo le norme sul mandato [1723, 1726].

La revoca per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente da ciascun socio.

Ratio Legis

La norma fissa i presupposti affinché la società possa sciogliere unilateralmente il rapporto di amministrazione intercorrente con un socio o un estraneo investito della facoltà di amministrare, differenziando i requisiti della revoca in base alla fonte del potere gestorio precedentemente attribuito (contratto sociale/successivo atto separato). La stessa previsione, inoltre, consente anche al socio uti singuli di rivolgersi al Tribunale perché possa disporre la revoca dell'amministratore.

Spiegazione dell'art. 2259 Codice Civile

La norma distingue i presupposti per la revoca della facoltà di amministrare in relazione alle modalità con le quali la stessa è stata attribuita al socio.

Qualora il socio sia stato nominato amministratore dal contratto sociale, la revoca dovrà essere decisa all’unanimità dei consensi dei soci e dovrà in ogni caso fondarsi sulla sussistenza di una giusta causa di revoca.

Nel caso in cui la nomina sia stata disposta con atto separato rispetto al contratto sociale, alla revoca dovranno applicarsi le norme dettate dalla disciplina del mandato. Se ne deduce che in quest’ultima ipotesi, la revoca sarà efficace anche in assenza di giusta causa, pur dovendo la società risarcire i danni patiti dall’amministratore, qualora fosse stata pattuita l’irrevocabilità del mandato (art. 1723).

Il terzo comma della disposizione prescrive infine che, al di là delle modalità di conferimento della facoltà di amministrare, ogni socio possa richiedere la revoca giudiziale dell’amministratore, dimostrando l’esistenza di una giusta causa di revoca. La giurisprudenza ritiene che i soci possano agire in sede cautelare ex art. 700 c.p.c. per richiedere l’anticipazione degli effetti della revoca.
La giusta causa deve essere intesa come evento che rende impossibile il normale proseguimento del rapporto di amministrazione; evento che può coincidere con la violazione dei doveri che gravano sull’amministratore oppure consistere in fatti ad egli non imputabili.
Mentre la deliberazione che abbia ad oggetto l’esclusione del socio comporta l’inevitabile revoca della facoltà di amministrare, la revoca dell’amministratore non incide sulla qualità di socio.

Massime relative all'art. 2259 Codice Civile

Cass. civ. n. 18600/2011

Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi; peraltro, l'area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio; pertanto, non è compromettibile in arbitri l'azione di revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita semplice ex art. 2259 c.c., in relazione agli artt. 2315 e 2293 c.c., non facendo eccezione - come invocato nella specie - la avvenuta insorgenza della controversia fra coniugi altresì soci in detta società.

Cass. civ. n. 13761/2009

Ai sensi del combinato disposto degli art. 2252 e 2259 c.c., la revoca dell'amministratore di società di persone, la cui nomina sia contenuta nell'atto costitutivo, postula l'esistenza congiunta dei presupposti dell'unanimità dei consensi e della giusta causa, mentre questi possono sussistere in via alternativa, ove la nomina sia avvenuta con atto separato. Peraltro, allorché l'amministratore sia socio, non è richiesto il consenso del medesimo al fine della sua revoca, avendo portata generale il principio del divieto di voto in conflitto di interessi con la società, ai sensi dell'art. 2373 c.c., del quale costituisce applicazione anche l'art. 2287 c.c., che impone di non considerare il socio da escludere nel computo della maggioranza necessaria per l'esclusione.

Cass. civ. n. 1739/1988

Le controversie in materia societaria possono in linea generale formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi. Pertanto non è compromettibile in arbitri l'azione di revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita semplice ex art. 2259 c.c. in relazione agli artt. 2315 e 2293 c.c. fondata sulla violazione da parte dell'amministratore medesimo delle disposizioni che prescrivono la precisione e la chiarezza dei bilanci nonché dell'obbligo di consentire ai soci il controllo della gestione sociale, trattandosi di disposizioni preordinate alla tutela di interessi non disponibili da parte dei singoli soci e perciò non deferibili al giudizio degli arbitri (art. 806, c.p.c.).

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Gregorio C. chiede
domenica 02/04/2017 - Sicilia
“faccio parte di un laboratorio di (omissis) SNC e invio a parte via email l'atto costitutivo.I soci sono 5 con A 30% B 30% C 10% D % 15% E 15%.
Io A con B rappresentiamo il 60%delle quote sociali mentre C (amministratore ) D ed E (figlie ) rappresentano il 40%.
Sono sorti attriti insanabili sulla trasparenza in particolare su l'utile ridotto che si avvicina allo zero.
In particolare su 250.000 euro di incassi 2/3 pagati dall'asp sono canalizzati in banca mentre 1/3 in contanti non si conosce la destinazione.
I miei quesiti sono i seguenti:
Possono A e B imporre e come che il contante sia versato periodicamente in banca e tutti i pagamenti avvengano tramite bonifico bancario?
Possono A e B imporre e come un adattamento della rete telematica del computer per seguire da fuori l'attività del laboratorio compresa l'archiviazione delle fatture?
Avere infine la chiavetta per l'accesso web del conto in banca ? (solo osservativo non dispositivo).
La richiesta verbale ha avuto esito negativo.
Grazie e distinti saluti”
Consulenza legale i 08/04/2017
Imporre a tutti i soci della S.N.C. degli obblighi di trasparenza e determinati adempimenti gestionali, al fine di rendere possibile un controllo sulle entrate e sulle uscite della società, comporterebbe o una modifica dello statuto oppure, più semplicemente, la redazione e la sottoscrizione di un patto parasociale con il quale si vada a regolamentare nel dettaglio l’organizzazione interna.
Però, sia la modifica dello statuto che la sottoscrizione di un patto tra i partecipanti, implicano una decisione all’unanimità dei soci, i quali dovrebbero quindi trovarsi tutti d’accordo.
Chiaramente nel caso concreto ciò non è possibile, essendoci ben tre soci che hanno già espresso il loro disaccordo sul punto.

Una soluzione diversa, ma che concretamente potrebbe determinare lo stesso risultato sperato, sarebbe quella di riprendere in mano l’amministrazione e la gestione della società.
Preliminarmente va chiarito che solitamente nelle S.N.C. l’amministrazione della società spetta a tutti i soci disgiuntamente.
Ciascun socio può compiere da solo e di sua iniziativa tutte le operazioni e la maggior parte delle attività, mentre gli atti che hanno una forte incidenza sulla vita sociale devono essere deliberati all’unanimità (ad esempio le modifiche dello Statuto ex art. 2252 c.c.).
I soci possono discostarsi dal modello legale di amministrazione e, tramite una clausola statutaria, possono decidere di nominare un amministratore ed affidare a lui tutta la gestione della società, proprio come nel suo caso.

E’ chiaro dunque che, se venisse revocato l’incarico all’amministratore, i soci tornerebbero ad amministrare tutti insieme la società e potrebbero controllarne direttamente l’attivita, le entrate ed i conti.
Allo scopo è bene ricordare che la revoca dell’amministratore in base ad espressa previsione statutaria deve essere deliberata a maggioranza dei soci (art. 5), ma è anche vero che alla votazione non può prendere parte il socio-amministratore (Trib. Milano 21 ottobre 1993, Trib. Napoli 7 ottobre 1986).
Essendovi due soci che con ogni probabilità voteranno per la revoca ed altri due soci che con altrettanta probabilità non hanno nessuna intenzione di farlo, il Giudice potrebbe effettivamente dare peso alla maggioranza per quote non potendo altrimenti risolvere il contrasto nel silenzio della legge e dello statuto.

La revoca dell'amministratore poi, può sempre essere richiesta ex art. 2259 c.c. da ciascun socio all’autorità giudiziaria per una giusta causa, ossia quando l’amministratore abbia violato obblighi di legge o doveri di lealtà, correttezza e diligenza, che minano il carattere fiduciario del rapporto (cfr. Cass. 6524/1994, Trib. Milano 22 marzo 1990).

Dunque tramite un processo deliberativo interno alla compagine sociale oppure per il tramite degli organi di giustizia è possibile riprendere il controllo e l’amministrazione della società e di conseguenza ripristinare la vigilanza sui conti e le entrate, imporre la trasparenza dei pagamenti, imporre l'utilizzo di un gestionale per le fatturazioni ecc., tutte operazioni che rientrano nell'ordinaria amministrazione e che, attualmente, spettano all'amministratore.

E non va infine dimenticato che il socio non amministratore ha sempre diritto di rendiconto, di bilancio, di informazione e consultazione dei documenti contabili (art. 2261 c.c.) e dunque, già allo stato attuale, non è possibile (lecito) impedisca agli altri soci di conoscere i movimenti di conto corrente.

Salvatore C. chiede
giovedì 21/04/2016 - Sicilia
“Sono socio di una SNC nella quale l'amministratore è stato nominato col patto sociale.Un articolo del nostro statuto prevede che l'amministratore dura in carica fino a revoca richiesta dalla maggioranza dei soci.I soci siamo 5.Io ed un altro socio che deteniamo il 60% del capitale sociale con quali modalità possiamo revocare l'amministratore ?”
Consulenza legale i 28/04/2016
Prima di offrire una risposta al quesito, è stata valutata la legittimità della clausola dell’atto costitutivo della società (si presume, infatti, che a quest’ultimo si faccia riferimento quando si parla di “patto sociale”) che stabilisce il principio maggioritario per la revoca dell’amministratore. Infatti, le norme del codice civile sulle società di persone tacciono sulla necessità della unanimità dei consensi, piuttosto che sulla sufficienza di una sola maggioranza, in ordine alle decisioni assunte dai soci che riguardino la vita sociale.

La dottrina e la giurisprudenza, a partire dall’analisi dell’art. 2252 c.c., per il quale “Il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente [2259, 2272 n. 3, 2300].”, nel tempo è giunta ad elaborare una regola, secondo la quale il discrimine è se la decisione riguardi la struttura organizzativa ovvero la gestione della società: la regola dell’unanimità è applicabile quando si tratti di decisione che tocchi le fondamenta organizzative della società, mentre la diversa regola della maggioranza è applicabile (anche a mente dell’articolo 2257) quando si tratta di decisioni che afferiscono alla gestione dell’impresa (nomina e revoca degli amministratori).

Pertanto, nel caso di specie, si può dire che tale regola sia stata rispettata e che la clausola dell’atto costitutivo sia del tutto legittima.

Vi sono, tuttavia, due impedimenti alla libera revocabilità dell’amministratore da parte dei due soci che detengono, insieme, la maggioranza del capitale.

Il primo è che tale maggioranza, nelle società di persone, secondo i più autorevoli interpreti del diritto societario (Scialoja e Branca, Cottino, Ferri), normalmente si calcola per capi e non per quote: ciò si può ritenere per deduzione logica, dal momento che laddove il legislatore ha voluto, al contrario, che il calcolo avvenisse per quote l’ha precisato, come nell’ipotesi del 2257 c.c. sulle modalità dell’amministrazione disgiuntiva; tuttavia va aggiunto – per completezza - che altri studiosi ritengono, al contrario, che proprio da quest’ultima norma possa desumersi la regola della maggioranza calcolata per quote qualora si tratti di decisioni e/o conflitti relativi all’amministrazione. Purtroppo (o per fortuna, nel caso particolare in esame) non esistono norme che contengano una regola chiara e definitiva a tal proposito: in questi casi, normalmente, ci si attiene agli orientamenti giurisprudenziali maggioritari, oppure ci si affida alla decisione dell’Autorità Giudiziaria.

Nel caso concreto in esame, in definitiva, due soci su cinque non saranno sufficienti a formare la maggioranza richiesta; a meno che, si noti bene, l’atto costitutivo non preveda diversamente (occorre, quindi, visionare attentamente il contenuto di quest’ultimo documento per vedere se i fondatori abbiano previsto eventualmente regole diverse sulla formazione delle maggioranze).

Il secondo possibile impedimento alla revoca (sempre presumendo, perché nel quesito non è scritto, che si voglia procedere a quest’ultima senza particolari motivi), dettato dalla legge e non derogabile, è quello evidenziato nella norma che disciplina proprio la fattispecie della revoca dell’amministratore, l’art. 2259 c.c..
La norma pone una distinzione tra le ipotesi di revoca di amministratore nominato con il contratto sociale oppure con atto separato: “Le revoca dell’amministratore nominato con il contratto sociale non ha effetto se non ricorre una giusta causa. L’amministratore nominato con atto separato è revocabile secondo le norme sul mandato. (…)”.
Rientrando la fattispecie al nostro esame nella prima ipotesi, sarà necessaria la “giusta causa”.
La giurisprudenza precisa che sono ascrivibili a questa definizione : “da un lato, tutti quei comportamenti dell’amministratore che compromettono l’esistenza stessa dell’impresa collettiva ed il suo funzionamento; dall’altro, le condotte che, violando obblighi di legge o doveri di correttezza e diligenza propri dell’amministratore, non garantiscono una corretta amministrazione della società e la tutela degli interessi privati dei soci della stessa e dei terzi (quali, in maniera esemplificativa, la creazione di situazioni tali da nuocere alla prosecuzione dell’impresa, il tentativo dell’amministratore di provocare lo scioglimento della società prima della scadenza con “mezzi artificiosi”, ovvero di distrarre risorse reimpiegandole in attività estranee e diverse)” (Tribunale Bari, Sez. V, 15/5/2007).

Da ultimo va precisato, per il caso in cui vi dovessero essere invece i presupposti per la revoca (maggioranza da calcolarsi per quote, secondo l’atto costitutivo, e giusta causa), relativamente alle concrete modalità con cui procedere, che le società di persone non possono dirsi, a rigore, connotate al proprio interno da un’articolazione organica, la quale è piuttosto propria delle società di capitali.
Con il termine “articolazione organica” si descrive l'organizzazione interna di una persona giuridica, nella quale in genere si distinguono un organo amministrativo, deputato alla manifestazione della volontà dell'ente all'esterno e un organo assembleare, che costituisce la base determinativa interna delle decisioni di maggior rilievo.
In effetti, il codice civile non contiene alcuna norma che consente di ritenere configurabile, all’interno delle società di persone, un’assemblea come organo deliberante permanente.
Pertanto la giurisprudenza sul punto appare orientata a ritenere che sia sufficiente, ai fini della formazione della volontà sociale, che il consenso dei soci si raccolga in via progressiva, anche separatamente, senza che si faccia ricorso alla convocazione ed alle formalità proprie di un’assemblea (Tribunale di Napoli, 07/10/1986; Cass. Civ. Sez. I, 1977/73). Ciò non esclude tuttavia che sia vietato ai soci fare ricorso al metodo assembleare (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 8276/02).