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Articolo 1443 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Ripetizione contro il contraente incapace

Dispositivo dell'art. 1443 Codice Civile

Se il contratto è annullato per incapacità di uno dei contraenti, questi non è tenuto a restituire all'altro la prestazione ricevuta se non nei limiti in cui è stata rivolta a suo vantaggio [2039](1).

Note

(1) Dalla norma si ricava che la regola generale è, al contrario, quella per cui l'annullamento ha effetto retroattivo, in quanto consente di chiedere la restituzione di quanto versato in esecuzione del negozio (v. 2033 c.c.).

Ratio Legis

La norma si giustifica in quanto è volta a dare tutela al soggetto incapace.

Spiegazione dell'art. 1443 Codice Civile

Natura della disposizione

La norma, che in una sistemazione più rigorosa avrebbe dovuto essere collocata dopo gli articoli sulla convalida e vicino alla norma dell'art. 1445, trattandosi di disposizione concernente gli effetti dell'azione di annullamento, innova in due punti rispetto alla corrispondente norma dell'art. #1307# del codice civile abrogato, la quale si riferiva esclusivamente alla prestazione consistente nel pagamento di una somma di danaro e al caso di incapacità legale, mentre nel nuovo codice si contempla ogni prestazione e tanto il caso di incapacità legale quanto il caso di incapacità naturale.

Non è facile determinare, date le gravi controversie in proposito, la natura di questa disposizione; mentre l'opinione dominante vi ravvisa un'applicazione del divieto di arricchimento senza causa, altri ritiene trattarsi di un'azione di natura contrattuale oppure di un'azione a sé stante e del tutto indipendente. Senza approfondire la questione, non sembra infondato sostenere che l'art. 1433 cod. civ. rappresenta un limite al contenuto dell'obbligazione di restituzione dell'indebito; quindi non si tratta certamente di un'applicazione autonoma dell'azione di arricchimento senza causa, ma, se mai, se si considera la ripetizione dell'indebito come una applicazione di tale principio, di un limite di un'applicazione. Annullato il negozio ed eliminata la costituzione dell'obbligazione da esso prodotta, la posizione dell'incapace che ha ricevuto la prestazione è quella di un soggetto che ha ricevuto una prestazione indebita e come tale è tenuto a restituirla; la legge limita però, trattandosi di incapace, il contenuto di tale obbligazione di restituzione a quella parte della prestazione o del valore della prestazione che è stata rivolta a vantaggio dell'incapace. A questa limitazione l'interprete avrebbe dovuto ugualmente pervenire anche senza la norma in esame, in forza dell'art. 2039 cod. civ., il quale, prevedendo l'ipotesi di prestazione indebita a favore dell'incapace, dispone che l'incapace anche in mala fede non è tenuto a restituire l'indebito se non nei limiti in cui ciò che ha ricevuto è stato volto a suo vantaggio. Nell'art. 1433 cod. civ. il legislatore non fa che ribadire, come non di rado accade, per un caso particolare la norma generale. Per questo lato la disposizione dell'articolo in esame si rivela inutile; la sua presenza, se non si giustifica, si spiega tuttavia sia in base alla considerazione che, ove non si tenga presente l'esatto meccanismo dell'annullamento, che spesso viene configurato come una controvicenda, non si scorge agevolmente il carattere di prestazione indebita della prestazione dell'incapace, sia in base alla considerazione che la mala fede dell'accipiens assume in tal caso un atteggiamento diverso da quello che assume nei casi normali di prestazione indebita, consistendo non già nella conoscenza del fatto che la prestazione non è dovuta, ma nel fatto che la prestazione potrà in seguito all'annullamento risultare non dovuta.

Che cosa si deve intendere per prestazione rivolta a vantaggio dell'incapace

Premesso ciò, due sono i punti di notevole interesse dogmatico e pratico che si prospettano all'interprete nei confronti della norma in esame: determinare che cosa si deve intendere per «rivolta a vantaggio » e precisare il momento in cui tale vantaggio deve essere preso in considerazione.

Non sembra che il vantaggio in parola coincida con il concetto di arricchimento. L'espressione «vantaggio », usata in tutti gli articoli del codice riguardanti gli incapaci (1769, 1950, 2039), non ricorre mai tra le molte di cui il legislatore si serve per indicare l'arricchimento. Si aggiunga che, intendendo vantaggio nel senso di arricchimento, la norma in esame avrebbe una scarsissima, per non dire nessuna, applicazione pratica, poiché in tutte le prestazioni consistenti nel trasferimento di un diritto c'è sempre stato arricchimento.

Vantaggio, in senso ampio, è l'effettiva utilizzazione della prestazione ricevuta per il soddisfacimento di un bisogno materiale o mo­rale dell'incapace. Quindi, poiché al concetto di arricchimento è estranea, secondo la migliore dottrina, la non patrimonialità, la relazione tra vantaggio e arricchimento sarebbe quella tra genere e specie; ogni arricchimento è un vantaggio, ma non ogni vantaggio un arricchimento.

Dato l'infinito numero dei bisogni umani e la loro varietà, sembra tuttavia che il concetto di vantaggio di cui all'articolo in esame deve essere alquanto ristretto. Non è possibile stabilire un unico criterio oggettivo in base al quale determinare quando la soddisfazione di un bisogno costituisca un vantaggio ripetibile; si tratta di una questione da risolversi caso per caso, tenendo presente la serietà, l'urgenza e l'intensità del bisogno soddisfatto (intendendo l'intensità in astratto e in concreto, cioè come il grado che ha il bisogno nella scala dei bisogni dell'individuo raffrontata con la scala dei bisogni dell'individuo normale), l'esperienza comune, in una parola tutti quegli elementi in base ai quali si può concludere che l'incapace non ha sprecato l'utilità della prestazione ma ne ha fatto un impiego giudizioso. Venendo a casi concreti, rappresenta certo un vantaggio (morale) non ripetibile, come fu sancito dalla giurisprudenza, la spesa della somma mutuata a un incapace per andare a trovare il coniuge in carcere; lo stesso dicasi dei casi in cui la prestazione viene, direttamente o indirettamente, cioè attraverso lo scambio con altra prestazione, utilizzata per il soddisfacimento dei bisogni alimentari, per cure di un difetto fisico che rendesse l'incapace meno idoneo al lavoro, per preparazione culturale e tecnica tali da migliorare, e nei limiti del miglioramento effettivo, la sua capacità lavorativa.

Il momento in cui il vantaggio deve essere valutato

Per quanto nei lavori preparatori (Atti C. A. L., verb. n. 12, pag. 164) si fosse categoricamente affermata la necessità di fissare il momento in cui il vantaggio deve essere valutato, il testo definitivo tace su questo punto. Alla opinione dominante, che, in conformità a una proposta formulata negli stessi lavori preparatori, ritiene rilevante il momento dell'esperimento dell'azione, è stato opposto l'argomento testuale dell'uso al passato del verbo rivolgere. Pur non nascondendo una certa perplessità in proposito, sembra, in conformità con il concetto di vantaggio accolto in precedenza, che sia rilevante il momento in cui la prestazione fu utilizzata o, se la prestazione ha carattere continuato, il momento in cui cessò tale utilizzazione. Pertanto, come un fatto successivo e opposto che neutralizzi questo vantaggio non toglie che vantaggio ci sia stato, così non ha rilevanza il fatto che il vantaggio non abbia avuto luogo immediatamente dopo l'esecuzione della prestazione, ma solo in un tempo più o meno remoto.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1443 Codice Civile

Cass. civ. n. 2460/2020

L'art. 1443 c.c., secondo cui, qualora il contratto è annullato per incapacità di uno dei contraenti, questi non è tenuto a restituire all'altro la prestazione ricevuta se non nei limiti in cui è stata rivolta a suo vantaggio (incombendo al solvens l'onere di provare l'eventuale vantaggio ricevuto dall'incapace e la relativa misura), si applica anche nel caso in cui il contratto, anziché essere stato stipulato personalmente dall'incapace, sia stato stipulato in suo nome da chi lo rappresentava senza la prescritta autorizzazione.

Cass. civ. n. 16888/2017

L'esonero dalla ripetizione della prestazione ricevuta dalla parte, in ipotesi di annullamento del contratto per sua incapacità, prescinde dalla buona o malafede dell'altro contraente e dipende esclusivamente dalla circostanza oggettiva che detto annullamento sia avvenuto in conseguenza di tale incapacità, presumendo la legge che l’incapace abbia mal disposto del suo patrimonio e dissipato la prestazione conseguita, non traendone profitto; grava, pertanto, sull'altro contraente, che intenda ottenere la restituzione della prestazione corrisposta, l'onere di dimostrare che l'incapace ne ha tratto vantaggio, indipendentemente dal proprio stato soggettivo.

Cass. civ. n. 16937/2006

Il contratto preliminare deve essere inteso come struttura negoziale autonoma destinata (quantomeno in ipotesi di c.d. «preliminare impuro» ovvero «a prestazioni anticipate») a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il contratto definitivo, sicché il suo oggetto è rinvenibile non solo e non tanto nel facere consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto in un (sia pur futuro) «dare» insito nella trasmissione dei diritto (dominicale o di altro genere), che costituisce, alfine, il risultato pratico avuto di mira dai contraenti. Ne consegue che, stipulato un contratto preliminare (avente ad oggetto, nel caso specifico, la cessione esclusiva dei futuri diritti di sfruttamento industriale di un'invenzione) con un soggetto incapace (legalmente presunto tale per effetto di sentenza di inabilitazione), l'unica azione a disposizione della parte promissaria acquirente, già esecutrice in modo parziale della propria prestazione, si individua in quella contrattuale prevista dall'art. 1443 c.c., senza che possa farsi luogo, in via cumulativa, all'esperimento di altra azione, di tipo extracontrattuale, riconducibile alla supposta malafede del predetto soggetto durante le trattative, e ciò alla stregua delle sopravvenute condizioni complessivamente cristallizzate mediante la stipula del preliminare che comportano la perdita di ogni autonomia e di ogni giuridica rilevanza di dette trattative, convergendo, sotto il profilo risarcitorio, nella nuova struttura contrattuale che, pertanto, viene a costituire la sola fonte di responsabilità, per l'appunto, risarcitoria. (Nella specie, la S.C., enunciando tale principio, ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza, con la quale, invece, era stata riconosciuta la configurabilità di una responsabilità extracontrattuale a carico del ricorrente per violazione del principio di buona fede nella fase precontrattuale, malgrado l'intervenuta stipula del contratto preliminare e la conseguente esclusiva rilevanza del nuovo vincolo giuridico venutosi a formare al quale si sarebbe dovuta ricollegare, in caso di annullamento dello stesso contratto, la sola responsabilità individuata nel citato art. 1443 c.c.).

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