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Articolo 1435 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Caratteri della violenza

Dispositivo dell'art. 1435 Codice Civile

La violenza deve essere di tal natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto(1) e notevole(2). Si ha riguardo, in questa materia, all'età, al sesso e alla condizione delle persone.

Note

(1) Il male non è ingiusto se la parte minaccia di far valere un diritto (v. 1438 c.c.).
È anche necessario che la minaccia sia diretta allo scopo specifico di spingere il minacciato a concludere il negozio.

Ratio Legis

Il legislatore non tutela il contraente da ogni forma di violenza ma solo da quella che abbia determinate caratteristiche.

Brocardi

Iustus metus
Metus maioris malitatis
Vis est maioris rei impetus, qui repelli non potest

Spiegazione dell'art. 1435 Codice Civile

Oggetto della minaccia

La disposizione, che riproduce quasi testualmente l'art. #1112# del codice abrogato, precisa il contenuto ed i caratteri del male minacciato che forma oggetto della violenza.

Mentre per diritto romano era rilevante solo la minaccia di un male relativo alla persona, il nostro ordinamento, sulle tracce del diritto canonico, considera tanto l'ipotesi del male alla persona quanto l'ipotesi del male ai beni.

Requisiti del male minacciato: ingiustizia, notabilità

II male minacciato o temuto deve rispondere a determinati requisiti, e precisamente deve essere:

a) ingiusto. Sull'esempio del codice tedesco (§ 123) e del codice austriaco (§ 870), il nuovo legislatore stabilisce espressamente questo requisito, che il codice del 1865, come il codice Napoleone, passava invece sotto silenzio. La dottrina era tuttavia concorde, pur nella varietà degli argomenti addotti a sostegno di questa affermazione, nel ritenere che il male dovesse essere ingiusto, ed insegnava che ingiusta è non solo la minaccia di un comportamento illecito, ma anche la minaccia di un comportamento lecito, ma diretto a conseguire vantaggi ingiusti. Tale è il caso, per non ricordare che le ipotesi più salienti della ricca casistica della dottrina e della giurisprudenza del codice abrogato, della minaccia di denuncia o di querela per delitto per ottenere più del dovuto e della minaccia di procedere ad atti esecutivi o di provocare il fallimento del debitore per ottenere più del dovuto od una prestazione diversa da quella dovuta;

b) notevole. Il rigore del diritto romano, che richiedeva la minaccia di un male gravissimo (maioris malitatis; fr. 5 D. IV 2), andò successivamente attenuandosi ad opera dei glossatori e dei pratici e del diritto canonico; il codice Napoleone e il codice italiano, tanto quello abrogato che quello vigente, si accontentano del male notevole. A rigore il nuovo codice italiano avrebbe dovuto andar oltre ed eliminare senza altro tale requisito, il quale si armonizza con il sistema intermedio accolto, secondo la dominante dottrina, dal codice abrogato in ordine al problema del valore della volizione, ma non si armonizza invece con il sistema intermedio accolto dal nuovo codice, il quale in luogo del comportamento del dichiarante prende in considerazione il comportamento del destinatario della dichiarazione. In questo senso è il codice civile germanico, più rigoroso nel sistema, il quale ritiene rilevante qualsiasi male indipendentemente dalla sua gravità.

La entità del male minacciato o temuto è un requisito intrinseco e rigido del male, nella determinazione del quale si deve prescindere da ogni riferimento ad elementi estranei, in particolare dal rapporto tra l'entità del male minacciato e l'entità del danno derivante alla parte dalla conclusione del contratto. Se è vero che una palese sproporzione tra il male minacciato ed il male che deriva alla parte dalla conclusione del contratto è un elemento che può far presumere al giudice l'assenza del vizio della volizione invocato dal contraente, ciò non toglie che la maggiore gravità del male minacciato rispetto al male derivante dalla conclusione del contratto non costituisce un elemento della violenza, data la possibilità che intervengano dei fattori di indole soggettiva, per cui, nonostante tale sproporzione, il contratto sia stato in effetti viziato nella volontà.

La dottrina e la giurisprudenza hanno proceduto con una certa larghezza nella individuazione in concreto del requisito del male notevole; tale è ritenuto, nella casistica tradizionale, non solo la costituzione in pericolo di vita, l'internamento in un manicomio, una campagna di stampa infamante ed in genere una calunnia o una diffamazione, una rivelazione ad una fidanzata o ad una moglie, il rifiuto del padre alla madre di ricondurre in patria i figli condotti all'estero, una diserzione dal lavoro di elementi tecnici indispensabili per il funzionamento di un'impresa, ma anche la distruzione di una memoria di una persona carissima e le pene ultraterrene per chi è al termine della vita.

Relazione tra il requisito della notabilità del male e il requisito per cui il medesimo deve essere di natura tale da far impressione sopra una persona sensata

L'art. 1435 cod. civ., oltre a richiedere che il male sia notevole, dispone che la minaccia deve essere di tal natura da far impressione sopra una persona sensata. Viene qui in considerazione il comportamento della persona sensata o dell'uomo normale, che è diverso dal comportamento del constantissimus vir, contemplato dal diritto romano (cfr. fr. 6 D. IV 2: «metus autem non vani hominis, sed qui merito et in hominem constantissimum cadat...») e non coincide neppure del tutto con il comportamento del vir constans preso in considerazione dai pratici e dai glossatori del medioevo e dal diritto canonico, e della «personne raisonnable» del codice Napoleone (art. 1112). L’uomo sensato è non solo l'uomo di fermo carattere, ma anche l'uomo capace di rettamente prevedere e valutare l'entità del male, le sue conseguenze, la probabilità della sua realizzazione.

Secondo un'opinione dottrinale, il principio della valutazione della minaccia alla stregua del comportamento normale dell'uomo sarebbe inutile di fronte al requisito per cui il male minacciato deve essere notevole. Se si sta all'interpretazione letterale di questa formula — si è osservato — il requisito per cui la violenza deve essere di tal natura da far impressione sopra una persona sensata è già implicito nel requisito del male notevole; se, da un lato, si può dire che la violenza può fare impressione sopra una persona sensata provocando in essa il timore, anche se il male minacciato non è notevole, non si può dire il viceversa, essendo evidente che la minaccia di un male notevole è sempre tale da far impressione sopra una persona sensata. Se invece si interpreta la formula in un senso meno letterale e come una semplice e prima indicazione generica del concetto che viene ulteriormente precisato attraverso al requisito dell'entità del male minacciato o temuto, ugualmente si deve ritenere inutile il requisito per cui il male minacciato o temuto deve essere notevole. Questo ragionamento non sembra corretto. Mentre il requisito del male notevole attiene esclusivamente al male che forma oggetto della violenza, il requisito per cui la minaccia deve essere tale da far impressione sopra una persona sensata è un requisito della minaccia che non si valuta esclusivamente in relazione all'entità del male minacciato. Può aversi pertanto la minaccia di un male notevole, ma che non può dirsi tuttavia tale da far impressione sopra una persona sensata, come avviene, ad esempio, nel caso di minaccia non seria o di minaccia che per difficoltà oggettive sia di difficilissima realizzazione. D'altro canto non sembra esatto dire che la violenza può fare impressione sopra una persona sensata anche se il male minacciato non è notevole, perché, se la minaccia deve essere tale da fare impressione sopra una persona sensata, deve essere minaccia di un male notevole. Pertanto il dettato dell'articolo in esame doveva essere semplificato non nel senso di togliere il disposto per cui la violenza deve essere di tal natura da far impressione sopra una persona sensata, ma, se mai, nel senso di eliminare il requisito del male notevole.

Attendibilità del male

Dalla formula legislativa per cui la minaccia deve essere tale da far impressione sopra una persona sensata si desume un altro requisito a cui deve rispondere il male minacciato. Esso deve essere infatti:

c) probabilmente attuabile. Non si ha pertanto violenza nel caso in cui, sia per il carattere del soggetto attivo della violenza, sia per le circostanze e il modo con cui fu fatta la minaccia sia, ancora per difficoltà oggettive che si frappongono alla sua realizzazione, un uomo normale non avrebbe ritenuto che il male sarebbe effettivamente seguito. Il requisito della probabilità del male o, per meglio dire, della sua attendibilità viene dalla comune dottrina spezzato nei due requisiti della serietà della minaccia e della presenza del male. Quest'ultimo requisito, formulato dal Pothier sull'esempio del diritto romano (fr. D. IV 2; L. 8 C. IV 44) ed espressamente sancito nel Codice Napoleone (art. 1399) e nel Codice Albertino (art. #1199#), dà luogo a gravi dubbi. Invero o si intende l'espressione «male presente» nel senso di male attendibile, ed allora è inutile richiedere anche la serietà della minaccia, in quanto il secondo requisito è implicito nel primo, oppure si intende questa espressione, come insegna il Pothier, nel senso che il male seguirà immediatamente to minaccia, ed allora si dice una cosa non esatta. Infatti, se è vero che di regola la lontananza nel tempo del male minacciato fa presumere che tale male difficilmente sarà realizzato, e quindi la minaccia relativa non può dirsi di tal natura da far impressione sopra una persona sensata, e anche vero che può darsi il caso di una minaccia la cui esecuzione, per quanto differita nel tempo, appaia tuttavia egualmente probabile. Si noti poi che vi sono delle minacce in cui la gravit, del male minacciato è proprio in funzione del fatto che tale male non seguirà immediatamente, ma in un certo momento successivo, che può essere anche abbastanza remoto; qui la modalità cronologica del male minacciato assume un carattere essenziale, come avviene, per non ricordare che un esempio, nel caso di minacce di rivelazioni compromettenti per un uomo politico, da effettuarsi il giorno in cui prenderà possesso della carica a cui è stato eletto. Per queste considerazioni è meglio parlare, in luogo di serietà della minaccia e di presenza del male, semplicemente di seria attendibilità del male. Tale requisito va valutato alla stregua d comportamento dell'uomo normale; pertanto se il male appare probabile al minacciato e tale apparirebbe anche a un uomo normale, sussiste la fattispecie della violenza per quanto oggettivamente il male non possa essere attuato (es.: minaccia con un'arma scarica).

La figura della persona sensata si modella diversamente a seconda delle particolari condizioni spirituali del soggetto, e cioè l'età, il sesso, le condizioni di salute, l'intelligenza, le abitudini, la condizione sociale della persona, determinata dalla nascita, dai poteri, dagli averi. Il nostro ordinamento non tiene conto di tutte queste situazioni, ma solo di tre: il sesso, l'età e la condizione, che è la condizione sociale, e non, come si trova sostenuto da qualche autore, la condizione di salute. Intesa in questo senso, la disposizione dell'ultima parte dell'articolo in esame non è affatto in contraddizione, come vogliono taluni, con la prima parte dell'articolo stesso; il sistema adottato dal nostro codice rappresenta pertanto un sistema intermedio tra il sistema meramente oggettivo, che considera un unico tipo astratto e rigido di persona normale ed il sistema meramente soggettivo, che tiene conto di tutte le particolari condizioni del contraente che ha subito la violenza.

Influenza della violenza sulla determinazione volitiva del contraente

Sancendo il principio che la minaccia deve essere tale da fare impressione sopra una persona sensata, il legislatore considera il nesso di causalità in abstracto tra la violenza e la determinazione volitiva del contraente. Oltre a tale nesso viene anche in considerazione nella fattispecie della violenza il nesso di causalità in concreto tra la violenza e la determinazione volitiva del contraente. Si tratta di due distinti elementi della fattispecie, il primo dei quali non involge necessariamente il secondo, data la possibilità che, nonostante la sussistenza di una minaccia astrattamente idonea a causare la determinazione volitiva di una persona normale, il contratto in concreto non sia stato determinato dalla violenza, essendo il soggetto già deciso alla sua stipulazione indipendentemente dalla minaccia.

A differenza di quanto avviene in tema di dolo, ove si parla di raggiri tali da determinare il consenso (art. 1439 cod. civ.), il nuovo codice non richiede esplicitamente tale requisito; la sua necessità risulta tuttavia dalla sistemazione della violenza tra i vizi del consenso e in particolare dalla norma dell'art. 1427 cod. civ., che parla di consenso estorto con violenza.

La violenza come causa di un vizio della volontà. Violenza causale e violenza incidentale

Il nesso di causalità in concreto tra la violenza e la fattispecie contrattuale assume un diverso contenuto a seconda del campo in cui la violenza opera. La violenza può infatti operare in due campi distinti, e cioè nel campo della volizione viziata o della mancanza ipotetica della volizione e nel campo della divergenza tra la volizione e la dichiarazione.

La prima figura di violenza è quella tradizionale e l’unica, si può dire, presa in considerazione dalla comune dottrina. Qui il nesso di cau­salità si pone tra la violenza e la volontà del risultato del contratto: il soggetto, posto nell'alternativa di volere la conclusione del contratto o di subire il male minacciato, sceglie la prima via, che considera un male minore: quamvis coactus tamen volui.

Si prospetta al riguardo, analogamente a quanto accade in tema di errore, sia spontaneo che provocato da dolo, la distinzione tra metus causam dans, che si ha quando il contraente senza il timore non avrebbe concluso il contratto a nessuna condizione, e metus incidens, che si ha quando il contraente senza timore avrebbe contrattato a condizioni diverse. Nel silenzio della legge circa quest'ultima forma di violenza ci si domanda se ad essa si debba estendere per analogia il regolamento del dolo incidentale, escludendo l'annullabilità del contratto, salvo il diritto al risarcimento del danno. La domanda non avrebbe ragione di essere se fosse vero quanto è detto nei nei favori preparatori (R. G. n. 182), ove si afferma, sulla traccia di un autorevole insegnamento
dottrinale, che la violenza non può mai essere incidentale, ma solo causale. Questa affermazione è però ben difficilmente comprensibile; il fatto che la violenza è cognita ed il dolo no, non autorizza minimamente a negare la figura della violenza incidentale. Se è vero che spesso il soggetto, il quale intendeva stipulare un contratto a condizioni diverse, posto poi di fronte alla ingiusta minaccia
viene a trovarsi per reazione nella situazione psicologica di cedere alla minaccia o di non stipulare affatto il contratto, neppure a condizioni diverse, è anche vero che può darsi che il contraente continui a prospettarsi l’eventualità di concludere il contratto a condizioni diverse e, ove potesse reagire alla violenza, si orienterebbe in questo senso in ogni caso poi non è dubbio che, se non fosse intervenuta la violenza, il contraente avrebbe concluso il contratto a condizioni diverse, il che basta ad individuare la figura della violenza incidentale.

Premesso ciò, la applicazione analogica, alla violenza incidentale dell'art. 1440 cod. civ. è stata negata in base alla considerazione della diversità esistente tra il regolamento del dolo e quello della violenza in ordine all'elemento soggettivo. Mentre la fattispecie del dolo ha come elemento caratteristico il fatto che il comportamento antigiuridico è del destinatario della dichiarazione, nella fattispecie della violenza l'elemento caratteristico è la minaccia in sè e per sè, indipendentemente dall'individuo che l'ha esercitata; di conseguenza — si è detto — solo in materia di dolo è possibile la sostituzione della responsabilità per danni dell'altro contraente alla annullabilità del contratto. Questo modo di ragionare lascia alquanto perplessi; anche in tema di violenza si può conciliare la tutela del dichiarante, per cui questi ha diritto al risarcimento del danno, con l'esigenza della sicurezza del traffico giuridico che vuole che il contratto sia valido, non essendo dubbio che la la violenza, da chiunque viene esercitata, dà luogo al diritto al risarcimento dei danni. Piuttosto si potrebbe osservare, basandosi su uno degli argomenti addotti a giustificazione della diversità di regolamento tra dolo e violenza in ordine all'elemento soggettivo, che, a differenza dell'autore del dolo, l'autore della violenza è sconosciuto («metus habet in se ignorantiam» : fr. 14 ). IV, 2) e che di conseguenza riesce difficile in pratica la realizzazione di questo diritto al risarcimento del danno per la difficoltà.di individuarne il soggetto passivo. Dato però lo scarso rilievo e lo scarso fondamento di questa eventuale obiezione, si deve propendere per l'applicabilità dell'art. 1440 cod. civ. alla violenza incidentale.

La violenza come causa di una divergenza tra volontà e dichiarazione

Oltre che nel campo della volizione viziata, la minaccia può operare anche nel campo della divergenza tra la volizione e la dichiarazione. Qui il nesso di causalità si pone esclusivamente tra la violenza e la volizione della dichiarazione: il soggetto emette la dichiarazione, ma non ha la corrispondente volizione del risultato del contratto.

A ben vedere tre e non due sono le possibili soluzioni tra cui può scegliere il soggetto passivo della violenza: a) subire il male minacciato; b) concludere effettivamente il negozio al quale il violentatore vuole costringerlo; c) fingere solo di concludere questo contratto, limitandosi ad emettere la relativa dichiarazione. Praticamente è molto difficile, per non dire impossibile, accertare se la violenza assume la forma della violenza viziante o questa forma della violenza che causa una divergenza consapevole, cioè una riserva mentale.

Un secondo modo in cui la violenza può operare nel campo della divergenza tra volizione e dichiarazione si può probabilmente rinvenire in tutte quelle ipotesi in cui, per la particolare intensità e gravità della minaccia o per la particolare impressionabilità del soggetto passivo, la violenza anziché generare timore, produce nel soggetto un vero terrore, esclusivo della volontà del risultato del contratto. Il soggetto passivo viene allora a trovarsi in una situazione che, se non si vuol considerare identica, è certo molto vicina alla situazione del soggetto in stato di assoluta incapacità naturale, cioè di incapacità di volere.

La soluzione del problema del trattamento del secondo tipo di violenza, che, in armonia con la terminologia dell'errore, si può chiamate preclusiva od ostativa in contrapposto alla violenza-vizio, non può essere dubbia; se è annullabile il contratto inficiato da violenza che vizia semplicemente la volontà, a maggior ragione deve ritenersi annullabile il contratto inficiato da violenza che causa addirittura una divergenza tra volontà e dichiarazione. Pertanto la violenza ostativa, per quanto non esplicitamente considerata dal codice, che parla di consenso estorto con violenza, è assoggettata alla disciplina degli articoli 1435 e segg. Non si può infatti seriamente sostenere l'applicabilità del trattamento della riserva mentale, affermando cioè l'irrilevanza di tale violenza, giacché, se è vero che si tratta di riserva mentale provocata da violenza, e pur vero che questo tipo di riserva mentale è del tutto estraneo, per quanto mi consta, alla configurazione tradizionale della riserva mentale. In particolare poi la disciplina, ispirata al principio dell'autoresponsabilità, a cui nel silenzio del codice si deve ritenere soggetta la riserva mentale (v. retro), non avrebbe alcuna ragione di essere nel caso di riserva mentale causata da violenza, giacché in questa ipotesi il soggetto, se può dirsi cosciente della divergenza, non può dirsi tuttavia sostanzialmente responsabile della medesima.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

653 Lasciata nell'orbita della mancanza di volontà l'ipotesi di violenza fisica, il nuovo codice ha preso in considerazione la violenza morale. La nozione di questa violenza ha ricevuto un'importante precisazione: è la minaccia di male ingiusto o notevole (art. 1435 del c.c.) ma è anche la minaccia di un male di per sé non ingiusto, quando è diretta a conseguire vantaggi esorbitanti (art. 1433 del c.c.). Questa estensione del concetto di violenza, già espressa dalla giurisprudenza, sanziona lo smodato uso dei poteri dati dalla legge. Se, minacciando l'uso del proprio diritto, si consegue un risultato, non soltanto eccedente la realizzazione del diritto stesso, ma anche ripugnante ad ogni senso di giustizia, si presume che ciò sia accaduto per una restrizione della libertà dl volere, e quindi che sia rimasto viziato il volere di chi ha consentito all'attribuzione ingiusta. La minaccia è causa di annullamento anche se proviene dal terzo (art. 1434 del c.c.), per quanto l'altro contraente sia stato in buona fede; non si è perciò soddisfatta l'aspirazione di chi avrebbe voluto che il contratto rimanesse valido nel caso di violenza del terzo non conosciuta dal contraente, com'è valido quando è stato determinato dal dolo del terzo so l'altro contraente non ne ebbe notizia (art. 1439 del c.c., secondo comma). La diversa disciplina adottata circa gli effetti della violenza e del dolo proveniente da terzi, conforme alla tradizione e ai criteri accolti dalla maggior parte dei codici moderni, è sorretta da considerazioni di carattere sostanziale. La violenza agisce direttamente sulla libertà del volere, mentre il dolo opera sull'intelligenza che deve guidare il volere stesso. Come pressione diretta, la violenza influisce più gravemente e più irresistibilmente sul processo formativo della volontà; ed è quindi giusto dare, contro di essa, una protezione maggiore di quella che si dà contro il dolo. Non viene tutelato l'affidamento che si era formato a causa dell'ignoranza dell'azione violenta del terzo, perché è eccessivo far prevalere le esigenze della buona fede di una parte, di fronte alla grave situazione antigiuridica creata dalla minaccia nell'altra parte che ne è stata vittima; questa situazione ha in sé una antigiuridicità senza dubbio maggiore di quella provocata dal dolo, il quale, in fondo, si risolve in un errore. Si accenna qui, naturalmente, al dolo causam dans, mentre il dolo incidens (art. 1440 del c.c.) altro effetto non provoca se non quello di obbligare al risarcimento del danno.

Massime relative all'art. 1435 Codice Civile

C. giust. UE n. 19320/2022

In tema di violenza morale i requisiti previsti dall'art. 1435 c.c., possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo; è in ogni caso necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa.

Cass. civ. n. 19974/2017

In tema di violenza morale, quale vizio invalidante del consenso, i requisiti previsti dall'art. 1435 c.c. possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo; è in ogni caso necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa. L'apprezzamento del giudice di merito sulla esistenza della minaccia e sulla sua efficacia a coartare la volontà di una persona, si risolvono in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se motivato in modo sufficiente e non contraddittorio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso fosse viziato da violenza morale un accordo di risoluzione consensuale, raggiunto a seguito di trattative condotte con l’assistenza degli avvocati di entrambe la parti, che prevedeva il pagamento al dirigente di somme superiori a quelle cui avrebbe avuto diritto in caso di recesso illegittimo).

Cass. civ. n. 7394/2008

Il contratto può essere annullato ai sensi dell'art. 1434 c.c. qualora la volontà del contraente sia stata alterata dalla coazione, fisica o psichica, proveniente dalla controparte o da un terzo, requisiti che non ricorrono ove la determinazione del lavoratore - e la conseguente rinunzia ad una porzione dei compensi maturati - sia stata provocata da timori meramente interni ovvero da personali valutazioni di convenienza. (Nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, avente ad oggetto un complesso rapporto economico relativo al conseguimento di un contributo ministeriale per la costruzione di un pastificio e di altri stabilimenti, ha ritenuto che la decisione del lavoratore di sottoscrivere un atto di rinunzia alle pretese economiche già avanzate, adottata a seguito delle personali preoccupazioni sulla propria situazione economica e sul buon fine dei progetti di costruzione degli opifici, rispondesse a scelte individuali e spontanee). 

Cass. civ. n. 8430/2000

In tema di violenza morale, quale vizio del consenso invalidante, i requisiti previsti dall'art. 1435 c.c. possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, ed anche ad opera od iniziativa di un terzo. Requisito indefettibile è, tuttavia, che la minaccia sia stata specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per il negozio del quale si deduce l'annullabilità e risulti di tale natura da incidere, con efficienza causale concreta, sulla libertà di volizione del soggetto passivo. Conseguentemente, non è di per sé sola riconducibile al timore prodotto da violenza altrui la rappresentazione interna di un pericolo di danno, anche se non conseguente ad un processo psicologico puramente interno e connessa, invece, a circostanze esterne, eventualmente riconducibili all'attività di terzi, che possono incidere sulla libertà di autodeterminazione. (Alla stregua del principio enunciato in massima, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano escluso la configurabilità di una ipotesi di violenza morale in una transazione, stipulata dal titolare di una ditta nei cui confronti pendevano numerose istanze di fallimento con le compagnie presso le quali lo stesso aveva assicurato il relativo rischio, in relazione al danno subito in occasione di un incendio verificatosi nel suo magazzino, transazione della quale l'imprenditore aveva chiesto l'annullamento deducendo di essere stato costretto ad accettare l'offerta per lo stato di bisogno, noto alle predette compagnie, nel quale si era venuto a trovare a causa delle ricordate istanze di fallimento).

Cass. civ. n. 7844/1993

La violenza per assurgere a causa di invalidità del contratto deve concretarsi nella minaccia attuale di un male futuro, dipendente in qualche modo dal comportamento dello stesso autore della vis compulsiva in quanto se la rappresentazione di un pericolo di danno non deriva dal comportamento del minacciante, bensì dalla considerazione di altre circostanze che sfuggono al dominio del medesimo, tale semplice metus ab intrinseco, ove anche incida sul processo formativo della volontà negoziale, facendo venir meno quella libertà di determinazione cui ogni contrattazione deve essere informata, non è idoneo ad invalidare il negozio. (Nella specie la Suprema Corte enunciando il surriportato principio ha ritenuto corretta la decisione con la quale era stata esclusa l'invalidità per preteso vizio del consenso nella minaccia di denuncia penale per illecito edilizio, perché la procedibilità ex officio dello eventuale procedimento penale e quindi la sua inevitabilità escludevano l'esistenza di un metus ab extrinseco riconducibile all'art. 1435 c.c.).

Cass. civ. n. 6490/1987

La violenza, perché assurga a causa di invalidità del contratto, anche quando consista nella minaccia di far valere un diritto, deve intervenire in un momento anteriore al negozio e concretarsi nella minaccia attuale di un male futuro, dipendente in qualche modo dal comportamento dello stesso autore della vis compulsiva. Se la minaccia, invece, non è più attuale, nel senso che sia già interamente esaurita la condotta collocabile come antecedente causale, o almeno concausale, del male temuto dal soggetto passivo, la rappresentazione, da parte di quest'ultimo, di un pericolo di danno non deriva più dal comportamento del minacciante, bensì dalla considerazione di altre circostanze che sfuggono completamente al dominio del medesimo e si atteggia, quindi, come semplice metus ab intrinseco che, ove anche incida sul processo formativo della volontà negoziale, facendo venir meno quella libertà di determinazione cui ogni contrattazione deve essere informata, non è idoneo ad invalidare il negozio. (Nella specie la Suprema Corte, enunciando il surriportato principio, ha ritenuto giuridicamente corretta la decisione con la quale era stata esclusa l'invalidità, per preteso vizio del consenso, di un accordo transattivo stipulato dopo che uno dei contraenti aveva già presentato a carico dell'altro una denunzia per truffa aggravata, perseguibile di ufficio, e non era più in grado, quindi, di incidere sull'esito del procedimento penale).

Cass. civ. n. 368/1984

La violenza morale può estrinsecarsi secondo una fenomenologia varia ed indefinita, e quindi anche in modo non esplicito ma indeterminato o indiretto, sempreché sussista il requisito — indefettibile per la rilevanza di tale forma di violenza — che la minaccia sia specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per l'atto di cui si chieda l'annullamento. La valutazione — alla stregua del materiale probatorio — della sussistenza della minaccia di un male ingiusto, nonché del rapporto di causalità tra questa ed il compimento dell'atto impugnato, costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato. (Nella specie, la sentenza impugnata — confermata dalla Suprema Corte — aveva, in particolare, ritenuto, che la minaccia di licenziamento per giusta causa, subita dal lavoratore in una temporanea situazione di difficile contestabilità delle false prove predisposte a suo carico, fosse atto idoneo a fargli temere l'esposizione ad un male ingiusto e notevole e tale, quindi, da indurlo a dare le dimissioni mediante la firma della lettera all'uopo predisposta presso l'azienda).

Cass. civ. n. 4378/1974

Il metus ab intrinseco, derivante dalla paura ispirata da uno stato di fatto oggettivo, non può essere causa invalidante di un negozio giuridico, occorrendo invece, a tal fine, che il timore provenga dall'esterno, ad opera di un soggetto che usi violenza o minaccia, sia esso l'altro contraente od un terzo; che, inoltre, la minaccia ingiusta sia tale da incidere sul processo di formazione della volontà così da fare venire meno questa libertà di determinazione cui deve essere informata ogni contrattazione.

Cass. civ. n. 2615/1971

Il male ingiusto di cui all'art. 1435 c.c. può consistere anche in un pregiudizio alla onorabilità del soggetto nell'ambiente sociale in cui vive.

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