(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)
180 Nel prevedere le conseguenze della violenza sul contratto si è tenuto presente che questo può avere effetti reali oltre che effetti obbligatori: perciò, nell'art. 204, si è parlato di "contraente" anziché di "obbligato".
Si è però chiarito, in conformità ai principi dell'affidamento, che la violenza esercitata dal terzo non può produrre annullamento di fronte al contraente di buona fede: in tal caso, l'unica azione che rimane al contraente che subì la violenza è quella di risarcimento del danno contro l'autore della minaccia.
Il progetto del 1936 aveva mantenuto inalterato l'opposto sistema del codice, il quale non pone alcuna differenza di trattamento, a seconda che la minaccia provenga dal contraente o dal terzo. Evidentemente la Commissione reale aveva dato rilievo alla pericolosità sociale del fatto che non dovrebbe lasciare tracce giuridiche nemmeno quando questo è stato prodotto da persona diversa dal contraente. Ma il contraente che non è stato autore o complice della violenza, trae dalla normalità del contegno della controparte la fiducia nella regolare formazione del volere, e perciò non si intende perché debba risentire l'effetto dell'atto antisociale. Viceversa, se egli è stato consapevole della violenza, è giusto che questa gli si possa opporre: egli, allora, ha voluto approfittare dell'azione del terzo per ottenere il vantaggio del contratto, che altrimenti non avrebbe conseguito. In tale situazione psicologica, di affidamento non deve parlarsi.
L'applicazione di siffatti criteri all'ipotesi di violenza, parifica la condizione giuridica del contratto viziato per la violenza del terzo a quella che la stessa Commissione prevedeva per il caso di dolo causato del terzo (art. 21): a tale parificazione mi sono deciso perché non mi apparvero appaganti le giustificazioni che si sogliono dare per sostenere una distinzione tra le due fattispecie.
(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
653 Lasciata nell'orbita della mancanza di volontà l'ipotesi di violenza fisica, il nuovo codice ha preso in considerazione la violenza morale. La nozione di questa violenza ha ricevuto un'importante precisazione: è la minaccia di male ingiusto o notevole (
art. 1435 del c.c.) ma è anche la minaccia di un male di per sè non ingiusto, quando é diretta a conseguire vantaggi esorbitanti (
art. 1433 del c.c.). Questa estensione del concetto di violenza, già espressa dalla giurisprudenza, sanziona lo smodato uso dei poteri dati dalla legge. Se, minacciando l'uso del proprio diritto, si consegue un risultato, non soltanto eccedente la realizzazione del diritto stesso, ma anche ripugnante ad ogni senso di giustizia, si presume che ciò sia accaduto per una restrizione della libertà dl volere, e quindi che sia rimasto viziato il volere di chi ha consentito all'attribuzione ingiusta. La minaccia è causa di annullamento anche se proviene dal terzo (
art. 1434 del c.c.), per quanto l'altro contraente sia stato in buona fede; non si è perciò soddisfatta l'aspirazione di chi avrebbe voluto che il contratto rimanesse valido nel caso di violenza del terzo non conosciuta dal contraente, com'è valido quando è stato determinato dal dolo del terzo so l'altro contraente non ne ebbe notizia (
art. 1439 del c.c., secondo comma). La diversa disciplina adottata circa gli effetti della violenza e del dolo proveniente da terzi, conforme alla tradizione e al criteri accolti dalla maggior parte dei codici moderni, è sorretta da considerazioni di carattere sostanziale. La violenza agisce direttamente sulla libertà del volere, mentre il dolo opera sull'intelligenza che deve guidare il volere stesso. Come pressione diretta, la violenza influisce più gravemente e più irresistibilmente sul processo formativo della volontà; ed è quindi giusto dare, contro di essa, una protezione maggiore di quella che si dà contro il dolo. Non viene tutelato l'affidamento che si era formato a causa dell'ignoranza dell'azione violenta del terzo, perchè è eccessivo far prevalere le esigenze della buona fede di una parte, di fronte alla grave situazione antigiuridica creata dalla minaccia nell'altra parte che ne è stata vittima; questa situazione ha in sè una antigiuridicità senza dubbio maggiore di quella provocata dal dolo, il quale, in fondo, si risolve in un errore. Si accenna qui, naturalmente, al dolo causam dans, mentre il dolo incidens (
art. 1440 del c.c.) altro effetto non provoca se non quello di obbligare al risarcimento del danno.