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Articolo 770 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Donazione rimuneratoria

Dispositivo dell'art. 770 Codice Civile

(1)È donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza(2) o in considerazione dei meriti del donatario(3) o per speciale rimunerazione(4)[437, 632, 742, 797, 805 c.c.].

Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi(5) [809 c.c.].

Note

(1) Le donazioni rimuneratorie, dal momento che generalmente sono dovute ad un comportamento particolarmente lodevole ed apprezzabile del donatario, non sono soggette a revoca per ingratitudine o sopravvenienza dei figli (v. art. 805 del c.c.) e non comportano per il donatario l'obbligo di versare gli alimenti a favore del donante (v. art. 437 del c.c.).
(2) Per riconoscenza si intende il sentimento di gratitudine per il donatario o la sua famiglia a causa di fatti compiuti in passato o della promessa di un'azione futura.
(3) Si ha merito del donatario quando vi è un sentimento di stima e gratitudine per le benemerenze che il donatario ha acquisito presso la collettività, singoli gruppi o individui, diversi dal donante e dalla sua famiglia.
(4) La speciale rimunerazione consiste in un' attribuzione patrimoniale data in conseguenza di servizi resi dal donante al donatario in cui, però, non deve ravvisarsi l'elemento della corrispettività.
(5) Si parla in proposito di liberalità d'uso. È necessario che il donante effettui tale attribuzione allo scopo di conformarsi ad un'usanza sociale (es.: le mance, i regali di Natale etc.).

Brocardi

Donatio remuneratoria

Spiegazione dell'art. 770 Codice Civile

Definizione di "donazione rimuneratoria"
La donazione rimuneratoria consiste nell'attribuzione gratuita compiuta spontaneamente, e con la consapevolezza di non dover adempiere ad alcun obbligo giuridico, morale o sociale, per compensare i servizi resi dal donatario, eventualmente anche a titolo oneroso, per dimostrargli una forma particolare di riconoscenza (es.: salvataggio da un pericolo), o per specifici meriti che ha acquisito o che lo contraddistinguono (es: donazione fatta a un benefattore). Sono, in breve, quelle donazioni fatte, come si usa dire, "per sdebitarsi", anche se non c'è in realtà alcun debito giuridicamente rilevante, o per premiare.
Natura giuridica della "donazione rimuneratoria"
Il tema della natura giuridica della donazione rimuneratoria è molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza. La dottrina maggioritaria, - teoria della donazione - ritiene che lo scopo della remunerazione non permei la causa del negozio, rilevando solo ai fini della disciplina che in più punti (revocazione, evizione, alimenti) si differenzia da quella generale.
Per un secondo orientamento - teoria del contratto oneroso - il motivo permea la causa del negozio, come suggerisce anche la disciplina della garanzia per evizione a favore del donatario. In senso critico, tuttavia, si rileva come l'art. 770 c.c. parli di donazione e, pertanto, nel caso in cui manchi il motivo, la donazione sarà sottratta alla disciplina particolare.
Infine, secondo un filone minoritario - teoria del negozio misto - il negozio sarà oneroso nei limiti dell'equivalenza con la prestazione compiuta dal donatario, e gratuito per l'eccedenza.
Tipologie di "donazione rimuneratoria"
Donazione per riconoscenza. È la donazione per gratitudine nella quale non vi è alcuna volontà di compenso. Caso tipico è la donazione che il donante compie in favore del donatario dopo aver ricevuto a sua volta da quest'ultimo una donazione. Oppure, come accennato più sopra, quella fatta ad una persona che ci ha salvato a un pericolo, o che ci ha procurato un particolare vantaggio favorendoci (lecitamente) in qualche attività.
Il primo caso, da parte di alcuni autori, viene peraltro considerato una donazione reciproca, mentre altri ritengono che, per aversi un valido contratto di donazione per riconoscenza, tra le due donazioni (che restano autonome tra di loro) debba trascorrere un ragionevole intervallo di tempo, tale da far insorgere nel beneficiato un sentimento di gratitudine.
Donazione per meriti del donatario. Si tratta della donazione motivata da un sentimento di ammirazione, anche se i meriti non devono aver arrecato alcun tipo di diretto vantaggio al donante, rientrandosi altrimenti nell'ipotesi di donazione per riconoscenza o per speciale remunerazione. E' il caso di donazioni dirette a favore di soggetti che operano nel sociale o che si sono contraddistinte in ambito scientifico, realizzando importanti scoperte, o in ambito umanistico-letterario, producendo opere notabili, o ancora in ambito religioso, etc.
Donazione per speciale rimunerazione. È la donazione fatta con la volontà di remunerare il donatario per un servizio da rendersi o già reso, rispetto al quale deve però mancare il nesso di interdipendenza (il sinallagma contrattuale). Se infatti così non fosse si ricadrebbe nell'ambito del negozio a titolo oneroso. La "specialità" consisterebbe proprio in questo, ovvero nella spontaneità che muove la volontà del donante.
E' quest'ultimo il caso che si manifesta maggiormente complesso. Si configura, infatti, un evidente concorso di motivi, di tal che la donazione sarà configurabile solo dove il motivo liberale venga chiaramente a prevalere su quello di scambio. Secondo parte della dottrina vi sarebbe addirittura un collegamento negoziale da tra una datio in solutum e una liberalità, ovvero tra tra causa solvendi e causa donandi. E sarebbe questo il motivo per cui la legge prevede, solo in questo caso, che il donante sia tenuto verso il donatario alla garanzia per evizione entro il limite di quanto ricevuto.
Peraltro, nei casi in cui il valore della donazione sia circa pari al valore del servizio reso, si potrebbe dubitare di trovarsi davvero di fronte ad una donazione. Per questo taluni ritengono che la donazione deve essere sempre di valore superiore rispetto al servizio reso; in senso critico si rileva però che il concetto di "specialità" non corrisponde alla necessità di una sproporzione tra servizio e donazione, ma si riferisce, invece, ad una retribuzione che ha una motivazione, appunto, speciale. A ulteriore sostegno interviene anche l'art. 797 n. 3 c.c., il quale fa chiaramente intendere come le prestazioni ricevute dal donatario possono essere tranquillamente stimabili in modo separato (una parte a titolo di donazione e un'altra a titolo di scambio).
Infine, secondo altra parte della dottrina (Trabucchi), sembrerebbe decisivo doversi più che altro valutare se la donazione viene eseguita non in funzione di corrispettivo, ma spontaneamente, con la consapevolezza da parte del donante di non esservi tenuto ne per legge ne in adempimento di una obbligazione naturale.
Esempio tipico di donazione per speciale remunerazione è la donazione fatta al medico o all'avvocato, in aggiunta a quanto già loro corrisposto a titolo di normale compenso professionale.
Forma della "donazione rimuneratoria"
Trattandosi di una vera e propria donazione, affinchè la donazione rimuneratoria sia valida deve farsi mediante atto pubblico. Nel caso in cui tale requisito di forma non venga rispettato, la donazione rimuneratoria risulterà nulla. Nell’atto pubblico non sarà comunque necessario indicare il motivo particolare per il quale viene fatta la donazione.
Effetti particolari della "donazione rimuneratoria"
In considerazione dei motivi che l'hanno determinata, la donazione rimuneratoria non è soggetta a revoca per ingratitudine e per sopravvenienza di figli ( art. 805 del c.c. ), e il donatario non è tenuto agli alimenti a favore del donante ( art. 437 del c.c. ).
Le donazioni rimuneratorie comportano, inoltre, una garanzia per l'evizione a carico del donante entro il valore della prestazione ricevuta.

Causa della "donazione rimuneratoria"
La donazione rimuneratoria è caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume in essa il motivo dell'attribuzione patrimoniale, correlato ad un precedente comportamento del donatario nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o come una speciale remunerazione per l'attività svolta, sebbene l'attribuzione non cessi di essere spontanea e l'atto conservi la sua causa di liberalità.
Differenze e rapporti della "donazione rimuneratoria" con altre figure
Donazione remuneratoria e negotium mixtum cum donatione. A differenza del negotium mixtum cum donatione, nel quale sullo scopo di liberalità prevale lo scopo oneroso e per la cui validità basta la forma necessaria per il negozio tipico cui lo scopo oneroso corrisponde, la forma prescritta per la donazione rimuneratoria, in cui il donante persegue oltre allo scopo di liberalità anche quello del riconoscimento di particolari meriti del beneficiario, è quella dell'atto pubblico.
Donazione rimuneratoria e obbligazione naturale. Spesso è difficile individuare il confine tra la donazione effettuata per riconoscenza e l'obbligazione naturale (art. 2034 del c.c.).
Secondo alcuni autori (Ferri) non è possibile distinguerle basandosi solo sull'animus, altrimenti si darebbe vita ad un processo alle intenzioni. Altra parte della dottrina (Oppo) sottolinea che l'obbligazione naturale è un dovere morale e sociale, pertanto il giudizio sulla sua sussistenza non è rimesso al singolo, che invece lo subisce come un obbligo. In ogni caso non sarà sempre facile trovare il limite tra l'una e l'altra fattispecie, il che, peraltro, ha importanti conseguenze riguardo l'eventuale nullità per mancanza di forma. Nei casi dubbi, infatti, se si farà rientrare la fattispecie concreta nell'alveo applicativo delart. 2034 del c.c. si potrà salvarla dalla pronuncia di nullità per mancanza di forma.
Donazione rimuneratoria e liberalità d'uso. Il secondo comma della norma in esame introduce la figura delle liberalità d'uso. Lo fa allo scopo preciso di operare un distinguo rispetto alla donazione remuneratoria (in particolare, evidentemente, quella per speciale remunerazione), evitando così alla radice errori di interpretazione. Ciò che essenzialmente distingue le due fattispecie è il diverso movente che li caratterizza: in un caso è il puro desiderio di gratificare il donante per quanto ricevuto, nell'altro, invece, è l'esigenza di adeguarsi a un costume sociale (si pensi alle mance al ristorante, ai pacchi dono natalizi inviati al medico, all'avvocato, al commercialista, le gratifiche ai dipendenti, etc.). Il trasferimento avviene sempre a titolo gratuito, ma il fatto che sia vigente un costume sociale che invita a quel determinato comportamento diminuisce nel disponente l'aninum donandi e lo porta invece ad assumere più che altro un animus solvendi.
E' appena il caso di precisare che, per loro natura, le liberalità d'uso sono quasi sempre liberalità di modico valore, e in ogni caso vanno sempre valutate in base alle condizioni economiche del donante, ai rapporti tra le parti, e alla loro condizione sociale.
Le liberalità d'uso, non essendo donazioni, sono escluse dalla collazione e, di conseguenza, dalla riunione fittizia.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

373 Non ho apportato un emendamento suggerito in riguardo al capoverso dell'art. 770 del c.c., che esclude dal concetto di donazione «la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi». Invero la formula «a causa di servizi», che si sarebbe voluta sostituire all'altra «in occasione di servizi», avrebbe snaturato il concetto di liberalità d'uso, e avrebbe piuttosto richiamato il concetto di un atto a titolo oneroso. La distinzione ha particolare importanza agli effetti della collazione, giacché l'ultimo comma dell'art. 742 del c.c. dichiara non soggette a collazione le liberalità d'uso previste in questo capoverso. Ho invece apportato alcune modificazioni all'art. 771 del c.c., il primo comma del quale, vietando di comprendere nella donazione beni futuri, sembrava escludere la possibilità di donare i frutti non ancora raccolti, che l'art. 820 del c.c. considera appunto beni futuri. L'esclusione sarebbe stata senza dubbio illogica, dato che, per il loro valore economico attuale, tali frutti avrebbero potuto formare oggetto di disposizione, come lo stesso art. 820 chiarisce: ho pertanto in sede di coordinamento eccettuato dal divieto di donare beni futuri i frutti pendenti. Il secondo comma dello stesso articolo nella sua precedente formulazione stabiliva che, qualora oggetto della donazione fosse un'universalità di cose, delle quali il donante avesse conservato il godimento trattenendole presso di sè, si consideravano comprese nella donazione anche le cose che vi si aggiungessero posteriormente, salvo che risultasse una volontà contraria. Ho chiarito che tale volontà deve risultare dall'atto stesso. Uguale modificazione ho apportato all'art. 773 del c.c..

Massime relative all'art. 770 Codice Civile

Cass. civ. n. 41480/2021

La donazione remuneratoria, la quale consiste nella liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario ovvero per speciale remunerazione, è una donazione vera e propria, perciò assoggettata alla disciplina della reintegrazione di quanto spetta ai legittimari ed all'azione di riduzione; al contrario, affinché si realizzi una liberalità in occasione di servizi resi, non implicante gli effetti normali della donazione, occorre, da un lato, che l'attribuzione venga effettuata in funzione di corrispettivo o in adempimento di un'obbligazione derivante dalla legge ovvero in osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morali e sociali e, dall'altro, che sussista una qual certa equivalenza economica fra il suo valore e quello dei servizi ricevuti dal disponente. Allorché l'elargizione da parte del donante sia diretta anche al soddisfacimento di prestazioni ricevute, infine, l'intero rapporto è regolato in base al criterio della prevalenza, ricercando quale dei due cennati intenti si sia voluto principalmente perseguire.

Cass. civ. n. 28993/2020

In tema di donazione modale, la risoluzione per inadempimento dell'onere non può avvenire "ipso iure", senza valutazione di gravità dell'inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un "modus". (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 01/06/2017).

Cass. civ. n. 15334/2018

La liberalità d'uso prevista dall'art. 770, comma 2, c.c., che non costituisce donazione in senso stretto e non è soggetta alla forma propria di questa, trova fondamento negli usi invalsi a seguito dell'osservanza di un certo comportamento nel tempo, di regola in occasione di festività, ricorrenze, ricorrenze celebrative nelle quali sono comuni le elargizioni, tenuto in particolare conto dei legami esistenti tra le parti, il cui vaglio, sotto il profilo della proporzionalità, va operato anche in base alla loro posizione sociale ed alle condizioni economiche dell'autore dell'atto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto configurabile una liberalità d'uso nella sporadica elargizione di somme di denaro tra soggetti legati da una relazione sentimentale, pur in mancanza, tra di essi, dell'elemento della convivenza). (Rigetta, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 27/09/2013).

Cass. civ. n. 19578/2016

La liberalità fatta per riconoscenza nei confronti del beneficiario (cd. donazione rimuneratoria) differisce dall'obbligazione naturale ex art. 2034, comma 1, c.c., la cui sussistenza postula una duplice indagine, finalizzata ad accertare se ricorra un dovere morale o sociale, in rapporto alla valutazione corrente nella società, e se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso.

Cass. civ. n. 18280/2016

La liberalità d'uso prevista dall'art. 770, comma 2, c.c., che non costituisce donazione in senso stretto e non è soggetta alla forma propria di questa, trova fondamento negli usi invalsi a seguito dell'osservanza di un certo comportamento nel tempo, di regola in occasione di festività, ricorrenze, ricorrenze celebrative nelle quali sono comuni le elargizioni, tenuto in particolare conto dei legami esistenti tra le parti, il cui vaglio, sotto il profilo della proporzionalità, va operato anche in base alla loro posizione sociale ed alle condizioni economiche dell'autore dell'atto.

Cass. civ. n. 10262/2016

La donazione remuneratoria, contratto che soggiace alle condizioni di forma previste dall'art. 782 c.c., consiste in un'attribuzione gratuita, compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale, sociale, volta a compensare i servizi resi dal donatario.

Cass. civ. n. 16550/2008

La qualificazione giuridica di un'elargizione come liberalità effettuata in conformità agli usi ex art. 770, secondo comma, c.c., deve risultare non solo dal rapporto con la potenzialità economica del donante ma anche in relazione alle condizioni sociali in cui si svolge la sua vita di relazione, oltre che dal concreto accertamento dell'animus solvendi consistente nell'equivalenza economica tra servizi resi e liberalità ed, infine, dall'effettiva corrispondenza agli usi, intesi come costumi sociali e familiari. (Nella specie il giudice di merito aveva qualificato secondo gli usi l'elargizione fatta dal donante prima di morire alla convivente more uxorio consistente in un giroconto per acquisto titoli per 64 milioni di lire e quadri d'autore. La Corte ha cassato con rinvio perché non era stata accertata e motivata l'esistenza delle condizioni qualificanti la liberalità d'uso).

Cass. civ. n. 14981/2002

Per donazione remuneratoria deve intendersi l'attribuzione gratuita compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale o sociale per compensare i servizi resi dal donatario; pertanto, per la validità della stessa, occorre che sia costituita con le forme di legge previste per la donazione.

Cass. civ. n. 11894/1998

Un'elargizione di gioielli fatta allo scopo di consentire la prosecuzione di una convivenza, non è assimilabile alla liberalità d'uso, caratterizzata dal fatto che colui che la compie intende osservare un uso, cioè adeguarsi ad un costume vigente nell'ambiente sociale d'appartenenza, costume che determina anche la misura dell'elargizione in funzione della diversa posizione sociale delle parti, delle diverse occasioni ed in proporzione delle loro condizioni economiche, nel senso che comunque la donazione non debba comportare un depauperamento apprezzabile nel patrimonio di chi la compie.

Cass. civ. n. 1411/1997

La figura della donazione remuneratoria, prevista dall'art. 770, primo comma, c.c., è caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume, in essa, il «motivo» dell'attribuzione patrimoniale, correlata specificamente ad un precedente comportamento del donatario, nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti, o «speciale remunerazione» di attività svolta. Ancorché dominata da tale «motivo», l'attribuzione non cessa peraltro di essere spontanea, e l'atto conserva la «causa» di liberalità, rendendosi così suscettibile di revocatoria fallimentare, perché discrezionale nell'an, nel quomodo e nel quantum, non essendovi il donante tenuto né in base ad un vincolo giuridico, né in adempimento di un dovere morale o di una consuetudine sociale, con la conseguenza che, in nessun caso, l'attribuzione patrimoniale può assumere la qualificazione giuridica di corrispettivo, neppure per la parte corrispondente al valore del servizio reso.

Cass. civ. n. 2351/1994

Poiché per l'art. 770, secondo comma, c.c. non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi, tale liberalità deve essere in ogni caso conforme agli usi e costumi, anche in relazione alle condizioni economiche del donante.

Cass. civ. n. 1260/1994

I doni tra fidanzati non sono equiparabili né alle liberalità in occasione di servizi, né alle donazioni fatte in segno tangibile di speciale riconoscenza per i servizi resi in precedenza dal donatario, né alla liberalità d'uso, ma costituiscono vere e proprie donazioni, come tali soggette ai requisiti di sostanza e di forma previsti dal codice. Peraltro, la modicità del donativo, da apprezzare oggettivamente in relazione alla capacità economica del donante, fa sì che il trasferimento si perfezioni legittimamente, tra soggetti capaci, in base alla mera traditio.

Cass. civ. n. 4768/1993

L'art. 770 c.c., escludendo dal novero delle donazioni le liberalità d'uso, prescinde dalla natura e dalla qualità del loro oggetto ma esige solamente che esse siano conformi al costume vigente, tenuto conto, delle potenzialità economiche e delle condizioni sociali di chi le compie.

Cass. civ. n. 6720/1988

Il rilevante valore dell'oggetto donato, anche in relazione alle condizioni economiche del donante, mentre esclude la ricorrenza di una donazione di modico valore, ai sensi ed agli effetti dell'art. 783 c.c., non è ostativa alla configurazione di una liberalità d'uso, secondo la previsione dell'art. 770 secondo comma c.c. (liberalità che non costituisce donazione in senso stretto e si sottrae alla forma scritta), sussistendo tale ipotesi quando la elargizione si uniformi, pure sotto il profilo della proporzionalità con dette condizioni economiche, agli usi e costumi propri di una determinata occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti fra le parti e della loro posizione sociale. (Nella specie, trattavasi di anelli del valore di oltre cento milioni, dati in occasione di un «fidanzamento ufficiale», ed il giudice del merito, considerando che le parti appartenevano a famiglie benestanti, in un ambiente sociale abituato ad assegnare particolare solennità a detta cerimonia, con regali di sensibile entità, avevano ravvisato la liberalità d'uso. La S.C., alla stregua del principio di cui sopra ha ritenuto corretta la statuizione).

Cass. civ. n. 737/1977

La donazione deve qualificarsi remuneratoria anche se posta in essere per compensare un servizio gratuito ricevuto non dal donatario, ma dal padre di lui, quando a beneficio di quest'ultimo essa debba essere totalmente destinata in esecuzione di un modus apposto alla stessa.

Cass. civ. n. 2452/1976

Perché si abbia donazione remuneratoria, ai sensi del primo comma dell'art. 770 c.c., occorre che l'attribuzione patrimoniale venga effettuata come segno tangibile di speciale apprezzamento dei servizi in precedenza ricevuti, che alla detta attribuzione non venga data funzione o carattere di corrispettivo e che il donante si induca ad essa spontaneamente, pur sapendo di non esservi tenuto, né per legge né in adempimento di un'obbligazione naturale o di un uso del costume. Invece, perché tale figura debba escludersi e ricorra quella, prevista nel secondo comma del citato articolo, di semplice liberalità in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi, che donazione non è (o, quanto meno, che è figura che non comporta gli effetti normali della donazione) occorre che l'attribuzione venga effettuata in funzione di corrispettivo, o, in adempimento di un'obbligazione derivante dalla legge o in osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morali e sociali, e sussista una qual certa equivalenza economica fra il suo valore e quello dei servizi ricevuti dal disponente (la sola dichiarazione di questi, di avere effettuato l'attribuzione per compensare un servizio, non vale ad inquadrare il negozio nell'ambito delle previsioni del secondo comma del citato art. 770). Nei casi in cui l'elargizione da parte del donante sia diretta anche al soddisfacimento di prestazioni ricevute, l'intero rapporto è regolato in base al criterio della prevalenza, ricercando quale dei due accennati intenti si sia voluto principalmente perseguire.

Cass. civ. n. 1789/1976

Come risulta dalla coordinazione delle norme contenute negli artt. 769 e 770 c.c., è riconducibile allo schema della donazione anche la cosiddetta donazione remuneratoria, nella quale l'atto di liberalità è determinato da ragioni di riconoscenza o da meriti particolari del donatario oppure dall'intenzione di remunerare un servizio specifico, malgrado che a tale remunerazione il donante non sia obbligato per legge né tenuto per l'uso o per il costume sociale. Per altro, ove la elargizione sia diretta anche al soddisfacimento di prestazioni ricevute, non ricevono sostanza due negozi distinti, da identificarsi, l'uno, in una datio in solutum proporzionale al valore normale dei servizi resi dalla persona che figura donataria e, l'altro, in una donazione, il cui oggetto sarebbe costituito dalla eccedenza rispetto al valore indicato. In tale ipotesi, invece, si è in presenza di un unico negozio, caratterizzato da una commistione causale, sollecitato da motivi molteplici, di natura in parte onerosa ed in parte gratuita, con la conseguenza che la regolamentazione del rapporto obbedisce al criterio della prevalenza; sicché, è da ritenere la figura della donazione remuneratoria, che esige la forma solenne richiesta per le donazioni tipiche, quando si dimostri la prevalenza dell'animus donandi e, in contrario, un negozio semplice a titolo oneroso, il quale richiede, per il trasferimento di beni immobili, l'atto scritto anche non pubblico, ad substantiam, allorché il fine remuneratorio assorba l'animus donandi.

Cass. civ. n. 1218/1975

Nella previsione del secondo comma dell'art. 770 c.c., l'intento di compensare taluno per i servizi resi e di rispettare l'uso che consiglia di effettuare una liberalità in determinate occasioni (variabili da luogo a luogo e di tempo in tempo) fa sì che l'attribuzione, pur in assenza di un obbligo (anche se non coercibile perché non giuridico), non sia del tutto libera e spontanea e che la sua causa non sia quella di arricchire il donatore, bensì quella di agire secondo il costume vigente.

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Gabriele T. chiede
lunedì 08/03/2021 - Calabria
“Mia sorella vedova e senza figli ha bisogno di cure, assistenza e compagnia. Lei vorrebbe fare atto di donazione in mio favore oppure atto di mantenimento della abitazione di sua proprietà. A tal proposito vorrei sapere, preventivamente se tale atto di donazione potrebbe essere impugnato da una nipote o da un mio fratello o mia sorella. considerato che solo io mi dedico alla sua assistenza e nessuno altro si prendere cura di lei. Nell'attesa di una possibile risposta, ringrazio e colgo l'occasione di porgere distinti saluti”
Consulenza legale i 15/04/2021
Quando taluno muore senza lasciare coniuge e figli e soprattutto senza aver disposto per testamento, si apre la successione legittima, regolata dagli artt. 565 e ss. c.c.
In particolare, secondo quanto disposto dall’art. 565 del c.c. sono eredi legittimi il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i collaterali, gli altri parenti ed infine lo Stato, secondo l’ordine e le regole stabilite dalle stesse norme dettate dal codice civile.
Pertanto, in assenza di coniuge, discendenti e ascendenti, primi chiamati a succedere per legge sono i collaterali, fratelli e sorelle del de cuius, tra i quali l’eredità va divisa in parti eguali, salvo il caso di fratelli e sorelle unilaterali.

Ciò, tuttavia, non significa che gli stessi abbiano in ogni caso diritto a pretendere una quota di eredità, in quanto gli unici soggetti in favore dei quali il legislatore ha voluto preservare una porzione del patrimonio ereditario del defunto sono il coniuge, i figli e gli ascendenti.
In tal senso dispone espressamente l’art. 536 del c.c., mentre le successive norme, contenute nella medesima sezione relativa ai diritti riservati ai legittimari, si occupano di determinare in che modo e per quali quote gli stessi legittimari sono chiamati a concorre tra di loro.

I collaterali, dunque, non possono avanzare alcuna pretesa nei confronti del patrimonio del proprio fratello o della propria sorella, il che significa che dopo la morte del de cuius non avranno alcun diritto ad agire in riduzione contro eventuali donazioni o disposizioni testamentarie dello stesso de cuius, in quanto non è stata prevista una quota di riserva in loro favore, da tutelare mediante l’esercizio della suddetta azione.
Lo stesso discorso, ovviamente, vale, ed a maggior ragione, per i nipoti.

Pertanto, non si corre alcun rischio di impugnazione se sua sorella ha manifestato il desiderio di donarle l’immobile in cui vive.
Solo per ragioni di correttezza morale nei confronti della sorella, ma anche per poter beneficiare di un risparmio di spesa sotto il profilo dei costi che tale atto comporta, si suggerisce di stipulare un atto di donazione della sola nuda proprietà dell’immobile con riserva di usufrutto in favore della sorella.
In questo modo oggetto di trasferimento sarà la sola nuda proprietà, e pertanto sarà su tale valore che si andranno a pagare le relative imposte.
Dal punto di vista morale, invece, si garantisce alla sorella, finchè vive, il diritto di continuare a vivere a pieno titolo in quell’immobile, anche per l’ipotesi in cui il donatario dovesse rendersi inadempiente agli impegni a cui si era ripromesso di far fronte.

Non mancano casi, infatti, sottoposti al vaglio della giurisprudenza, in cui si è reso necessario fare ricorso all’istituto della revocazione della donazione per causa d’ingratitudine, il che si verifica qualora il donatario manifesti un sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastante con il senso di riconoscenza e di solidarietà che, secondo il comune sentire, dovrebbe invece improntarne l’atteggiamento.

Emblematico si ritiene sia il caso affrontato dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, ordinanza n. 20722 del 13/08/2018, in cui il donatario di un immobile, poi concesso in comodato allo stesso donante, ebbe l’ardire di agire in giudizio per ottenere la liberazione dell’immobile dal donante medesimo, ormai novantenne e privo degli affetti familiari più prossimi, facendogli pervenire una formale intimazione di rilascio, non preceduta da alcun contatto diretto e personale.

La riserva di usufrutto eviterebbe quantomeno situazioni spiacevoli del genere e costituirebbe una garanzia per il donante bisognoso di cure e assistenza.
Peraltro, come si ritiene possa essere ben noto, l’usufrutto si estingue con la morte del suo titolare, e pertanto nulla si trasmetterebbe agli eventuali altri eredi legittimi (fratelli, sorelle e nipoti).

Se poi ci si intende ulteriormente garantire nella propria posizione di donatario, si consiglia di richiedere al notaio che verrà incaricato di stipulare l’atto notarile di intestare lo stesso come donazione rimuneratoria ex art. 770 c.c., la quale si caratterizza proprio per la rilevanza giuridica che si vuole far assumere al motivo dell'attribuzione patrimoniale, senza peraltro che cessi di essere spontanea e sorretta dallo spirito di liberalità.
Nel caso di specie si tratta di donazione fatta per speciale rimunerazione, la quale ricorre tutte le volte in cui il donante effettua la liberalità con la specifica intenzione di rimunerare un servizio resogli o anche semplicemente promesso dal donatario.
Il particolare rilievo che in tale forma di donazione assume il motivo che ha indotto il donante alla liberalità, sebbene da un lato non alteri la sua qualificazione giuridica come vera e propria donazione, dall'altro lato comporta la previsione di alcune regole speciali, quali l’inapplicabilità della norma (art. 437 del c.c. che impone al donatario di prestare gli alimenti al donante, nonché l’inapplicabilità della revocazione per ingratitudine e per sopravvenienza di figli di cui all’art. 805 del c.c..


Samantha chiede
domenica 16/08/2020 - Friuli-Venezia
“Buonasera, due anni fa ho conosciuto un signore anziano classe 1929 che frequenta il negozio dove lavoro, lui come tanti soli aspettava il momento della spesa per ricevere un saluto e due parole, con il tempo siamo entrati in confidenza nel senso che, se per due giorni non lo vedevo gli telefonavo per capire il motivo, e se necessitava di qualcosa, in periodo di covid mi è capitato più volte di portargli la spesa. Adesso lui per sdebitarsi e dimostrare il suo affetto vorrebbe regalarmi una macchina. Lui ha due nipoti ed un pronipote che sente più o meno frequentemente ma vede raramente, anche durante le restrizioni . La mia domanda è :posso accettare il regalo senza conseguenze? Aggiungo che è lucido e ragiona perfettamente”
Consulenza legale i 20/08/2020
Le uniche conseguenze che, nel caso di specie, può comportare il regalo di un’auto, sono quelle legate all’avanzata età del donante e ad una ipotetica violazione dei diritti di riserva in favore del nipote e del pronipote.

Nel quesito non viene specificato se oggetto della donazione sarà un’auto nuova o usata, aspetto questo che potrebbe assumere rilievo al fine di qualificare la donazione come di modico valore o meno.
Infatti, nel caso dovesse trattarsi di auto usata, priva di un particolare valore commerciale (anche in considerazione delle condizioni economiche del donante), non si porrebbero grossi problemi sotto il profilo delle conseguenze appena dette.
Sarebbe, pertanto, sufficiente recarsi presso gli uffici dell’ACI-PRA, della Motorizzazione civile o delle Delegazioni ACI abilitate, per effettuare il passaggio di proprietà, il quale avviene semplicemente compilando la dichiarazione di vendita riportata sul retro del certificato di proprietà, con la firma del venditore e dell’acquirente, le quali verrebbero autenticate dal funzionario ivi addetto ex art. 7 Legge 248/2006.

Diversa è la situazione, invece, se trattasi di auto usata ma di un certo valore commerciale, sempre anche in rapporto alle condizioni economiche del donante.
In questo caso, infatti, per poter effettuare il passaggio di proprietà della macchina, è necessario che vi sia un atto di donazione, redatto in forma di atto pubblico notarile ed alla presenza di due testimoni, e ciò in conformità a quanto previsto dall’art. 769 del c.c..

Qualora, invece, oggetto di donazione dovesse essere un’auto nuova, sarebbe opportuno, per evitare i costi di un duplice passaggio di proprietà, recarsi dal notaio per stipulare la donazione della somma di denaro occorrente per l’acquisto dell’auto, rispettando sempre le forme prescritte dall’art. 769 c.c. (atto pubblico con assistenza di due testimoni).

Negli ultimi due casi appena visti (donazione di auto usata di non modico valore e donazione della somma di denaro), l’intervento del notaio avrebbe i seguenti vantaggi:
  1. verrebbe fugato ogni dubbio sulla capacità di intendere e di volere del donante, la quale formerebbe oggetto di specifico accertamento da parte del notaio, nella sua qualità di pubblico ufficiale;
  2. si potrebbe chiedere al notaio di far risultare dall’atto che trattasi di donazione remuneratoria ex art. 770 c.c., ossia di donazione fatta, come si usa dire, “per sdebitarsi”, anche se in realtà non c’è alcun debito giuridicamente rilevante, o per premiare (non occorre che nell’atto venga specificato il motivo particolare per il quale viene fatta la donazione).
  3. si eviterebbero eventuali problemi successivi con l’Agenzia delle entrate, in quanto si disporrebbe di un atto pubblico per dimostrare che la somma spesa proviene da una donazione e non, come può presumere il fisco, da redditi non dichiarati.

Lo stesso effetto, in realtà, può conseguirsi se il pagamento dell’auto avviene con strumenti di pagamento tracciabili, quali possono essere un assegno circolare o un bonifico bancario proveniente dal conto del donante, ma tali strumenti non sarebbero in grado di fornire anche la prova della capacità di intendere e di volere del donante al momento della donazione.

Per quanto concerne la qualificazione della donazione come remuneratoria, questa porterebbe con sé anche il vantaggio di non essere soggetta a revoca per ingratitudine o sopravvenienza di figli (anche se quest’ultima è un’ipotesi improbabile nel caso di specie) e di non far sorgere in capo al donatario l’obbligo di versare gli alimenti in favore del donante.

L’altra conseguenza della donazione, a cui si è accennato all’inizio, potrebbe essere legata al fatto che, poiché la donazione, anche se remuneratoria, è soggetta, al momento dell’apertura della successione del donante, a collazione e riduzione, il suo valore andrà sommato al relictum per formare la massa ereditaria da dividere e, soprattutto, per poter stabilire se gli eredi c.d. legittimari, abbiano subito una lesione della quota che la legge riserva in loro favore.
Nel quesito, infatti, si parla di un nipote e di un pronipote, il che lascia intendere che questi potrebbero essere chiamati a succedere per rappresentazione (ossia ex artt. 467 e ss. c.c.) ai loro ascendenti, ossia ai figli del donante, con la conseguenza che, ex art. 536 del c.c. comma 2, avrebbero gli stessi diritti che la legge riserva a questi ultimi.

Se quella donazione dovesse comportare una lesione della quota di riserva (cioè di quella parte di patrimonio che il de cuius deve in ogni caso riservare in favore dei legittimari), la stessa sarebbe soggetta a riduzione.
Nel caso specifico di donazione di un’auto, trattandosi di bene mobile registrato che con l’uso si deteriora, la riduzione avverrebbe imputando alla massa una somma di denaro pari al valore che l’auto avrà al momento dell’apertura della successione e con riguardo allo stato in cui si trova (sarà sufficiente fare riferimento al listino Quattroruote).

Tutto ciò, ovviamente, potrà verificarsi se il relictum (ossia ciò che il donante lascerà nel suo patrimonio) non dovesse essere sufficiente a soddisfare i diritti di riserva dei legittimari (ipotesi che si presume improbabile per chi è nelle condizioni economiche di donare un’auto ad un estraneo!).


Ugo R. chiede
mercoledì 31/05/2017 - Veneto
“Il risultato a cui vorrei arrivare è questo: avere la possibilità di mantenere la retta della mamma in casa di riposo senza dover chiedere sostentamento economico da parte delle sorelle.
Situazione patrimoniale: casa di proprietà suddivisa in 3/9 mia madre, 2/9 me stesso, 2/9 una sorella, 2/9 l'altra sorella.
Premetto che attualmente sono l'unico che abita in questa casa e che mie sorelle sono disposte a rinunciare alla loro proprietà. In cambio di questa loro disponibilità io sono disposto ad accettare l'impegno di spesa della retta assolvendole dall'obbligo morale della loro parte di sostegno. Aggiungo inoltre che la vita famigliare sulla casa di proprietà è stata vissuta, per quanto riguarda gli ultimi quarant'anni, da me e mia madre.
Chiedo come si possa fare giuridicamente questo passaggio nel modo più "indolore" sia economico che morale.


Consulenza legale i 01/06/2017
Se le sue sorelle sono d'accordo nel donarle le loro quote di proprietà a fronte dell'accollo, da parte sua, della retta della casa di riposo, riteniamo che la modalità più opportuna per cristallizzare questo tipo di accordo sia quello della "donazione rimuneratoria", di cui all'art. 770 c.c.

Si tratta, in sostanza, della donazione che viene fatta da un soggetto ad un altro a fronte di un determinato servizio da rendersi o già reso da parte del donatario stesso.
E' opportuno precisare che, ai fini della validità di tale tipologia di donazione, è necessario che, in ogni caso, la donazione venga fatta spontaneamente e per spirito di liberalità, non dovendo il "servizio" diventare una sorta di corrispettivo della donazione (altrimenti, non si potrebbe più parlare di donazione, che rappresenta un atto a titolo gratuito, bensì di "atto a titolo oneroso").

Le consigliamo, dunque, di rivolgersi ad un notaio (capace e volenteroso), che potrà redigere, nella forma dell'atto pubblico, il suddetto atto di donazione, nel quale sarà possibile indicare che la donazione viene effettuata spontaneamente, per spirito di liberalità ma quale "speciale remunerazione" dell'accollo, da parte sua, del pagamento integrale della retta.

In tal modo, infatti, si potrà realizzare il regolare passaggio di proprietà delle quote delle sue sorelle e formalizzare, altresì, il suo impegno al pagamento della retta.

In alternativa, lei e le sue sorelle potreste procedere anche alla stipula di una semplice scrittura privata (configurabile giuridicamente come un contratto do ut facias = ti do qualcosa affinchè tu faccia qualcosa per me), che preveda il trasferimento in suo favore delle quote di proprietà delle sorelle a fronte dell'impegno, da parte sua, di farsi carico del pagamento della retta della casa di riposo. In tal caso l'atto sarebbe a titolo oneroso (e non più gratuito come la donazione) e sarebbe sempre necessaria l'autentica delle firme da parte di un notaio, trattandosi comunque di atto di trasferimento di bene immobile, che necessita, nel principale interesse dell'acquirente, di essere trascritto nei registri immobiliari. Infatti, l'art. 2643 c.c. prevede espressamente che possano essere trascritti nei registri immobiliari solamente gli atti redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata (o accertata giudizialmente).

In nessun caso, quindi, sarà possibile risparmiare le spese del notaio e le imposte relative ai trasferimenti immobiliari. Si sconsiglia, infatti, di sottoscrivere una semplice scrittura privata tra voi (cosa, in astratto, possibile e lecita), la quale avrebbe tutti i limiti di un atto non opponibile ai terzi.

Rita M. chiede
mercoledì 31/08/2016 - Lombardia
“Mia madre mi ha pagato con 75.000 (contanti + titoli bancari) per lavori di giardinaggio (taglio erba di un giardino di 1200 metri + taglio siepe e sfrondamento alberi), manutenzioni varie alla villetta, assistenze fiscali, assistenza alla persona, pulizia della villetta ed altri vari servizi per un periodo continuativo di più di 20 anni. Mia madre ha anche già predisposto un testamento olografo nel quale lascia tutto il patrimonio a me.
Avendo un fratello , che non ha mai fatto lavori/ assistenze a mia madre, vi chiedo se alla morte di mia mamma mio fratello può chiedere la collazione dei 75.000 euro e pretendere la legittima su questi soldi.
So che per eventuali soldi donati è possibile chiedere la collazione ma nel mio caso i soldi rappresentano il pagamento di un servizio/lavoro che mia madre ha riconosciuto come debito che debba essere pagato. Mia madre ha preparato anche una dichiarazione di riconoscimento dei lavori effettuati .”
Consulenza legale i 06/09/2016
Per quanto riguarda il diritto alla cosiddetta quota di legittima, il fratello potrebbe effettivamente pretenderla, se del tutto estromesso al testamento olografo predisposto dalla madre: quale figlio legittimo in concorso con il fratello egli avrà infatti diritto, ai sensi dell’art. 537 cod. civ., ad un terzo del patrimonio della madre.

Ai fini dell’esatta ed equa ricostituzione di quest’ultimo per poter, poi, procedere al calcolo delle quote di legittima e della quota disponibile da parte del testatore, la legge stabilisce l’obbligo della “collazione” a carico di determinati soggetti, ovvero il conferimento materiale nell’eredità di quanto si abbia ricevuto dal testatore a titolo di liberalità.

L’art. 737 cod. civ., infatti, rubricato “soggetti tenuti alla collazione”, così recita: “I figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati (…)”.
In effetti, nel caso di specie, per poter rispondere al quesito, occorre capire esattamente se il denaro ed i titoli ricevuti dalla madre possano ritenersi o meno donazione “utile” ai fini dell’obbligo di collazione.

La norma specifica che viene in considerazione nel nostro caso è l’art. 770 cod. civ., secondo il quale “È donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione. Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi”.

In base alla giurisprudenza consolidata, per individuare se l’attribuzione patrimoniale debba rientrare nell’ipotesi di cui al primo comma della norma citata o di cui al secondo comma della medesima (fondamentale indagine da fare), occorre indagarne principalmente il motivo.
L’animo del donante (ovvero di colui che intende donare) – secondo la giurisprudenza – ha una caratteristica molto chiara, ovvero l’assoluta spontaneità della liberalità e la consapevolezza che non esiste alcun obbligo, neppure di carattere anche solo morale, di effettuarla: “La donazione remuneratoria consiste nell'attribuzione gratuita compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale, sociale per compensare i servizi resi dal donatario [n.d.r.: fattispecie esclusa nella fattispecie, con riferimento alla disposizione con cui una signora aveva riconosciuto di essere debitrice di una somma pecuniaria nei confronti della nipote a titolo di gratitudine e compenso per l'assistenza, la cura e l'amministrazione ricevute per un considerevole periodo]” (Cassazione civile, sez. II, 03/03/2009, n. 5119).
La fattispecie appena descritta si può ritenere analoga a quella qui in esame: non c’è dubbio, infatti, che i soldi dati dalla madre siano stati corrisposti (anche) con sentimento di gratitudine, ma ciò che conta è il fatto che quest’ultima riteneva giusto (e quindi “obbligatorio”, se non in forza di un contratto, quantomeno moralmente e/o socialmente) compensare il figlio per i servizi resi a titolo di vero e proprio “corrispettivo”.

Si riportano di seguito alcune pronunce molto chiare sull’argomento e sulla distinzione tra primo e secondo comma dell’art. 770 cod. civ.:

- “La donazione remuneratoria, contratto che soggiace alle condizioni di forma previste dall'art. 782 c.c., consiste in un'attribuzione gratuita, compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale, sociale, volta a compensare i servizi resi dal donatario” (Cassazione civile, sez. II, 18/05/2016, n. 10262);

- “La figura della donazione remuneratoria, prevista dall'art. 770, comma 1, c.c., è caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume, in essa, il "motivo" dell'attribuzione patrimoniale, correlata specificamente ad un precedente comportamento del donatario, nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti, o "speciale remunerazione" di attività svolta. Ancorché dominata da tale "motivo", l'attribuzione non cessa peraltro di essere spontanea, e l'atto conserva la "causa" di liberalità, rendendosi così suscettibile di revocatoria fallimentare, perché discrezionale nell'"an", nel "quomodo" e nel "quantum", non essendovi il donante tenuto nè in base ad un vincolo giuridico, nè in adempimento di un dovere morale o di una consuetudine sociale, con la conseguenza che, in nessun caso, l'attribuzione patrimoniale può assumere la qualificazione giuridica di corrispettivo, neppure per la parte corrispondente al valore del servizio reso.” (Cassazione civile, sez. I, 14/02/1997, n. 1411);

- “La distinzione fra la donazione rimuneratoria e la liberalità d'uso - rispettivamente previste dal comma 1 e 2 dell'art. 770 c.c. - trova fondamento nel diverso movente dei due negozi, ravvisabile, con riguardo al primo, nel desiderio di gratificare l'autore dei servizi resi e, con riguardo al secondo, nell'intento di porre, rispetto a tali servizi, un elemento di corrispettività o di adeguarsi ad un costume sociale, sia pure non obbligatorio, ma libero. Pertanto la proporzione del donato ai servizi resi non è di per sè idonea a far ascrivere il negozio nella seconda delle menzionate specie, ma può costituire solamente un criterio per l'individuazione (in ipotesi incerte) dello specifico movente dell'attribuzione.” (Cassazione civile, sez. I, 14/01/1992, n. 324);

- “Si ha liberalità d'uso, ai sensi del comma 2 dell'art. 770 c.c. ove l'attribuzione sia determinata da ragioni di riconoscenza, ma sia anche diretta al soddisfacimento di prestazioni ricevute, o compiuta in osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morale o sociali, e sussista una certa proporzione fra dato e ricevuto.” (Corte appello Reggio Calabria, 02/07/1990).

Alla luce delle suddette pronunce, ad avviso di chi scrive, quanto ricevuto dalla mamma nella fattispecie in esame per i servizi resi nel corso di vent’anni da uno dei due figli, rientra senz’altro nel novero delle liberalità effettuate per “servizi resi” di cui al secondo comma dell’art. 770 cod. civ. e non dovrà, pertanto, essere soggetto a collazione.
Chiaramente il fratello potrebbe comunque sostenere il contrario e intentare un'azione civile. In tal caso occorrerà difendersi in modo adeguato.


annunziata fortunato chiede
lunedì 11/04/2011 - Campania

“Volevo sapere se chi ha ricevuto beni con donazione remuneratoria, nel rispetto della legittima, rientra nella divisione dei restanti beni?”

Cristina chiede
mercoledì 23/02/2011 - Friuli-Venezia

“Una donazione di un immobile per avere le caratteristiche di "remuneratibità" deve presentare la dicitura stessa nel contratto stipulato avanti al notaio?”

Consulenza legale i 25/02/2011

La dottrina ritiene pacifico che il motivo della donazione rimuneratoria non debba necessariamente risultare dall'atto o provenire comunque da dichiarazione del donante, anzi: la sola dichiarazione di questi di aver donato per compensare un servizio non vale ad inquadrare il negozio nel primo comma dell'art. 770 del c.c..
E' pertanto irrilevante che nel documento contrattuale la donazione venga accompagnata dalla dicitura "rimuneratoria".


M. P. chiede
venerdì 25/02/2022 - Sardegna
“Mia moglie ha assistito e curato l'anziana madre per 13 anni e fino al decesso a 96 anni, giorno e notte per 365 gg /anno e per sdebitarsi la de cuius ha stipulato nel 2009 una assicurazione sulla sua vita beneficiaria mia moglie, che ha incassato alla fine dello scorso anno. Ora i coeredi che hanno chiesto gli estratti conto hanno trovato la movimentazione e rivendicano l'importo del premio da apportare alla massa. Come deve comportarsi mia moglie per difendersi da questa rivendicazione? In alternativa può chiedere le venga riconosciuto il lavoro svolto per 13 anni? Tutti gli altri figli si sono scaricati del problema e addirittura un'altra figlia che con lei conviveva da venti anni , gratuitamente nell'abitazione della de cuius, la ha abbandonata andando a vivere lontano.
Grazie anticipatamente.”
Consulenza legale i 03/03/2022
Dall’esposizione dei fatti che viene fatta nel quesito, si ritiene che il modo migliore per contrastare le pretese dei coeredi sia quello di portare avanti la tesi della c.d. liberalità d’uso.
Si tratta di una particolare forma di liberalità, che trova il suo fondamento normativo nel secondo comma dell’art. 770 del c.c., rubricato “Donazione rimuneratoria”, e che si viene a configurare tutte le volte in cui il genitore, in considerazione dei servizi resi dal figlio, attenendosi ai costumi sociali in uso, abbia fatto un dono al suo discendente.

Presupposto essenziale della liberalità d’uso è che la stessa sia di modico valore e comunque proporzionata al servizio ricevuto, dovendosi altrimenti configurare una donazione rimuneratoria, assoggettabile come tale a collazione.
Infatti, la differenza tra liberalità d’uso e donazione rimuneratoria (prevista dal primo comma dell’art. 770 c.c.), consiste nella circostanza che in quest’ultima il donante, al preciso fine di ringraziare il donatario, gli devolve qualcosa, senza però che il valore della donazione sia proporzionato o comunque correlato al servizio reso.

Pertanto, può dirsi che, se l'importo donato è proporzionale al servizio reso (ovvero se il figlio ha percepito quanto avrebbe percepito una badante per prestargli la medesima assistenza), si è di fronte ad una liberalità d'uso, non assoggettabile a collazione; se, invece, l'importo è sproporzionato al servizio reso, si configura una donazione rimuneratoria, che, a differenza delle liberalità d'uso, è assoggettabile a collazione.

Un altro aspetto rilevante di cui tener conto, qualora ci si decidesse a seguire la soluzione della liberalità d'uso, è che, non essendo questa forma di liberalità considerata dalla legge equiparabile alla donazione, non può neppure ritenersi soggetta al rispetto, sotto pena di nullità, della forma dell’atto pubblico, come invece imposto dall'art. 782 del c.c. nel caso di donazioni dirette di somme di denaro e che non siano di modico valore.

E’ bene precisare, tuttavia, che la costruzione giuridica che viene proposta può costituire soltanto un estremo rimedio per tentare di dissuadere gli altri eredi dal portare avanti una causa volta al recupero alla massa ereditaria dei premi assicurativi, e ciò perché, purtroppo, è la stessa legge, ed in particolare l’art. 741 c.c., a sancire la collazione di ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti “…per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore…”.
Anche la Corte di Cassazione ha già da molto tempo chiarito che le polizze sulla vita, nelle quali sia designato come beneficiario un soggetto terzo, non legato da vincolo di mantenimento, sono configurabili come “donazioni indirette” a favore dei beneficiari delle polizze stesse, in quanto il pagamento del premio costituisce il negozio mezzo (contratto di assicurazione) per conseguire gli effetti del negozio fine (donazione).

Va a questo proposito posto in evidenza quanto precisato dalla S.C. con sentenza n. 29853 depositata il 22/10/2021, e di cui si suggerisce di tener conto qualora dovesse insorgere una controversia giudiziaria con gli altri eredi.
Nelle polizze vita in genere può accadere che il capitale assicurato risulti di fatto inferiore ai premi nel tempo versati, che costituiscono l’oggetto del conferimento ex art. 2923, comma 2, c.c.
Ciò comporta, secondo la S.C., che l’obbligo di collazione, cioè del conferimento della donazione fatta dal defunto nei confronti di un legittimario per il calcolo della massa ereditaria, va assolto mediante conferimento della minor somma tra l’ammontare dei premi pagati e il capitale, non potendo la collazione avere per oggetto che il vantaggio conseguito dal discendente.

Purtroppo, è bene prendere coscienza del fatto che morale e diritto non sempre vanno di pari passo e che, per quanto possa essere eticamente biasimevole la condotta noncurante di un figlio che si disinteressa del proprio genitore, la circostanza che uno solo dei figli si sia occupato in via esclusiva del genitore anziano o malato, non incide sulle quote del patrimonio ereditario e non gli dà il diritto di pretendere una quota maggiore dello stesso.
Si tenga presente, infatti, che a carico dei figli grava l’obbligo di prestare gli alimenti in favore dei propri genitori (ex art. 433 n. 2 c.c.) e l’obbligo di prestare agli stessi assistenza; sotto quest’ultimo profilo costituisce perfino reato l’abbandono di una persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia o per vecchiaia, o per altra causa, della quale si debba avere cura (tale fattispecie di reato è punita, ex art. 591 comma 4 c.p., con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal figlio).

Pertanto, a meno che non conduca ad un buon esito la tesi della liberalità d'uso, è impensabile che si possa avere diritto ad una retribuzione per aver assolto ad obblighi imposti dalla stessa legge, con la conseguenza che se il genitore intende “ricompensare” il figlio che si è preso cura di lui, può farlo tramite testamento, con il quale disporre in suo esclusivo favore della quota disponibile del patrimonio ereditario.

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