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Articolo 2 Testo unico sul pubblico impiego (TUPI)

(D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Fonti

Dispositivo dell'art. 2 TUPI

1. Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:

  1. a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all'atto della definizione dei programmi operativi e dell'assegnazione delle risorse, si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione;
  2. b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell'articolo 5, comma 2;
  3. c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;
  4. d) garanzia dell'imparzialità e della trasparenza dell'azione amministrativa, anche attraverso l'istituzione di apposite strutture per l'informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;
  5. e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell'utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell'Unione europea.

1-bis. I criteri di organizzazione di cui al presente articolo sono attuati nel rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personali.

2. I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell'articolo 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili.

3. I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all'articolo 45, comma 2. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi previsti dal comma 3-ter e 3-quater dell'articolo 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo 47 bis, o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore dal relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva.

3-bis. Nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.

Massime relative all'art. 2 TUPI

Corte cost. n. 100/2019

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 12, comma 3, e 13, comma 1, della legge della Regione Veneto 28 novembre 2014, n. 37 (Istituzione dell'Agenzia veneta per l'innovazione nel settore primario), come, rispettivamente, modificati dall'art. 57, commi 3 e 4, della legge della Regione Veneto 27 aprile 2015, n. 6 (Legge di stabilità regionale per l'esercizio 2015). In particolare l'art. 12, comma 3, citato stabilisce che «ai dirigenti e dipendenti dell'Agenzia si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro delle aziende municipalizzate di igiene ambientale, nel rispetto dei vincoli e delle limitazioni contenute nell'articolo 13»; il successivo art. 13, comma 1, stabilisce che «ferma restando l'attuale consistenza organica, il personale in servizio nella soppressa Azienda regionale "Veneto Agricoltura" mantiene il contratto di lavoro in essere e, per quanto riguarda le dinamiche contrattuali, segue il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto regioni-autonomie locali», rientrando la materia nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di in materia di «ordinamento civile» di cui all'art. 117, secondo comma, lettera I), Cost..

Cons. Stato n. 3489/2018

Le controversie relative a questioni attinenti al rapporto di lavoro anteriore alla data del 15 settembre 2000 restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma devono essere state proposte entro il suddetto termine.
Tale data, entro la quale, nell'ambito del rapporto di impiego pubblico, le controversie relative al periodo del rapporto di lavoro precedente il 30 giugno 1998 avrebbero dovute essere instaurate, è stata concepita dal legislatore non già quale limite alla persistenza della giurisdizione suddetta, ma quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale: con il che, elasso il termine ne ultra quem, la domanda non può più essere proposta né innanzi ai giudice amministrativo né davanti al giudice ordinario, (cfr., ex multis. Consiglio di Stato, sez. V, 16 febbraio 2015, n. 785).

Anche di recente, la Corte Costituzionale (con sentenza 18 gennaio 2018, n. 6) ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 69, comma 7, D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione e al parametro interposto dalle norme Cedu come acclarato dalla sentenza della Corte Edu, nella parte in cui stabilisce il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la proposizione, davanti al giudice amministrativo, delle controversie riguardanti rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, se relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla data del 30 giugno 1998, poiché la Corte Edu, nelle sentenze Mottola e Staibano, ha censurato il diniego di accesso alla giustizia conseguente al mutamento di indirizzi giurisprudenziali nella specie insussistente alla luce del diritto vivente nazionale, mentre ha riconosciuto che il termine fissato dalla norma è "finalizzato alla buona amministrazione della giustizia" e "in sé non eccessivamente breve".

Corte cost. n. 38/2018

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la previsione di una clausola risolutiva automatica del rapporto di pubblico impiego si porrebbe in contrasto con l'art. 4, primo comma, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) che, nell'attribuire alla Regione l'esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e di stato giuridico ed economico del personale addetto, imporrebbe che il suo esercizio avvenga in conformità con i principi generali dell'ordinamento giuridico, di cui costituirebbero espressione l'art. 19, comma 1-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), secondo cui la revoca degli incarichi dirigenziali nel pubblico impiego può essere disposta solo nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati o di inosservanza di direttive, e l'art. 2119 del codice civile, che esclude che le difficoltà economiche del datore di lavoro possano integrare un motivo di recesso per giusta causa dal rapporto di lavoro.

L'art. 12, comma 6, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2016 sarebbe, altresì, in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera I), Cost., poiché il rapporto di lavoro contrattualizzato del dipendente pubblico, anche regionale, rientrerebbe nella materia "ordinamento civile", di competenza esclusiva del legislatore nazionale, la cui disciplina deve essere uniforme su tutto il territorio nazionale, mentre la clausola risolutiva avrebbe applicazione nel solo territorio della Regione.

Quanto all'art. 21 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri lo ritiene in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera o), Cost. e con l'art. 6 dello statuto speciale regionale, poiché avrebbe introdotto un istituto giuridico nuovo nell'ambito della previdenza sociale, materia di competenza esclusiva del legislatore statale, rispetto alla quale la Regione ha una competenza statutaria meramente attuativa e integrativa; nonché con l'art. 81 Cost., poiché non sarebbe stata prevista idonea copertura finanziaria della spesa derivante dalla sua applicazione.

L'art. 12, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2016 è stato abrogato dall'art. 9, comma 2, lettera c), della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 9 (Funzioni onorifiche delle soppresse Province e altre norme in materia di enti locali, Centrale unica di committenza regionale, personale del Comparto unico del pubblico impiego regionale e locale, trasporti e infrastrutture), con effetto satisfattivo del ricorrente e senza che la norma oggetto di censura di costituzionalità abbia mai avuto applicazione, poiché la legge abrogatrice è entrata in vigore il 27 aprile 2017, mentre, ai sensi dell'art. 59 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 dei 2016, l'entrata in vigore dell'art. 12, oggetto di impugnativa, era stata differita al 1° giugno 2017.

L'art. 21 cit., invece, sembrerebbe porsi nell'alveo di una consolidata tendenza dell'ordinamento, volta a favorire un graduale avvicendamento occupazionale mediante l'apertura di prospettive di nuove assunzioni derivanti dalla proporzionale riduzione dei rapporti di lavoro esistenti con lavoratori anziani.

Secondo il ricorrente una siffatta disciplina involve profili, di competenza statale, relativi alla materia della previdenza sociale.

Cass. civ. n. 24877/2017

Ove si verta in tema di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni la giurisdizione è demandata al giudice ordinario visto che, tra l'altro, ad esso sono riconosciuti ampi poteri dal comma 2 dell'articolo 63 del D.lgs. 165/2001.

Corte cost. n. 211/2014

A seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego - operata dall’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, dall'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e dai decreti legislativi emanati in attuazione di dette leggi delega - la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva. Proprio a seguito di tale privatizzazione, deve ritenersi che i principi fissati dalla legge statale in materia costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale. In particolare, dall'art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, della legge n. 421 del 1992, emerge il principio per cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici è affidato ai contratti collettivi, di tal che la disciplina di detto trattamento, e, più in generale, la disciplina del rapporto di impiego pubblico rientra nella materia dell'«ordinamento civile» riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Corte cost. n. 19/2013

Sono da ritenere costituzionalmente illegittime, in relazione all'art. 117, secondo comma, lettera I), Cost., le disposizioni regionali intervenute in materia di trattamento economico dei dipendenti regionali; infatti, essendo stato il rapporto di impiego di tali lavoratori contrattualizzato dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la sua disciplina (ivi inclusa quella delle varie componenti della retribuzione) rientra nella materia «ordinamento civile», che è riservata alla competenza esclusiva statale.

Cass. civ. n. 21090/2010

Il dirigente UNEP non rappresenta una figura professionale cui sia attribuibile una posizione economica superiore alla CI (principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.).

Cass. civ. n. 17536/2010

L'art. 1, comma 207, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 - secondo il quale l'art. 18, primo comma, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, deve interpretarsi nel senso che la quota percentuale di ripartizione della incentivazione per la progettazione di opere pubbliche, "è comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione" - è norma di interpretazione autentica, con efficacia, retroattiva, che è enunciabile nello specifico ambito, senza che rilevi la circostanza che il legislatore sia già intervenuto sulla norma con l'art. 3 comma 29 della legge n. 350 del 2003, trattandosi, quest'ultima di disposizione diretta a disciplinare la ripartizione dei compensi per i soli enti locali, senza rinnovare il testo dell'art. 18, primo comma citato. Nè in senso contrario è invocabile il successivo art. 1, comma 223, della legge 266 del 2005, secondo il quale il comma 207 costituisce norma non derogabile dai contratti o accordi collettivi, giacché, riguardando la interpretazione autentica anche le vicende verificatesi anteriormente, lo stesso comma 223 va letto in collegamento con il principio di derogabilità della legge ad opera della contrattazione collettiva, stabilito dall'allora vigente art. 2, comma 2, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. (Nella specie, la S.C., facendo applicazione della norma di interpretazione autentica di cui all'art. 1, comma 207, della legge n. 266 del 2005, sopravvenuta alla sentenza impugnata, ha cassato tale pronuncia e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda proposta da taluni dipendenti comunali al fine di percepire, dalla propria amministrazione, le incentivazioni previste dal citato art. 18 al netto degli oneri di previdenza ed assistenza a carico del Comune stesso).

Cons. Stato n. 2454/2010

Sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro alle dipendenze delle P.A. in ogni sua fase, dalla instaurazione sino all'estinzione, mentre sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti gli atti amministrativi adottati dalle P.A. nell'esercizio del potere loro conferito prima dal D.lgs. n. 29/1993, art. 2, comma 1, poi dal D.lgs. n. 165/ 2001, art. 2, aventi ad oggetto la fissazione delle linee e dei principi fondamentali delle organizzazioni degli uffici, nel cui quadro i rapporti di lavoro si costituiscono e si svolgono, caratterizzati da uno scopo esclusivamente pubblicistico, sul quale non incide la circostanza che gli stessi, eventualmente, influiscono sullo status di una categoria di dipendenti, costituendo quest'ultimo un effetto riflesso, inidoneo ed insufficiente a connotarli delle caratteristiche degli atti adottati iure privatorum.

Cass. civ. n. 9132/2010

In materia di lavoro pubblico privatizzato, la controversia diretta ad ottenere il reinquadramento dei lavoratori regionali in conformità al regolamento della Regione Lazio 10 maggio 2001, n. 2, previa disapplicazione della disposizione, ivi contenuta, che limita la facoltà di chiedere la revisione ai soli dipendenti in servizio, appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, coinvolgendo l'attività autoritativa della P.A., in quanto la norma regolamentare - nel perseguire l'obbiettivo del superamento delle sperequazioni esistenti tra le categorie di dipendenti transitati da altre amministrazioni - è diretta a definire l'assetto generale degli uffici nell'ambito di un complessivo progetto di revisione dell'organizzazione del personale regionale, che consente nuovi inquadramenti del personale prevedendone anche le decorrenze, prospettiva all'interno della quale si inserisce anche la scelta di escludere dall'intervento di revisione i dipendenti il cui rapporto di lavoro si sia già concluso.

Cons. Stato n. 816/2010

Dal sistema di riparto di giurisdizione delineato dall'art. 63, comma 1, D.lgs. n. 165/2001 risulta chiaramente che le controversie concernenti gli atti recanti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, adottati dalle amministrazioni ai sensi dell'art. 2, comma 1, dello stesso decreto - quali atti presupposti rispetto a quelli di organizzazione e gestione dei rapporti di lavoro, nei confronti dei quali sono configurabili astrattamente situazioni di interesse legittimo, in quanto gli effetti pregiudizievoli derivano direttamente dall'atto presupposto - spettano alla giurisdizione del g.a. Ai fini della loro attrazione alla giurisdizione del g.o., infatti, sono irrilevanti la incidenza riflessa di essi sugli atti di gestione di diritto privato dei rapporti di lavoro, nonché l'effettiva sussistenza dell'interesse al ricorso, atteso che le questioni della legittimazione, processuale e sostanziale, e delle condizioni dell'azione sono estranee all'area dei limiti esterni del potere giurisdizionale e vanno, pertanto, risolte dal giudice munito di giurisdizione.

Cass. civ. n. 3052/2009

In tema di riparto di giurisdizione nelle controversie relative a rapporti di lavoro pubblico privatizzato, spettano alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie nelle quali, pur chiedendosi la rimozione del provvedimento di conferimento di un incarico dirigenziale (e del relativo contratto di lavoro), previa disapplicazione degli atti presupposti, la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi, attraverso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi. Non può infatti operare in tal caso il potere di disapplicazione previsto dall'art. 63, comma 1, del D.lgs. n. 165 del 2001, il quale presuppone che sia dedotto in causa un diritto soggettivo, su cui incide il provvedimento amministrativo, e non (come nella specie) una situazione giuridica suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo solo all'esito della rimozione del provvedimento. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha ritenuto devoluta al giudice amministrativo la controversia nella quale alcuni funzionari comunali - deducendo la lesione delle aspettative di avanzamento nella carriera e il relativo danno - chiedevano la rimozione del provvedimento sindacale di conferimento di incarico dirigenziale a persona esterna, adottato sulla base di un atto organizzativo della Giunta che, modificando il regolamento comunale sull'ordinamento degli uffici e servizi, aveva consentito l'attribuzione di incarichi dirigenziali fuori dalla dotazione organica, invece che la scelta nell'ambito dei dipendenti).

Cass. civ. n. 255/2009

La figura dell'ufficiale giudiziario "dirigente" - appartenente al ruolo degli impiegati dello Stato inseriti nell'organizzazione dell'amministrazione della giustizia (fin dal D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, recante la disciplina dell'ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari) - non individua una qualifica autonoma, caratterizzandosi solo funzionalmente in quanto esplicante attività interna di direzione, coordinamento e disciplina del lavoro, ed è stata anch'essa interessata dalla disciplina del nuovo assetto dei profili funzionali intervenuto per effetto della legge 11 luglio 1980, n. 312, con conseguente corrispondenza delle attribuzioni rivestite in base al precedente ordinamento a quelle delle qualifiche identificate successivamente dal D.P.R. 29 dicembre 1984, n. 1219. Questa corrispondenza non può dirsi incisa dal sopravvenuto D.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (che ha aggiunto profili professionali di nuova istituzione), con l'effetto che i dirigenti degli uffici UNEP già inquadrati nella VII qualifica funzionale si sarebbero trovati a svolgere compiti, a "rilevanza esterna", ascritti alla VIII qualifica funzionale (con correlato diritto alla corrispondente retribuzione), essendo in proposito necessario che il relativo mutamento di quadro normativo fosse stato indotto da una fonte di rango primario. A seguito della nuova disciplina introdotta per effetto del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (diretta a fornire un assetto fondamentalmente omogeneo a tutti i rapporti di lavoro pubblico e che ha individuato i nuovi profili direttivi inquadrati nella categoria C), è divenuta operante la previsione che demanda alla contrattazione collettiva la regolamentazione del rapporto, con salvezza delle materie riservate alla legge, agli altri atti normativi e a quelli amministrativi, con l'effetto che anche gli ufficiali giudiziari (inclusi i "dirigenti") sono da ritenersi compresi nell'area di applicazione del C.C.N.L. integrativo del comparto dei dipendenti dal Ministero della Giustizia, sottoposto alle condizioni di applicabilità stabilite dall'art. 40, comma terzo, del suddetto D.lgs. n. 165 del 2001.

Cass. civ. n. 27018/2008

In materia di ufficiale giudiziario dirigente, va escluso, anche successivamente all'individuazione delle sedi "di notevole complessità e rilevanza" operata con il D.M. 6 aprile 2001, che l'art. 25 del contratto collettivo integrativo per il personale del Ministero della giustizia del 5 aprile 2000 sia idoneo a determinare un automatico inquadramento nella qualifica C3 dei dirigenti UNEP delle sedi specificate (nella specie, della Corte d'appello di Firenze), dovendosi interpretare la clausola contrattuale integrativa, che si limita a prevedere una migliore articolazione del sistema classificatorio rispetto a quello previsto dal C.C.N.L., alla luce del principio di legalità dell'azione amministrativa e del divieto di sottoscrivere contratti integrativi in sede decentrata in contrasto con i vincoli di bilancio risultanti dalla programmazione annuale e pluriennale, in coerenza con le disposizioni del C.C.N.L. di comparto, il quale impone l'adozione di una procedura selettiva per l'accesso alle qualifiche superiori, potendosi riconoscere, per il periodo successivo alla data di efficacia del 15 agosto 2001 del citato D.M., solo le differenze retributive per lo svolgimento di fatto delle mansioni superiori.

Cass. civ. n. 26377/2008

In materia di collocamento a riposo d'ufficio nel pubblico impiego contrattualizzato, il carattere di specialità che deriva dall'applicazione dei principi di cui all'art. 97 Cost. impone che il compimento di un'età massima determini, sulla base di disposizioni di legge non derogabili dalla contrattazione collettiva, l'estinzione del rapporto (salva l'ipotesi di protrazione per periodi definiti a domanda del dipendente e, eventualmente, con il consenso dell'amministrazione) e non costituisca un mero presupposto per l'esercizio del potere di recesso da parte dell'amministrazione, la cui inerzia non sarebbe suscettibile di sindacato giurisdizionale. Ne consegue l'inapplicabilità della regola generale del rapporto di lavoro subordinato privato, secondo la quale la tipicità e tassatività delle cause d'estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età o requisiti. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio enunciato, ha rilevato che l'art. 5 del D.lgs. n. 178 del 1998, attuativo della legge delega n. 127 del 1997 con la quale è stata disposta la trasformazione degli Istituti Superiori di Educazione Fisica (ISEF) in istituti universitari, ha previsto, per il personale docente non universitario non dipendente da pubbliche amministrazioni, la prosecuzione del rapporto presso il nuovo datore di lavoro con cessazione dal servizio al compimento del sessantacinquesimo anno di età, così configurando un'ipotesi di cessazione automatica "ex lege" del rapporto di lavoro senza necessità di alcun preavviso).

Cass. civ. n. 24409/2008

In materia di rapporti di lavoro pubblico nel settore sanitario, disciplinati a seguito della privatizzazione dalla contrattazione collettiva nazionale, anche in deroga a previsioni di legge o regolamento, la previsione del C.C.N.L. del comparto sanità del primo settembre 1995, secondo cui il dipendente assunto a tempo indeterminato è soggetto ad un periodo di prova, consente l'esecuzione della prova anche nel caso di assunzione di un lavoratore che in precedenza aveva stipulato un contratto a termine, ancorché avesse superato la relativa prova, avendo le parti ritenuto utile e comunque funzionale all'interesse pubblico l'espletamento della prova in vista della costituzione di un rapporto a tempo indeterminato.

Cons. Stato n. 3065/2008

Perché possa ravvisarsi provvedimento organizzatorio devoluto alla cognizione del plesso giurisdizionale amministrativo debba necessariamente possedere natura estesa, sotto il profilo oggettivo, ovvero categoriale.

Cass. civ. n. 16540/2008

Il conferimento delle posizioni organizzative al personale non dirigente delle pubbliche amministrazioni inquadrato nelle aree, la cui definizione è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva, esula dall'ambito degli atti amministrativi autoritativi e si iscrive nella categoria degli atti negoziali, assunti dall'Amministrazione con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, a norma dell'art. 5, comma secondo, del D.lgs. n. 165 del 2001 ; pertanto, nell'applicazione della disposizione contrattuale, l'attività dell'Amministrazione non si configura come esercizio di un potere di organizzazione, ma come adempimento di un obbligo di ricognizione e di individuazione degli aventi diritto, con conseguente devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle relative controversie, non ostandovi l'esistenza di atti amministrativi presupposti e potendo al riguardo operare la disapplicazione dell'atto ai sensi dell'art. 63, comma 1 del citato decreto.

Cass. civ. n. 5921/2008

La controversia avente ad oggetto gli inquadramenti dei lavoratori, già dipendenti di Poste Italiane s.p.a., trasferiti all'INPDAP in forza del DPCM 18 ottobre 1999, quale ente presso il quale già operavano in posizione di comando, è devoluta alla cognizione del giudice ordinario ai sensi dell'art. 63, comma 1, del D.lgs. n. 165 del 2001, giacché essa non è suscettibile di essere ricondotta nell'ambito di quelle relative ad atti organizzativi di cui all'art. 2, comma primo, del citato D.lgs. n. 165 del 2001, ma risulta invece inerente alla gestione del rapporto di lavoro in base ad una attività non autoritativa, espletata con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato, ai sensi dell'art. 5, comma 2, dello stesso D.lgs. n. 165.

Cass. civ. n. 5078/2008

La nomina, con conseguente assunzione con contratto di diritto privato di durata quinquennale, a direttore dell'"Ente parco nazionale del Vesuvio" (ai sensi dell'art. 9 della legge n. 394 del 1991) non implica una procedura a carattere concorsuale, sia perché è assente il carattere essenziale della indicazione di una scelta-graduatoria fondata sulla prevalenza di maggiore idoneità nell'esercizio delle funzioni di direttore del parco di alcuni candidati su altri, sia perché l'iscrizione all'albo degli idonei all'attività di direttore di parco rientra tra gli atti endoprocedimentali privi di effettiva rilevanza ai fine della decisione effettuata dal ministro competente e si colloca tra gli atti prodromici che non derogano alla normativa di carattere generale che attribuisce al giudice ordinario la cognizione sulle controversie concernenti il conferimento di incarichi dirigenziali (art. 63, comma 1, D.lgs. n. 165 del 2001), ancorché in esse vengano in questione atti amministrativi presupposti. Ne consegue che la nomina a direttore del predetto Ente si risolve in una "determinazione per l'organizzazione degli uffici" ai sensi dell'art. 5 del D.lgs. n. 165 del 2001, così da configurarsi come espressione di un potere privato del datore di lavoro, e la controversia in base alla quale se ne chieda l'annullamento rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

Cons. Stato n. 564/2008

Gli atti emanati nell'esercizio del potere conferito all'Amministrazione dall'art. 2 del D.lgs. n. 165/2001, di definizione delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, restano al di qua della soglia di competenza del Giudice ordinario istituita, in materia di rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, dall'art. 68 del D.L. n. 29/1993, e che ha ad oggetto le controversie che riguardano direttamente il rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Cass. civ. n. 8526/2007

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia promossa da alcuni dirigenti di seconda fascia già inquadrati nell'AIMA (Azienda per l'intervento nel mercato agricolo), avente ad oggetto l'impugnazione delle delibere con le quali gli organi di gestione dell'AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura, che ha preso il posto dell'AIMA) li escludevano dai ruoli AGEA in attesa dell'adozione del nuovo regolamento del personale. Infatti, dette delibere hanno natura provvisoria e costituiscono non atti organizzatori di carattere generale, rientranti nell'art. 2, comma 1, del D.lgs. n. 165 del 2001 - nei confronti del quale sono configurabili solo interessi legittimi -, ma ordinari atti di gestione rientranti nella fattispecie del successivo art. 5, che prevede che le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro sono assunte dagli organi preposti con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro.

Cass. civ. n. 8363/2007

Sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti gli atti amministrativi adottati dalle Pubbliche Amministrazioni nell'esercizio del potere loro conferito dall'art. 2, comma primo, del D.lgs. n. 29 del 1993 (riprodotto nell'art. 2 del D.lgs. n. 165 del 2001) aventi ad oggetto la fissazione delle linee e dei principi fondamentali della organizzazione degli uffici - nel cui quadro i rapporti di lavoro si costituiscono e si svolgono - caratterizzati da uno scopo esclusivamente pubblicistico, sul quale non incide la circostanza che gli stessi, eventualmente, influiscono sullo "status" di una categoria di dipendenti, costituendo quest'ultimo un effetto riflesso, inidoneo ed insufficiente a connotarli delle caratteristiche degli atti adottati "iure privatorum".

Cass. civ. n. 19558/2006

La mancata prestazione lavorativa sospende il decorso del periodo di prova di cui all'art. 2096 c.c., in quanto preclude alle parti, sia pure temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro, che costituisce la causa del patto di prova, a prescindere dalle previsioni del contratto collettivo che, in ipotesi, limitino la sospensione del periodo di prova soltanto ad alcune cause di sospensione della prestazione lavorativa. Tale principio si applica anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche che, dopo la privatizzazione, «sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa», fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D.lgs. sul pubblico impiego, n. 165 del 2001. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il recesso del Ministero della Giustizia da un rapporto di lavoro in prova, recesso esercitato individuando il termine finale del periodo di prova aggiungendo ai sei mesi dalla data di immissione in servizio, tutti i giorni di assenza per malattia, ferie e permesso ascrivibili a cause di sospensione tutelata dal rapporto).

Cass. civ. n. 15904/2006

Ai sensi dell'art. 68 del D.lgs. n. 29 del 1993 (nel testo modificato dall'art. 29 del D.lgs. n. 80 del 1998, trasfuso nell'art. 63 del D.lgs. n. 165 del 2001) sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in ogni sua fase, dalla instaurazione sino all'estinzione, mentre sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti gli atti amministrativi adottati dalle pubbliche amministrazioni nell'esercizio del potere loro conferito dall'art. 2, comma primo, del D.lgs. n. 29 del 1993 (riprodotto nell'art. 2 del D.lgs. n. 165 del 2001) aventi ad oggetto la fissazione delle linee e dei principi fondamentali delle organizzazioni degli uffici - nel cui quadro i rapporti di lavoro si costituiscono e si svolgono - caratterizzati da uno scopo esclusivamente pubblicistico, sul quale non incide la circostanza che gli stessi, eventualmente, influiscono sullo "status" di una categoria di dipendenti, costituendo quest'ultimo un effetto riflesso, inidoneo ed insufficiente a connotarli delle caratteristiche degli atti adottati "iure privatorum". (Nella specie, sulla scorta dell'enunciato principio, le S.U. hanno dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine all'impugnazione dell'atto di determinazione del personale degli assistenti tecnici ed amministrativi dipendenti del Ministero dell'istruzione, siccome espressione di un potere di organizzazione della P.A., configurandosi gli inconvenienti lamentati dai predetti dipendenti come effetti, per l'appunto, riflessi ed indiretti dell'atto medesimo, inidonei come tali a determinare il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario).

Cass. civ. n. 13538/2006

Con riferimento al direttore generale del Comune (cosiddetto "city manager"), dalla disciplina di settore - in particolare, dall'art. 108 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali - e dai principi generali in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni si desume l'assenza di un procedimento ad evidenza pubblica già nella fase di affidamento dell'incarico, di talché resta radicalmente esclusa la configurabilità di poteri amministrativi nella fase di esecuzione del rapporto. Da tanto deriva che è devoluta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia concernente l'accertamento dell'illegittimità della revoca "ante tempus", disposta dal sindaco, dell'incarico di direttore generale del Comune (nella specie conferito ad un soggetto già in servizio quale segretario generale), e la condanna del Comune al pagamento di somme a titolo di retribuzione o di risarcimento del danno, trattandosi in ogni caso di atto, concernente l'organizzazione dell'ufficio, appartenente alla gestione del rapporto di lavoro ed assunto con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

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Nicola C. chiede
martedì 01/09/2020 - Calabria
“con riferimento all'art. 169 del DPR n.3 del 1957 (scrutinio comparativo) ed al successivo art. 65 e 67 del DPR 686 del 3.5.1957 vorrei sapere se sussiste in capo all'Amministrazione un potere discrezionale sulla base del quale Questa stabilisce il punteggio relativo al parametro dell'"attitudine ad assumere qualifiche superiori" di cui all'ultimo periodo dell'art. 67 suddetto; ovvero se la valutazione di questo parametro e' invece strettamente legata ad elementi oggettivi.
Vorrei avere qualche riferimento di giurisprudenza
Chiedo se le norme su indicate sono state abrogate dal Dl.vo 165/2001 tupi”
Consulenza legale i 08/09/2020
L’art. 169, D.P.R. n. 3/1957 definisce lo scrutinio per merito comparativo come un “giudizio della completa personalità dell'impiegato, emesso sulla base dei titoli risultanti dal fascicolo personale e dallo stato matricolare, con particolare riferimento ai rapporti informativi e relativi giudizi complessivi. Il consiglio di amministrazione, all'inizio di ogni triennio, determina mediante coefficienti numerici i criteri di valutazione dei titoli, in relazione alle esigenze delle singole carriere. Tali criteri dovranno avere riguardo al rendimento, alla qualità del servizio prestato, alla capacità organizzativa, ai lavori originali elaborati per il servizio stesso, agli incarichi svolti, al profitto tratto dai corsi professionali previsti dalle vigenti disposizioni, all'attitudine ad assumere maggiori responsabilità e ad assolvere le funzioni della qualifica da conferire, alle eventuali pubblicazioni scientifiche, nonché alla cultura generale e alla capacità professionale. Per ogni anno di effettivo servizio prestato, nella qualifica immediatamente inferiore a quella da conferire, oltre l'anzianità minima prescritta per l'ammissione allo scrutinio e per non più di sei anni, il consiglio di amministrazione attribuisce un coefficiente di anzianità, pari ad un centesimo del coefficiente massimo complessivo stabilito per la valutazione dei titoli se l'impiegato ha riportato un giudizio complessivo non inferiore a distinto. Ogni scrutinato ha diritto di prendere visione o di ottenere, a proprie spese, copia dei criteri di valutazione dei titoli, nonché del verbale della seduta del consiglio, del quaderno di scrutinio, della propria scheda personale e di quelle dei promossi”.

Ai sensi dell’art. 67 D.P.R. 686/1957 “Agli effetti dell'art. 169 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, ed ai fini della valutazione prevista dall'art. 65 del presente decreto, [[…]]; l'attitudine ad assolvere le funzioni della qualifica superiore è valutata dopo l'attribuzione dei coefficienti relativi alle altre categorie di titoli, in base ad un giudizio complessivo sulla personalità di ciascun impiegato quale risulta dai precedenti di carriera, da tutti gli elementi del fascicolo personale e, per gli scrutini per la promozione a direttore di divisione, anche in base all'esito del colloquio integrativo”.

Il successivo art. 68 D.P.R. 686/1957 precisa che “Qualora il Consiglio di amministrazione non ritenga di assegnare all'impiegato, per l'attitudine ad assolvere le funzioni della qualifica superiore, il coefficiente minimo di idoneità previsto dall'ultimo comma dell'art. 62 nonostante che l'impiegato stesso abbia superato il coefficiente minimo d'idoneità per le qualità del servizio prestato, il giudizio deve essere motivato”.

Innanzitutto, si precisa che le suddette norme non sono state abrogate dal D. Lgs. 165/2001.

In seconda battuta, si rileva che esiste un consolidato orientamento giurisprudenziale che, pur riconoscendo all’organo di vertice dell’amministrazione nell’ambito di una procedura di scrutinio per merito comparativo un’ampia discrezionalità, proprio in considerazione della mancanza di precisi e predeterminati elementi di valutazione, le impone un particolare obbligo di idonea motivazione, affinché sia possibile oggettivare gli elementi presi effettivamente in considerazione e idonei a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito (C.d.S., sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2310; 16 aprile 1998, n. 640; sez. IV, 25 marzo 1996, n. 365), “soprattutto in considerazione della necessaria correlazione logica che deve intercorrere tra la valutazione complessiva e le singole categorie di titoli (C.d.S., sez. VI, 23 aprile 1994, n. 583), ivi compresa quella relativa all’attitudine allo svolgimento delle funzioni superiori (C.d.S., sez. IV, 27 maggio 1991, n. 454; 3 dicembre 1991, n. 1040; C.d.S. , sez. IV, 17 giugno 2003, n. 3400; C.d.S., Sez. VI, 8 ottobre 2010, n. 7369).

In particolare, il Tar Lazio (Tar Lazio, Sez. I ter, n. 7236/2012) in un caso caratterizzato dalla formazione di una graduatoria in esito a scrutinio per merito comparativo e dall’utile posizionamento di uno scrutinato esclusivamente in virtù del conseguimento di un punteggio per i profili prettamente attitudinali che si discosta – e non di poco - da quello attribuito ad altri soggetti, senza, tra l’altro, trovare giustificazione alcuna in quanto riportato nelle voci riguardanti le altre categorie ed, anzi, ponendosi in contrasto con le differenti qualità rivestite dagli interessati, ha affermato che “il punteggio numerico – pur in presenza dei criteri di massima, i quali si rivelano comunque “generici” - divenga insufficiente perchè inadeguato ai fini della ricostruzione dell’iter che ha portato alla decisione finale, necessaria per dirimere perplessità e/o abnormità che possono – prima facie - connotare l’operato dell’Amministrazione”.
In altre parole – ha proseguito il Tar - pur essendo indiscutibile che la Commissione goda di ampia discrezionalità in relazione alla valutazione dei profili attitudinali, “non è – comunque – possibile prescindere da un controllo sulla correttezza della valutazione effettuata – pena l’ammissione di possibili forme di arbitrio”.
La Corte territoriale ha quindi stabilito, che, in tali casi, l’Amministrazione debba dar conto “dell’iter seguito attraverso una congrua motivazione del punteggio attribuito, utile per consentire la percezione della valutazione operata nei confronti degli scrutinati”.