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Articolo 1 Nuovo Codice Appalti (D. Lgs. 36/2023)

(D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36)

[Aggiornato al 21/05/2025]

Principio del risultato

Dispositivo dell'art. 1 Nuovo Codice Appalti (D. Lgs. 36/2023)

1. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell'affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

2. La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell'affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del presente decreto, di seguito denominato «codice» e ne assicura la piena verificabilità.

3. Il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell'interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell'Unione europea.

4. Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l'esercizio del potere discrezionale e per l'individuazione della regola del caso concreto, nonché per:

  1. a) valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti;
  2. b) attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva.

Spiegazione dell'art. 1 Nuovo Codice Appalti (D. Lgs. 36/2023)

L’art. 1 introduce un principio cardine del nuovo Codice dei contratti pubblici: il principio del risultato, che orienta l'intera attività delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, i quali sono chiamati a dare esecuzione al contratto con la massima tempestività e il miglior rapporto possibilità tra qualità e prezzo, in conformità ai principi generali di legalità, trasparenza e concorrenza.
Il principio del risultato mira a riequilibrare il rapporto tra legalità formale e capacità dell’amministrazione di raggiungere concretamente gli obiettivi dell’appalto, ossia ottenere beni, servizi o lavori in tempi brevi, a costi adeguati e con qualità soddisfacente.

Il co. 1 dispone che le stazioni appaltanti devono perseguire il risultato concreto dell’affidamento e dell’esecuzione del contratto, garantendo:
  • tempestività (al fine di evitare ritardi);
  • miglior rapporto tra qualità e prezzo;
  • rispetto dei principi generali di legalità, trasparenza, concorrenza.
Nel co. 2 invece il legislatore valorizza, in primis, il legame strumentale che intercorre tra concorrenza e risultato e, in secondo luogo, il ruolo centrale della trasparenza.
In particolare, si sottolinea che:
  • la concorrenza è mezzo per conseguire il risultato (non un fine in sé);
  • la trasparenza è finalizzata a semplificare e accelerare l’azione amministrativa, garantendone al contempo la verificabilità, nell’ottica di responsabilizzare la P.A. per i risultati da conseguire (si parla in tal caso di accountability, ossia l’obbligo da parte dell’amministrazione di dimostrare di essersi adoperata per adottare tutti i provvedimenti necessari a perseguire le proprie finalità).
Ai sensi del co. 3, il principio del risultato viene identificato come applicata concreta, nel settore dei contratti pubblici, del più generale principio costituzionale del buon andamento (art. 97 Cost.) e dei correlati principi di efficienza, efficacia, economicità, che informano l’agire della Pubblica amministrazione.

La finalità del principio del risultato è duplice:
  • perseguire l’interesse della collettività;
  • garantire il raggiungimento degli obiettivi europei, come digitalizzazione, sostenibilità, inclusione e competitività.
Il co. 4 sottolinea invece il valore prioritario del principio del risultato, il quale assume una funzione criteriologica e valutativa, assurgendo a:
  • criterio prioritario nell’esercizio del potere discrezionale (ad es., nella scelta tra più opzioni legittime);
  • parametro di valutazione del personale tecnico e amministrativo;
  • riferimento per l’attribuzione di incentivi a chi lavora negli appalti, secondo le regole della contrattazione collettiva.
Attraverso tale previsione, il legislatore si prefigge lo scopo di contrastare il fenomeno della cd. “burocrazia difensiva”, ossia l’atteggiamento tipico dei funzionari pubblici che, nel timore di incorrere in forme di responsabilità, limitano il proprio operare.

Questa norma segna una svolta rispetto al Codice del 2016, che si fondava in maniera prevalente sulla legalità formale e sulla regolazione procedurale.
Il D.Lgs. 50/2016 richiamava infatti i principi di:
  • legalità,
  • trasparenza,
  • concorrenza,
  • proporzionalità.
Il nuovo Codice invece rimette al centro il risultato concreto perseguito dall’azione amministrativa. Ovviamente, non può trattarsi di un risultato qualunque, che prescinda dal rispetto dei principi tipici dell'azione amministrativa, ma deve essere un “risultato virtuoso” – come specificato, tra l’altro, dalla Relazione Illustrativa del Consiglio di Stato – adottato, per l'appunto, in conformità alle norme e ai principi tipici dell'evidenza pubblica.

Rel. C.d.S. al Codice dei Contratti

(Relazione del Consiglio di Stato al Codice dei Contratti del 7 dicembre 2022)

1 
Il comma 1 codifica il principio del risultato ed enuncia quindi l’interesse pubblico primario del codice, come finalità principale che stazioni appaltanti ed enti concedenti devono sempre assumere nell’esercizio delle loro attività: l’affidamento del contratto e la sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, sempre nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza, che vengono espressamente richiamati.

Il comma 2 enuncia il valore funzionale della concorrenza e della trasparenza, che sono tutelate non come mero fine, ma, più correttamente, come mezzo in vista del raggiungimento del risultato.
La concorrenza, in particolare, è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. Si collega così il risultato, inteso come fine, alla concorrenza, intesa come metodo (sulla scorta di quanto avviene per l’art. 97 Cost., in cui il buon andamento è legato all’imparzialità, al punto da essere stati considerati per lungo tempo una vera e propria endiadi). Il nesso tra “risultato” e “concorrenza”, la seconda in funzione del primo, è già rafforzato dalla dizione del comma 1, dove si specifica che non si persegue “un risultato purché sia”, ma un risultato “virtuoso”, che accresca la qualità, diminuisca i costi, aumenti la produttività, etc. Una diversa impostazione (secondo cui la P.A. non cura più l’interesse pubblico, perché il suo obiettivo diventa la gara) sarebbe, oltre che irragionevole, ancor più difficile da sostenere in un contesto economico-sociale che, nel quadro di un drammatico conflitto bellico, oggi richiede una nuova leva economica, da realizzare anche (e soprattutto) nel settore delle commesse pubbliche.
La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del codice e ne assicura la piena verificabilità. Il riferimento espresso alla “verificabilità” evoca il concetto di accountability, inteso come responsabilità per i risultati conseguiti. In quest’ottica, la logica del risultato, attraverso la definizione degli obiettivi e il controllo trasparente sull’attività amministrativa, costituisce un mezzo per assicurare l’accountability, in un’ottica di crescente efficienza e responsabilizzazione delle amministrazioni pubbliche.

La disciplina introdotta è in linea con il diritto U.E. e con la Costituzione.
La CGUE, sempre attenta agli aspetti sostanziali del singolo caso, non ha mai dato seguito ad approcci meramente formalistici, ispirati al solo rispetto della legalità o a una tutela fideistica della concorrenza. Basti pensare al ripetuto rifiuto di ogni automatismo e alla continua valorizzazione dei poteri discrezionali della stazione appaltante, specie in merito all’affidabilità degli operatori economici.
Si pensi, ancora, al rapporto tra in house e mercato, rispetto al quale la Corte di giustizia ha tante volte ribadito (pur salvando la disciplina italiana sui limiti all’in house) che il diritto UE non impone il mercato, ma solo il rispetto della concorrenza se si sceglie di andare sul mercato. Il che significa che se un “risultato” può essere realizzato meglio in "autoproduzione”, la P.A. lo può (e forse lo deve) fare, perché il suo compito è curare gli interessi della collettività, che non necessariamente coincide con la sollecitazione proconcorrenziale degli interessi economici delle imprese a competere per avere un contratto. Significativa è anche la posizione assunta dalla nostra Corte costituzionale nella sentenza n. 131/2020, sui rapporti tra tutela della concorrenza, da un lato, e solidarietà/sussidiarietà orizzontale dall’altro, dove si afferma che la concorrenza non è un fine, ma uno strumento, che può essere “sacrificato” se ci sono interessi superiori da realizzare. La “demitizzazione” della concorrenza come fine da perseguire ad ogni costo è alla base, inoltre, anche della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 177 del vigente codice appalti (sentenza n. 218/2021, che pure chiarisce che il perseguimento della tutela della concorrenza incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti).

L’idea che l’Amministrazione in materia di appalti debba perseguire solo la concorrenza rischia, allora, di contrastare con il più generale principio di buon andamento, di cui il “principio del risultato” rappresenta una derivazione “evoluta”, sulle orme di studi di autorevolissima dottrina, che ormai da decenni auspica e teorizza “l’amministrazione del risultato”. Il risultato si inquadra nel contesto della legalità e della concorrenza: ma tramite la sua codificazione si vuole ribadire che legalità e concorrenza da sole non bastano, perché l’obiettivo rimane la realizzazione delle opere pubbliche e la soddisfazione dell’interesse della collettività. Questa “propensione” verso il risultato è caratteristica di ogni azione amministrativa, perché ogni potere amministrativo presuppone un interesse pubblico da realizzare.

Il comma 3, recependo gli approdi di numerosi studi sulla c.d. amministrazione del risultato, chiarisce che il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, dei principi di efficienza, efficacia ed economicità ed è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’U.E.

Il comma 4 prevede che il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto. Si tratta, quindi, di un principio-guida nella ricerca della soluzione del caso concreto, al fine di sciogliere la complessità, spesso inevitabile, che deriva dall’intreccio di principi, norme di diritto dell’Unione europea, norme di legge ordinaria, atti di regolazione e indirizzi della giurisprudenza.
La previsione finale del comma 4, alla lettera a) in coerenza con il principio della fiducia declinato nell’art. 2, valorizza il raggiungimento del risultato come elemento da valutare, in sede di responsabilità (amministrativa e disciplinare), a favore del personale impiegato nei delicati compiti che vengono in rilievo nella “vita” del contratto pubblico, dalla programmazione fino alla sua completa esecuzione. Lo scopo è quello di contrastare, anche attraverso tale previsione, ogni forma di burocrazia difensiva: in quest’ottica si “premia” il funzionario che raggiunge il risultato attenuando il peso di eventuali errori potenzialmente forieri di responsabilità.
La lettera b) del comma 4 specifica, nella stessa ottica, che il risultato rappresenta anche criterio per l’attribuzione e la ripartizione degli incentivi economici, rimandano alla naturale sede della contrattazione collettiva per la concreta individuazione delle modalità operative.

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