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Articolo 148 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Fallimento della società e dei soci

Dispositivo dell'art. 148 Legge fallimentare

(1) Nei casi previsti dall'articolo 147, il tribunale nomina, sia per il fallimento della società, sia per quello dei soci un solo giudice delegato e un solo curatore, pur rimanendo distinte (2) le diverse procedure. Possono essere nominati più comitati dei creditori (3).

Il patrimonio della società e quello dei singoli soci sono tenuti distinti.

Il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l'intero e con il medesimo eventuale privilegio generale anche nel fallimento dei singoli soci. Il creditore sociale ha diritto di partecipare a tutte le ripartizioni fino all'integrale pagamento, salvo il regresso fra i fallimenti dei soci per la parte pagata in più della quota rispettiva (4).

I creditori particolari partecipano soltanto al fallimento dei soci loro debitori.

Ciascun creditore può contestare i crediti dei creditori con i quali si trova in concorso.

Note

(1) Articolo così sostituito con d.lgs. 5/2006.
(2) Dal punto di vista sostanziale, le procedure restano divise per mantenere gli equilibri tra creditori sociali e creditori particolari del socio.
(3) La ratio della disposizione è evidente: si vogliono mantenere distinte le masse passive dei diversi fallimenti, per evitare controversie.
(4) Risulta logico che, mentre il credito ammesso al passivo della società si riferisce anche al fallimento dei singoli soci, quello riferito al socio non possa essere ammesso al fallimento della società.
Il legislatore ha stabilito che il creditore sociale mantiene il privilegio generale nei confronti del socio, mentre "perde" la garanzia data dal privilegio speciale, dal pegno o dall'ipoteca (che naturalmente può far valere nei confronti della società).

Ratio Legis

La norma stabilisce un regime misto in caso di fallimento della società e dei soci: dal punto di vista processuale e formale, il procedimento è unico, mentre dal punto di vista sostanziale si mantiene l'autonomia, attraverso la separazione delle masse fallimentari.

Massime relative all'art. 148 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 13421/2008

In tema di estensione del fallimento ai sensi dell'art. 147 legge fall., qualora, dopo la dichiarazione di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, si accerti l'esistenza di altro socio illimitatamente responsabile (ovvero, dopo la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore individuale, risulti l'esistenza di una società di fatto tra lo stesso imprenditore ed altro od altri soci ), la successiva dichiarazione di fallimento ha natura costitutiva ed effetto ex nunc in virtù del carattere autonomo che (pur in seno al simultaneus processus ) va ad essa riconosciuta. (Nell'affermare tale principio, la S.C. ha ritenuto che il termine dell'anno anteriore al fallimento, ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 4 legge fall. ed ai fini della revocabilità di un'ipoteca costituita dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, andasse computato con riferimento alla data del fallimento del socio e non a quella della prima procedura concorsuale instaurata a carico della società ).

Cass. civ. n. 16213/2007

In caso di estensione del fallimento di una società di persone al socio illimitatamente responsabile, che sia anche titolare di un'impresa individuale, quest'ultimo risponde con tutto il suo patrimonio sia delle obbligazioni contratte in qualità di titolare di detta impresa, sia di quelle contratte dalla società, senza che possano ipotizzarsi al riguardo due masse distinte (come avviene invece nel rapporto tra la società ed il socio, che sono soggetti diversi): pertanto, il curatore del fallimento è legittimato ad agire in revocatoria per tutti i pagamenti eseguiti dal predetto socio, ivi compresi quelli effettuati nell'esercizio dell'impresa individuale.

Cass. civ. n. 11084/2004

I fallimenti della società e dei soci illimitatamente responsabili costituiscono, ad onta dell'unicità della sentenza dichiarativa e dell'unicità degli organi, entità giuridiche diverse, centri diversificati di imputazione giuridica degli effetti della dichiarazione di fallimento, atteso che gli artt. 147 e 148 legge fall. impongono una distinzione tra i patrimoni dell'una (la società) e quelli degli altri (i soci illimitatamente responsabili), tra gli stati passivi e le masse che siano da riferire all'una o agli altri; ciò inevitabilmente si riflette sulla posizione del curatore, il quale sarà legittimato a stare in giudizio quale organo del fallimento sociale o quale organo del fallimento di ciascuno dei soci a seconda della riferibilità della controversia, della direzione e dell'incidenza degli effetti della pronuncia giurisdizionale destinata a regolarla. Ne consegue che anche nel giudizio di opposizione ai sensi dell'art. 18 legge fall., che riguardi un socio e il (le ragioni del) suo fallimento personale, il curatore deve agire o essere chiamato in giudizio in qualità di organo del fallimento del socio, dunque con esplicito riferimento al fallimento di quest'ultimo. (Nella specie, tuttavia, la S.C. ha ritenuto, sulla base di una interpretazione dell'atto di opposizione diversa da quella data dal giudice di merito, che l'atto stesso era inequivocabilmente diretto nei confronti del curatore quale organo del fallimento personale dell'opponente).

Cass. civ. n. 4363/2003

In tema di fallimento in estensione, il principio c.d. di automaticità dettato dall'art. 148, comma terzo della legge fallimentare (a mente del quale “il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l'intero anche nel fallimento dei singoli soci”) comporta, in linea generale, che la domanda di ammissione al passivo di una società di persone estenda ipso facto i suoi effetti anche allo stato passivo del socio, tale estensione comprendendo, per l'effetto, anche l'eventuale privilegio generale che assista il credito, in considerazione della causa di questo e dell'unicità del rapporto da cui sorge. Detto principio non può, per converso, operare, attesine i limiti intrinseci, né quando la prelazione non scaturisca dal medesimo rapporto, ma da un rapporto accessorio — come nel caso di pegni e/o ipoteche costituiti dalla società o dal socio —, né quando essa non riguardi genericamente i beni del debitore (sia esso la società o il socio), ma afferisca, invece, a specifici beni della società, individuati dalla legge, ovvero a specifici beni, della società o del socio, individuati con il rapporto accessorio costitutivo della garanzia reale, poiché, in tali casi, la prelazione stessa grava, in definitiva, su beni appartenenti al patrimonio soltanto di uno dei soggetti obbligati e non può, in mancanza di collegamento tra prelazione stessa e patrimonio, intendersi dichiarata anche nel fallimento di un soggetto diverso, dovendo essa, per converso, esser fatta valere nel solo stato passivo del fallimento del titolare del bene gravato (nell'affermare il principio di diritto che precede la S.C. ha così escluso che la prelazione su specifici beni, richiesta con la domanda di insinuazione al passivo della sola società, potesse legittimamente ed automaticamente intendersi come richiesta anche nello stato passivo del socio).

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relative all'articolo 148 Legge fallimentare

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Carlo O. chiede
martedì 23/01/2018 - Emilia-Romagna
“Ho acquistato un marchio registrato in Italia dopo periodo di attesa necessario. Il marchio apparteneva ad una srl dichiarata fallita. L'amministratore della società fallita ha aperto una società in Svizzera e adesso vorrebbe avere questo marchio pretendendone il diritto. Vorrei sapere come rispondere a costui.”
Consulenza legale i 25/01/2018
Dal quesito si evince che Lei ha acquistato il marchio da una società fallita.

L’amministratore della società fallita, avendo aperto adesso una nuova società in Svizzera, pretenderebbe “indietro” il marchio.

Prima di entrare nel merito del quesito, appare utile un accenno alla definizione di marchio ed alla relativa disciplina.

Il marchio è il segno distintivo di un prodotto di un’impresa da quello delle altre.

Secondo l'art. 7 del Codice della Proprietà Industriale (CPI), possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni rappresentabili graficamente: parole (compresi i nomi di persone), disegni, lettere, cifre, suoni, forma del prodotto o della confezione di esso, combinazioni o tonalità cromatiche.

I requisiti di validità del marchio sono il carattere distintivo, la novità e la liceità.

L’uso esclusivo del marchio si acquisisce con la registrazione del segno effettuata presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.

La registrazione e il relativo diritto di esclusiva hanno efficacia per 10 anni dalla registrazione della domanda.

Quali sono le sorti del marchio in caso di fallimento.

Al momento della dichiarazione di fallimento, nel patrimonio del fallito, sia esso persona fisica o giuridica, possono esistere diritti di proprietà intellettuali di cui il fallito è titolare.

Quanto al marchio, lo stesso non rientrerebbe tra i “beni personali” e, quindi, non può essere in alcun modo ricondotto ai “beni non compresi nel fallimento” di cui parla l’art. 46 L. F.

Quindi, anche il marchio può essere legittimamente ceduto in presenza di procedura fallimentare.

Ciò premesso, entriamo nel merito del quesito proposto.

Al fine di dare una risposta esaustiva al quesito, si rende necessaria una specificazione in merito alla titolarità e territorialità del marchio.

Quanto alla titolarità, se il marchio era di proprietà dell’amministratore della società poi fallita e, quindi, semplicemente conferito alla stessa società dall’amministratore titolare, la vendita del marchio da parte della procedura fallimentare, risulta essere viziata in quanto vendita di un bene altrui.

In tal caso, dunque, titolare del marchio era ed è l’amministratore della società fallita.

Pertanto, in tal caso Lei non avrebbe nessun diritto e/o titolo sul marchio, ma solo la possibilità di agire contro il fallimento chiedendo la risoluzione dell’atto di compravendita, oltre al risarcimento del danno.

Se, invece, il titolare del marchio era la società fallita, come da Lei sostenuto nel quesito, la vendita da Lei conclusa è valida e, quindi, il suo titolo è opponibile a qualunque pretendente nell’ambito della tutela offerta dalle norme in materia di marchi.

In tal caso, quindi, a seguito della compravendita, la titolarità del marchio è riconducibile solo a Lei con la conseguenza che l’amministratore della fallita nulla potrà rivendicare circa la titolarità del marchio stesso.

Quanto all’ulteriore aspetto della territorialità, se il marchio è registrato in Italia come marchio italiano, l’amministratore della società fallita potrà comunque registrare lo stesso marchio in Svizzera qualora Lei non riuscisse a dimostrare che il marchio è conosciuto anche al di fuori del territorio nazionale, nello specifico in Svizzera.

Tuttavia, il marchio da Lei posseduto, registrato in Italia, potrà impedire ad un eventuale importatore di vendere sul territorio nazionale prodotti riconducibili allo stesso settore merceologico o prodotti affini per il quale il marchio è stato registrato.

Dunque l’amministratore in Svizzera, pur registrando lo stesso marchio in Svizzera non potrà spenderlo in Italia per lo stesso settore merceologico o per prodotti affini (cioè simili o collegati).

In conclusione, dando per valida l’ipotesi che titolare del marchio da Lei acquistato fosse la società poi fallita e non l’amministratore personalmente, potrà rispondere che l’amministratore non ha titolo per rivendicare la proprietà del marchio essendo stato, lo stesso, dapprima di proprietà della società poi dichiarata fallita, e in seguito da Lei regolarmente e legittimamente acquistato.