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Articolo 57 Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito

(D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602)

[Aggiornato al 22/02/2024]

Opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi

Dispositivo dell'art. 57 Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito

1. Non sono ammesse:

  1. a) le opposizioni regolate dall'articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; (1)
  2. b) le opposizioni regolate dall'articolo 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo.

2. Se è proposta opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi, il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti avanti a sé con decreto steso in calce al ricorso, ordinando al concessionario di depositare in cancelleria, cinque giorni prima dell'udienza, l'estratto del ruolo e copia di tutti gli atti di esecuzione.

Note

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 17 aprile - 31 maggio 2018, n. 114, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della lettera a) del comma 1 del presente articolo "nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 del codice di procedura civile".

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Consulenze legali
relative all'articolo 57 Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Maurizio S. chiede
lunedì 20/04/2020 - Lazio
“Spett.le Brocardi.it
Sono con la presente a chiedere il seguente quesito.
Sopravviene da parte dell’A.E. – Riscossione un esecuzione forzata tributaria mobiliare presso terzi ex art. 543 c.p.c. di un conto corrente Bancario.
La Banca ex art. 547 emette la dichiarazione in quantità positiva.
L’esecutato propone opposizione all’esecuzione ex art. 615 comma 2 c.p.c., eccependo il difetto di legittimazione passiva, il G.E. sospende l’esecuzione ex art. 60 dpr 602/1973 per l’introduzione del giudizio di merito.
L’A.E. Riscossione introduce il giudizio di merito relativo all’opposizione all’esecuzione mobiliare preso terzi, convenendo in giudizio l’esecutato (e il terzo pignorato banca), affermando che in forza dell’art. 57 del d.P.R. 600/1973, l’eccezione del difetto di legittimazione passiva, non può essere ammissibile difronte al giudice ordinario, anche in ordine alla esistenza e quantità del credito nei propri confronti.
L’esecutato sostiene in giudizio, che in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018, (incostituzionalità dell’art. 57 cit. comma 1 lettera a) il Giudice dell’opposizione quando è contestato il diritto di procedere ad esecuzione per l’eccepito difetto di legittimazione passiva, deve ammissibilmente accertare la sussistenza o meno del difetto sollevato dall’esecutato. (analogamente sulla competenza, Cass. sent. del 27.06.2014 n. 14641).
Quesito.
Vorrei sapere se il Giudice dell’opposizione per quanto sopra esposto dovrà ritenere ammissibile o meno al giudizio, quale unico motivi di opposizione, l’eccezione del difetto di legittimità passiva all’esecuzione forzata tributaria per come risulta non meramente affermata dall’opponente, ma “documentata agli atti”.
In attesa porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 29/04/2020
Si cercherà per prima cosa di tracciare per grandi linee la vicenda processuale, alla luce anche del contenuto degli atti fatti pervenire a questa Redazione, e ciò al fine di fissare i passaggi fondamentali sui quali occorre puntare l’attenzione.

Il caso in esame vede l’Agenzia delle Entrate Riscossione eseguire, in danno di chi pone il quesito, un pignoramento mobiliare presso terzi ex art. 543 del c.p.c. per crediti di natura tributaria, a seguito del quale l’istituto di credito, terzo pignorato, rendeva dichiarazione positiva.

Avverso tale atto la parte esecutata propone opposizione all’esecuzione ai sensi del secondo comma dell’art. 615 del c.p.c., lamentando essenzialmente un difetto di legittimazione passiva, in particolare per avere l’Agenzia delle entrate riscossione pignorato beni di proprietà di un soggetto, persona fisica, diverso da chi si sosteneva essere l’effettivo debitore, ossia una società a responsabilità limitata, nella quale la stessa Agenzia delle Entrate assumeva che l’opponente rivestisse la qualità di socio occulto e amministratore di fatto.

Nel medesimo atto di opposizione l’opponente/esecutato lamentava altresì che, sebbene l’atto di pignoramento impugnato non facesse mai riferimento a tali qualifiche e/qualità, venivano di fatto pignorate somme di denaro di pertinenza dello stesso opponente, riconducibili esclusivamente al suo patrimonio personale.
A seguito di tale opposizione il Giudice dell’esecuzione, dinanzi al quale l’opposizione era stata proposta, sospendeva l’esecuzione ex art. 60 delle disp. risc. imp. redditi, norma che ricollega la sospensione della procedura esecutiva al ricorrere di gravi motivi o del fondato pericolo di un grave ed irreparabile danno.

Nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di merito relativo all’opposizione all’esecuzione forzata mobiliare, l’Agenzia delle entrate riscossione deduceva, tra l’altro, l’inammissibilità di una opposizione proposta ex art. 615 c.p.c. innanzi al giudice dell’esecuzione (giudice ordinario), per crediti di natura tributaria, richiamando il disposto dell’ art. 57 D.P.R. 602/1973, il quale al primo comma lett. a) stabilisce che per tali crediti non sono ammesse le opposizioni di cui all’art. 615 c.p.c. , fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, mentre alla successiva lett. b) viene disposta l’inammissibilità delle opposizioni di cui all’art. 617 del c.p.c. volte a contestare la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo.
Si afferma, infatti, che per tali crediti, il cui titolo è costituito dai ruoli esecutivi dell’Agenzia delle Entrate, la sospensione della loro efficacia compete esclusivamente al giudice tributario (Commissione tributaria), evidenziando peraltro che lo stesso opponente aveva già opposto gli atti di accertamento notificatigli per debiti personali, e che a tale opposizione non aveva fatto seguito alcuna sospensione dell’efficacia esecutiva di tali atti.

Nel corso del giudizio, incardinato nell’anno 2017, la parte esecutata intende far valere quanto statuito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 114 del 17 aprile-31 maggio 2018, in forza della quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della lettera a) del primo comma dell’art. 57 DPR 602/1973, nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 delle disp. risc. imp. redditi, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c.

Si ritiene sia qui opportuno ricordare che, secondo quanto disposto dalla norma da ultimo citata, quando l’esecuzione è iniziata e si intende contestare il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata, la parte che ne ha interesse può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione stessa, il quale fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé ed il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto.

Pertanto, vi è da una parte il creditore (Agenzia delle entrate) che contesta l’opposizione all’esecuzione proposta ex art. 615 c.p.c. perché, non essendo attinente alla pignorabilità dei beni, sarebbe inammissibile secondo il disposto dell’art. 57 DPR 602/1973, nel testo anteriore alla sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018.
Dall’altra parte, invece, chi pone il quesito vorrebbe far valere l’improcedibilità dell’esecuzione intrapresa da Equitalia perché avente ad oggetto beni (somme di denaro in possesso dell’istituto di credito terzo pignorato) di titolarità di un soggetto diverso dall’effettivo debitore, il quale ultimo, per come è dato capire, dovrebbe corrispondere ad una società a responsabilità limitata, in cui si asserisce che il debitore colpito da pignoramento rivesta la posizione di socio occulto oltre che di amministratore di fatto.

In particolare, il tema su cui vengono avanzati dei dubbi è se il Giudice, investito del merito dell’opposizione, debba ritenere ammissibile al giudizio, quale unico motivo di opposizione, l’eccezione del difetto di legittimazione passiva all’esecuzione forzata tributaria, per come risulta documentata agli atti e non meramente affermata dall’opponente.

La risposta si ritiene che possa essere positiva, in tal senso essendo consentito argomentare da ciò che la stessa parte opposta asserisce nel proprio atto di citazione introduttivo del giudizio di merito.
In particolare, si legge in tale atto:
  1. nelle premesse “occorre quindi radicare il presente giudizio di merito chiedendo all’intestato Tribunale di pronunciarsi su tutte le questioni già esposte dinanzi al G.E. e che di seguito si ripropongono, con integrazioni";
  2. nella parte conclusiva della vocatio in ius ed in cui vengono indicate le ragioni di diritto di cui si chiede tutela, la parte opposta chiede che il Tribunale voglia “in rito dichiarare inammissibile, ai sensi dell’art. 57 del DPR 602/1973, l’opposizione proposta da….. in ordine alla esistenza e quantità del credito”.

La richiesta al Tribunale di pronunciarsi su tutte le questioni già esposte dinanzi al Giudice dell’esecuzione non può lasciare fuori quella della legittimazione passiva della parte esecutata opponente, fondata sul rilievo che parte debitrice non sarebbe colui il quale ha subito l’espropriazione forzata presso terzi ed i cui conti sono stati bloccati, bensì una società a responsabilità limitata, in ordine alla quale si asserisce che l’esecutato rivesta la qualità di socio occulto oltre che di amministratore di fatto.
Fondamentale per il riconoscimento della sussistenza del difetto di legittimazione passiva si ritiene che sia la considerazione contenuta nel ricorso in opposizione, ove è detto che Equitalia Centro Spa non aveva alcun titolo per pignorare beni nella titolarità dell’opponente, considerato che i titoli messi in esecuzione erano costituiti esclusivamente da cartelle riferibili alla società a responsabilità limitata.
Va a tal proposito evidenziato che il nostro ordinamento non consente nel caso di s.r.l. di procedere nei confronti dei singoli soci, ancorchè si tratti di coloro che ne hanno la rappresentanza, trattandosi di tipo societario in cui il patrimonio sociale (il solo che può essere escusso) va tenuto nettamente distinto da quello dei singoli soci.
Nel caso, poi, in cui si tratti di società cancellata dal registro delle imprese, vale il disposto dell’art. 2495 del c.c., norma che consente di agire contro i singoli soci ma nei limiti delle somme dagli stessi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.
Altra possibilità concessa ai creditori sociali è quella di cui al comma 6 dell’art. 2476 del c.c., norma che riconosce ai creditori sociali il diritto di esperire in giudizio una azione di responsabilità contro gli amministratori della s.r.l.
In entrambi i casi, ovvero sia nell’ipotesi prevista dall’art. 2495 c.c. che in quella prevista dall’art. 2476 c.c., è evidente che il creditore non può agire sic et simpliciter contro il socio o l’amministratore della società, mettendo in esecuzione il titolo di cui è in possesso contro la società, ma sarà indispensabile, dopo aver invano escusso il patrimonio sociale, precostituirsi un ulteriore titolo contro soci e amministratori.
E’ in questi termini che sussiste e va riconosciuto il difetto di legittimazione passiva in capo all’opponente, con conseguente impignorabilità dei beni personali di quest’ultimo, ciò di cui il giudice investito del merito dell’opposizione non può non tener conto.

Per quanto concerne, invece, la pretesa inammissibilità di sollevare dinanzi al Giudice dell’esecuzione un difetto di legittimazione per contrasto con quanto disposto dall’art. 57 DPR 600/1973 nel testo anteriore alla sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018, si ritiene che il problema sia facilmente superabile per effetto del sopravvenire di questa stessa sentenza, e ciò in considerazione del fatto che le decisioni con le quali una legge viene dichiarata in contrasto con la Costituzione producono non solo effetti erga omnes, ma anche ex tunc (trattasi, infatti, di sentenza che può inserirsi tra le c.d. decisioni di incostituzionalità secca, quindi con effetti retroattivi).
Occorre precisare che l’efficacia retroattività di tale pronuncia costituzionale (con conseguente estensione al caso in esame) sarebbe ulteriormente giustificata dal fatto che il giudizio in ordine al quale la decisione andrà a produrre i suoi effetti è ancora pendente, il che non determina alcun sacrificio delle ragioni di certezza del diritto in rapporto al principio di legalità costituzionale.

E’ sulla scorta di tali considerazioni, dunque, che il giudice di merito dovrebbe essere spinto a fare corretta applicazione dei principi sanciti dalla Corte Costituzionale nella più volte citata sentenza, laddove viene esplicitamente riconosciuto che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario tutte le volte in cui la controversia si colloca a valle della giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del D.lgs. n. 546/1992 perché il giudizio riguarda atti dell’esecuzione forzata tributari successivi alla notifica della cartella di pagamento già impugnata dinanzi al giudice tributario e sia relativo al diritto di procedere alla riscossione, piuttosto che alla regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura.

Significativo è anche un altro passo della sentenza della Corte Costituzionale che non può essere ignorato dal giudice del merito ed alla cui attenzione si consiglia di sottoporlo, ossia quello in cui la Corte asserisce che “la possibilità di attivare il sindacato del giudice su atti immediatamente lesivi appartiene al diritto, inviolabile e quindi fondamentale, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (art. 24 Cost.), senza che contro gli atti della pubblica amministrazione la tutela giurisdizionale possa essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti (art. 113 Cost.)”.

Una precisazione, a questo punto, si ritiene di dover fare: tutte le considerazioni fin qui svolte potranno reggere ed assumere un loro peso soltanto se, come è stato asserito da chi pone il quesito (e come è dato leggere anche nel ricorso in opposizione per estratto fatto pervenire) i provvedimenti impositivi posti in esecuzione riguardano la s.r.l. e non il soggetto persona fisica che si presume ne fosse socio occulto e amministratore di fatto.
In caso contrario, cioè se debitore dai predetti titoli risulta anche essere il soggetto persona fisica in danno del quale è stato eseguito il pignoramento presso terzi, allora nessuna di tali considerazioni potrà valere e l’eventuale illegittimità ed infondatezza della emissione di quei provvedimenti potrà formare oggetto di cognizione esclusiva innanzi al giudice tributario, come correttamente sostiene l’Agenzia delle Entrate Riscossione.


Anonimo chiede
martedì 08/11/2022 - Lazio
“Spett.le Brocardi.it

Il contribuente pensionato, riceve dall’Agente della Riscossione un atto di pignoramento “diretto”dei crediti verso terzi ex art. 72 bis DPR n. 602/1973, notificato all’Istituto di credito, il cui conto corrente al momento della notifica dell’atto di pignoramento aveva un saldo a zero, affluendo in tal conto esclusivamente la pensione di circa euro 2.000.

Ebbene, è plausibile ritenere che vi sia il rischio che l’istituto bancario ignorando l’art. 72 bis cit. che esclude il pignoramento diretto della pensione, possa comunque eseguire entro i 60 giorni, il pignoramento diretto per i crediti pensionistici disattendendo la norma e per ciò accreditando all’Agente della Riscossione limitatamente alla parte pignorabile della pensione senza l’ordine del Giudice?

Al fine di ovviare a tale evenienza è auspicato già da subito un intervento legale e in che modo, o si deve attendere il decorso degli eventi ?

In ipotesi che la Banca accrediti direttamente quindi illegittimamente la parte della pensione pignorata all’Agente della riscossione, quale è la strategia legale che deve porre in essere il pensionato?

Il parere dovrà tenere conto anche l’evenienza in cui la banca accrediti totalmente la somma laddove giacente nel c/c laddove a seguto di una svista non si avvede che la causale è “ accredito pensione INPS” interpretando la provvista come somma totalmente da pignorare, in quanto non sono a conoscenza se la banca tramite la causale della rimessa, deve soddisfare il controllo della natura della provvista giacente nel conto corrente.

Cordialità.”
Consulenza legale i 16/11/2022
LAgenzia delle entrate-Riscossione è l’ente che svolge per conto dello Stato l’attività di riscossione dei tributi e dei contributi vantati dagli enti creditori.
Il legislatore nel 2015, ha previsto un procedimento “speciale” per quanto riguarda il pignoramento presso terzi dell’Agente della riscossione.
Come, ad esempio, il pignoramento sul conto corrente del contribuente caso oggetto della presente consulenza. La peculiarità è che diversamente a quanto accade nella procedura esecutiva ordinaria in questo caso l’agente procede alla riscossione mediante inserimento nell’atto di pignoramento dell’ordine al terzo, possessore dei beni del debitore o suo debitore, di pagamento delle somme dovute dal debitore. Nel procedimento ordinario di espropriazione invece nell’atto di pignoramento con cui si dà avvio al procedimento dev’essere contenuto l’atto di citazione in giudizio del debitore.
Venendo al caso concreto se lo stipendio o la pensione del debitore vengono accreditati su un conto corrente postale o bancario a lui intestato, tali somme non possono venire pignorate in toto. Infatti, se lo stipendio o la pensione si trovano accreditate sul conto corrente prima della notifica dell’atto di pignoramento, possono essere pignorati nella parte che eccede il valore di un mezzo dell’assegno sociale.
Annualmente il tetto massimo di pignorabilità viene modificato in base a quella che viene identificata come soglia del cosiddetto “minimo vitale”. Una cifra che individua la somma bastevole ad una persona per poter condurre una vita dignitosa. Tale limite viene calcolato in base al valore dell’assegno sociale ed è pari ad 1,5 volte il suo valore, quest’anno pari a 468,10 euro. Ciò significa 702,15 euro.
Se lo stipendio o la pensione vengono accreditati nella stessa data di notifica dell’atto di pignoramento o successivamente, la somma può essere vincolata entro le percentuali di seguito indicate
Se il pignoramento riguarda stipendi, salario, pensioni o qualsiasi altra indennità derivante da rapporto di lavoro o di impiego, esistono per l’Agente della riscossione alcuni limiti:
• fino a 2.500 euro la quota pignorabile è un decimo;
• tra 2.500 e 5.000 euro la quota pignorabile è un settimo;
• sopra i 5.000 euro la quota pignorabile è un quinto.
Per poter usufruire dei limiti del pignoramento del conto con lo stipendio o con la pensione è necessario che sul predetto rapporto bancario non confluiscano redditi di natura diversa.
Pertanto, nel caso di specie è obbligo della Banca effettuare tale controllo stante l’assenza di redditi diversi rispetto alla pensione.
Nel caso in cui la Banca per un errore di mancata diligenza non provvedesse al controllo della natura delle somme accreditate sul conto derivandone l’assegnazione al Agenzia delle Entrate - Riscossione per una percentuale più elevata e/o per l’intera somma accreditata sul conto, il debitore può tutelarsi procedendo ad instaurare un giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 615 del c.p.c..
Infatti, tale strumento può essere utilizzato per contestare il diritto del creditore alla soddisfazione della pretesa ovvero a procedere con l’esecuzione. Per i crediti tributari è intervenuta la Corte Costituzionale nel 2018 modificando la disciplina contenuta nell’art.[[ 57dispaccimpred]]. Nel 2018, con la sentenza n. 114 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del punto a) del primo comma dell’articolo art. 57 delle disp. accert. imp. redditi che non permetteva l’applicabilità di tale articolo.
Con ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Unite, n. 7822/2020 è stata stabilita la competenza del Tribunale Ordinario in merito alle opposizioni al pignoramento presso terzi avente ad oggetto il diritto di procedere all’esecuzione fra cui ricade la fattispecie del pignoramento di beni impignorabili, ovvero la fattispecie analizzata.
In ogni caso, il contribuente può evitare il blocco del conto corrente bancario o postale chiedendo la rateizzazione del debito. Il termine per la richiesta è di 60 giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento presso terzi. Dopo il pagamento della prima rata del piano di ammortamento, il contribuente può ottenere lo sblocco del conto corrente.
Inoltre, il contribuente può usufruire della legge salva-suicidi o anche detta legge sul sovraindebitamento che consente una riduzione sostanziale dell’esposizione. In particolare:
  • per le obbligazioni contratte a seguito della propria attività lavorativa o professionale, si presenta in tribunale un programma di pagamento che deve trovare il consenso di almeno il 60% dei creditori; l’accordo viene poi ratificato dal tribunale (è il cosiddetto accordo coi creditori). Secondo la giurisprudenza questo iter si può azionare anche quando il creditore è uno solo, ossia l’Agenzia Entrate Riscossione. Con la legge salva suicidi, chi non per sua colpa non ha pagato le cartelle esattoriali e l’esposizione è talmente alta da non consentirgli di rimediare coi redditi di cui dispone, può quindi proporre all’Esattore un “saldo e stralcio”. Il programma di liquidazione va presentato a mezzo di un organismo di composizione della crisi (anche un avvocato o un commercialista);
  • per tutte le altre obbligazioni (non quindi quelle collegate all’impresa o all’attività lavorativa) si può ottenere la decurtazione del debito direttamente dal tribunale, senza il consenso dei creditori (cosiddetta procedura del piano del consumatore). Qui è il giudice a valutare la meritevolezza dell’offerta fatta dal contribuente e, se la valuta positivamente, accorda il taglio sul debito (che, a volte, può raggiungere cifre fino al 70-80%;
  • in ultimo è possibile disporre la vendita dei propri beni attraverso il tribunale e procedendo alla ripartizione del ricavato tra i creditori (cosiddetta procedura di liquidazione del patrimonio).

Infine, in merito all’opportunità di far intervenire immediatamente un legale, si ritiene che possa essere utile sia per interfacciarsi subito con la Banca così da evitare l’assegnazione errata dei beni ed in ogni caso la valutazione di risoluzioni alternative al fine di addivenire ad una chiusura anche bonaria con l’Agenzia delle Entrate – Riscossione.