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Articolo 439 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari

Dispositivo dell'art. 439 Codice Penale

Chiunque avvelena acque(1) o sostanze destinate alla alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo(2), è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.

Se dal fatto deriva la morte di alcuno, si applica l'ergastolo; e, nel caso di morte di più persone, si applica la pena [di morte] [448, 452](3).

Note

(1) Il reato in esame si considera configurabile anche nel caso in cui delle sostanze nocive siano state versate sul terreno in modo tale da contaminare pozzi contenenti acque che, dopo la necessaria clorazione, sarebbero divenute potabili, nonché nei casi di avvelenamento di acque non destinate direttamente all'alimentazione.
(2) L'avvelenamento delle sostanze alimentari deve essere compiuto prima che le stesse siano state somministrate alle singole persone che le devono consumare, solo così può dirsi tutelata la salute pubblica, diversamente si avrebbe una lesione individuale.
(3) Tale ipotesi aggravata prevista è da ritenersi priva di valenza pratica in conseguenza della abolizione della pena di morte (v. art. 17).

Ratio Legis

La disposizione in esame tutela la salute pubblica, considerata quale insieme di condizioni di igiene e sicurezza della vita e dell'integrità fisica o salute della collettività, che può risultare in pericolo per la diffusione di germi patogeni veicolo di epidemie virali.

Spiegazione dell'art. 439 Codice Penale

La norma in esame venisse intesa da parte della dottrina come disciplinante fattispecie di pericolo concreto, opinione basata in gran parte sulla portata semantica del termine “avvelenamento” Inoltre, sempre secondo la medesima dottrina, il pericolo e concreto ed effettivo, in quanto è indispensabile l'avvelenamento di sostanze destinate all'alimentazione, e proprio tale destinazione caratterizza la concretezza del pericolo.

La formulazione stessa della norma, tuttavia, quando impone che l'accertamento del pericolo avvenga “prima” che le sostanze siano attinte o distribuite per il consumo, fa propendere per un inquadramento della norma nel novero dei reati di pericolo astratto.

Se dunque la ratio della norma risiede nel colpire la diffusività del pericolo nei confronti di un numero indeterminato di persone di cui la condotta vietata è portatrice, ne deriva che ricade nella fattispecie l'avvelenamento compiuto in qualsiasi fase anteriore alla destinazione della merce ad uno specifico acquirente, poiché e in quel momento, e più precisamente solo in quel momento, che il pericolo collettivo si puntualizza in un pericolo individuale, sanzionato da altre disposizioni. E d'altronde è lo stesso tenore letterale della norma che depone in tal senso, in quanto la ”distribuzione per il consumo” fornisce l'idea di qualsiasi atto di cessione a terzi, successivo alla mera “detenzione per la vendita”.

In seguito si è comunque affermato in giurisprudenza che, nonostante la ormai appurata natura di reato di pericolo astratto, “è tuttavia necessario che un avvelenamento, di per se produttivo di pericolo per la salute pubblica, vi sia comunque stato; il che richiede che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualità e in quantità tali da determinare il pericolo, scientificamente accertato, di effetti tossiconocivi per la salute”.

Tale accertamento del livello di pericolo, come già precedentemente sottolineato, va messo in atto alla stregua del parametro della normale pericolosità, vale a dire che è sufficiente che venga superata, anche di poco, la soglia del cinquanta per cento di possibilità che la sostanza sia pericolosa per i consumatori.

La condotta delittuosa consiste nell'avvelenare acque o sostanze destinate all'alimentazione, ossia nel modificarle in modo da renderle in grado di causare effetti letali per l'organismo, o di compromettere in forma grave ed irreversibile la funzionalità dei singoli organi o dell'intero organismo umani e si realizza tramite l'immissione di elementi tossici nelle sostanze in questione.

Tra gli elementi che possono portare all'avvelenamento vi sono da annoverare sia quegli che, se immessi nei vari tipi di sostanze organiche o inorganiche destinate in qualche maniera ad essere ingerite, possono comportare un'alterazione della composizione chimico-fisica della sostanza in oggetto, sia quelle sostanze velenose classicamente descritte e presenti nella Farmacopea Ufficiale. Ai veleni di cui sopra vanno equiparate le sostanze tossiche di vario tipo, atte, secondo il criterio di potenziale efficacia nociva nei confronti della salute, a recare danno alla salute o addirittura a portare alla morte il soggetto.

Per completezza espositiva e bene precisare che si tratta di reato causalmente orientato, in quanto è del tutto indifferente il modo in cui la condotta pericolosa viene posta in essere dal soggetto agente; da ciò deriva inoltre la configurabilità di esso anche se l'avvelenamento avviene per via mediata, ossia tramite le alterate qualità chimiche del contenitore o del recipiente in cui la sostanza si trova.

Tornando ora all'elemento che permette di classificare l'art. 439 come reato di pericolo astratto, vale a dire il fattore cronologico (“prima che siano attinte o distribuite per il consumo”), in dottrina si è sostenuto che tale momento segnala il termine finale dello stato di pericolo per la salute pubblica derivante dall'avvelenamento, il quale, in seguito alla distribuzione, si tramuterà da fattispecie di pericolo comune a fattispecie di pericolo individuale. Inoltre esso, il comune pericolo, si esaurisce nel momento in cui diviene determinabile il soggetto avente la disponibilità della sostanza. L'attingimento o la distribuzione si realizzano pertanto solo ed esclusivamente quando determinano la disponibilità individuale della sostanza avvelenata.

Per quanto riguarda invece l'elemento soggettivo, la fattispecie viene integrata dalla presenza del dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di avvelenare acque o sostanze unita alla consapevolezza in merito alla potenzialità tossica del mezzo usato e della destinazione alimentare della cosa avvelenata.

Il punto fondamentale e rappresentato dal fatto che non e richiesta la rappresentazione in capo all'agente del pericolo per la pubblica incolumità, in quanto esso e implicito nel fatto di avvelenare sostanze destinate all'uso alimentare. Tale elemento fomenta ancora di più la classificazione di tale norma come reato di pericolo astratto, in quanto non solo viene punito l'avvelenamento della sostanza prima che sia distribuita per il consumo, ma oltretutto punisce la mera volontà di avvelenare una sostanza alimentare, senza che cioè il momento volitivo coincida con la messa in atto di un pericolo diretto per i consumatori.

Il tentativo e astrattamente configurabile e si realizza qualora siano compiuti atti diretti e idonei inequivocabilmente a cagionare l'avvelenamento della sostanza e questo non si e verificato, anche se, come si può facilmente intuire, appare di difficile accadimento; per contro, il delitto si consuma con l'effettivo avvelenamento delle acque o delle sostanze destinate all'alimentazione, e la dottrina tradizionalmente qualifica la fattispecie come reato istantaneo ad effetti permanenti.

Massime relative all'art. 439 Codice Penale

Cass. pen. n. 12323/2021

Il reato di cui all'art. 439 cod. pen. persegue qualsiasi forma di avvelenamento delle acque, ancorchè non destinate al consumo umano prima del loro attingimento, e non richiede necessariamente che l'avvelenamento sia conseguenza immediata e diretta dell'attività svolta dall'agente a contatto con il corpo idrico.

Il reato di avvelenamento di acque o sostanze destinate all'alimentazione è reato ad effetto "differito" che si perfeziona nel momento in cui si realizza l'evento di "avvelenamento", con la conseguenza che è da tale momento, anche se successivo alla cessazione della condotta inquinante, che decorre il termine di prescrizione del reato.

Cass. pen. n. 48548/2018

Il reato di avvelenamento di acque o sostanze destinate all'alimentazione, quale fattispecie di pericolo presunto caratterizzata da un necessario evento di "avvelenamento", è reato istantaneo con effetti permanenti che, a differenza di quello di cui all'art. 434, comma secondo, cod. pen., si perfeziona nel momento in cui si realizza l'inquinamento della falda, con la conseguenza che è da tale momento, anche se successivo alla cessazione della condotta inquinante, che decorre il termine di prescrizione del reato.

Cass. pen. n. 25547/2018

Le acque considerate dall'art. 439 cod. pen. sono quelle destinate all'alimentazione umana, a prescindere dai caratteri biochimici della potabilità secondo la legge e la scienza, sicchè è configurabile la fattispecie criminosa prevista dalla norma suindicata anche se l'avvelenamento riguardi acque batteriologicamente non pure dal punto di vista delle leggi sanitarie, ma comunque idonee e potenzialmente destinabili all'uso alimentare.

Per la configurabilità del reato di avvelenamento di acque o sostanze destinate all'alimentazione, avente natura di reato di pericolo presunto, è comunque necessario che un "avvelenamento", di per sé produttivo, come tale, di pericolo per la salute pubblica, vi sia comunque stato; il che richiede che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualità ed in quantità tali da determinare il pericolo, scientificamente accertato, di effetti tossico-nocivi per la salute.

Cass. pen. n. 9133/2017

La condotta di avvelenamento di acque o sostanze destinate all'alimentazione di cui all'art. 439 cod. pen., a differenza di quella di corrompimento di cui all'art. 440 cod. pen., ha connaturato in sé un intrinseco coefficiente di offensività, caratterizzandosi per l'immissione di sostanze estranee di natura e in quantità tale che, seppur senza avere necessariamente una potenzialità letale, producono ordinariamente, in caso di assunzione, effetti tossici secondo un meccanismo di regolarità causale che desta un notevole allarme sanitario da valutarsi anche in relazione alla tipologia delle possibili malattie conseguenti.

Cass. pen. n. 45001/2014

Ai fini della configurabilità del delitto di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari non è sufficiente, neppure ai limitati fini dell'apprezzamento del "fumus" del reato, l'esistenza di rilevamenti attestanti il superamento dei livelli di contaminazione CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) di cui all'art. 240, comma primo, lettera b) D.Lgs. n. 152 del 2006, trattandosi di indicazioni di carattere meramente precauzionale, il cui superamento non è sufficiente ad integrare nemmeno la fattispecie prevista dall'art. 257 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la quale sanziona condotte di "inquinamento", ossia causative di un evento che costituisce evidentemente un "minus" rispetto all'ipotesi di "avvelenamento".

Cass. pen. n. 15216/2007

Per la configurabilità del reato di avvelenamento (ipotizzato, nella specie, come colposo) di acque o sostanze destinate all'alimentazione, pur dovendosi ritenere che trattasi di reato di pericolo presunto, è tuttavia necessario che un «avvelenamento» di per sé produttivo, come tale, di pericolo per la salute pubblica, vi sia comunque stato; il che richiede che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualità ed in quantità tali da determinare il pericolo, scientificamente accertato, di effetti tossico-nocivi per la salute. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto fondata ed assorbente la censura con la quale, da parte dell'imputato, dichiarato responsabile del reato de quo a causa dello sversamento accidentale in un corso di acqua pubblica di un quantitativo di acido cromico, si era denunciato il mancato accertamento, in sede di merito, dell'effettiva pericolosità della concentrazione di detta sostanza in corrispondenza del punto d'ingresso delle acque nell'impianto di potabilizzazione, essendosi ritenuto sufficiente il mero superamento dei limiti tabellari).

Cass. pen. n. 6651/1985

Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 439 c.p. l'avvelenamento delle acque destinate all'alimentazione non deve avere necessariamente potenzialità letale, essendo sufficiente che abbia la potenzialità di nuocere alla salute. Le acque considerate dall'art. 439 c.p. sono quelle destinate all'alimentazione umana, abbiano o non abbiano i caratteri biochimici della potabilità secondo la legge e la scienza. Pertanto è configurabile la fattispecie criminosa prevista dall'indicata norma anche se l'avvelenamento delle acque sia stato operato in acque batteriologicamente non pure dal punto di vista delle leggi sanitarie ma comunque idonee e potenzialmente destinabili all'uso alimentare. (Fattispecie in cui, trattandosi di sversamento nel terreno di sostanze inquinanti di origine industriale penetranti in falde acquifere, con conseguente avvelenamento dell'acqua di vari pozzi della zona, è stata respinta la tesi difensiva secondo cui per acqua destinata all'alimentazione deve intendersi solo l'acqua «potabile» a norma dell'art. 249 T.U. leggi sanitarie).

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Massimo M. chiede
sabato 01/09/2018 - Toscana
“Buongiorno,
In caso di avvelenamento doloso di acque alla sorgente, con un anticrittogamico, che ha determinato l'interruzione del servizio idrico e la distribuzione sostitutiva di acqua con autobotti, fatto avvenuto nel 1989. Nessuno ha riportato danni grazie al fontaniere che si è accorto della torbidità.
Esiste la prescrizione del reato penale e del risarcimento del danno?
Grazie per la risposta”
Consulenza legale i 05/09/2018
Il reato di avvelenamento di acque è previsto dall’art. 439 del codice penale che è sostanzialmente “sdoppiato” in due parti.
Nella prima parte viene descritta la condotta costituente reato e prevista la pena detentiva non inferiore ad anni 15 prevista per il caso in cui dall’avvelenamento non siano susseguiti episodi mortali.
Qualora invece dal fatto derivi la morte di alcuno, il secondo comma dell’articolo prevede l’ergastolo come pena principale e unica.

A seconda dell’ipotesi cambia anche la prescrizione.

Per il reato di avvelenamento di cui al primo comma la prescrizione massima prevista è di 24 anni. Ciò vuol dire che essendo il fatto avvenuto nel 1989, il reato è ad oggi già prescritto.
Quanto invece al secondo comma, essendo prevista la pena dell’ergastolo, il reato è da ritenersi imprescrittibile.

Quanto invece alla richiesta di risarcimento del danno civile, sul punto è molto chiaro l’articolo 2947 del codice civile. Questo, derogando alla generale disciplina in tema di prescrizione da risarcimento del danno civile per fatto costituente reato, afferma che « se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile».
La prescrizione del risarcimento civile è dunque la stessa del reato penale: 24 anni per il primo comma dell’articolo 439 c.p. e nessun limite per il secondo comma.