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Articolo 194 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Oggetto e limiti della testimonianza

Dispositivo dell'art. 194 Codice di procedura penale

1. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova [187]. Non può deporre sulla moralità dell'imputato, salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato [133 c.p.] e alla pericolosità sociale [203 c.p.](1).

2. L'esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità [236]. La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell'imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona.

3. Il testimone è esaminato su fatti determinati [499]. Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti(2).

Note

(1) Gli unici fatti concernenti la moralità dell'imputato su cui può deporsi sono quelli portati dagli artt. 133 e 203 c.p.
(2) Sono dunque esclusi fatti non specifici, divagazioni, apprezzamenti personali del teste e voci correnti del pubblico.

Ratio Legis

La norma delinea i limiti cui è sottoposta la testimonianza, al fine di delimitare l'influenza della stessa sulla formazione del convincimento del giudice.

Spiegazione dell'art. 194 Codice di procedura penale

La testimonianza appartiene ai mezzi di prova, caratterizzati dal fatto che offrono al giudice dei risultati direttamente utilizzabili dal giudice ai fini della successiva decisione. I mezzi di prova non vanno confusi con i mezzi di ricerca della prova (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni), che sono invece funzionali a permettere l’acquisizione di tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza probatoria.

La norma in commento presenta un contenuto assai generale, destinato a delimitare l’oggetto della testimonianza. Il testimone è infatti esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova, mentre non può deporre sulla moralità dell’imputato, a meno che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato ed alla pericolosità sociale. In sintesi, dunque, la testimonianza deve limitarsi ai fatti oggetto del processo e, risultando inutili le dichiarazioni riguardanti il profilo morale dell’imputato, esse sono tendenzialmente vietate (pur non esistendo alcuna sanzione processuale in caso di inosservanza, ma semplicemente l’inutilizzabilità da parte del giudice).

La personalità dell’imputato, per contro, può assumere rilievo solamente nei casi in cui la legge stesse la ritiene rilevante, come al momento in cui il giudice deve valutare la gravità del reato, anche tenendo in considerazione la personalità dell’imputato (v. art. 133 c.p.), o in relazione alla valutazione circa la pericolosità sociale del medesimo.

Ai sensi del comma 2, l’esame può anche estendersi ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrano tra il testimone e le parti o altri testimoni, oltre alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne l’attendibilità. Appare infatti chiaro come costituisca un diritto delle parti saggiare l’attendibilità dei testimoni, anche ricorrendo a domande sui rapporti in oggetto o su altre circostanze.

Al fine di tutelare la persona offesa dal reato, non è consentito alle parti porre domande dirette a definire la personalità della stessa, se non quando sia necessario valutare il fatto dell’imputato in relazione al comportamento della persona offesa (ad es. per valutare la proporzione di una eventuale reazione dell’imputato di fronte ad un comportamento della p.o.).

Da ultimo, il testimone deve essere sentito su fatti determinati, e non su fatti assolutamente generici (anche al fine di non allargare eccessivamente il thema decidendum), e non può deporre sulle voci correnti del pubblico, né esprimere apprezzamenti personali, tranne nell’eventualità in cui sia necessario per accertare i fatti e lo svolgimento di essi.

Massime relative all'art. 194 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 11658/2015

In tema di giudizio abbreviato condizionato, le dichiarazioni rese in udienza da una persona già sentita in fase di indagini non sono di per se stesse dotate di valore probatorio privilegiato e preminente rispetto a quelle fornite alle Autorità inquirenti, stante il carattere integrativo e non sostitutivo che l'art. 438, comma quinto, cod. proc. pen., attribuisce all'attività istruttoria nel contraddittorio delle parti.

Cass. pen. n. 38221/2008

In tema di prova testimoniale, il divieto di esprimere apprezzamenti personali, posto in via generale dall'art. 194 comma terzo c.p.p., non vale qualora il testimone sia una persona particolarmente qualificata, che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e particolare attività, giacché in tal caso l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto. (Fattispecie relativa alla deposizione di una testimone, appartenente alla polizia scientifica, che aveva eseguito accertamenti tecnici relativi alla contraffazione di passaporti, visti e timbri ).

Cass. pen. n. 15293/2007

La deposizione della persona offesa dal reato, nonostante la diversità di posizione di questa rispetto a quella di un qualunque testimone estraneo, può essere assunta anche da sola a base del convincimento del giudice, ove venga sottoposta a un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva o oggettiva di cui l'ha resa, con una particolare prudenza quando si tratti delle dichiarazioni di un minore, soggetto a maggiori suggestioni, con la possibile incapacità di distinguere i dati effettivamente percepiti da quelli solo immaginati e permeabile ai suggerimenti, ma anche alle aspettative di un adulto di riferimento affettivo (fattispecie in tema di testimonianza resa da un minore parte offesa di un reato sessuale). (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 6910/1999

In tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della parte offesa sia quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità.

Cass. pen. n. 3205/1999

Il divieto di deporre sulle voci correnti nel pubblico, sancito dall'art. 194, comma 3, c.p.p., non trova applicazione nell'ipotesi in cui il testimone riferisca circostanze apprese da una specifica persona, ancorché non identificata con le sue generalità. (Fattispecie in tema di testimonianza resa da un agente di polizia giudiziaria il quale aveva deposto su quanto appreso da un gestore di un pubblico esercizio rimasto sconosciuto).

Cass. pen. n. 12904/1998

Il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato o dell'indagato, sancito dall'art. 62 c.p.p., essendo diretto ad assicurare l'inutilizzabilità di quanto raccolto al di fuori degli atti garantiti dalla presenza del difensore e pervenuto attraverso la testimonianza di chi dette dichiarazioni abbia ricevuto in qualsiasi maniera, presuppone che dette dichiarazioni siano state rese nel corso del procedimento e non anteriormente o al di fuori del medesimo; il divieto, in quest'ultima ipotesi, non può, infatti, operare, assumendo l'oggetto della testimonianza, nel suo contenuto specifico, valore di fatto storico percepito dal teste, e, come tale, valutabile dal giudice alla stregua degli ordinari criteri applicabili al detto mezzo di prova

Cass. pen. n. 11939/1998

Il divieto di apprezzamenti personali, previsto dall'art. 194 c.p.p., non è riferibile ai fatti che siano stati direttamente percepiti dal teste, al quale, a causa della speciale condizione di soggetto qualificato, per le conoscenze che gli derivano dalla sua abituale e specifica attività, non può essere precluso di esprimere apprezzamenti, se questi sono inscindibili dalla deposizione sui fatti stessi. (Nella specie la Corte ha ritenuto non vietati gli apprezzamenti di un ispettore della ditta distributrice del marchio del bene presunto contraffatto).

Cass. pen. n. 4946/1997

Le dichiarazioni di un testimone, per essere positivamente utilizzate dal giudice, devono risultare credibili, oltre che avere ad oggetto fatti di diretta cognizione e specificamente indicati; sicché, contrariamente ad altre fonti di conoscenza, come le dichiarazioni rese da coimputati o imputati di reati connessi, esse non abbisognano di riscontri esterni, il ricorso eventuale ai quali è funzionale soltanto al vaglio di credibilità del testimone. (Fattispecie in tema di testimonianza della persona offesa).

Cass. pen. n. 2948/1997

Il riconoscimento dell'imputato operato in udienza nel corso dell'esame testimoniale, deve ritenersi valido e processualmente utilizzabile, e va tenuto distinto dalla ricognizione vera e propria, in quanto esso costituisce atto di identificazione diretta, e non richiede l'osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione. Ne consegue che la dichiarazione del teste non è inficiata da patologie processuali, quali la nullità o la inutilizzabilità, in caso di violazione di dette formalità.

Cass. pen. n. 2322/1996

In tema di prova testimoniale, il divieto di esprimere apprezzamenti personali, posto dall'art. 194 c.p.p., non vale qualora il testimone sia una persona particolarmente qualificata per speciale preparazione professionale, che sia interrogata su fatti caduti sotto la sua percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e particolare attività, giacché in tal caso l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto. (Fattispecie relativa a deposizione di un ispettore della polizia stradale circa l'originario colore della carrozzeria di un autoveicolo ricettato).

Cass. pen. n. 4653/1994

I divieti assoluti di utilizzabilità previsti dal codice di procedura penale in tema di prove, trovano applicazione anche per gli indizi posto che questi sono pur sempre una probatio sia pur minor. Conseguentemente una dichiarazione su voci correnti, inutilizzabili ex art. 194, comma 3, c.p.p., è del tutto inidonea a costituire riscontro esterno ad accuse rese da altri al fine di dare compiuta ragione della sussistenza della gravità degli indizi richiesti dal comma 1 dell'art. 273 c.p.p. per l'applicazione di una misura cautelare personale.

Cass. pen. n. 867/1994

Agli effetti processuali e penali, la figura di chi rende dichiarazioni all'autorità giudiziaria non può essere scissa, nel senso che il soggetto possa essere considerato testimone in relazione a talune dichiarazioni e coimputato, o coimputato in procedimento connesso in relazione ad altre dichiarazioni, rese nel medesimo procedimento, giacché la qualità di imputato o coimputato ha carattere assorbente.

Cass. pen. n. 6922/1992

Il riconoscimento diretto effettuato nel corso dell'esame testimoniale non è qualificabile come «prova atipica», soggetta, in quanto tale, alla disciplina di cui all'art. 189 c.p.p. (che, tra l'altro, richiede la previa audizione delle parti), ma rientra, invece, nell'oggetto dell'ordinaria prova testimoniale, quale previsto e disciplinato dall'art. 194 stesso codice. Infatti, in base a tale ultima norma, il testimone «è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova», e tra «i fatti che si riferiscono all'imputazione e alla punibilità» e che l'art. 187 c.p.p. considera tra quelli «oggetto di prova» rientra anche quello costituito dall'avere il teste avuto occasione di rivedere e riconoscere, successivamente alla commissione del reato, il soggetto da lui stesso in precedenza indicato come autore del medesimo.

Cass. pen. n. 5467/1992

La registrazione e l'utilizzazione delle dichiarazioni rese a terzo da persona successivamente imputata sulla base di esse sono legittime, in quanto non possono essere ricondotte né nell'ambito delle intercettazioni irrituali, né in quello delle dichiarazioni indizianti nei confronti di persona non indiziata né indagata, inutilizzabili ai sensi, rispettivamente, degli artt. 271 e 63 c.p.p. Ed invero, quanto alle prime, non si è in presenza di intercettazioni, cioè di occulta presa di conoscenza, da parte di terzi e mediante congegni particolari, di comunicazioni riservate, ma di registrazione di un colloquio ad opera di uno degli interlocutori, cioè di un'attività riconducibile nella memorizzazione fornita di notizie che uno degli interlocutori si è procurato lecitamente dall'altro, riguardo alla quale attività il diritto alla riservatezza, il solo astrattamente opponibile è costituito dalla pretesa che la notizia, liberamente affidata ad altri, non sia da costui propalata senza il consenso dell'affidante, non costituisce un valore garantito nel processo, ma cede certamente rispetto all'esigenza di formazione della prova. Quanto alle seconde, l'inutilizzabilità opera con riferimento alle dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria e non è assolutamente ipotizzabile né che un privato possa trovarsi investito vive funzioni di polizia giudiziaria (al di fuori dei casi di flagranza del reato ex art. 383 c.p.p. nei quali, peraltro, può esimersi dalle stesse), né che sia tenuto, se in colloquio con persona che gli confidi fatti compromettenti sul piano penale, ad ascoltarlo dopo avergli assicurato le garanzie previste per l'imputato. (In motivazione la S.C. ha precisato che le dichiarazioni rese dall'imputato al teste e da costui registrate su nastro magnetico possono in ogni caso costituire oggetto di testimonianza diretta del teste e indiretta degli agenti di P.G. cui siano state comunicate, e che il nastro magnetico legittimamente può essere acquisito agli atti processuali).

Cass. pen. n. 9888/1991

Ai fini della valutazione probatoria delle dichiarazioni di un soggetto non può prescindersi dalla qualificazione formale da lui assunta nel processo in cui sono state rese. Ne consegue che, dovendosi ascrivere la qualità di imputato soltanto a chi sia stato contestato un reato, deve essere considerato teste chi sia stato sentito nel processo senza che gli sia stata elevata in esso alcuna imputazione o senza che, in altro processo, gli sia stata elevata imputazione per lo stesso reato o per reato connesso. Pertanto, ai fini della valutazione della prova, mentre non può porsi in tale caso la necessità di riscontri, ai sensi dell'art. 192, terzo comma, c.p.p., rispetto a dichiarazioni che non abbiano acquistato la formale veste di chiamata di reità o di correità, il giudice deve porsi soltanto il problema dell'attendibilità del teste, in quanto non disinteressato. (Fattispecie in tema di dichiarazioni rese da acquirente di modica quantità di droga in ordine alla posizione del suo fornitore).

Cass. pen. n. 11716/1990

La formulazione letterale e lo spirito del nuovo art. 195 c.p.p. sono indirizzati non ad impedire, sempre e comunque, qualsiasi esposizione di fatti non verificatisi sotto gli occhi del dichiarante, ma semplicemente a consentire un controllo di conoscenza. Ne consegue che non può considerarsi una forma di testimonianza indiretta, e pertanto non necessita di controllo, quanto piuttosto di valutazione ex art. 194 stesso codice, la narrazione di una vicenda alla quale il teste abbia preso parte solo parzialmente, ma che tuttavia ricostruisca per intero, in via di logica conseguenzialità.

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Nel procedimento penale, con specifico riferimento all’escussione dei testimoni e a ciò che questi possono riferire nel merito, vale una semplice ed elementare regola: il teste può riferire solo ciò di cui è (stato) a diretta conoscenza.
Si tratta di un assunto su cui – ovviamente – non c’è giurisprudenza esplicita trattandosi, in verità, di un principio evincibile in modo molto specifico dal complesso delle disposizioni di cui all’ art. 194 del c.p.p. e seguenti del codice di rito.

Ovviamente, un conto è ciò che il testimone dice, altro discorso è il valore probatorio delle sue parole, che può essere intrinsecamente inutile ai fini dell’oggetto di prova o essere messo in dubbio attraverso il controesame fatto dalle difese o dall’accusa.

Tornando al caso di specie, va detto quanto segue.

1. Gli interlocutori della conversazione potranno riferire tutto della stessa. Ora, giorno e il relativo contenuto essendo parti dirette del rapporto;
2. gli astanti, invece, sicuramente potranno riferire – ed essere credibili – in ordine alle circostanze temporali e spaziali in cui è avvenuta la conversazione. Agli stessi, comunque, non è fatto divieto di riferire in ordine al contenuto della stessa. Chiaro è, tuttavia, che nel corso del controesame potranno essere rilevate diverse circostanze (prima tra tutte che la conversazione non era in viva voce) atte a mettere concretamente in dubbio la bontà di ciò che gli stessi abbiano potuto intendere assistendo alla reazione e alle risposte rese da uno degli interlocutori della conversazione.